TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

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Diritto Canonico

LIBRO II

IL POPOLO DI DIO

Il secondo libro del codice si intitola "Il popolo di Dio". Il titolo del libro venne adottato nello schema preparatorio e non fu più mutato. Il libro è diviso in tre parti:

  1. I fedeli cristiani (cc.204-329);

  2. La costituzione gerarchica della Chiesa (cc.330-572)

  3. Gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica (cc. 573-746)

          Nel codice del 1917 il secondo libro si intitolava "le persone", il codice di diritto canonico in linea con il Concilio Vaticano II usa la categoria bibblica di Popolo di Dio. Come abbiamo già detto spesso il codice del 1917 risente di un'ecclesiologia diversa, si vede la Chiesa come società perfetta, in questa visione spicca la prevalenza dei chierici e in particolare del Papa. Il codice del 1983 invece, pur mantenendo fermo il principio della costituzione gerarchica, parte dal principio di uguaglianza di tutti i fedeli, guardando positivamente alla diversità delle funzioni. C'è un richiamo quindi alla dimensione comunitaria che deve realizzarsi anche sul piano istituzionale. Il passaggio quindi da un ecclesiologia della società perfetta a una ecclesiologia di comunione è evidente.

PARTE PRIMA

I FEDELI (Cann. 204 – 207)

Can. 204 - §1. I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.

§2. Questa Chiesa, costituita e ordinata nel mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui.

Can. 205 - Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico.

Can. 206 - §1. Per un titolo particolare sono legati alla Chiesa i catecumeni, coloro cioè che, mossi dallo Spirito Santo, chiedono con intenzione esplicita di essere incorporati ad essa e di conseguenza, per questo desiderio, come pure per la vita di fede, di speranza e di carità che essi conducono, sono congiunti alla Chiesa, che già ne ha cura come suoi.

§2. La Chiesa dedica una cura particolare ai catecumeni, e mentre li invita a condurre una vita evangelica e li introduce alla celebrazione dei riti sacri, già ad essi elargisce diverse prerogative che sono proprie dei cristiani.

Can. 207 - §1. Per istituzione divina vi sono nella Chiesa tra i fedeli i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici.

§2. Dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri, riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio e danno incremento alla missione salvifica della Chiesa; il loro stato, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità.

 

TITOLO I

OBBLIGHI E DIRITTI DI TUTTI I FEDELI (Cann. 208 – 223)

 

Can. 208 - Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell'agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all'edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno.

Can. 209 - §1. I fedeli sono tenuti all'obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa.

§2. Adempiano con grande diligenza i doveri cui sono tenuti sia nei confronti della Chiesa universale, sia nei confronti della Chiesa particolare alla quale appartengono, secondo le disposizioni del diritto.

Can. 210 - Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.

Can. 211 - Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l'annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.

Can. 212 - §1. I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa.

§2. I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri.

§3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l'utilità comune e la dignità della persona.

Can. 213 - I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti.

Can. 214 - I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa.

Can. 215 - I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità.

Can. 216 - Tutti i fedeli, in quanto partecipano alla missione della Chiesa, hanno il diritto, secondo lo stato e la condizione di ciascuno, di promuovere o di sostenere l'attività apostolica anche con proprie iniziative; tuttavia nessuna iniziativa rivendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso dell'autorità ecclesiastica competente.

Can. 217 - I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica, hanno diritto all'educazione cristiana, con cui possano essere formati a conseguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a conoscere e a vivere il mistero della salvezza.

Can. 218 - Coloro che si dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti, conservando il dovuto ossequio nei confronti del magistero della Chiesa.

Can. 219 - Tutti i fedeli hanno il diritto di essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita.

Can. 220 - Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità.

Can. 221 - §1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto.

§2. I fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall'autorità competente, di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità.

§3. I fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge.

Can. 222 - §1. I fedeli sono tenuti all'obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l'onesto sostentamento dei ministri.

§2. Sono anche tenuti all'obbligo di promuovere la giustizia sociale, come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri coi propri redditi.

Can. 223 - §1. Nell'esercizio dei propri diritti i fedeli, sia come singoli sia riuniti in associazioni, devono tener conto del bene comune della Chiesa, dei diritti altrui e dei propri doveri nei confronti degli altri.

§2. Spetta all'autorità ecclesiastica, in vista del bene comune, regolare l'esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli.

TITOLO II

OBBLIGHI E DIRITTI DEI FEDELI LAICI (Cann. 224 – 231)

 

Can. 224 - I fedeli laici, oltre agli obblighi e ai diritti che sono comuni a tutti i fedeli e oltre a quelli che sono stabiliti negli altri canoni, sono tenuti agli obblighi e godono dei diritti elencati nei canoni del presente titolo.

Can. 225 - §1. I laici, dal momento che, come tutti i fedeli, sono deputati da Dio all'apostolato mediante il battesimo e la confermazione, sono tenuti all'obbligo generale e hanno il diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l'annuncio della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora maggiormente in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro.

§2. Sono tenuti anche al dovere specifico, ciascuno secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l'ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo, particolarmente nel trattare tali realtà e nell'esercizio dei compiti secolari.

Can. 226 - §1. I laici che vivono nello stato coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia, nell'edificazione del popolo di Dio.

§2. I genitori, poiché hanno dato ai figli la vita, hanno l'obbligo gravissimo e il diritto di educarli; perciò spetta primariamente ai genitori cristiani curare l'educazione cristiana dei figli secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa.

Can. 227 - E diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa.

Can. 228 - §1. I laici che risultano idonei, sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto.

§2. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono idonei a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto.

Can. 229 - §1. I laici, per essere in grado di vivere la dottrina cristiana, per poterla annunciare essi stessi e, se necessario, difenderla, e per potere inoltre partecipare all'esercizio dell'apostolato, sono tenuti all'obbligo e hanno il diritto di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione di ciascuno.

§2. Hanno anche il diritto di acquisire quella conoscenza più piena delle scienze sacre che viene data nelle università e facoltà ecclesiastiche o nelle scuole di scienze religiose, frequentandovi le lezioni e conseguendovi i gradi accademici.

§3. Così pure, osservate le disposizioni stabilite in ordine alla idoneità richiesta, hanno la capacità di ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica il mandato di insegnare le scienze sacre.

Can. 230 - §1. I laici di sesso maschile che abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.

§2. I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici godono della facoltà di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto.

§3. Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.

Can. 231 - §1. I laici, designati in modo permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, sono tenuti all'obbligo di acquisire una adeguata formazione, richiesta per adempiere nel modo dovuto il proprio incarico e per esercitarlo consapevolmente, assiduamente e diligentemente.

§2. Fermo restando il disposto del can. 230, §1, essi hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre il diritto che si garantiscano la previdenza sociale, le assicurazioni sociali e l'assistenza sanitaria.

TITOLO III

I MINISTRI SACRI O CHIERICI (Cann. 232 – 293)

 

CAPITOLO I

 LA FORMAZIONE DEI CHIERICI

Can. 232 - La Chiesa ha il dovere e il diritto proprio ed esclusivo di formare coloro che sono destinati ai ministeri sacri.

Can. 233 - §1. E dovere di tutta la comunità cristiana promuovere le vocazioni affinché si possa convenientemente provvedere alla necessità di sacro ministero in tutta la Chiesa; hanno questo dovere specialmente le famiglie cristiane, gli educatori, e in modo particolare i sacerdoti, soprattutto i parroci. I Vescovi diocesani, ai quali spetta in sommo grado curare la promozione delle vocazioni, rendano consapevole il popolo loro affidato sull'importanza del ministero sacro e sulla necessità di ministri nella Chiesa, suscitino e sostengano le iniziative atte a favorire le vocazioni, soprattutto mediante le opere istituite a tale scopo.

§2. I sacerdoti e soprattutto i Vescovi diocesani si impegnino perché coloro che in età più matura si ritengono chiamati ai ministeri sacri siano prudentemente aiutati con la parola e con l'opera e preparati nel debito modo.

Can. 234 - §1. Si mantengano, dove esistono, e si favoriscano i seminari minori o altri istituti simili; in essi, allo scopo di incrementare le vocazioni, si provveda a dare una particolare formazione religiosa insieme con una preparazione umanistica e scientifica; anzi, se lo ritiene opportuno, il Vescovo diocesano provveda all'erezione del seminario minore o di un istituto analogo.

§2. A meno che in casi determinati le circostanze non suggeriscano diversamente, i giovani che intendono essere ammessi al sacerdozio siano forniti della stessa formazione umanistica e scientifica con la quale i giovani di quella regione vengono preparati a compiere gli studi superiori.

Can. 235 - §1. I giovani che intendono accedere al sacerdozio siano formati ad una vita spirituale ad esso confacente e ai relativi doveri presso il seminario maggiore durante tutto il tempo della formazione, oppure, se a giudizio del Vescovo diocesano le circostanze lo richiedono, almeno per quattro anni.

§2. Coloro che legittimamente dimorano fuori del seminario, siano affidati dal Vescovo diocesano ad un sacerdote pio e idoneo, affinché abbia cura che siano diligentemente formati alla vita spirituale e alla disciplina.

Can. 236 - I candidati al diaconato permanente, secondo le disposizioni della conferenza dei Vescovi, siano formati a condurre una vita evangelica e siano preparati a compiere nel debito modo i doveri propri dell'ordine: 1) se sono giovani, dimorando almeno per tre anni in una casa specifica, a meno che per gravi ragioni il Vescovo diocesano non abbia disposto diversamente; 2) se sono uomini di età più matura, sia celibi sia coniugati, mediante un progetto formativo della durata di tre anni, determinato dalla conferenza Episcopale.

Can. 237 - §1. Dove risulta possibile e opportuno, vi sia nelle singole diocesi il seminario maggiore; altrimenti gli alunni che si preparano ai ministeri sacri vengano affidati ad un altro seminario oppure venga eretto un seminario interdiocesano.

§2. Non si eriga un seminario interdiocesano se prima non è stata ottenuta l'approvazione della Sede Apostolica, sia in ordine alla erezione del seminario, sia in ordine ai suoi statuti: da parte della Conferenza Episcopale, se si tratta di un seminario per tutto il territorio corrispondente, altrimenti da parte dei Vescovi interessati.

Can. 238 - §1. I seminari eretti legittimamente godono per il diritto stesso di personalità giuridica nella Chiesa.

§2. Nel trattare tutti gli affari il rettore rappresenta il seminario, a meno che, per determinate questioni, l'autorità competente non abbia stabilito in modo diverso.

Can. 239 - §1. In ogni seminario vi sia il rettore che lo dirige e, se del caso, un vice-rettore, l'economo e inoltre, se gli alunni compiono gli studi nel seminario stesso, anche i docenti i quali insegnino le varie discipline curandone la reciproca coordinazione.

§2. In ogni seminario vi sia almeno un direttore spirituale, lasciando agli alunni la libertà di rivolgersi ad altri sacerdoti ai quali il Vescovo abbia affidato tale incarico.

§3. Negli statuti del seminario siano stabilite le modalità secondo cui gli altri moderatori, gli insegnanti e anche gli stessi alunni possano condividere la responsabilità del rettore, soprattutto per quanto riguarda la disciplina.

Can. 240 - §1. Oltre ai confessori ordinari, si facciano venire regolarmente nel seminario altri confessori e, salva la disciplina del seminario, gli alunni abbiano sempre ampia possibilità di rivolgersi a qualsiasi confessore sia all'interno sia all'esterno del seminario.

§2. Nel prendere decisioni riguardanti l'ammissione degli alunni agli ordini o la loro dimissione dal seminario, non può mai essere richiesto il parere del direttore spirituale e dei confessori.

Can. 241 - §1. Il Vescovo diocesano ammetta al seminario maggiore soltanto coloro che, sulla base delle loro doti umane e morali, spirituali e intellettuali, della loro salute fisica e psichica e della loro retta intenzione, sono ritenuti idonei a consacrarsi per sempre ai ministeri sacri.

§2. Prima di essere accolti, devono presentare i certificati di battesimo e di confermazione e gli altri documenti richiesti secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale.

§3. Quando si tratta di ammettere alcuni dimessi da un altro seminario o da un istituto religioso, si richiede inoltre la dichiarazione del rispettivo superiore, soprattutto circa la causa della dimissione o dell'uscita.

Can. 242 - §1. In ogni nazione vi sia una Ratio di formazione sacerdotale, emanata dalla Conferenza Episcopale sulla base delle norme fissate dalla suprema autorità della Chiesa e approvata dalla Santa Sede, adattabile alle nuove situazioni con una nuova approvazione della Santa Sede; in essa vengano definiti i principi essenziali e le norme generali della formazione seminaristica, adattate alle necessità pastorali di ogni regione o provincia.

§2. Le norme della Ratio di cui al §1 siano osservate in tutti i seminari, sia diocesani sia interdiocesani.

Can. 243 - Ogni seminario abbia inoltre il proprio regolamento approvato dal Vescovo diocesano o, se si tratta di un seminario interdiocesano, dai Vescovi interessati; in esso si adattino le norme della Ratio di formazione sacerdotale alle situazioni particolari e si determinino in modo più preciso soprattutto le questioni disciplinari che riguardano la vita quotidiana degli alunni e il buon ordine di tutto il seminario.

Can. 244 - La formazione spirituale e l'insegnamento dottrinale degli alunni del seminario vengano coordinati armonicamente e siano finalizzati a far loro acquisire lo spirito del Vangelo e un rapporto profondo con Cristo, unito ad una adeguata maturità umana, secondo l'indole di ciascuno.

Can. 245 - §1. Mediante la formazione spirituale gli alunni siano resi idonei all'esercizio fecondo del ministero pastorale e siano permeati di spirito missionario, consapevoli che l'adempimento fedele del ministero in atteggiamento costante di fede viva e di carità contribuisce alla propria santificazione; imparino insieme a coltivare quelle virtù che sono ritenute di grande importanza nella convivenza umana, cosicché siano in grado di giungere ad una adeguata armonia tra i valori umani e i valori soprannaturali.

§2. Gli alunni siano formati in modo tale che, pieni di amore per la Chiesa di Cristo, abbiano un profondo legame di carità, umile e filiale, con il Romano Pontefice successore di Pietro, siano uniti al proprio Vescovo come fedeli cooperatori e collaborino con i fratelli; mediante la vita comune nel seminario e mediante la pratica di un rapporto di amicizia e di familiarità con gli altri, si dispongano alla fraterna comunione col presbiterio diocesano di cui faranno parte al servizio della Chiesa.

Can. 246 - §1. La celebrazione eucaristica sia il centro di tutta la vita del seminario, in modo che ogni giorno gli alunni, partecipando alla stessa carità di Cristo, attingano soprattutto a questa fonte ricchissima forza d'animo per il lavoro apostolico e per la propria vita spirituale.

§2. Siano formati alla celebrazione della liturgia delle ore, mediante la quale i ministri di Dio lo invocano a nome della Chiesa per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo.

§3. Siano incrementati il culto della Beata Vergine Maria, anche con il rosario mariano, l'orazione mentale e gli altri esercizi di pietà con cui gli alunni acquisiscono lo spirito di preghiera e conseguono la solidità della vocazione.

§4. Gli alunni si abituino ad accostarsi con frequenza al sacramento della penitenza; si raccomanda inoltre che ognuno abbia la guida della sua vita spirituale, scelta liberamente, a cui aprire con fiducia la propria coscienza.

§5. Gli alunni facciano ogni anno gli esercizi spirituali.

Can. 247 - §1. Siano preparati mediante un'adeguata educazione a vivere lo stato del celibato e imparino ad apprezzarlo come dono peculiare di Dio.

§2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale.

Can. 248 - L'insegnamento dottrinale impartito agli alunni è finalizzato ad acquisire una dottrina ampia e solida nelle scienze sacre, parallelamente ad una cultura generale rispondente alle necessità di luogo e di tempo, in modo che, mediante la propria fede in essa fondata e da essa nutrita, siano in grado di annunciare convenientemente il messaggio del Vangelo agli uomini del proprio tempo, in modo adeguato alla loro capacità.

Can. 249 - Nella Ratio di formazione sacerdotale si stabilisca che gli alunni conoscano accuratamente non solo la lingua del proprio paese, ma abbiano anche una buona conoscenza della lingua latina e inoltre un'adeguata conoscenza delle lingue straniere, nella misura in cui essa risulti necessaria o utile alla loro formazione o all'esercizio del ministero pastorale.

Can. 250 - Gli studi filosofici e teologici che sono programmati nel seminario possono essere compiuti o in modo successivo o in modo congiunto, secondo la Ratio di formazione sacerdotale; essi devono comprendere almeno un sessennio completo, in modo tale che il periodo riservato alle discipline filosofiche corrisponda ad un intero biennio, il periodo riservato agli studi teologici ad un intero quadriennio.

Can. 251 - La formazione filosofica, radicata nel patrimonio filosofico perennemente valido, ma attenta anche al continuo progresso della ricerca, venga impartita in modo da arricchire la formazione umana degli alunni, da esaltare l'acutezza del pensiero e da renderli più idonei a compiere gli studi teologici.

Can. 252 - §1. La formazione teologica, illuminata dalla fede e guidata dal Magistero, venga impartita in modo che gli alunni conoscano integralmente la dottrina cattolica, fondata sulla Rivelazione divina, ne alimentino la loro vita spirituale e siano in grado di annunciarla e difenderla in modo appropriato nell'esercizio del ministero.

§2. Gli alunni vengano istruiti con particolare diligenza nella sacra Scrittura, in modo da acquisirne una visione globale.

§3. Vi siano lezioni di teologia dogmatica, radicata sempre nella parola di Dio scritta e nella sacra Tradizione, mediante le quali gli alunni imparino a penetrare più intimamente i misteri della salvezza, seguendo soprattutto la dottrina di s. Tommaso; inoltre lezioni di teologia morale e pastorale, di diritto canonico, di liturgia, di storia ecclesiastica e di altre discipline, ausiliarie e speciali, secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale.

Can. 253 - §1. All'incarico di insegnante nelle discipline filosofiche, teologiche e giuridiche siano nominati dal Vescovo o dai Vescovi interessati soltanto coloro che, distinti per virtù, abbiano conseguito il dottorato o la licenza in una università o facoltà riconosciuta dalla Santa Sede.

§2. Si abbia cura che vengano nominati insegnanti singoli e distinti per l'insegnamento di sacra Scrittura, teologia dogmatica, teologia morale, liturgia, filosofia, diritto canonico, storia ecclesiastica e delle altre discipline che devono essere insegnate secondo un proprio metodo.

§3. L'insegnante che in modo grave venga meno al suo incarico sia rimosso dall'autorità di cui al §1.

Can. 254 - §1. Nell'insegnamento delle diverse discipline gli insegnanti pongano costantemente in evidenza l'intima unità e armonia di tutta la dottrina della fede, affinché gli alunni possano sperimentare l'apprendimento di un'unica scienza; per conseguire più agevolmente questo scopo, vi sia nel seminario chi coordina tutto il piano degli studi.

§2. Gli alunni vengano educati alla capacità di esaminare con metodo scientifico le varie questioni mediante adeguate ricerche personali; ci siano perciò esercitazioni con le quali, sotto la guida degli insegnanti, gli alunni imparino a compiere qualche ricerca col proprio lavoro.

Can. 255 - Quantunque tutta la formazione degli alunni nel seminario si proponga una finalità pastorale, vi si programmi una preparazione pastorale in senso stretto che insegni agli alunni i principi e i metodi che riguardano l'esercizio del ministero di insegnare, santificare e governare il popolo di Dio, tenendo anche presenti le necessità di luogo e di tempo.

Can. 256 - §1. Gli alunni vengano diligentemente istruiti in tutto ciò che riguarda in modo specifico il sacro ministero, soprattutto nell'attività catechetica e omiletica, nel culto divino e in modo particolare nella celebrazione dei sacramenti, nel dialogo con le persone, anche non cattoliche o non credenti, nell'amministrazione parrocchiale e nell'adempimento di tutti gli altri impegni.

§2. Gli alunni siano resi consapevoli delle necessità della Chiesa universale in modo che siano solleciti nel promuovere le vocazioni, dei problemi missionari ed ecumenici e inoltre dei vari problemi particolarmente urgenti, anche di carattere sociale.

Can. 257 - §1. La formazione degli alunni sia impostata in modo che sentano la sollecitudine non solo della Chiesa particolare al servizio della quale sono incardinati, ma anche della Chiesa universale e in modo che si dimostrino pronti a dedicarsi alle Chiese particolari in cui urgano gravi necessità.

§2. Il Vescovo diocesano abbia cura che i chierici che hanno intenzione di trasferirsi dalla propria ad una Chiesa particolare di un'altra regione, siano preparati convenientemente ad esercitarvi il ministero sacro, che imparino cioè la lingua della regione, abbiano conoscenza delle sue istituzioni, delle condizioni sociali, degli usi e delle consuetudini.

Can. 258 - Perché gli alunni imparino anche nella pratica il metodo dell'azione apostolica, durante il periodo degli studi e soprattutto nel tempo delle vacanze siano iniziati, sempre sotto la guida di un sacerdote esperto, alla prassi pastorale mediante opportune esperienze da determinare secondo il giudizio dell'Ordinario, adatte all'età degli alunni e alle situazioni locali.

Can. 259 - §1. Spetta al Vescovo diocesano oppure, se si tratta di un seminario interdiocesano, ai Vescovi interessati, decidere ciò che riguarda l'alta direzione ed amministrazione del seminario.

§2. Il Vescovo diocesano o i Vescovi interessati, se si tratta di un seminario interdiocesano, visitino di persona frequentemente il seminario, vigilino sulla formazione dei propri alunni e sull'insegnamento filosofico e teologico che viene impartito, si informino inoltre sulla vocazione, l'indole, la pietà e il progresso degli alunni, in vista soprattutto del conferimento degli ordini sacri.

Can. 260 - Nell'adempimento dei propri incarichi, tutti devono obbedire al rettore al quale spetta la direzione quotidiana del seminario, a norma della Ratio di formazione sacerdotale e del regolamento del seminario.

Can. 261 - §1. Il rettore del seminario, come pure, sotto la sua autorità, i superiori e gli insegnanti, ciascuno per la parte che gli compete, curino che gli alunni osservino fedelmente le norme fissate dalla Ratio di formazione sacerdotale e dal regolamento del seminario.

§2. Il rettore del seminario e il moderatore degli studi provvedano con diligenza che gli insegnanti adempiano nel debito modo il loro incarico, secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale e del regolamento del seminario.

Can. 262 - Il seminario sia esente dalla giurisdizione parrocchiale; per tutti coloro che si trovano nel seminario svolge l'ufficio di parroco, ad eccezione della materia matrimoniale e fermo restando il disposto del can. 985, il rettore del seminario o un suo delegato.

Can. 263 - Il Vescovo diocesano oppure, se si tratta di un seminario interdiocesano, i Vescovi interessati, nella misura che essi stessi hanno determinato di comune accordo devono fare in modo che si provveda alla costituzione e alla conservazione del seminario, al sostentamento degli alunni, alla rimunerazione degli insegnanti e alle altre necessità del seminario.

Can. 264 - §1. Per provvedere alle necessità del seminario, oltre all'offerta di cui al can. 1266, il Vescovo può imporre nella diocesi un tributo.

§2. Sono soggette al tributo per il seminario tutte le persone giuridiche ecclesiastiche, anche private che hanno sede in diocesi, a meno che non si sostengano solo di elemosine oppure non abbiano attualmente un collegio di studenti o di docenti finalizzato a promuovere il bene comune della Chiesa; tale tributo deve essere generale, proporzionato ai redditi di coloro che vi sono soggetti e determinato secondo le necessità del seminario.

CAPITOLO II

 L'ASCRIZIONE DEI CHIERICI O INCARDINAZIONE

Can. 265 - Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbiano la facoltà, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi.

Can. 266 - §1. Uno diviene chierico con l'ordinazione diaconale e viene incardinato nella Chiesa particolare o nella prelatura personale al cui servizio è stato ammesso.

§2. Il professo con voti perpetui in un istituto religioso oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l'ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell'istituto o nella società, a meno che, per quanto riguarda le società, le costituzioni non prevedano diversamente.

§3. Il membro di un istituto secolare con l'ordinazione diaconale viene incardinato nella Chiesa particolare al cui servizio è stato ammesso, a meno che, in forza di una concessione della Sede Apostolica, non venga incardinato nell'istituto stesso.

Can. 267 - §1. Perché un chierico già incardinato sia incardinato validamente in un'altra Chiesa particolare, deve ottenere dal Vescovo diocesano una lettera di escardinazione sottoscritta dal medesimo; allo stesso modo deve ottenere dal Vescovo diocesano della Chiesa particolare nella quale desidera essere incardinato una lettera di incardinazione sottoscritta dal medesimo.

§2. L'escardinazione concessa in tale modo non ha effetto se non è stata ottenuta l'incardinazione in un'altra Chiesa particolare.

Can. 268 - §1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un'altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest'ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera.

§2. Con l'ammissione perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica, il chierico che, a norma del can. 266, §2, è incardinato in tale istituto o società, viene escardinato dalla propria Chiesa particolare.

Can. 269 - Il Vescovo diocesano non proceda all'incardinazione di un chierico se non quando: 1) ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l'onesto sostentamento dei chierici; 2) gli consti a un documento legittimo la concessione dell'escardinazione e inoltre abbia avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano di escardinazione, se necessario sotto segreto, sulla vita, sui costumi e sugli studi del chierico; 3) il chierico abbia dichiarato per iscritto al Vescovo diocesano stesso di volersi dedicare al servizio della nuova Chiesa particolare a norma del diritto.

Can. 270 - L'escardinazione può essere lecitamente concessa solo per giusti motivi, quali l'utilità della Chiesa o il bene del chierico stesso; tuttavia non può essere negata se non in presenza di gravi cause; però il chierico che ritenga gravosa la decisione nei suoi confronti e abbia trovato un Vescovo che lo accoglie, può fare ricorso contro la decisione stessa.

Can. 271 - §1. Al di fuori di una situazione di vera necessità per la propria Chiesa particolare, il Vescovo diocesano non neghi la licenza di trasferirsi ai chierici che sappia preparati e ritenga idonei ad andare in regioni afflitte da grave scarsità di clero, per esercitarvi il ministero sacro; provveda però che, mediante una convenzione scritta con il Vescovo diocesano del luogo a cui sono diretti, vengano definiti i diritti e i doveri dei chierici in questione.

§2. Il Vescovo diocesano può concedere ai suoi chierici la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare per un tempo determinato, rinnovabile anche più volte, in modo però che i chierici rimangano incardinati nella propria Chiesa particolare e, se vi ritornano, godano di tutti i diritti che avrebbero se avessero esercitato in essa il ministero sacro.

§3. Il chierico che è passato legittimamente ad un'altra Chiesa particolare, rimanendo incardinato nella propria Chiesa, per giusta causa può essere richiamato dal proprio Vescovo diocesano, purché siano rispettate le convenzioni stipulate con l'altro Vescovo e l'equità naturale; ugualmente, alle stesse condizioni, il Vescovo diocesano dell'altra Chiesa particolare potrà, per giusta causa, negare al chierico la licenza di un'ulteriore permanenza nel suo territorio.

Can. 272 - L'Amministratore diocesano non può concedere l'escardinazione e l'incardinazione, come pure la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare, se non dopo un anno di sede episcopale vacante e col consenso del collegio dei consultori.

CAPITOLO III

 OBBLIGHI E DIRITTI DEI CHIERICI

Can. 273 - I chierici sono tenuti all'obbligo speciale di prestare rispetto e obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario.

Can. 274 - §1. Solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo ecclesiastico.

§2. I chierici, se non sono scusati da un impedimento legittimo, sono tenuti ad accettare e adempiere fedelmente l'incarico loro affidato dal proprio Ordinario.

Can. 275 - §1. I chierici, dal momento che tutti operano per un unico fine, cioè l'edificazione del Corpo di Cristo, siano uniti tra di loro col vincolo della fraternità e della preghiera e si impegnino a collaborare tra di loro, secondo le disposizioni del diritto particolare.

§2. I chierici riconoscano e promuovano la missione che i laici, secondo la loro specifica condizione, esercitano nella Chiesa e nel mondo.

Can. 276 - §1. Nella loro condotta di vita i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità, in quanto, consacrati a Dio per un nuovo titolo mediante l'ordinazione, sono dispensatori dei misteri di Dio al servizio del Suo popolo.

§2. Per essere in grado di perseguire tale perfezione: 1) innanzitutto adempiano fedelmente e indefessamente i doveri del ministero pastorale; 2) alimentino la propria vita spirituale alla duplice mensa della sacra Scrittura e dell'Eucaristia; i sacerdoti perciò sono caldamente invitati ad offrire ogni giorno il Sacrificio eucaristico, i diaconi poi a parteciparvi quotidianamente; 3) i sacerdoti e i diaconi aspiranti al presbiterato sono obbligati a recitare ogni giorno la liturgia delle ore secondo i libri liturgici approvati; i diaconi permanenti nella misura definita dalla conferenza Episcopale; 4) sono ugualmente tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare; 5) sono sollecitati ad attendere regolarmente all'orazione mentale, ad accostarsi frequentemente al sacramento della penitenza, a coltivare una particolare devozione alla Vergine Madre di Dio, e ad usufruire degli altri mezzi di santificazione comuni e particolari.

Can. 277 - §1. I chierici sono tenuti all'obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.

§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l'obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.

§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull'osservanza di questo obbligo nei casi particolari.

Can. 278 - §1. È diritto dei chierici secolari associarsi con altri in vista di finalità confacenti allo stato clericale.

§2. I chierici secolari diano importanza soprattutto alle associazioni le quali, avendo gli statuti approvati dall'autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l'aiuto fraterno, stimolano alla santità nell'esercizio del ministero e favoriscono l'unità dei chierici fra di loro e col proprio Vescovo.

§3. I chierici si astengano dal fondare o partecipare ad associazioni il cui fine o la cui attività non sono compatibili con gli obblighi propri dello stato clericale, oppure possono ostacolare il diligente compimento dell'incarico loro affidato dalla competente autorità ecclesiastica.

Can. 279 - §1. I chierici proseguano gli studi sacri anche dopo l'ordinazione sacerdotale e seguano la solida dottrina fondata sulla sacra Scrittura, tramandata dal passato e comunemente accolta dalla Chiesa, secondo quanto viene determinato particolarmente dai documenti dei Concili e dei Romani Pontefici, evitando le vane novità e la falsa scienza.

§2. Secondo le disposizioni del diritto particolare, i sacerdoti frequentino le lezioni di carattere pastorale che devono essere programmate dopo l'ordinazione sacerdotale e inoltre, nei tempi stabiliti dal diritto stesso, partecipino anche ad altre lezioni, convegni teologici o conferenze con le quali si offra loro l'occasione di acquisire una conoscenza più approfondita delle scienze sacre e delle metodologie pastorali.

§3. Proseguano anche nell'apprendimento di altre scienze, quelle soprattutto che hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell'esercizio del ministero pastorale.

Can. 280 - Si raccomanda vivamente ai chierici di praticare una consuetudine di vita comune; dove essa è attuata, per quanto è possibile, si mantenga.

Can. 281 - §1. Ai chierici, in quanto si dedicano al ministero ecclesiastico, spetta una rimunerazione adeguata alla loro condizione, tenendo presente sia la natura dell'ufficio, sia circostanze di luogo e di tempo, perché con essa possano provvedere alle necessità della propria vita e alla giusta retribuzione di chi è al loro servizio.

§2. Così pure occorre fare in modo che usufruiscano della previdenza sociale con cui sia possibile provvedere convenientemente alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o di vecchiaia.

§3. I diaconi coniugati, che si dedicano a tempo pieno al ministero ecclesiastico, siano rimunerati in modo che siano in grado di provvedere al proprio sostentamento e a quello della loro famiglia; coloro poi che ricevono una rimunerazione per la professione civile che esercitano o hanno esercitato, provvedano ai loro bisogni e a quelli della propria famiglia con i redditi provenienti da tale rimunerazione.

Can. 282 - §1. I chierici conducano una vita semplice e si astengano da tutto quello che può avere sapore di vanità.

§2. I beni di cui vengono in possesso in occasione dell'esercizio di un ufficio ecclesiastico e che avanzano, dopo aver provveduto con essi al proprio onesto sostentamento e all'adempimento di tutti i doveri del proprio stato, siano da loro impiegati per il bene della Chiesa e per opere di carità.

Can. 283 - §1. I chierici, anche se non hanno un ufficio residenziale, non si allontanino dalla propria diocesi per un tempo notevole, che va determinato dal diritto particolare, senza la licenza almeno presunta dell'Ordinario proprio.

§2. Spetta ai chierici usufruire ogni anno di un tempo conveniente e sufficiente di ferie, determinato dal diritto universale o particolare.

Can. 284 - I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.

Can. 285 - §1. I chierici si astengano del tutto da ciò che è sconveniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare.

§2. Evitino ciò che, pur non essendo indecoroso, è alieno dallo stato clericale.

§3. È fatto divieto ai chierici di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione all'esercizio del potere civile.

§4. Senza la licenza del proprio Ordinario non intraprendano amministrazione di beni riguardanti i laici né esercitino uffici secolari che comportino l'onere del rendiconto; è loro proibita la fideiussione, anche su propri beni, senza consultare il proprio Ordinario; così pure si astengano dal firmare cambiali, quelle cioè con cui viene assunto l'impegno di pagare un debito senza una causa definita.

Can. 286 - È proibito ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l'attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica.

Can. 287 - §1. I chierici favoriscano sempre in sommo grado il mantenimento, fra gli uomini, della pace e della concordia fondate sulla giustizia.

§2. Non abbiano parte attiva nei partiti politici e nella guida di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, non lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa o la promozione del bene comune.

Can. 288 - I diaconi permanenti non sono tenuti alle disposizioni dei cann. 284, 285, §§3 e 4, 286,  287, §2, a meno che il diritto particolare non stabilisca diversamente.

Can. 289 - §1. Poiché il servizio militare propriamente non si addice allo stato clericale, i chierici e i candidati agli Ordini sacri non prestino il servizio militare volontario, se non su licenza del proprio Ordinario.

§2. I chierici usufruiscano delle esenzioni dall'esercitare incarichi e pubblici uffici civili estranei allo stato clericale, concesse in loro favore dalle leggi e dalle convenzioni o dalle consuetudini, a meno che in casi particolari il proprio Ordinario non abbia disposto diversamente.

CAPITOLO IV

 LA PERDITA DELLO STATO CLERICALE

Can. 290 - La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla. Tuttavia il chierico perde lo stato clericale: 1) per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l'invalidità della sacra ordinazione; 2) mediante la pena di dimissione inflitta legittimamente; 3) per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime.

Can. 291 - Oltre ai casi di cui al  can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall'obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.

Can. 292 - Il chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale, ne perde insieme i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo di tale stato, fermo restando il disposto del can. 291; gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, tranne l'assoluzione in caso di pericolo di morte (c. 976); con ciò egli è privato di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata.

Can. 293 - Il chierico che ha perduto lo stato clericale, non può essere nuovamente ascritto tra i chierici, se non per rescritto della Sede Apostolica.

TITOLO IV

LE PRELATURE PERSONALI (Cann. 294 – 297)

 

Can. 294 - Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le conferenze dei Vescovi interessati.

Can. 295 - §1. La prelatura personale è retta dagli statuti fatti dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo del servizio della prelatura.

§2. Il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il predetto titolo, sia al loro decoroso sostentamento.

Can. 296 - I laici possono dedicarsi alle opere apostoliche di una prelatura personale mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa; il modo di tale organica cooperazione e i principali doveri e diritti con essa connessi siano determinati con precisione negli statuti.

Can. 297 - Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.

TITOLO V

LE ASSOCIAZIONI DEI FEDELI (Cann. 298 – 329)

 

CAPITOLO I

 NORME COMUNI

Can. 298 - §1. Nella Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici, sia chierici e laici insieme, tendono, mediante l'azione comune, all'incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano.

§2. I fedeli diano la propria adesione soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica competente.

Can. 299 - §1. I fedeli hanno il diritto di costituire associazioni, mediante un accordo privato tra di loro per conseguire i fini di cui al  can. 298, §1, fermo restando il disposto del can. 301, §1.

§2. Tali associazioni, anche se lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica, si chiamano associazioni private.

§3. Nessuna associazione privata di fedeli è riconosciuta nella Chiesa, se i suoi statuti non sono esaminati dall'autorità competente.

Can. 300 - Nessuna associazione assuma il nome di "cattolica", se non con il consenso dell'autorità ecclesiastica competente a norma del  can. 312.

Can. 301 - §1. Spetta unicamente all'autorità ecclesiastica competente erigere associazioni di fedeli che si propongano l'insegnamento della dottrina cristiana in nome della Chiesa o l'incremento del culto pubblico, oppure che intendano altri fini il cui conseguimento è riservato, per natura sua, all'autorità ecclesiastica.

§2. L'autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private.

§3. Le associazioni di fedeli erette dall'autorità ecclesiastica competente si chiamano associazioni pubbliche.

Can. 302 - Le associazioni di fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l'esercizio dell'ordine sacro e sono riconosciute come tali dall'autorità competente.

Can. 303 - Le associazioni i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana partecipando nel mondo al carisma di un istituto religioso, sotto l'alta direzione dell'istituto stesso, assumono il nome di terzi ordini oppure un altro nome adatto.

Can. 304 - §1. Tutte le associazioni di fedeli, sia pubbliche sia private, con qualunque titolo o nome siano chiamate, abbiano propri statuti con cui vengano definiti il fine dell'associazione o ragione sociale, la sede, il governo e le condizioni richieste per parteciparvi, e mediante i quali vengano determinate le modalità d'azione tenendo presente la necessità o l'utilità relativa al tempo e al luogo.

§2. Assumano un titolo o un nome, adatto agli usi del tempo e del luogo, scelto soprattutto in ragione della finalità perseguita.

Can. 305 - §1. Tutte le associazioni di fedeli sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica competente, alla quale pertanto spetta aver cura che in esse sia conservata l'integrità della fede e dei costumi e vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica; ad essa perciò spetta il diritto e il dovere di visitare tali associazioni, a norma del diritto e degli statuti; sono anche soggette al governo della medesima autorità secondo le disposizioni dei canoni seguenti.

§2. Sono soggette alla vigilanza della Santa Sede le associazioni di qualsiasi genere; sono soggette alla vigilanza dell'Ordinario del luogo le associazioni diocesane e le altre, in quanto esercitano la loro azione nella diocesi.

Can. 306 - Perché uno possa fruire dei diritti e dei privilegi dell'associazione, delle indulgenze e delle altre grazie spirituali ad essa concesse, è necessario e sufficiente che vi sia validamente accolto e non dimesso legittimamente dalla medesima, secondo le disposizioni del diritto e degli statuti dell'associazione.

Can. 307 - §1. L'accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e degli statuti di ciascuna associazione.

§2. La stessa persona può essere iscritta a più associazioni.

§3. I membri degli istituti religiosi possono aderire alle associazioni, a norma del diritto proprio, col consenso del proprio superiore.

Can. 308 - Nessuno, legittimamente iscritto, sia dimesso da una associazione, se non per giusta causa, a norma del diritto e degli statuti.

Can. 309 - Le associazioni legittimamente costituite hanno facoltà, a norma del diritto e degli statuti, di emanare norme peculiari riguardanti l'associazione stessa, di tenere assemblee, di designare i moderatori, gli officiali, gli aiutanti e gli amministratori dei beni.

Can. 310 - Un'associazione privata non costituita in persona giuridica, come tale non può essere soggetto di obblighi e di diritti; tuttavia i fedeli associati possono congiuntamente contrarre obblighi, acquisire e possedere diritti e beni come comproprietari e compossessori; sono in grado di esercitare tali diritti e obblighi mediante un mandatario o procuratore.

Can. 311 - I membri di istituti di vita consacrata che presiedono o assistono associazioni in qualche modo unite al proprio istituto, abbiano cura che tali associazioni prestino aiuto alle attività di apostolato esistenti in diocesi, soprattutto operando, sotto la direzione dell'Ordinario del luogo, insieme con le associazioni finalizzate all'esercizio dell'apostolato nella diocesi.

CAPITOLO II

 ASSOCIAZIONI PUBBLICHE DI FEDELI

Can. 312 - §1. L'autorità competente ad erigere associazioni pubbliche è: 1) la Santa Sede per le associazioni universali e internazionali; 2) la Conferenza Episcopale nell'ambito del proprio territorio per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate, mediante l'erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione; 3) il Vescovo diocesano nell'ambito del suo territorio per le associazioni diocesane, non però l'Amministratore diocesano; tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per privilegio apostolico.

§2. Per erigere validamente nella diocesi un'associazione o una sua sezione, anche se ciò avviene in forza di un privilegio apostolico, si richiede il consenso scritto del Vescovo diocesano; tuttavia il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa di un istituto religioso vale anche per l'erezione, presso la stessa casa o presso la chiesa annessa, di una associazione propria di quell'istituto.

Can. 313 - Un'associazione pubblica, come pure una confederazione di associazioni pubbliche, per lo stesso decreto con cui viene eretta dall'autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312, è costituita persona giuridica e riceve, per quanto è richiesto, la missione per i fini che essa si propone di conseguire in nome della Chiesa.

Can. 314 - Gli statuti di ogni associazione pubblica, la loro revisione e il loro cambiamento necessitano dell'approvazione dell'autorità ecclesiastica cui compete erigere l'associazione a norma del can. 312, §1.

Can. 315 - Le associazioni pubbliche possono intraprendere spontaneamente quelle iniziative che sono confacenti alla loro indole; tali associazioni sono dirette a norma degli statuti, però sotto la superiore direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, §1.

Can. 316 - §1. Non può essere validamente accolto nelle associazioni pubbliche chi ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica, chi si è allontanato dalla comunione ecclesiastica e chi è irretito da una scomunica inflitta o dichiarata.

§2. Coloro che, dopo essere stati legittimamente associati, vengono a trovarsi nel caso di cui al §1, premessa un'ammonizione, siano dimessi dall'associazione, osservando gli statuti e salvo il diritto di ricorso all'autorità ecclesiastica di cui al  can. 312, §1.

Can. 317 - §1. Se non si prevede altro negli statuti, spetta all'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, §1 confermare il moderatore dell'associazione pubblica eletto dalla stessa, istituire colui che è stato presentato, oppure nominarlo secondo il diritto proprio; la stessa autorità ecclesiastica poi nomina il cappellano o l'assistente ecclesiastico, dopo aver sentito, se risulta opportuno, gli officiali maggiori dell'associazione.

§2. La norma stabilita al §1 vale anche per le associazioni erette da membri di istituti religiosi in forza di un privilegio apostolico, al di fuori delle proprie chiese o delle proprie case; nelle associazioni poi erette da membri di istituti religiosi presso la propria chiesa o presso la propria casa, la nomina o la conferma del moderatore e del cappellano spetta al superiore dell'istituto, a norma degli statuti.

§3. Nelle associazioni non clericali, i laici possono ricoprire l'incarico di moderatore; il cappellano o l'assistente ecclesiastico non siano assunti a tale compito, a meno che negli statuti non sia disposto diversamente.

§4. Nelle associazioni pubbliche di fedeli finalizzate direttamente all'esercizio dell'apostolato, non siano moderatori coloro che occupano còmpiti direttivi nei partiti politici.

Can. 318 - §1. In circostanze speciali, se lo richiedono gravi motivi, l'autorità ecclesiastica di cui al  can. 312, §1 può designare un commissario che in suo nome diriga temporaneamente l'associazione.

§2. Il moderatore di un'associazione pubblica può essere rimosso, per giusta causa, da chi lo ha nominato o confermato, tuttavia dopo aver sentito sia il moderatore stesso, sia gli officiali maggiori dell'associazione, a norma degli statuti; il cappellano può essere rimosso, a norma dei cann.  192-195, da chi lo ha nominato.

Can. 319 - §1. Un'associazione pubblica eretta legittimamente, a meno che non sia disposto in modo diverso, a norma degli statuti amministra i beni che possiede, sotto l'alta direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, §1, alla quale ogni anno deve rendere conto dell'amministrazione.

§2. Deve inoltre presentare alla medesima autorità un fedele rendiconto della distribuzione delle offerte e delle elemosine raccolte.

Can. 320 - §1. Le associazioni erette dalla Santa Sede possono essere soppresse solo dalla Santa Sede stessa.

§2. Per gravi cause la conferenza dei Vescovi può sopprimere le associazioni erette dalla conferenza stessa; il Vescovo diocesano può sopprimere le associazioni che egli stesso ha eretto e anche le associazioni erette, per indulto apostolico, da membri di istituti religiosi col consenso del Vescovo diocesano.

§3. Un'associazione pubblica non venga soppressa dall'autorità competente, senza aver prima sentito il suo moderatore e gli altri officiali maggiori.

CAPITOLO III

 ASSOCIAZIONI PRIVATE DI FEDELI

Can. 321 - Le associazioni private sono dirette e presiedute dai fedeli, secondo le disposizioni degli statuti.

Can. 322 - §1. Un'associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica per decreto formale dell'autorità ecclesiastica competente di cui al  can. 312.

§2. Nessuna associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica se i suoi statuti non sono stati approvati dall'autorità ecclesiastica di cui al  can. 312, §1; tuttavia l'approvazione degli statuti non cambia la natura privata dell'associazione.

Can. 323 - §1. Quantunque le associazioni private di fedeli godano di autonomia a norma del can. 321, sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica a norma del can. 305, come pure al governo della medesima autorità.

§2. Spetta ancora all'autorità ecclesiastica, nel rispetto della autonomia propria delle associazioni private, vigilare e fare in modo che si eviti la dispersione delle forze e ordinare al bene comune l'esercizio del loro apostolato.

Can. 324 - §1. L'associazione privata di fedeli designa liberamente il moderatore e gli officiali a norma degli statuti.

§2. L'associazione privata di fedeli può scegliere liberamente, se lo desidera, un consigliere spirituale fra i sacerdoti che esercitano legittimamente il ministero nella diocesi; tuttavia colui che è scelto deve avere la conferma dell'Ordinario del luogo.

Can. 325 - §1. L'associazione privata di fedeli amministra liberamente i beni che possiede, secondo le disposizioni degli statuti, salvo il diritto dell'autorità ecclesiastica competente di vigilare perché i beni siano usati per i fini dell'associazione.

§2. È pure soggetta all'autorità dell'Ordinario del luogo, a norma del  can. 1301, per quanto riguarda l'amministrazione e la distribuzione dei beni che le sono stati donati o lasciati per cause pie.

Can. 326 - §1. L'associazione privata di fedeli si estingue a norma degli statuti; può anche essere soppressa dall'autorità competente se la sua attività è causa di danno grave per la dottrina o la disciplina ecclesiastica, oppure di scandalo per i fedeli.

§2. La destinazione dei beni di un'associazione estinta deve essere determinata a norma degli statuti, salvi i diritti acquisiti e la volontà degli offerenti.

CAPITOLO IV

 NORME SPECIALI PER LE ASSOCIAZIONI DI LAICI

Can. 327 - I fedeli laici tengano in grande considerazione le associazioni costituite per i fini spirituali di cui al can. 298, specialmente quelle che si propongono di animare mediante lo spirito cristiano le realtà temporali e in tal modo favoriscono intensamente un rapporto più intimo fra fede e vita.

Can. 328 - Coloro che dirigono le associazioni di laici, anche quelle erette in forza di un privilegio apostolico, facciano in modo che le proprie associazioni collaborino, dove ciò risulta opportuno, con altre associazioni di fedeli e che sostengano volentieri le diverse opere cristiane, soprattutto quelle esistenti nello stesso territorio.

Can. 329 - I moderatori delle associazioni di laici facciano in modo che i membri dell'associazione siano debitamente formati all'esercizio dell'apostolato specificamente laicale.

SEZIONE I

LA SUPREMA AUTORITÀ DELLA CHIESA (Cann. 330 – 367)

 

CAPITOLO I

 IL ROMANO PONTEFICE E IL COLLEGIO DEI VESCOVI

Can. 330 - Come, per volontà del Signore, san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un unico Collegio, per analoga ragione il Romano Pontefice, successore di Pietro, ed i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra di loro congiunti.

Articolo 1 - Il Romano Pontefice

Can. 331 - Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.

Can. 332 - §1. Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

Can. 333 - §1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

§2. Il Romano Pontefice, nell'adempimento dell'ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.

§3. Non si dà appello né ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice.

Can. 334 - Nell'esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l'incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto.

Can. 335 - Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.

Articolo 2 - Il Collegio dei Vescovi

Can. 336 - Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.

Can. 337 - §1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico.

§2. Esercita la medesima potestà mediante l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale.

§3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi può esercitare collegialmente il suo ufficio per la Chiesa universale.

Can. 338 - §1. Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiedendolo personalmente o mediante altri, come pure trasferire il Concilio stesso, sospenderlo o scioglierlo e approvarne i decreti.

§2. Spetta al Romano Pontefice determinare le questioni da trattare nel Concilio e stabilire l'ordinamento da osservare in esso; i Padri del Concilio, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, possono aggiungerne altre, che devono essere approvate dallo stesso Romano Pontefice.

Can. 339 - §1. Tutti e soli i Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo.

§2. Alcuni altri inoltre, che non sono insigniti della dignità episcopale, possono essere chiamati al Concilio Ecumenico dall'autorità suprema della Chiesa, alla quale spetta determinare il loro ruolo nel Concilio.

Can. 340 - Nel caso che la Sede Apostolica divenga vacante durante la celebrazione del Concilio, questo viene interrotto per il diritto stesso, finché il nuovo Sommo Pontefice non abbia ordinato di proseguirlo o non l'abbia sciolto.

Can. 341 - §1. Non hanno forza obbligante se non quei decreti del Concilio Ecumenico che, insieme con i Padri del Concilio, siano stati approvati dal Romano Pontefice, da lui confermati e per suo comando promulgati.

§2. Perché abbiano forza obbligante devono avere la stessa conferma e promulgazione i decreti che emana il Collegio dei Vescovi quando pone un'azione propriamente collegiale secondo una modalità diversa, indetta dal Romano Pontefice o da lui deliberatamente recepita.

CAPITOLO II

 IL SINODO DEI VESCOVI

Can. 342 - Il sinodo dei Vescovi è un'assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo.

Can. 343 - Spetta al sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni proposte ed esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa.

Can. 344 - Il sinodo dei Vescovi è direttamente sottoposto all'autorità del Romano Pontefice, al quale spetta propriamente: 1) convocare il sinodo ogni qualvolta lo ritenga opportuno e designare il luogo in cui tenere le assemblee; 2) ratificare l'elezione dei membri che, a norma del diritto peculiare, devono essere eletti, e altresì designare e nominare gli altri membri; 3) stabilire gli argomenti delle questioni da trattare in tempo opportuno, a norma del diritto peculiare, prima della celebrazione del Sinodo; 4) definire l'ordine dei lavori; 5) presiedere il sinodo personalmente o attraverso altri; 6) concludere, trasferire, sospendere e sciogliere il sinodo.

Can. 345 - Il sinodo dei Vescovi può riunirsi in assemblea generale ordinaria o straordinaria, in cui vengono trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale, oppure può riunirsi in assemblea speciale, in cui vengono trattati affari che riguardano direttamente una o più regioni determinate.

Can. 346 - §1. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea generale ordinaria è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi che vengono eletti per le singole assemblee dei Vescovi, secondo le modalità determinate dal diritto peculiare del sinodo; altri vengono deputati in forza del medesimo diritto, altri sono nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali, eletti a norma del medesimo diritto peculiare.

§2. Il sinodo dei Vescovi, riunito in assemblea generale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita, è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi, deputati dal diritto peculiare del sinodo in ragione dell'ufficio svolto; altri poi nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali eletti a norma del medesimo diritto.

§3. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea speciale è composto soprattutto di membri scelti da quelle regioni per le quali il sinodo viene convocato, a norma del diritto peculiare da cui è retto il sinodo.

Can. 347 - §1. Quando l'assemblea del sinodo dei Vescovi viene conclusa dal Romano Pontefice, cessa l'incarico affidato nel sinodo stesso ai Vescovi e agli altri membri.

§2. Se la Sede Apostolica diviene vacante dopo la convocazione del sinodo o durante la sua celebrazione, per il diritto stesso è sospesa l'assemblea del sinodo, come pure l'incarico assegnato in esso ai membri, finché il nuovo Pontefice non abbia deciso o il suo scioglimento o la sua continuazione.

Can. 348 - §1. Il sinodo dei Vescovi ha una segreteria generale permanente presieduta dal Segretario generale, nominato dal Romano Pontefice, al quale è d'aiuto il consiglio di segreteria composto di Vescovi, alcuni dei quali vengono eletti, a norma del diritto peculiare, dallo stesso sinodo dei Vescovi, altri nominati dal Romano Pontefice; l'incarico di tutti costoro però cessa quando inizia la nuova assemblea generale.

§2. Vengono inoltre costituiti per ogni assemblea del sinodo dei Vescovi uno o più segretari speciali, nominati dal Romano Pontefice, i quali rimangono nell'ufficio affidato solo fino al termine dell'assemblea del sinodo.

CAPITOLO III

 I CARDINALI DI SANTA ROMANA CHIESA

Can. 349 - I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare cui spetta provvedere all'elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare; inoltre i Cardinali assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale.

Can. 350 - §1. Il Collegio dei Cardinali è distinto in tre ordini: l'ordine episcopale, cui appartengono i Cardinali ai quali il Romano Pontefice assegna il titolo di una Chiesa suburbicaria e inoltre i Patriarchi Orientali che sono stati annoverati nel Collegio dei Cardinali; l'ordine presbiterale e l'ordine diaconale.

§2. A ciascun Cardinale dell'ordine presbiterale e diaconale viene assegnato dal Romano Pontefice un titolo o una diaconia nell'Urbe.

§3. I Patriarchi Orientali assunti nel Collegio dei Cardinali, hanno come titolo la propria sede patriarcale.

§4. Il Cardinale Decano ha come titolo la diocesi di Ostia, insieme all'altra Chiesa che aveva come titolo precedente.

§5. Mediante opzione fatta nel Concistoro e approvata dal Sommo Pontefice, i Cardinali dell'ordine presbiterale, nel rispetto della priorità di ordine e di promozione, possono passare ad un altro titolo e i Cardinali dell'ordine diaconale ad un'altra diaconia e, se sono rimasti per un intero decennio nell'ordine diaconale, possono passare anche all'ordine presbiterale.

§6. Il Cardinale che passa per opzione dall'ordine diaconale all'ordine presbiterale, ottiene la precedenza su tutti i Cardinali presbiteri che sono stati assunti al cardinalato dopo di lui.

Can. 351 - §1. Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell'ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale.

§2. I Cardinali vengono creati con un decreto del Romano Pontefice, che viene reso pubblico davanti al Collegio dei Cardinali; dal momento della pubblicazione essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti definiti dalla legge.

§3. Colui che è promosso alla dignità cardinalizia, se il Romano Pontefice ne ha annunciato la creazione, riservandosi però il nome in pectore, durante questo tempo non è tenuto ad alcun dovere e non gode di alcun diritto proprio dei Cardinali; tuttavia dopo che il suo nome è stato reso pubblico dal Romano Pontefice, è tenuto a tali doveri e fruisce di tali diritti; ma gode del diritto di precedenza dal giorno della riserva in pectore.

Can. 352 - §1. Presiede il Collegio dei Cardinali il Decano e, se impedito, ne fa le veci il Sottodecano; il Decano, o il Sottodecano, non ha nessuna potestà di governo sugli altri Cardinali, ma è considerato primus inter pares.

§2. Quando l'ufficio di Decano diviene vacante, i Cardinali insigniti del titolo di una Chiesa suburbicaria, e solo essi, con la presidenza del Sottodecano, se è presente, oppure del più anziano tra di loro, eleggano al proprio interno chi debba diventare il Decano del Collegio; comunichino il suo nome al Romano Pontefice, al quale spetta approvare l'eletto.

§3. Nello stesso modo previsto al §2, sotto la presidenza del Decano, viene eletto il Sottodecano; spetta al Romano Pontefice approvare anche l'elezione del Sottodecano.

§4. Il Decano e il Sottodecano, se ancora non lo hanno, acquistino il domicilio nell'Urbe.

Can. 353 - §1. I Cardinali prestano principalmente aiuto con attività collegiale al Supremo Pastore della Chiesa nei Concistori, nei quali si riuniscono per ordine del Romano Pontefice e sotto la sua presidenza; i Concistori possono essere ordinari o straordinari.

§2. Nel Concistoro ordinario vengono convocati tutti i Cardinali, almeno quelli che si trovano nell'Urbe, per essere consultati su qualche questione grave, che tuttavia si verifica più comunemente, o per compiere determinati atti della massima solennità.

§3. Nel Concistoro straordinario, che si celebra quando lo suggeriscono peculiari necessità della Chiesa o la trattazione di questioni particolarmente gravi, vengono convocati tutti i Cardinali.

§4. Solo il Concistoro ordinario in cui si celebrino particolari solennità può essere pubblico, in cui cioè, oltre ai Cardinali, vengono ammessi i Prelati, i legati delle società civili ed altri che vi sono invitati.

Can. 354 - I Padri Cardinali preposti ai dicasteri o agli altri organismi permanenti della Curia Romana e della Città del Vaticano, che abbiano compiuto il settantacinquesimo anno di età, sono invitati a presentare al Romano Pontefice la rinuncia all'ufficio, ed egli provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze.

Can. 355 - §1. Spetta al Cardinale Decano ordinare Vescovo il Romano Pontefice eletto, qualora non fosse ordinato; se il Decano è impedito, tale diritto spetta al Sottodecano, e se anche quest'ultimo è impedito, al Cardinale più anziano dell'ordine episcopale.

§2. Il Cardinale Proto-diacono annuncia al popolo il nome del Sommo Pontefice neo-eletto; inoltre impone il pallio ai Metropoliti o lo consegna ai loro procuratori, in nome del Romano Pontefice.

Can. 356 - I Cardinali sono tenuti all'obbligo di collaborare assiduamente col Romano Pontefice; perciò i Cardinali che ricoprono qualsiasi ufficio nella Curia, se non sono Vescovi diocesani, sono tenuti all'obbligo di risiedere nell'Urbe; i Cardinali che hanno la cura di una diocesi come Vescovi diocesani, si rechino a Roma ogni volta che sono convocati dal Romano Pontefice.

Can. 357 - §1. I Cardinali ai quali è stata assegnata in titolo una Chiesa suburbicaria o una chiesa nell'Urbe, dopo che ne hanno preso possesso, promuovano il bene di tali diocesi e chiese mediante il consiglio e il patrocinio, pur senza avere su di esse alcuna potestà di governo, e per nessuna ragione interferiscano in ciò che riguarda l'amministrazione dei beni, la disciplina o il servizio delle chiese.

§2. I Cardinali che si trovano fuori dell'Urbe e fuori della propria diocesi, sono esenti dalla potestà di governo del Vescovo della diocesi in cui dimorano in tutto ciò che riguarda la propria persona.

Can. 358 - Al Cardinale al quale il Romano Pontefice dia l'incarico di rappresentano in qualche solenne celebrazione o in qualche assemblea di persone, come Legato a latere, cioè come suo alter ego, come pure al Cardinale al quale venga affidato di compiere un determinato incarico pastorale come suo inviato speciale, compete solo quanto gli è demandato dal Romano Pontefice.

Can. 359 - Mentre la Sede Apostolica è vacante, il sacro Collegio dei Cardinali ha nella Chiesa solamente quella potestà che gli è conferita nella legge peculiare.

CAPITOLO IV

 LA CURIA ROMANA

Can. 360 - La Curia Romana, mediante la quale il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese, è composta dalla Segreteria di Stato o Papale, dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, dalle Congregazioni, dai Tribunali, e da altri Organismi; la loro costituzione e competenza vengono definite da una legge peculiare.

Can. 361 - Col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono nel codice non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana.

CAPITOLO V

 I LEGATI DEL ROMANO PONTEFICE

Can. 362 - Il Romano Pontefice ha il diritto nativo e indipendente di nominare e inviare suoi Legati sia presso le Chiese particolari nelle diverse nazioni o regioni, sia presso gli Stati e le Autorità pubbliche, come pure di trasferirli e richiamarli, nel rispetto però delle norme del diritto internazionale per quanto riguarda l'invio e la revoca dei Legati accreditati presso i Governi.

Can. 363 - §1. Ai Legati del Romano Pontefice è affidato l'ufficio di rappresentare stabilmente lo stesso Romano Pontefice presso le Chiese particolari o anche presso gli Stati e le Autorità pubbliche cui sono stati inviati.

§2. Rappresentano la Sede Apostolica anche coloro che sono incaricati di una Missione pontificia come Delegati od Osservatori presso i Consigli internazionali o presso le Conferenze e i Congressi.

Can. 364 - Il compito principale del Legato pontificio è quello di rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità che intercorrono tra la Sede Apostolica e le Chiese particolari. Spetta perciò al Legato pontificio nell'ambito della sua circoscrizione: 1) informare la Sede Apostolica sulle condizioni in cui versano le Chiese particolari, nonché su tutto ciò che tocca la vita stessa della Chiesa e il bene delle anime; 2) assistere i Vescovi con l'azione e il consiglio, senza pregiudizio per l'esercizio della loro potestà legittima; 3) favorire relazioni frequenti con la Conferenza Episcopale, fornendo ad essa tutto l'aiuto possibile; 4) per quanto riguarda la nomina dei Vescovi, comunicare o proporre i nomi dei candidati alla Sede Apostolica, nonché istruire il processo informativo sui promovendi, secondo le norme date dalla Sede Apostolica; 5) adoperarsi per promuovere tutto ciò che riguarda la pace, il progresso e la cooperazione tra i popoli; 6) cooperare con i Vescovi per favorire opportuni scambi fra la Chiesa cattolica e le altre Chiese o comunità ecclesiali, anzi anche con le religioni non cristiane; 7) in azione congiunta con i Vescovi, difendere di fronte ai governanti degli Stati tutto ciò che riguarda la missione della Chiesa e della Sede Apostolica; 8) esercitare inoltre le facoltà e adempiere gli altri mandati affidatigli dalla Sede Apostolica.

Can. 365 - §1. È inoltre compito peculiare del Legato pontificio che esercita contemporaneamente una legazione presso gli Stati secondo le norme del diritto internazionale: 1) promuovere e sostenere le relazioni fra la Sede Apostolica e le Autorità dello Stato; 2) affrontare le questioni che riguardano i rapporti fra Chiesa e Stato; trattare in modo particolare la stipulazione e l'attuazione dei concordati e delle altre convenzioni similari.

§2. Nella trattazione delle questioni di cui al §1, a seconda che lo suggeriscano le circostanze, il Legato pontificio non ometta di richiedere il parere e il consiglio dei Vescovi della circoscrizione ecclesiastica e li informi sull'andamento dei lavori.

Can. 366 - Atteso il carattere peculiare dell'ufficio di Legato: 1) la sede della Legazione pontificia è esente dalla potestà di governo dell'Ordinario del luogo, a meno che non si tratti della celebrazione di matrimoni; 2) il Legato pontificio, avvertiti, per quanto è possibile, gli Ordinari del luogo, può compiere celebrazioni liturgiche, anche pontificali, in tutte le chiese della sua legazione.

Can. 367 - L'ufficio di Legato pontificio non cessa quando diviene vacante la Sede Apostolica, a meno che non venga stabilito diversamente nella lettera pontificia; cessa invece quando scade il mandato, con l'intimazione della revoca, con la rinuncia accettata dal Romano Pontefice.

TITOLO I

LE CHIESE PARTICOLARI E L'AUTORITÀ IN ESSE COSTITUITA (Cann. 368 – 430)

 

CAPITOLO I

 LE CHIESE PARTICOLARI

Can. 368

Le Chiese particolari, nelle quali e dalle quali sussiste la sola e unica Chiesa cattolica, sono innanzitutto le diocesi, alle quali, se non consta altro, vengono assimilate la prelatura territoriale e l'abbazia territoriale, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica e altresì l'amministrazione apostolica eretta stabilmente.

Can. 369 - La diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l'Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.

Can. 370 - La prelatura territoriale, o l'abbazia territoriale, è una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della quale viene affidata, per circostanze speciali, ad un Prelato o ad un Abate che la governa a modo di Vescovo diocesano, come suo pastore proprio.

Can. 371 - §1. Il vicariato apostolico, o la prefettura apostolica, è una determinata porzione del popolo di Dio che, per circostanze peculiari, non è ancora stata costituita come diocesi ed è affidata alla cura pastorale di un Vicario apostolico o di un Prefetto apostolico, che la governano in nome del Sommo Pontefice.

§2. L'amministrazione apostolica è una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice.

Can. 372 - §1. Di regola la porzione del popolo di Dio, che costituisce una diocesi o un'altra Chiesa particolare, sia circoscritta entro un determinato territorio, in modo da comprendere tutti i fedeli che abitano in quel territorio.

§2. Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della Chiesa, sentite le Conferenze Episcopali interessate, l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette Chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi.

Can. 373 - Spetta unicamente alla suprema autorità erigere Chiese particolari; queste, una volta legittimamente erette, godono per il diritto stesso di personalità giuridica.

Can. 374 - §1. Ogni diocesi o altra Chiesa particolare sia divisa in parti distinte o parrocchie.

§2. Per favorire la cura pastorale mediante un'azione comune, più parrocchie vicine possono essere riunite in peculiari raggruppamenti, quali sono i vicariati foranei.

CAPITOLO II

 I VESCOVI

Articolo 1 - I Vescovi in genere

Can. 375 - §1. I Vescovi, che per divina istituzione sono successori degli Apostoli, mediante lo Spirito Santo che è stato loro donato, sono costituiti Pastori della Chiesa, perché siano anch'essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo.

§2. Con la stessa consacrazione episcopale i Vescovi ricevono, con l'ufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e governare, i quali tuttavia, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio.

Can. 376 - Si chiamano diocesani i Vescovi ai quali è stata affidata la cura di una diocesi; gli altri si chiamano titolari.

Can. 377 - §1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.

§2. Almeno ogni triennio i Vescovi di una provincia ecclesiastica, oppure, dove le circostanze lo suggeriscono, le conferenze dei Vescovi, mediante una consultazione comune e segreta, compilino un elenco di presbiteri, anche membri di istituti di vita consacrata, che risultino particolarmente idonei all'episcopato, e lo trasmettano alla Sede Apostolica, fermo restando il diritto di ciascun Vescovo di presentare separatamente alla Sede Apostolica i nomi dei presbiteri che giudica degni e idonei alla funzione episcopale.

§3. A meno che non sia stato stabilito legittimamente in modo diverso, ogni volta che deve essere nominato un Vescovo diocesano o un Vescovo coadiutore, per proporre la cosiddetta terna alla Sede Apostolica, spetta al Legato pontificio ricercare singolarmente e comunicare alla stessa Sede Apostolica, insieme con il suo voto, ciò che suggeriscono il Metropolita e i Suffraganei della provincia, alla quale appartiene la diocesi in questione, o con la quale è aggregata, e altresì il presidente della conferenza dei Vescovi; il Legato pontificio inoltre ascolti alcuni del collegio dei consultori e del capitolo cattedrale e, se lo riterrà opportuno, richieda anche singolarmente e in segreto il parere di altri, del clero diocesano e religioso, come pure di laici distinti per saggezza.

§4. Se non è stato legittimamente disposto in modo diverso, il Vescovo diocesano che ritenga si debba dare un ausiliare alla sua diocesi, proponga alla Sede Apostolica un elenco di almeno tre presbiteri idonei a tale ufficio.

§5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.

Can. 378 - §1. Per l'idoneità di un candidato all'episcopato, si richiede che: 1) sia eminente per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù umane, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendono adatto a compiere l'ufficio in questione; 2) goda di buona reputazione; 3) abbia almeno trentacinque anni di età; 4) sia presbitero almeno da cinque anni; 5) abbia conseguito la laurea dottorale o almeno la licenza in sacra Scrittura, teologia o diritto canonico in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede Apostolica, oppure sia almeno veramente esperto in tali discipline.

§2. Il giudizio definitivo sull'idoneità del candidato spetta alla Sede Apostolica.

Can. 379 - Se non è legittimamente impedito, chi è promosso all'Episcopato deve ricevere la consacrazione episcopale, entro tre mesi dalla ricezione della lettera apostolica, e comunque, prima che prenda possesso del suo ufficio.

Can. 380 - Prima di prendere possesso canonico del suo ufficio, colui che è promosso emetta la professione di fede e presti giuramento di fedeltà alla Sede Apostolica, secondo la formula approvata dalla stessa Sede Apostolica.

Articolo 2 - I Vescovi diocesani

Can. 381 - §1. Compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l'esercizio del suo ufficio pastorale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice sono riservate alla suprema oppure ad altra autorità ecclesiastica.

§2. Nel diritto sono equiparati al Vescovo diocesano, a meno che non risulti diversamente per la natura della cosa o per una disposizione del diritto, coloro che presiedono le altre comunità di fedeli di cui al can. 368.

Can. 382 - §1. Il Vescovo promosso non può intromettersi nell'esercizio dell'ufficio affidatogli, se prima non ha preso possesso canonico della diocesi; tuttavia può esercitare gli uffici che aveva nella medesima diocesi prima della promozione, fermo restando il disposto del can. 409, §2.

§2. Se non è legittimamente impedito, colui che è promosso all'ufficio di Vescovo diocesano deve prendere possesso canonico della sua diocesi entro quattro mesi dalla ricezione della lettera apostolica, se non è già stato consacrato Vescovo; entro due mesi dalla ricezione, se è già consacrato.

§3. Il Vescovo prende possesso canonico della diocesi nel momento in cui esibisce nella diocesi stessa, personalmente o mediante un procuratore, la lettera apostolica al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere della curia, che mette agli atti il fatto, oppure, nelle diocesi di nuova erezione, nel momento in cui comunica al clero e al popolo presenti nella chiesa cattedrale tale lettera, mentre il presbitero più anziano tra i presenti mette agli atti il fatto.

§4. Si raccomanda vivamente che la presa di possesso canonico avvenga nella chiesa cattedrale in un atto liturgico, alla presenza del clero e del popolo.

Can. 383 - §1. Nell'esercizio del suo ufficio di pastore, il Vescovo diocesano si mostri sollecito nei confronti di tutti i fedeli che sono affidati alla sua cura, di qualsiasi età, condizione o nazione, sia di coloro che abitano nel territorio sia di coloro che vi si trovano temporaneamente, rivolgendosi con animo apostolico anche verso coloro che per la loro situazione di vita non possono usufruire sufficientemente della cura pastorale ordinaria, come pure verso quelli che si sono allontanati dalla pratica religiosa.

§2. Se ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia mediante un Vicario episcopale.

§3. Abbia un atteggiamento di umanità e di carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l'ecumenismo, come viene inteso dalla Chiesa.

§4. Consideri affidati a sé nel Signore i non battezzati, affinché risplenda anche per loro la carità di Cristo, di cui il Vescovo deve essere testimone di fronte a tutti.

Can. 384 - Il Vescovo diocesano segua con particolare sollecitudine i presbiteri che deve ascoltare come aiutanti e consiglieri, difenda e curi i loro diritti in modo che adempiano fedelmente gli obblighi propri del loro stato e in modo che abbiano a disposizione i mezzi e le istituzioni di cui hanno bisogno per alimentare la vita spirituale e intellettuale; così pure faccia in modo che si provveda al loro onesto sostentamento e all'assistenza sociale, a norma del diritto.

Can. 385 - Il Vescovo diocesano favorisca in sommo grado le vocazioni ai diversi ministeri e alla vita consacrata, avendo cura in modo speciale delle vocazioni sacerdotali e missionarie.

Can. 386 - §1. Il Vescovo diocesano è tenuto a proporre e spiegare ai fedeli le verità di fede che si devono credere e applicare nei costumi, predicando personalmente con frequenza; abbia anche cura che si osservino fedelmente le disposizioni e i canoni che riguardano il ministero della parola, soprattutto l'omelia e la formazione catechetica, in modo che venga offerta a tutti la dottrina cristiana.

§2. Difenda con fermezza, usando i metodi più adatti, l'integrità e l'unità della fede che si deve professare, riconoscendo tuttavia la giusta libertà nell'ulteriore approfondimento delle verità.

Can. 387 - Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale.

Can. 388 - §1. Il Vescovo diocesano, dopo aver preso possesso della diocesi, deve applicare la Messa per il popolo che gli è affidato, ogni domenica e nelle altre feste che nella sua regione sono di precetto.

§2. Il Vescovo deve celebrare ed applicare personalmente la Messa per il popolo nei giorni di cui al §1; se però ne è legittimamente impedito, la applichi in tali giorni tramite un altro, o personalmente in giorni diversi.

§3. Il Vescovo al quale sono affidate, oltre alla propria, altre diocesi, anche a titolo di amministrazione, soddisfa l'obbligo applicando una sola Messa per tutto il popolo che gli è affidato.

§4. Il Vescovo che non abbia soddisfatto l'obbligo di cui ai §§1-3, applichi quanto prima per il popolo tante Messe quante ne ha tralasciate.

Can. 389 - Presieda frequentemente nella chiesa cattedrale o in un'altra chiesa della sua diocesi alla celebrazione della santissima Eucaristia, soprattutto nelle feste di precetto e nelle altre solennità.

Can. 390 - Il Vescovo diocesano può celebrare pontificali in tutta la sua diocesi; non però fuori della sua diocesi senza il consenso espresso, o almeno ragionevolmente presunto, dell'Ordinario del luogo.

Can. 391 - §1. Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto.

§2. Il Vescovo esercita la potestà legislativa personalmente; esercita la potestà esecutiva sia personalmente sia mediante i Vicari generali o episcopali, a norma del diritto; esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici, a norma del diritto.

Can. 392 - §1. Poiché deve difendere l'unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche.

§2. Vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi e nell'amministrazione dei beni.

Can. 393 - In tutti i negozi giuridici della diocesi, è il Vescovo diocesano che la rappresenta.

Can. 394 - §1. Il Vescovo favorisca nella diocesi le diverse forme dell'apostolato e curi che in tutta la diocesi o nei suoi distretti particolari tutte le opere di apostolato, mentre conservano l'indole propria di ciascuna, siano coordinate sotto la sua direzione.

§2. Solleciti l'adempimento del dovere, a cui sono tenuti i fedeli, di esercitare l'apostolato secondo la condizione e l'attitudine di ciascuno e li esorti a partecipare e a sostenere le varie opere di apostolato, secondo le necessità di luogo e di tempo.

Can. 395 - §1. Il Vescovo diocesano, anche se ha il coadiutore o l'ausiliare, è tenuto alla legge della residenza personale in diocesi.

§2. Tranne che a motivo della visita ad Limina, dei Concili, del sinodo dei Vescovi, della conferenza dei Vescovi, a cui debba partecipare, oppure di un altro ufficio legittimamente affidatogli, può rimanere assente dalla diocesi per giusta causa non più di un mese, sia continuo sia interrotto, purché rimanga assicurato che per la sua assenza la diocesi non risenta alcun danno.

§3. Non sia assente dalla diocesi nei giorni di Natale, della Settimana Santa e della Risurrezione del Signore, della Pentecoste e del Corpo e del Sangue di Cristo, se non per una causa grave e urgente.

§4. Se il Vescovo è rimasto assente illegittimamente dalla diocesi più di sei mesi, il Metropolita informi la Sede Apostolica della sua assenza; se poi si tratta del Metropolita, faccia la stessa cosa il suffraganeo più anziano.

Can. 396 - §1. Il Vescovo è tenuto all'obbligo di visitare ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, in modo da visitare tutta la diocesi almeno ogni cinque anni, o personalmente oppure, se è legittimamente impedito, tramite il Vescovo coadiutore, o l'ausiliare, o il Vicario generale o episcopale, o un altro presbitero.

§2. È in facoltà del Vescovo scegliere i chierici che preferisce come accompagnatori e aiutanti nella visita, riprovato ogni privilegio o consuetudine contraria.

Can. 397 - §1. Sono soggetti alla visita ordinaria del Vescovo le persone, le istituzioni cattoliche, le cose e i luoghi pii che sono nell'ambito della diocesi.

§2. Il Vescovo può visitare i membri degli istituti religiosi di diritto pontificio e le loro case solo nei casi espressamente previsti dal diritto.

Can. 398 - Il Vescovo si impegni a compiere la visita pastorale con la dovuta diligenza; faccia attenzione a non gravare su alcuno con spese superflue.

Can. 399 - §1. Il Vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli, secondo la forma e il tempo stabiliti dalla Sede Apostolica.

§2. Se l'anno determinato per la presentazione della relazione coincide in tutto o in parte con il primo biennio dall'inizio del governo della diocesi, il Vescovo, per quella volta, può astenersi dal compilare e presentare la relazione.

Can. 400 - §1. Il Vescovo diocesano nell'anno in cui è tenuto a presentare la relazione al Sommo Pontefice, se non è stato stabilito diversamente dalla Sede Apostolica, si rechi nell'Urbe per venerare le tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e si presenti al Romano Pontefice.

§2. Il Vescovo adempia personalmente tale obbligo, se non ne è legittimamente impedito; in tal caso vi soddisfi tramite il coadiutore, se lo ha, o l'ausiliare, oppure tramite un sacerdote idoneo del suo presbiterio, che risieda nella sua diocesi.

§3. Il Vicario apostolico può soddisfare tale obbligo tramite un procuratore, anche residente nell'Urbe; il Prefetto apostolico non è tenuto a tale obbligo.

Can. 401 - §1. Il Vescovo diocesano che abbia compiuto i settantacinque anni di età è invitato a presentare la rinuncia all'ufficio al Sommo Pontefice, il quale provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze.

§2. Il Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all'adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all'ufficio.

Can. 402 - §1. Il Vescovo, la cui rinuncia all'ufficio sia stata accettata, mantiene il titolo di vescovo emerito della sua diocesi e, se lo desidera, può conservare l'abitazione nella stessa diocesi, a meno che in casi determinati, per speciali circostanze, la Sede Apostolica non provveda diversamente.

§2. La Conferenza Episcopale deve curare che si provveda ad un adeguato e degno sostentamento del Vescovo che rinuncia, avuto presente tuttavia l'obbligo primario a cui è tenuta la diocesi per la quale ha prestato servizio.

Articolo 3 - I Vescovi coadiutori e ausiliari

Can. 403 - §1. Quando le necessità pastorali della diocesi lo suggeriscono, vengano costituiti, su richiesta del Vescovo diocesano, uno o più Vescovi ausiliari; il Vescovo ausiliare non ha il diritto di successione.

§2. In circostanze particolarmente gravi, anche di carattere personale, al Vescovo diocesano può essere assegnato un Vescovo ausiliare fornito di speciali facoltà.

§3. La Santa Sede, se ciò le risulta più opportuno, può costituire d'ufficio un Vescovo coadiutore, che pure viene fornito di speciali facoltà; il Vescovo coadiutore gode del diritto di successione.

Can. 404 - §1. Il Vescovo coadiutore prende possesso del suo ufficio quando esibisce, personalmente o mediante procuratore, la lettera apostolica di nomina al Vescovo diocesano e al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere di curia, che mette agli atti il fatto.

§2. Il Vescovo ausiliare prende possesso del suo ufficio quando esibisce la lettera apostolica di nomina al Vescovo diocesano, alla presenza del cancelliere di curia, che mette agli atti il fatto.

§3. Se il Vescovo diocesano è totalmente impedito, è sufficiente che, sia il Vescovo coadiutore sia il Vescovo ausiliare, esibiscano la lettera apostolica di nomina al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere della curia.

Can. 405 - §1. Il Vescovo coadiutore, come pure il Vescovo ausiliare, hanno gli obblighi e i diritti determinati dalle disposizioni dei canoni che seguono e definiti nella lettera di nomina.

§2. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, §2 assistono il Vescovo diocesano in tutto il governo della diocesi e lo suppliscono se è assente o impedito.

Can. 406 - §1. Il Vescovo coadiutore, come il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, §2, sia costituito dal Vescovo diocesano Vicario generale; inoltre il Vescovo diocesano affidi a lui a preferenza di altri tutto ciò che richiede, a norma del diritto, un mandato speciale.

§2. A meno che nella lettera apostolica non si provveda diversamente e fermo restando il disposto del §1, il Vescovo diocesano costituisca l'ausiliare o gli ausiliari Vicari generali o almeno Vicari episcopali, dipendenti solo dalla sua autorità oppure da quella del Vescovo coadiutore o del Vescovo ausiliare di cui al can. 403, §2.

Can. 407 - §1. Perché sia favorito nel migliore dei modi il bene presente e futuro della diocesi, il Vescovo diocesano, il coadiutore e il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, §2, si consultino tra di loro nelle questioni di maggiore importanza.

§2. Il Vescovo diocesano, nel valutare le cause di maggiore importanza, soprattutto di carattere pastorale, prima degli altri voglia consultare i Vescovi ausiliari.

§3. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare, in quanto sono chiamati a partecipare alla sollecitudine del Vescovo diocesano, esercitino i loro compiti in modo da procedere insieme con lui di comune accordo.

Can. 408 - §1. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare che non siano giustamente impediti, sono obbligati, ogni volta che ne siano richiesti dal Vescovo diocesano, a celebrare i pontificali e le altre funzioni a cui il Vescovo diocesano sarebbe tenuto.

§2. Il Vescovo diocesano non affidi abitualmente ad un altro i diritti episcopali e le funzioni che il Vescovo coadiutore o l'ausiliare possono esercitare.

Can. 409 - §1. Nel momento in cui la sede episcopale è vacante, il Vescovo coadiutore diviene immediatamente Vescovo della diocesi per la quale era stato costituito, purché ne abbia preso legittimo possesso.

§2. Quando la sede episcopale diviene vacante, se non è stato stabilito in modo diverso dall'autorità competente, il Vescovo ausiliare, finché il nuovo Vescovo non abbia preso possesso della sede, conserva tutte e sole le potestà e facoltà di cui godeva, come Vicario generale o come Vicario episcopale, mentre la sede era occupata; se poi non è stato designato all'ufficio di Amministratore apostolico o di Amministratore diocesano, eserciti tale sua potestà, conferitagli dal diritto, sotto l'autorità dell'Amministratore apostolico o dell'Amministratore diocesano che presiede al governo della diocesi.

Can. 410 - Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare sono tenuti, come il Vescovo diocesano, all'obbligo di risiedere in diocesi; non se ne allontanino se non per breve tempo, tranne che a motivo di un ufficio da svolgere fuori della diocesi o di ferie, da non protrarsi oltre un mese.

Can. 411 - Al Vescovo coadiutore e all'ausiliare, per quanto attiene alla rinuncia dall'ufficio, si applicano le disposizioni dei cann. 401 e 402, §2.

CAPITOLO III

 SEDE IMPEDITA E SEDE VACANTE

Articolo 1 - La sede impedita

Can. 412 - La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito nell'esercizio dell'ufficio pastorale nella diocesi, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità.

Can. 413 - §1. Mentre la sede è impedita, il governo della diocesi, se la Santa Sede non ha provveduto in altro modo, spetta al Vescovo coadiutore se c'è; se questo manca o è impedito, spetta ad un Vescovo ausiliare o ad un Vicario generale o episcopale o ad un altro sacerdote, mantenendo l'ordine delle persone stabilito nell'elenco che il Vescovo diocesano, dopo avere preso possesso della diocesi, deve compilare quanto prima; tale elenco, che deve essere comunicato al Metropolita, sia rinnovato almeno ogni tre anni e conservato sotto segreto dal cancelliere.

§2. Se manca o è impedito il Vescovo coadiutore e non sopperisce l'elenco di cui al §1, spetta al collegio dei consultori eleggere il sacerdote che deve governare la diocesi.

§3. Colui che ha assunto il governo della diocesi a norma dei §§1 e 2, informi quanto prima la Santa Sede che la sede è impedita e che egli stesso ha assunto tale ufficio.

Can. 414 - Chiunque è stato chiamato, a norma del can. 413, ad assumere provvisoriamente la cura pastorale della diocesi soltanto per il tempo in cui la sede è impedita, nell'esercizio di tale cura pastorale è tenuto agli obblighi e gode della potestà che, a norma del diritto, competono all'Amministratore diocesano.

Can. 415 - Se al Vescovo diocesano viene proibito di esercitare il proprio ufficio a motivo di una pena ecclesiastica, il Metropolita oppure, se il Metropolita manca o se si tratta del Metropolita stesso, il più anziano per promozione tra i suffraganei, ricorra immediatamente alla Santa Sede perché provveda essa stessa.

Articolo 2 - La sede vacante

Can. 416 - La sede episcopale diviene vacante con la morte del Vescovo diocesano, con la rinuncia accettata dal Romano Pontefice, col trasferimento e con la privazione intimata al Vescovo stesso.

Can. 417 - Tutto ciò che viene compiuto dal Vicario generale o dal Vicario episcopale ha valore finché non hanno ricevuto notizia certa della morte del Vescovo diocesano; così pure ha valore tutto ciò che viene compiuto dal Vescovo diocesano o dal Vicario generale o episcopale finché non abbiano ricevuto notizia certa degli atti pontifici sopra menzionati.

Can. 418 - §1. Dal momento che ha ricevuto notizia certa del trasferimento il Vescovo, entro due mesi, deve raggiungere la diocesi alla quale è destinato e prenderne possesso canonico; dal giorno della presa di possesso canonico della nuova diocesi, la diocesi di provenienza diviene vacante.

§2. Dal momento che ha ricevuto notizia certa del trasferimento fino alla presa di possesso canonico della nuova diocesi, il Vescovo trasferito nella diocesi di provenienza: 1) ha la potestà di Amministratore diocesano ed è tenuto agli agli obblighi relativi, mentre cessa ogni potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale, salvo tuttavia il can. 409, §2; 2) percepisce l'intera rimunerazione propria dell'ufficio.

Can. 419 - Quando la sede diviene vacante, il governo della diocesi, fino alla costituzione dell'Amministratore diocesano, passa al Vescovo ausiliare e, se sono più d'uno, al più anziano per promozione; se manca il Vescovo ausiliare, è affidato al collegio dei consultori, a meno che la Santa Sede non abbia provveduto diversamente. Colui che assume in tal modo il governo della diocesi convochi senza indugio il collegio competente a nominare l'Amministratore diocesano.

Can. 420 - Nel vicariato o in una prefettura apostolica quando la sede è vacante, assume il governo il Provicario o il Proprefetto, nominato soltanto a questo effetto dal Vicario o dal Prefetto subito dopo la presa di possesso, a meno che la Santa Sede non abbia stabilito diversamente.

Can. 421 - §1. Entro otto giorni dal momento in cui si è ricevuta notizia che la sede episcopale è vacante, il collegio dei consultori, fermo restando il disposto del can. 502, §3, deve eleggere l'Amministratore diocesano con il compito di reggere interinalmente la diocesi.

§2. Se l'Amministratore diocesano per qualsiasi causa non viene eletto legittimamente entro il tempo prescritto, la sua nomina passa al Metropolita e se è vacante la stessa sede metropolitana o, contemporaneamente, la sede metropolitana e quella suffraganea, passa al Vescovo suffraganeo più anziano per promozione.

Can. 422 - Il Vescovo ausiliare o, se egli manca, il collegio dei consultori informi quanto prima la Sede Apostolica della morte del Vescovo; così pure colui che è eletto Amministratore diocesano la informi quanto prima della sua elezione.

Can. 423 - §1. Si nomini un solo Amministratore diocesano, riprovata qualsiasi consuetudine contraria; altrimenti l'elezione è nulla.

§2. L'Amministratore diocesano non sia contemporaneamente economo; perciò se l'economo della diocesi viene eletto Amministratore, il consiglio per gli affari economici elegga temporaneamente un altro economo.

Can. 424 - L'Amministratore diocesano venga eletto a norma dei cann. 165-178.

Can. 425 - §1. All'ufficio di Amministratore diocesano può essere destinato validamente solo un sacerdote che abbia compiuto i trentacinque anni di età e che non sia già stato eletto, nominato o presentato per la medesima sede vacante.

§2. Venga eletto Amministratore diocesano un sacerdote che si distingua per dottrina e prudenza.

§3. Se non sono state rispettate le condizioni stabilite al §1, il Metropolita oppure, se è vacante la stessa Chiesa metropolitana, il Vescovo suffraganeo più anziano per promozione, dopo avere preso conoscenza della vera situazione, nomini per quella volta l'Amministratore; gli atti di colui che è stato eletto contro le disposizioni del §1 sono nulli per il diritto stesso.

Can. 426 - Colui che, mentre la sede è vacante, regge la diocesi prima della nomina dell'Amministratore diocesano, ha la stessa potestà che il diritto riconosce al Vicario generale.

Can. 427 - §1. L'Amministratore diocesano è tenuto agli stessi obblighi e ha la potestà del Vescovo diocesano, escluso ciò che non gli compete o per la natura della cosa o per il diritto stesso.

§2. L'Amministratore diocesano ottiene la relativa potestà dal momento in cui accetta l'elezione, senza bisogno di conferma da parte di alcuno, fermo restando quanto prescrive il can. 833, n. 4.

Can. 428 - §1. Mentre la sede è vacante non si proceda a innovazioni.

§2. A coloro che provvedono interinalmente al governo della diocesi è proibito compiere qualsiasi atto che possa arrecare pregiudizio alla diocesi o ai diritti episcopali; in modo speciale è proibito a loro e perciò a chiunque altro, sia personalmente, sia attraverso altri, di sottrarre o distruggere o modificare qualsiasi documento della curia diocesana.

Can. 429 - L'Amministratore diocesano è tenuto all'obbligo di risiedere nella diocesi e di applicare la Messa per il popolo, a norma del can. 388.

Can. 430 - §1. L'ufficio dell'Amministratore diocesano cessa con la presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo.

§2. La rimozione dell'Amministratore diocesano è riservata alla Santa Sede; l'eventuale rinuncia deve essere presentata in forma autentica al collegio competente per la sua elezione, e non ha bisogno di essere accettata; in caso di rimozione, di rinuncia o di morte dell'Amministratore diocesano, ne venga eletto un altro, a norma del can. 421.

TITOLO II

I RAGGRUPPAMENTI DI CHIESE PARTICOLARI (Cann. 431 – 459)

 

CAPITOLO I

 PROVINCE ECCLESIASTICHE E REGIONI ECCLESIASTICHE

Can. 431

§1. Affinché venga promossa un'azione pastorale comune da parte di diverse diocesi vicine secondo le circostanze di persone e di luoghi, e affinché vengano favoriti in modo più adeguato i mutui rapporti dei Vescovi diocesani, le Chiese particolari più vicine siano riunite in province ecclesiastiche, delimitate da un territorio determinato.

§2. D'ora in avanti non vi siano di regola diocesi esenti; perciò le singole diocesi e le altre Chiese particolari che esistono nell'ambito del territorio di una provincia ecclesiastica, devono far parte di tale provincia ecclesiastica.

§3. Spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa, sentiti i Vescovi interessati, costituire, sopprimere o modificare le province ecclesiastiche.

Can. 432 - §1. Nella provincia ecclesiastica hanno autorità, a norma del diritto, il concilio provinciale e il Metropolita.

§2. La provincia ecclesiastica gode di personalità giuridica per il diritto stesso.

Can. 433 - §1. Se l'utilità lo suggerisce, specialmente nelle nazioni dove sono più numerose le Chiese particolari, le province ecclesiastiche viciniori, su proposta della Conferenza Episcopale, possono essere congiunte dalla Santa Sede in regioni ecclesiastiche.

La regione ecclesiastica può essere eretta in persona giuridica.

Can. 434 - All'assemblea dei Vescovi della regione ecclesiastica spetta favorire la cooperazione e l'attività pastorale comune nella regione; tuttavia i poteri che nei canoni di questo Codice sono attribuiti alla Conferenza Episcopale non competono a tale assemblea, a meno che alcuni di essi non le siano stati concessi in modo speciale dalla Santa Sede.

CAPITOLO II

 I METROPOLITI

Can. 435 - Alla provincia ecclesiastica presiede il Metropolita, che è l'Arcivescovo della diocesi cui è preposto; tale ufficio è congiunto con una sede episcopale, determinata o approvata dal Romano Pontefice.

Can. 436 - §1. Nelle diocesi suffraganee spetta al Metropolita: 1) vigilare perché la fede e la disciplina ecclesiastica siano accuratamente osservate, e informare il Romano Pontefice su eventuali abusi; 2) fare la visita canonica, per una causa precedentemente approvata dalla Santa Sede, se il suffraganeo l'avesse trascurata; 3) nominare l'Amministratore diocesano, a norma dei cann. 421, §2 e 425 §3.

§2. Dove le circostanze lo richiedono, la Sede Apostolica può conferire al Metropolita funzioni e potestà peculiari da determinare nel diritto particolare.

§3. Nessun'altra potestà di governo compete al Metropolita nelle diocesi suffraganee; può però celebrare funzioni sacre in tutte le chiese, come il Vescovo nella propria diocesi, dopo avere avvertito il Vescovo, se si tratta della chiesa cattedrale.

Can. 437 - §1. Il Metropolita è tenuto all'obbligo di chiedere personalmente o tramite un procuratore il pallio al Romano Pontefice, entro tre mesi dalla consacrazione episcopale oppure, se è già stato consacrato, dalla provvisione canonica; esso esprime la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, il Metropolita acquisisce di diritto nella propria provincia.

§2. Il Metropolita può portare il pallio, nel rispetto delle leggi liturgiche, in qualsiasi chiesa della provincia ecclesiastica a cui presiede; invece non può assolutamente portarlo fuori di essa, neppure col consenso del Vescovo diocesano.

§3. Il Metropolita che venga trasferito ad un'altra sede metropolitana, necessita di un nuovo pallio.

Can. 438 - Il titolo di Patriarca e di Primate, al di là di una prerogativa di onore, non comporta nella Chiesa latina alcuna potestà di governo, a meno che per qualcuno di essi non consti diversamente per un privilegio apostolico o per una consuetudine approvata.

CAPITOLO III

 I CONCILI PARTICOLARI

Can. 439 - §1. Il concilio plenario, cioè di tutte le Chiese particolari della medesima Conferenza Episcopale, sia celebrato ogni volta che risulti necessario o utile alla stessa Conferenza Episcopale, con l'approvazione della Sede Apostolica.

§2. La norma stabilita dal §1 vale anche per la celebrazione del concilio provinciale nella provincia ecclesiastica i cui confini coincidono col territorio della nazione.

Can. 440 - §1. Il concilio provinciale per le diverse Chiese particolari della medesima provincia ecclesiastica, sia celebrato ogni volta che risulti opportuno a giudizio della maggioranza dei Vescovi diocesani della provincia, salvo il can. 439, §2.

§2. Mentre è vacante la sede metropolitana, non si convochi il concilio provinciale.

Can. 441 - Spetta alla Conferenza Episcopale: 1) convocare il concilio plenario; 2) scegliere il luogo in cui celebrare il concilio, nell'ambito del territorio della Conferenza Episcopale; 3) eleggere, fra i Vescovi diocesani del concilio plenario, il presidente, che deve essere approvato dalla Sede Apostolica; 4) determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l'apertura e la durata del concilio plenario, trasferirlo, prorogarlo o scioglierlo.

Can. 442 - §1. Spetta al Metropolita, col consenso della maggioranza dei Vescovi suffraganei: 1) convocare il concilio provinciale; 2) scegliere il luogo della celebrazione del concilio provinciale, nell'ambito del territorio della provincia; 3) determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l'apertura e la durata del concilio provinciale, trasferirlo, prorogarlo o scioglierlo.

§2. Spetta al Metropolita, e se questi è legittimamente impedito al Vescovo suffraganeo eletto dagli altri Vescovi suffraganei, presiedere il concilio provinciale.

Can. 443 - §1. Devono essere convocati ai concili particolari e in essi hanno diritto al voto deliberativo: 1) i Vescovi diocesani; 2) i Vescovi coadiutori e ausiliari; 3) gli altri Vescovi titolari che esercitano nel territorio uno speciale incarico, loro affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale.

§2. Possono essere chiamati ai concili particolari gli altri Vescovi titolari, anche emeriti, che si trovano nel territorio; essi poi hanno diritto al voto deliberativo.

§3. Ai concili particolari devono essere chiamati con voto solamente consultivo: 1) i Vicari generali e i Vicari episcopali di tutte le Chiese particolari del territorio; 2) i Superiori maggiori degli istituti e delle società di vita apostolica, in numero da determinare, sia per gli uomini sia per le donne, dalla Conferenza Episcopale o dai Vescovi della provincia, eletti rispettivamente da tutti i Superiori maggiori degli istituti e delle società che hanno sede nel territorio; 3) i rettori delle università ecclesiastiche e cattoliche, nonché i decani delle facoltà di teologia e di diritto canonico, che hanno sede nel territorio; 4) alcuni rettori dei seminari maggiori, in numero da determinarsi come al n. 2, eletti dai rettori dei seminari situati nel territorio.

§4. Ai concili particolari possono essere chiamati, con voto solamente consultivo, anche presbiteri e altri fedeli, in modo però che il loro numero non superi la metà di coloro di cui ai §§1-3.

§5. Ai concili provinciali siano invitati inoltre i capitoli cattedrali, come pure il consiglio presbiteriale e il consiglio pastorale di ciascuna Chiesa particolare, in modo che ognuno di essi invii due suoi membri designati collegialmente; essi però hanno voto solamente consultivo.

§6. Ai concili particolari possono essere invitati come ospiti anche altri, se ciò risulta opportuno a giudizio della Conferenza Episcopale, per quanto riguarda il concilio plenario, o a giudizio del Metropolita insieme con i Vescovi suffraganei, per quanto riguarda il concilio provinciale.

Can. 444 - §1. Tutti coloro che sono convocati ai concili particolari devono parteciparvi, se non sono trattenuti da un giusto impedimento, di cui sono tenuti ad informare il presidente del concilio.

§2. Coloro che sono convocati ai concili particolari ed hanno in essi voto deliberativo, se sono trattenuti da un giusto impedimento, possono mandare un procuratore; tale procuratore ha voto solamente consultivo.

Can. 445 - Il concilio particolare cura che si provveda, nel proprio territorio, alle necessità pastorali del popolo di Dio; esso ha potestà di governo, soprattutto legislativa, così da poter decidere, salvo sempre il diritto universale della Chiesa, ciò che risulta opportuno per l'incremento della fede, per ordinare l'attività pastorale comune; per regolare i costumi e per conservare, introdurre, difendere la disciplina ecclesiastica.

Can. 446 - Concluso il concilio particolare, il presidente provveda che vengano trasmessi alla Sede Apostolica tutti gli atti del concilio; i decreti emanati dal concilio non siano promulgati se non dopo essere stati riveduti dalla Sede Apostolica; spetta al concilio stesso definire il modo di promulgazione dei decreti e il tempo in cui i decreti promulgati iniziano ad essere obbliganti.

CAPITOLO IV

 LE CONFERENZE EPISCOPALI

Can. 447 - La Conferenza Episcopale, organismo di per sé permanente, è l'assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio, per promuovere maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini, soprattutto mediante forme e modalità di apostolato opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo, a norma del diritto.

Can. 448 - §1. La Conferenza Episcopale, come regola generale, comprende i presuli di tutte le Chiese particolari della medesima nazione, a norma del can. 450.

§2. Se poi, a giudizio della Sede Apostolica, sentiti i Vescovi diocesani interessati, le circostanze relative alle persone o alle cose lo suggeriscono, la Conferenza Episcopale può essere eretta per un territorio di ampiezza minore o maggiore, in modo che comprenda solamente i Vescovi di alcune Chiese particolari costituite in un determinato territorio oppure i presuli di Chiese particolari esistenti in diverse nazioni; spetta alla Sede Apostolica stabilire norme peculiari per ciascuna di esse.

Can. 449 - §1. Spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa, sentiti i Vescovi interessati, erigere, sopprimere o modificare le Conferenze Episcopali.

§2. La Conferenza Episcopale, una volta eretta legittimamente, gode di personalità giuridica per il diritto stesso.

Can. 450 - §1. Appartengono alla Conferenza Episcopale per il diritto stesso tutti i Vescovi diocesani del territorio e quelli che nel diritto sono loro equiparati; inoltre i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi titolari che esercitano in tale territorio uno speciale incarico loro affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale; possono esservi invitati anche gli Ordinari di un altro rito, in modo tuttavia che abbiano soltanto voto consultivo, a meno che gli statuti della Conferenza Episcopale non stabiliscano diversamente.

§2. Gli altri Vescovi titolari e il Legato del Romano Pontefice non sono membri di diritto della Conferenza Episcopale.

Can. 451 - Ogni Conferenza Episcopale elabori i propri statuti, che devono essere riveduti dalla Sede Apostolica; in essi, fra l'altro, vengano regolate le riunioni plenarie della Conferenza, si provveda alla costituzione del consiglio permanente, della segreteria generale della Conferenza e anche di altri uffici e commissioni che, a giudizio della Conferenza, contribuiscano più efficacemente al conseguimento delle sue finalità.

Can. 452 - §1. Ogni Conferenza Episcopale si elegga il presidente, determini chi assume la funzione di pro-presidente se il presidente è legittimamente impedito e designi il segretario generale, a norma degli statuti.

§2 Il presidente della conferenza e, se questi è legittimamente impedito, il pro-presidente, presiede non solo le riunioni generali della conferenza dei Vescovi, ma anche il consiglio permanente.

Can. 453 - Le riunioni plenarie della Conferenza Episcopale si tengano almeno una volta all'anno e inoltre ogni volta che lo richiedano speciali circostanze, secondo le disposizioni degli statuti.

Can. 454 - §1. Nelle riunioni plenarie della Conferenza Episcopale per il diritto stesso il voto deliberativo compete ai Vescovi diocesani e a quelli che nel diritto sono loro equiparati, nonché ai Vescovi coadiutori.

§2. Ai Vescovi ausiliari e ai Vescovi titolari che appartengono alla Conferenza Episcopale, compete il voto deliberativo oppure consultivo, secondo le disposizioni degli statuti della Conferenza; fermo restando tuttavia che il voto deliberativo compete solo a quelli di cui al §1, quando si tratta di elaborare o modificare gli statuti.

Can. 455 - §1. La Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio, sia su richiesta della conferenza stessa.

§2. Perché i decreti di cui al §1 siano emanati validamente, devono essere espressi nella riunione plenaria almeno mediante i due terzi dei voti dei Presuli che appartengono alla Conferenza con voto deliberativo, e non ottengono forza obbligante se non vengono legittimamente promulgati, dopo essere stati autorizzati dalla Sede Apostolica.

§3. Il modo di promulgazione e il tempo in cui i decreti acquistano forza obbligante vengono determinati dalla stessa Conferenza Episcopale.

§4. Nei casi in cui né il diritto universale né uno speciale mandato della Sede Apostolica abbiano concesso alla Conferenza Episcopale la potestà di cui al §1, rimane intatta la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la Conferenza Episcopale o il suo presidente non possono agire validamente in nome di tutti i Vescovi, a meno che tutti e singoli i Vescovi non abbiano dato il loro consenso.

Can. 456 - Conclusa la riunione plenaria della Conferenza Episcopale, la relazione sugli atti della Conferenza e i suoi decreti vengano trasmessi alla Sede Apostolica, sia per farle conoscere gli atti, sia perché i decreti, se ci sono, possano essere riveduti dalla stessa.

Can. 457 - Spetta al consiglio permanente dei Vescovi curare che vengano preparate le questioni da trattare nella riunione plenaria della conferenza e che siano fatte debitamente eseguire le decisioni prese in essa; ad esso spetta pure trattare gli altri affari che gli vengono affidati, a norma degli statuti.

Can. 458 - Spetta alla segreteria generale: 1) stendere la relazione degli atti e dei decreti della riunione plenaria della Conferenza e degli atti del consiglio permanente e comunicarla a tutti i membri della Conferenza, stendere inoltre gli altri atti commissionati ad essa dal presidente della Conferenza o dal consiglio permanente; 2) comunicare alle Conferenze Episcopali confinanti gli atti e i documenti che la Conferenza nella riunione plenaria o il consiglio permanente hanno stabilito di trasmettere loro.

Can. 459 - §1. Si favoriscano le relazioni fra le Conferenze Episcopali, soprattutto viciniori, per la promozione e la tutela del bene maggiore.

§2. Ogni qualvolta però le Conferenze intraprendono attività o modi di procedere che assumono un carattere internazionale, e necessario che venga sentita la Sede Apostolica.

TITOLO III

STRUTTURA INTERNA DELLE CHIESE PARTICOLARI (Cann. 460 – 572)

 

CAPITOLO I

 IL SINODO DIOCESANO

Can. 460

Il sinodo diocesano è l'assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana, a norma dei canoni seguenti.

Can. 461 - §1. Il sinodo diocesano si celebri nelle singole Chiese particolari quando, a giudizio del Vescovo diocesano, sentito il consiglio presbiterale le circostanze lo suggeriscano.

§2. Se il Vescovo ha la cura di più diocesi oppure ha la cura di una come Vescovo proprio e di un'altra come Amministratore, può convocare un solo sinodo diocesano da tutte le diocesi affidategli.

Can. 462 - §1. Convoca il sinodo diocesano solo il Vescovo diocesano, non chi presiede la diocesi interinalmente.

§2. Presiede il sinodo diocesano il Vescovo diocesano, il quale tuttavia può delegare il Vicario generale o il Vicario episcopale, a svolgere tale ufficio, per le singole sessioni del sinodo.

Can. 463 - §1. Al sinodo diocesano devono essere chiamati in qualità di membri e sono tenuti all'obbligo di parteciparvi: 1) il Vescovo coadiutore e i Vescovi ausiliari; 2) i Vicari generali e i Vicari episcopali, nonché il Vicario giudiziale; 3) i canonici della chiesa cattedrale; 4) i membri del consiglio presbiterale; 5) i fedeli laici, anche membri di istituti di vita consacrata, eletti dal consiglio pastorale nel modo e nel numero da determinarsi dal Vescovo diocesano, oppure, dove tale consiglio non esiste, secondo i criteri determinati dal Vescovo diocesano; 6) il rettore del seminario maggiore diocesano; 7) i vicari foranei; 8) almeno un presbitero eletto in ciascun vicariato foraneo da tutti coloro che ivi hanno cura d'anime; inoltre deve essere eletto un altro presbitero che lo sostituisca se il primo è impedito; 9) alcuni Superiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica che hanno la casa nella diocesi, i quali devono essere eletti nel numero e nel modo determinati dal Vescovo diocesano.

§2. Al sinodo diocesano possono essere chiamati in qualità di membri anche altri, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia fedeli laici.

§3. Il Vescovo diocesano, se lo ritiene opportuno, può invitare come osservatori alcuni ministri o membri di Chiese o comunità ecclesiali che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica.

Can. 464 - Un membro del sinodo, se è trattenuto da legittimo impedimento, non può inviare un procuratore che vi partecipi in suo nome; avverta però il Vescovo diocesano di tale impedimento.

Can. 465 - Tutte le questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri nelle sessioni del sinodo.

Can. 466 - Nel sinodo diocesano l'unico legislatore è il Vescovo diocesano, mentre gli altri membri del sinodo hanno solamente voto consultivo; lui solo sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono essere resi pubblici soltanto per la sua autorità.

Can. 467 - Il Vescovo diocesano comunichi al Metropolita e alla conferenza dei Vescovi i testi delle dichiarazioni e dei decreti sinodali.

Can. 468 - §1. Spetta al Vescovo diocesano, secondo il suo prudente giudizio, sospendere e sciogliere il sinodo diocesano.

§2. Quando la sede episcopale è vacante o impedita, il sinodo diocesano si interrompe per il diritto stesso finché il Vescovo diocesano che gli succede non decreti che esso venga continuato oppure non lo dichiari estinto.

CAPITOLO II

 LA CURIA DIOCESANA

Can. 469 - La curia diocesana consta degli organismi e delle persone che aiutano il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, cioè nel dirigere l'attività pastorale, nel curare l'amministrazione della diocesi come pure nell'esercitare la potestà giudiziaria.

Can. 470 - La nomina di coloro che esercitano un ufficio nella curia diocesana spetta al Vescovo diocesano.

Can. 471 - Tutti coloro che sono ammessi agli uffici della curia devono: 1) promettere di adempiere fedelmente l'incarico secondo le modalità determinate dal diritto o dal Vescovo; 2) osservare il segreto nei limiti e secondo le modalità determinate dal diritto o dal Vescovo.

Can. 472 - Circa le cause e le persone che, nella curia, si riferiscono all'esercizio della potestà giudiziaria, si osservino le prescrizioni del Libro VII I processi; in ordine a ciò che riguarda l'amministrazione della diocesi, si osservino le disposizioni dei canoni seguenti.

Can. 473 - §1. Il Vescovo diocesano deve curare che tutti gli affari inerenti all'amministrazione di tutta la diocesi siano debitamente coordinati e diretti a procurare nel modo più opportuno il bene della porzione di popolo di Dio che gli è affidata.

§2. Spetta allo stesso Vescovo diocesano coordinare l'attività pastorale dei Vicari generali ed episcopali; dove risulta conveniente, può essere nominato il Moderatore di curia, che deve essere un sacerdote e al quale spetta, sotto l'autorità del Vescovo, coordinare le attività che riguardano la trattazione degli affari amministrativi come pure curare che gli altri addetti alla curia svolgano fedelmente l'ufficio loro affidato.

§3. Se le situazioni locali, a giudizio del Vescovo, non suggeriscono diversamente, sia nominato Moderatore di curia il Vicario generale oppure, se sono più di uno, uno dei Vicari generali.

§4. Quando il Vescovo lo ritiene opportuno per favorire maggiormente l'attività pastorale, può costituire un consiglio episcopale, composto dai Vicari generali e dai Vicari episcopali.

Can. 474 - Gli atti di curia che hanno per loro natura effetto giuridico, devono essere sottoscritti dall'Ordinario da cui provengono, anche in ordine alla loro validità, e nello stesso tempo devono essere sottoscritti dal cancelliere o dal notaio di curia; il cancelliere poi è tenuto ad informare degli atti il Moderatore di curia.

Articolo 1 - I Vicari generali ed episcopali

Can. 475 - §1. In ogni diocesi il Vescovo diocesano deve costituire il Vicario generale affinché, con la potestà ordinaria di cui è munito a norma dei canoni seguenti, presti il suo aiuto al Vescovo stesso nel governo di tutta la diocesi.

§2. Come regola generale, venga costituito un solo Vicario generale, a meno che l'ampiezza della diocesi o il numero degli abitanti oppure altre ragioni pastorali non suggeriscano diversamente.

Can. 476 - Ogni qualvolta lo richieda il buon governo della diocesi, possono essere costituiti dal Vescovo diocesano anche uno o più Vicari episcopali; essi hanno la stessa potestà ordinaria che, per diritto universale, a norma dei canoni seguenti, spetta al Vicario generale, o per una parte determinata della diocesi, o per un genere determinato di affari, o in rapporto ai fedeli di un determinato rito o di un ceto determinato di persone.

Can. 477 - §1. Il Vicario generale e il Vicario episcopale vengono nominati liberamente dal Vescovo diocesano e da lui possono essere liberamente rimossi, fermo restando il disposto del can. 406; il Vicario episcopale che non sia il Vescovo ausiliare sia nominato per un tempo da determinarsi nell'atto di costituzione.

§2. Quando il Vicario generale è assente o legittimamente impedito, il Vescovo diocesano può nominarne un altro che lo supplisca; la stessa norma si applica per il Vicario episcopale.

Can. 478 - §1. Il Vicario generale ed episcopale siano sacerdoti di età non inferiore a trent'anni, dottori o licenziati in diritto canonico o teologia oppure almeno veramente esperti in tali discipline, degni di fiducia per sana dottrina, rettitudine, saggezza ed esperienza nel trattare gli affari.

§2. L'ufficio di Vicario generale ed episcopale non è compatibile con l'ufficio di canonico penitenziere; inoltre non si può affidare tale ufficio a consanguinei del Vescovo fino al quarto grado.

Can. 479 - §1. Al Vicario generale compete, in forza dell'ufficio, la stessa potestà esecutiva su tutta la diocesi che, in forza del diritto, spetta al Vescovo diocesano, la potestà cioè di porre tutti gli atti amministrativi, ad eccezione di quelli che il Vescovo si è riservato oppure che richiedono, a norma del diritto, un mandato speciale del Vescovo.

§2. Al Vicario episcopale compete, per il diritto stesso, la medesima potestà di cui al §1, però circoscritta a quella determinata parte del territorio o a quel genere di affari o a quei fedeli di un rito determinato o di un gruppo soltanto, per i quali è stato costituito, fatta eccezione per quelle cause che il Vescovo ha riservato a sé o al Vicario generale, oppure che, a norma del diritto, richiedono un mandato speciale del Vescovo.

§3. Spettano al Vicario generale e al Vicario episcopale, nell'ambito della propria competenza, anche le facoltà abituali concesse al Vescovo dalla Sede Apostolica, come pure l'esecuzione dei rescritti, a meno che espressamente non sia stato disposto in modo diverso o a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona del Vescovo diocesano.

Can. 480 - Il Vicario generale e il Vicario episcopale devono riferire al Vescovo diocesano sulle principali attività programmate e attuate e inoltre non agiscano mai contro la sua volontà e il suo intendimento.

Can. 481 - §1. La potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale cessa allo scadere del mandato, con la rinuncia e, salvi restando i cann. 406 e 409, con la rimozione intimata loro dal Vescovo diocesano e inoltre quando la sede episcopale diviene vacante.

§2. Mentre è sospeso l'ufficio del Vescovo diocesano, è sospesa anche la potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale, a meno che non siano insigniti della dignità episcopale.

Articolo 2 - Il cancelliere, gli altri notai e gli archivi

Can. 482 - §1. In ogni curia venga costituito il cancelliere il cui incarico principale, a meno che non sia stabilito altro dal diritto particolare, consiste nel provvedere che gli atti della curia siano redatti compiutamente, e siano custoditi nell'archivio della stessa.

§2. Se si ritiene necessario, al cancelliere può essere dato un aiutante, col nome di vice-cancelliere.

§3. Il cancelliere e il vice-cancelliere sono per ciò stesso notai e segretari di curia.

Can. 483 - §1. Oltre al cancelliere, possono essere costituiti altri notai, la cui scrittura o firma fa pubblica fede, e questo o per tutti gli atti, o per gli atti giudiziari solamente, o per gli atti di una causa determinata o di un negozio soltanto.

§2. Il cancelliere e i notai devono essere di integra reputazione e al di sopra di ogni sospetto; nelle cause in cui può essere in discussione la fama di un sacerdote, il notaio deve essere sacerdote.

Can. 484 - È dovere dei notai: 1) stendere per iscritto gli atti e gli strumenti riguardanti i decreti, le disposizioni, gli obblighi e le altre questioni per le quali si richiede il loro intervento; 2) redigere fedelmente per iscritto le pratiche in corso e apporvi la firma insieme con l'indicazione del luogo, del giorno, del mese e dell'anno; 3) esibire dalla registrazione con le dovute cautele, a chi ne fa legittima richiesta, gli atti e gli strumenti e dichiararne le copie conformi all'originale.

Can. 485 - Il cancelliere e gli altri notai possono essere liberamente rimossi dall'ufficio da parte del Vescovo diocesano, non però dall'Amministratore diocesano, se non con il consenso del collegio dei consultori.

Can. 486 - §1. Tutti i documenti che riguardano la diocesi o le parrocchie devono essere custoditi con la massima cura.

§2. In ogni curia si costituisca in luogo sicuro l'archivio o tabularium diocesano per custodirvi, disposti secondo un ordine determinato e diligentemente chiusi, gli strumenti e le scritture che riguardano le questioni spirituali e temporali della diocesi.

§3. Dei documenti contenuti nell'archivio si compili un inventario o catalogo, con un breve riassunto delle singole scritte.

Can. 487 - §1. L'archivio deve rimanere chiuso e ne abbiano la chiave solo il Vescovo e il cancelliere; a nessuno è lecito entrarvi se non con licenza del Vescovo oppure, contemporaneamente, del Moderatore della curia e del cancelliere.

§2. È diritto degli interessati ottenere, personalmente o mediante un procuratore, copia autentica manoscritta o fotostatica dei documenti che per loro natura sono pubblici e che riguardano lo stato della propria persona.

Can. 488 - Non è lecito asportare documenti dall'archivio, se non per breve tempo e col consenso del Vescovo oppure, contemporaneamente, del Moderatore della curia e del cancelliere.

Can. 489 - §1. Vi sia nella curia diocesana anche un archivio segreto o almeno, nell'archivio comune, vi sia un armadio o una cassa chiusi a chiave e che non possano essere rimossi dalla loro sede; in essi si custodiscano con estrema cautela i documenti che devono essere conservati sotto segreto.

§2. Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva.

Can. 490 - §1. Solo il Vescovo abbia la chiave dell'archivio segreto.

§2. Mentre la sede è vacante, l'archivio o l'armadio segreto non si apra se non in caso di vera necessità dallo stesso Amministratore diocesano.

§3. Non siano asportati documenti dall'archivio o armadio segreto.

Can. 491 - §1. Il Vescovo diocesano abbia cura che anche gli atti e i documenti degli archivi delle chiese cattedrali, collegiate, parrocchiali e delle altre chiese che sono presenti nel suo territorio vengano diligentemente conservati e che si compilino inventari o cataloghi in due esemplari, di cui uno sia conservato nell'archivio della rispettiva chiesa e l'altro nell'archivio diocesano.

§2. Il Vescovo diocesano abbia anche cura che nella diocesi vi sia un archivio storico e che i documenti che hanno valore storico vi si custodiscano diligentemente e siano ordinati sistematicamente.

§3. Per consultare o asportare gli atti e i documenti di cui ai §§1 e 2, si osservino le norme stabilite dal Vescovo diocesano.

Articolo 3 - Il consiglio per gli affari economici e l'economo

Can. 492 - §1. In ogni diocesi venga costituito il consiglio per gli affari economici, presieduto dallo stesso Vescovo diocesano o da un suo delegato; esso è composto da almeno tre fedeli, veramente esperti in economia e nel diritto civile ed eminenti per integrità; essi sono nominati dal Vescovo.

§2. I membri del consiglio per gli affari economici siano nominati per un quinquennio, però, terminato tale periodo, possono essere assunti ancora per altri quinquenni.

§3. Sono esclusi dal consiglio per gli affari economici i congiunti del Vescovo fino al quarto grado di consanguineità o di affinità.

Can. 493 - Oltre ai compiti ad esso affidati nel Libro V I beni temporali della Chiesa, spetta al consiglio per gli affari economici predisporre ogni anno, secondo le indicazioni del Vescovo diocesano, il bilancio preventivo delle questue e delle elargizioni per l'anno seguente in riferimento alla gestione generale della diocesi e inoltre approvare, alla fine dell'anno, il bilancio delle entrate e delle uscite.

Can. 494 - §1. In ogni diocesi, dopo aver sentito il collegio dei consultori e il consiglio per gli affari economici, il Vescovo nomini un economo; egli sia veramente esperto in economia e distinto per onestà.

§2. L'economo sia nominato per un quinquennio, però, scaduto tale periodo, può essere ancora nominato per altri quinquenni; mentre è in carica, il Vescovo non lo rimuova se non per grave causa, da valutarsi dopo aver sentito il collegio dei consultori e il consiglio per gli affari economici.

§3. È compito dell'economo, secondo le modalità definite dal consiglio per gli affari economici, amministrare i beni della diocesi sotto l'autorità del Vescovo, fare sulla base delle entrate stabili della diocesi le spese che il Vescovo o altri da lui legittimamente incaricati abbiano ordinato.

§4. Nel corso dell'anno l'economo deve presentare al consiglio per gli affari economici il bilancio delle entrate e delle uscite.

CAPITOLO III

 IL CONSIGLIO PRESBITERALE E IL COLLEGIO DEI CONSULTORI

Can. 495 - §1. In ogni diocesi si costituisca il consiglio presbiterale, cioè un gruppo di sacerdoti che, rappresentando il presbiterio, sia come il senato del Vescovo; spetta al consiglio presbiterale coadiuvare il Vescovo nel governo della diocesi, a norma del diritto, affinché venga promosso nel modo più efficace il bene pastorale della porzione di popolo di Dio a lui affidata.

§2. Nei vicariati e nelle prefetture apostoliche il Vicario o il Prefetto costituiscano un consiglio composto da almeno tre presbiteri missionari e sentano il loro parere, espresso anche per lettera, negli affari più importanti.

Can. 496 - Il consiglio presbiterale abbia propri statuti approvati dal Vescovo diocesano, attese le norme emanate dalla Conferenza Episcopale.

Can. 497 - Per quanto riguarda la designazione dei membri del consiglio presbiterale: 1) circa la metà venga liberamente eletta dagli stessi sacerdoti a norma dei canoni seguenti e degli statuti; 2) alcuni sacerdoti, a norma degli statuti, devono essere membri di diritto, tali cioè che appartengano al consiglio per l'ufficio loro affidato; 3) il Vescovo diocesano ha piena facoltà di nominarne alcuni liberamente.

Can. 498 - §1. Hanno diritto attivo e passivo di elezione in ordine alla costituzione del consiglio presbiterale: 1) tutti i sacerdoti secolari incardinati nella diocesi; 2) i sacerdoti secolari non incardinati nella diocesi e i sacerdoti membri di un istituto religioso o di una società di vita apostolica i quali, dimorando nella diocesi, esercitano in suo favore qualche ufficio.

§2. Per quanto gli statuti lo prevedono, lo stesso diritto di elezione può essere conferito ad altri sacerdoti che abbiano nella diocesi il domicilio o il quasi-domicilio.

Can. 499 - Il modo di eleggere i membri del consiglio presbiterale deve essere determinato dagli statuti, però in modo tale che, per quanto è possibile, i sacerdoti del presbiterio siano rappresentati soprattutto in ragione dei diversi ministeri e delle diverse zone della diocesi.

Can. 500 - §1. Spetta al Vescovo diocesano convocare il consiglio presbiterale, presiederlo e determinare le questioni da trattare oppure accogliere quelle proposte dai membri.

§2. Il consiglio presbiterale ha solamente voto consultivo; il Vescovo diocesano lo ascolti negli affari di maggiore importanza, ma ha bisogno del suo consenso solo nei casi espressamente previsti dal diritto.

§3. Il consiglio presbiterale non può mai agire senza il Vescovo diocesano al quale soltanto spetta la responsabilità di far conoscere ciò che è stato stabilito a norma del §2.

Can. 501 - §1. I membri del consiglio presbiterale siano designati per il tempo determinato dagli statuti, però in modo tale che entro un quinquennio si rinnovi tutto il consiglio o una parte di esso.

§2. Quando la sede diventa vacante, il consiglio presbiterale cessa e i suoi compiti sono svolti dal collegio dei consultori; entro un anno dalla presa di possesso, il Vescovo deve costituire nuovamente il consiglio presbiterale.

§3. Se il consiglio presbiterale non adempie il compito affidatogli per il bene della diocesi oppure ne abusa gravemente, il Vescovo diocesano, consultato il Metropolita, o, se si tratta della stessa sede metropolitana, il Vescovo suffraganeo più anziano di carica, può scioglierlo, ma entro un anno deve costituirlo nuovamente.

Can. 502 - §1. Fra i membri del consiglio presbiterale il Vescovo diocesano nomina liberamente alcuni sacerdoti, in numero non minore di sei e non maggiore di dodici, i quali costituiscono per un quinquennio il collegio dei consultori, con i compiti determinati dal diritto; tuttavia al termine del quinquennio esso continua ad esercitare le sue funzioni finché non viene costituito il nuovo collegio.

§2. Il collegio dei consultori è presieduto dal Vescovo diocesano; mentre poi la sede è impedita o vacante, è presieduto da colui che sostituisce interinalmente il Vescovo oppure, se costui non è ancora stato costituito, dal sacerdote più anziano di ordinazione nel collegio dei consultori.

§3. La conferenza dei Vescovi può stabilire che i compiti del collegio dei consultori siano affidati al capitolo cattedrale.

§4. Nel vicariato e nella prefettura apostolica i compiti del collegio dei consultori spettano al consiglio della missione di cui al can. 495, §2, a meno che il diritto non stabilisca diversamente.

CAPITOLO IV

 I CAPITOLI DEI CANONICI

Can. 503 - Il capitolo dei canonici, sia cattedrale sia collegiale, è il collegio di sacerdoti al quale spetta assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella chiesa cattedrale o collegiale; spetta inoltre al capitolo cattedrale adempiere i compiti che gli vengono affidati dal diritto o dal Vescovo diocesano.

Can. 504 - L'erezione, la modifica o la soppressione del capitolo cattedrale sono riservate alla Sede Apostolica.

Can. 505 - Ogni capitolo, sia cattedrale sia collegiale, abbia propri statuti, costituiti mediante un legittimo atto capitolare e approvati dal Vescovo diocesano; tali statuti non vengano modificati o abrogati se non con l'approvazione dello stesso Vescovo diocesano.

Can. 506 - §1. Gli statuti del capitolo, salve sempre le leggi di fondazione, determinino la stessa costituzione del capitolo e il numero dei canonici; definiscano i compiti del capitolo e dei singoli canonici in ordine alla celebrazione del culto divino e all'esercizio del ministero; regolino le riunioni in cui vengono trattate le questioni riguardanti il capitolo e, salve le disposizioni del diritto universale, determinino le condizioni richieste per la validità e la liceità degli atti.

§2. Negli statuti vengano anche definite le insegne e le retribuzioni dei canonici, sia quelle stabili, sia quelle da versare in occasione dell'adempimento di un incarico.

Can. 507 - §1. Vi sia fra i canonici chi presiede il capitolo e vengano pure costituiti gli altri uffici, a norma degli statuti, tenendo anche conto degli usi vigenti nella regione.

§2. Ai chierici che non appartengono al capitolo possono essere affidati altri uffici mediante i quali, a norma degli statuti, prestano aiuto ai canonici.

Can. 508 - §1. Il canonico penitenziere, sia della chiesa cattedrale sia della chiesa collegiale, ha in forza dell'ufficio la facoltà ordinaria che però non è delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure latae sententiae non dichiarate, non riservate alla Sede Apostolica; tale facoltà riguarda, in diocesi, anche gli estranei e i diocesani anche fuori del territorio della diocesi.

§2. Dove manca il capitolo il Vescovo diocesano costituisca un sacerdote a compiere il medesimo incarico.

Can. 509 - §1. Spetta al Vescovo diocesano udito il capitolo, ma non all'Amministratore diocesano, conferire tutti e singoli i canonicati, sia nella chiesa cattedrale sia nella chiesa collegiale, revocato ogni privilegio contrario; spetta ancora al Vescovo confermare colui che è eletto dal capitolo stesso per presiederlo.

§2. Il Vescovo diocesano conferisca i canonicati solo a sacerdoti che si distinguono per dottrina e integrità di vita e che abbiano esercitato lodevolmente il ministero.

Can. 510 - §1. Le parrocchie non siano più unite al capitolo dei canonici; quelle che sono tuttora unite ad un capitolo, ne siano separate da parte del Vescovo diocesano.

§2. Nella chiesa che sia insieme parrocchiale e capitolare, venga costituito un parroco, scelto fra i capitolari o meno; questi è tenuto a tutti i doveri e possiede i diritti e le facoltà che, a norma del diritto, sono proprie del parroco.

§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme precise mediante le quali possano essere debitamente armonizzati i doveri pastorali del parroco e le funzioni proprie del capitolo, facendo in modo che il parroco non sia di impedimento alle funzioni capitolari e il capitolo non sia di impedimento a quelle parrocchiali; se sorge un conflitto, lo dirima il Vescovo diocesano il quale deve curare innanzi tutto che si provveda in modo adeguato alle necessità pastorali dei fedeli.

§4. Le offerte che vengono elargite ad una chiesa contemporaneamente parrocchiale e capitolare, si presumono elargite alla parrocchia, se non consti altro.

CAPITOLO V

 IL CONSIGLIO PASTORALE

Can. 511 - In ogni diocesi, se lo suggerisce la situazione pastorale, si costituisca il consiglio pastorale, al quale spetta, sotto l'autorità del Vescovo, studiare, valutare e proporre conclusioni operative su quanto riguarda le attività pastorali della diocesi.

Can. 512 - §1. Il consiglio pastorale è composto da fedeli che siano in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia soprattutto laici; essi vengono designati nel modo determinato dal Vescovo diocesano.

§2. I fedeli designati al consiglio pastorale siano scelti in modo che attraverso di loro sia veramente rappresentata tutta la porzione di popolo di Dio che costituisce la diocesi, tenendo presenti le diverse zone della diocesi stessa, le condizioni sociali, le professioni e inoltre il ruolo che essi hanno nell'apostolato, sia come singoli, sia in quanto associati.

§3. Al consiglio pastorale non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza.

Can. 513 - §1. Il consiglio pastorale viene costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni degli statuti dati dal Vescovo.

§2. Quando la sede diviene vacante, il consiglio pastorale cessa.

Can. 514 - §1. Spetta unicamente al Vescovo diocesano, secondo le necessità dell'apostolato, convocare e presiedere il consiglio pastorale, che gode solamente di voto consultivo; a lui pure unicamente compete rendere di pubblica ragione le materie trattate nel consiglio.

§2. Il consiglio pastorale sia convocato almeno una volta l'anno.

CAPITOLO VI

 LE PARROCCHIE, I PARROCI E I VICARI PARROCCHIALI

Can. 515 - §1. La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore.

§2. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.

§3. La parrocchia eretta legittimamente gode di personalità giuridica per il diritto stesso.

Can. 516 - §1. A meno che il diritto non disponga diversamente, alla parrocchia è equiparata la quasi-parrocchia, che è una comunità determinata di fedeli nell'ambito di una Chiesa particolare, affidata ad un sacerdote come suo pastore, ma che, per speciali circostanze, non è ancora stata eretta come parrocchia.

§2. Quando una comunità non può essere eretta come parrocchia o quasi-parrocchia, il Vescovo diocesano provveda in altro modo alla sua cura pastorale.

Can. 517 - §1. Quando le circostanze lo richiedono, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata in solido a più sacerdoti, a condizione tuttavia che uno di essi ne sia il moderatore nell'esercizio della cura pastorale, tale cioè che diriga l'attività comune e di essa risponda davanti al Vescovo.

§2. Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale.

Can. 518 - Come regola generale, la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio; dove però risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del rito, della lingua, della nazionalità dei fedeli appartenenti ad un territorio, oppure anche sulla base di altre precise motivazioni.

Can. 519 - Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l'autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l'apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.

Can. 520 - §1. Il parroco non sia una persona giuridica; tuttavia il Vescovo diocesano, ma non l'Amministratore diocesano, col consenso del Superiore competente, può affidare una parrocchia ad un istituto religioso clericale o ad una società clericale di vita apostolica, anche erigendola presso la chiesa dell'istituto o della società, a condizione però che un solo sacerdote sia il parroco della parrocchia, oppure, se la cura pastorale è affidata in solido a più sacerdoti, il moderatore di cui al can. 517, §1.

§2. L'assegnazione della parrocchia di cui al §1 può essere fatta sia in perpetuo, sia a tempo determinato; in ambedue i casi avvenga mediante una convenzione scritta stipulata fra il Vescovo diocesano e il Superiore competente dell'istituto o della società; in essa, fra l'altro, venga definito espressamente e con precisione tutto quello che riguarda l'attività da svolgere, le persone da impiegarvi e le questioni economiche.

Can. 521 - §1. Perché uno sia nominato parroco validamente, deve essere costituito nel sacro ordine del presbiterato.

§2. Si distingua inoltre per sana dottrina e onestà di costumi, sia dotato di zelo per le anime e di ogni altra virtù e abbia quelle qualità che sono richieste sia dal diritto universale, sia dal diritto particolare per la cura pastorale della parrocchia in questione.

§3. Per conferire a qualcuno l'ufficio di parroco, è opportuno che venga accertata con sicurezza la sua idoneità nel modo determinato dal Vescovo, anche mediante un esame.

Can. 522 - È opportuno che il parroco goda di stabilità, perciò venga nominato a tempo indeterminato; il Vescovo diocesano può nominarlo a tempo determinato solamente se ciò fu ammesso per decreto dalla conferenza dei Vescovi.

Can. 523 - Fermo restando il disposto del can. 682, §1, la provvisione dell'ufficio di parroco spetta al Vescovo diocesano; essa avviene mediante libero conferimento, a meno che qualcuno non abbia il diritto di presentazione o di elezione.

Can. 524 - Il Vescovo diocesano, dopo aver valutato tutte le circostanze, affidi la parrocchia vacante a chi ritiene idoneo ad esercitarvi la cura pastorale, esclusa ogni preferenza di persone; per giudicarne l'idoneità, senta il vicario foraneo ed esegua le indagini opportune, uditi, se del caso, determinati presbiteri come pure fedeli laici.

Can. 525 - Mentre la sede è vacante o impedita, all'Amministratore diocesano o a colui che regge interinalmente la diocesi spetta: 1) concedere l'istituzione o la conferma al sacerdote legittimamente presentato o eletto per una parrocchia; 2) nominare i parroci se la sede è vacante o impedita da un anno.

Can. 526 - §1. Il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia; tuttavia, per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine.

§2. Nella medesima parrocchia vi sia soltanto un parroco o un moderatore a norma del can. 517, §1, riprovata ogni consuetudine contraria e revocato ogni privilegio contrario.

Can. 527 - §1. Colui che è stato promosso alla cura pastorale di una parrocchia, la ottiene ed è tenuto ad esercitarla dal momento della presa di possesso.

§2. L'immissione in possesso del parroco spetta all'Ordinario del luogo o ad un sacerdote da lui delegato e devono essere osservate le modalità determinate dalla legge particolare o dalla legittima consuetudine; tuttavia, per giusta causa, il medesimo Ordinario può dispensare da tali modalità; in tal caso la dispensa notificata alla parrocchia sostituisce la presa di possesso.

§3. L'Ordinario del luogo determini il tempo entro il quale deve avvenire la presa di possesso della parrocchia; trascorso inutilmente tale tempo, se non si sia opposto un giusto impedimento, può dichiarare la parrocchia vacante.

Can. 528 - §1. Il parroco è tenuto a fare in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia; perciò curi che i fedeli laici siano istruiti nelle verità della fede, soprattutto con l'omelia delle domeniche e delle feste di precetto e con l'istruzione catechetica; favorisca inoltre le attività che promuovono lo spirito evangelico, anche in ordine alla giustizia sociale; abbia cura speciale della formazione cattolica dei fanciulli e dei giovani; si impegni in ogni modo, anche con la collaborazione dei fedeli, perché l'annuncio evangelico giunga anche a coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede.

§2. Il parroco faccia in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dell'assemblea parrocchiale dei fedeli; si adoperi perché i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in special modo perché si accostino frequentemente al sacramento della santissima Eucaristia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia, e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra liturgia, di cui il parroco deve essere il moderatore nella sua parrocchia, sotto l'autorità del Vescovo diocesano e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi.

Can. 529 - §1. Per poter adempiere diligentemente l'ufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perciò visiti le famiglie, partecipando alle sollecitudini dei fedeli, soprattutto alle loro angosce e ai loro lutti, confortandoli nel Signore e, se hanno mancato in qualche cosa, correggendoli con prudenza; assista con traboccante carità gli ammalati, soprattutto quelli vicini alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l'anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri e agli ammalati, agli afflitti, a coloro che sono soli, agli esuli e a tutti coloro che attraversano particolari difficoltà; si impegni anche perché gli sposi e i genitori siano sostenuti nell'adempimento dei loro doveri e favorisca l'incremento della vita cristiana nella famiglia.

§2. Il parroco riconosca e promuova il ruolo che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalità religiose. Collabori col proprio Vescovo e col presbiterio della diocesi, impegnandosi anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale, perché si sentano membri e della diocesi e della Chiesa universale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere la comunione.

Can. 530 - Le funzioni affidate al parroco in modo speciale sono le seguenti: 1) amministrare il battesimo; 2) amministrare il sacramento della confermazione a coloro che sono in pericolo di morte, a norma del can. 883, n. 3; 3) amministrare il Viatico e l'unzione degli infermi, fermo restando il disposto del can. 1003, §§2 e 3, e impartire la benedizione apostolica; 4) assistere al matrimonio e benedire le nozze; 5) celebrare i funerali; 6) benedire il fonte battesimale nel tempo pasquale, guidare le processioni fuori della chiesa e impartire le benedizioni solenni fuori della chiesa; 7) celebrare l'Eucaristia più solenne nelle domeniche e nelle feste di precetto.

 

Can. 531 - Anche se è un altro a svolgere qualche incarico parrocchiale, le offerte ricevute dai fedeli in tale occasione siano versate nella cassa parrocchiale, a meno che, quando si tratta di offerte volontarie, non consti l'intenzione contraria dell'offerente; spetta al Vescovo diocesano, sentito il consiglio presbiterale, stabilire le norme con le quali si provvede alla destinazione di tali offerte e la rimunerazione dei sacerdoti che svolgono il medesimo incarico.

Can. 532 - Il parroco rappresenta la parrocchia, a norma del diritto, in tutti i negozi giuridici; curi che i beni della parrocchia siano amministrati a norma dei cann. 1281-1288.

Can. 533 - §1. Il parroco è tenuto all'obbligo di risiedere nella casa parrocchiale in vicinanza della chiesa; tuttavia in casi particolari, per giusta causa, l'Ordinario del luogo può permettere che dimori altrove, soprattutto se si tratta di un'abitazione comune a più sacerdoti, purché si possa provvedere in modo opportuno e adeguato all'adempimento degli incarichi parrocchiali.

§2. A meno che non sussista un motivo grave, il parroco può assentarsi ogni anno dalla parrocchia per ferie al massimo per un mese, continuo o interrotto; in questo tempo delle ferie non vengono computati i giorni che il parroco dedica una volta all'anno al ritiro spirituale; tuttavia, per assentarsi dalla parrocchia per un tempo superiore ad una settimana, il parroco è tenuto ad avvertirne l'Ordinario del luogo.

§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme che assicurino, durante l'assenza del parroco, l'esercizio della cura pastorale della parrocchia tramite un sacerdote fornito delle debite facoltà.

Can. 534 - §1. Dopo aver preso possesso della parrocchia, il parroco è tenuto all'obbligo di applicare la Messa per il popolo affidatogli ogni domenica e nelle feste che nella sua diocesi sono di precetto; chi ne è legittimamente impedito applichi negli stessi giorni mediante un altro oppure, in giorni diversi, applichi personalmente.

§2. Il parroco che ha la cura di più parrocchie, nei giorni di cui al §1, è tenuto ad applicare una sola Messa per tutto il popolo affidatogli.

§3. Il parroco che non abbia soddisfatto all'obbligo di cui ai §§1 e 2, applichi quanto prima tante Messe per il popolo quante ne ha tralasciate.

Can. 535 - §1. In ogni parrocchia vi siano i libri parrocchiali, cioè il libro dei battezzati, dei matrimoni, dei defunti ed eventualmente altri libri secondo le disposizioni date dalla conferenza dei Vescovi o dal Vescovo diocesano; il parroco provveda che tali libri siano redatti accuratamente e diligentemente conservati.

§2. Nel libro dei battezzati si annoti anche la confermazione e tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio, salvo il disposto del can. 1133, all'adozione, come pure in rapporto all'ordine sacro, alla professione perpetua emessa in un istituto religioso e al cambiamento del rito; tali annotazioni vengano sempre riportate nei certificati di battesimo.

§3. Ogni parrocchia abbia il proprio sigillo; gli attestati emessi sullo stato canonico dei fedeli, come pure tutti gli atti che possono avere rilevanza giuridica, siano sottoscritti dal parroco o da un suo delegato e muniti del sigillo parrocchiale.

§4. In ogni parrocchia vi sia il tabularium o archivio, in cui vengano custoditi i libri parrocchiali, insieme con le lettere dei Vescovi e gli altri documenti che si devono conservare per la loro necessità o utilità; tali libri e documenti devono essere controllati dal Vescovo diocesano o dal suo delegato durante la visita o in altro tempo opportuno e il parroco faccia attenzione che essi non vadano in mano ad estranei.

§5. Anche i libri parrocchiali più antichi vengano custoditi diligentemente, secondo le disposizioni del diritto particolare.

Can. 536 - §1. Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l'attività pastorale.

§2. Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.

Can. 537 - In ogni parrocchia vi sia il consiglio per gli affari economici che è retto, oltre che dal diritto universale, dalle norme date dal Vescovo diocesano; in esso i fedeli, scelti secondo le medesime norme, aiutino il parroco nell'amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del can. 532.

Can. 538 - §1. Il parroco cessa dall'ufficio con la rimozione o il trasferimento deciso da parte del Vescovo diocesano a norma del diritto, con la rinuncia fatta dal parroco stesso per giusta causa, la quale, per essere valida, deve essere accettata dal Vescovo, e inoltre cessa allo scadere del tempo se fu costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni del diritto particolare di cui al can. 522.

§2. Il parroco membro di un istituto religioso o incardinato in una società di vita apostolica, viene rimosso a norma del can. 682, §2.

§3. Compiuti i settantacinque anni, il parroco è invitato a presentare la rinuncia all'ufficio al Vescovo diocesano, il quale, considerata ogni circostanza di persona e di luogo, decida se accettarla o differirla; il Vescovo diocesano deve provvedere in modo adeguato al sostentamento e all'abitazione del rinunciante, attese le norme emanate dalla Conferenza Episcopale.

Can. 539 - Quando la parrocchia è vacante, oppure quando il parroco è impedito nell'esercizio dell'ufficio pastorale nella parrocchia per prigionia, esilio o confino, per inabilità o malferma salute oppure per altre cause, il Vescovo diocesano designi quanto prima l'amministratore parrocchiale, il sacerdote cioè che supplisca il parroco a norma del can. 540.

Can. 540 - §1. L'amministratore parrocchiale è tenuto agli stessi doveri e ha gli stessi diritti del parroco, a meno che il Vescovo diocesano non stabilisca diversamente.

§2. All'amministratore parrocchiale non è lecito compiere nulla che rechi pregiudizio ai diritti del parroco o che possa essere di danno ai beni parrocchiali.

§3. Al termine del suo incarico, l'amministratore parrocchiale presenti al parroco il rendiconto.

Can. 541 - §1. Quando la parrocchia diviene vacante e quando il parroco è impedito nell'esercizio della funzione pastorale, prima della costituzione dell'amministratore parrocchiale, assuma interinalmente il governo della parrocchia il vicario parrocchiale; se essi sono più d'uno, il più anziano per nomina; se poi mancano i vicari, lo assuma il parroco che è indicato dal diritto particolare.

§2. Chi assume il governo della parrocchia a norma del §1, avverta immediatamente l'Ordinario del luogo che la parrocchia è vacante.

Can. 542 - I sacerdoti ai quali, a norma del can. 517, §1, viene affidata in solido la cura pastorale di una parrocchia o di più parrocchie contemporaneamente: 1) devono possedere le qualità di cui al can. 521; 2) siano nominati o istituiti a norma di quanto dispongono i cann. 522 e 524; 3) ottengono la cura pastorale solo dal momento della presa di possesso il loro moderatore viene immesso in possesso a norma di quanto prescrive il can. 527, §2; per gli altri sacerdoti poi la professione di fede emessa legittimamente tiene il posto della presa di possesso.

Can. 543 - §1. Se a determinati sacerdoti viene affidata in solido la cura pastorale di una parrocchia o di più parrocchie contemporaneamente essi sono tenuti singolarmente, secondo i criteri da loro stessi stabiliti, all'obbligo di adempiere i compiti e le funzioni proprie del parroco di cui ai cann. 528, 529 e 530; la facoltà di assistere ai matrimoni come pure le facoltà di dispensa concesse al parroco per il diritto stesso, spettano a tutti, ma devono essere esercitate sotto la direzione del moderatore.

§2. Tutti i sacerdoti del gruppo: 1) sono tenuti all'obbligo della residenza; 2) di comune accordo stabiliscano i criteri secondo cui uno di loro celebra la Messa per il popolo, a norma del can. 533; 3) solo il moderatore rappresenta nei negozi giuridici la parrocchia o le parrocchie affidate al gruppo.

Can. 544 - Quando cessa dall'ufficio un sacerdote della comunità di cui al can. 517, §1, o il moderatore del gruppo, e parimenti quando uno di loro diviene inabile ad esercitare la funzione pastorale, non diviene vacante la parrocchia o le parrocchie la cui cura è affidata al gruppo; spetta al Vescovo diocesano nominare un altro moderatore; però prima che il Vescovo costituisca un altro moderatore, adempia tale ufficio il sacerdote del gruppo più anziano per nomina.

Can. 545 - §1. Ogni volta che risulta necessario o opportuno ai fini dell'adeguata cura pastorale della parrocchia, al parroco possono essere affiancati uno o più vicari parrocchiali, i quali si dedicano al ministero pastorale come cooperatori del parroco e partecipi della sua sollecitudine, mediante attività e iniziative programmate con il parroco e sotto la sua autorità.

§2. Il vicario parrocchiale può essere costituito perché presti il suo aiuto nell'adempiere tutto il ministero pastorale e, in questo caso, o per tutta la parrocchia o per una parte determinata di essa o per un certo gruppo di fedeli; oppure può anche essere costituito per assolvere uno specifico ministero contemporaneamente in più parrocchie determinate.

Can. 546 - Perché uno sia validamente nominato vicario parrocchiale, è necessario che sia costituito nel sacro ordine del presbiterato.

Can. 547 - Il vicario parrocchiale è nominato liberamente dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, se lo ritiene opportuno, il parroco o i parroci delle parrocchie per le quali è costituito, e inoltre il vicario foraneo, fermo restando il disposto del can. 682, §1.

Can. 548 - §1. Gli obblighi e i diritti del vicario parrocchiale sono definiti, oltre che dai canoni del presente capitolo, anche dagli statuti diocesani come pure dalla lettera del Vescovo diocesano, ma sono determinati in modo più specifico dalle disposizioni del parroco.

§2. A meno che nella lettera del Vescovo diocesano si disponga espressamente altro, il vicario parrocchiale è tenuto all'obbligo, per l'ufficio che esercita, di aiutare il parroco in tutto il ministero parrocchiale, fatta eccezione per quanto riguarda l'applicazione della Messa per il popolo; è anche tenuto all'obbligo di supplirlo, quando è il caso, a norma del diritto.

§3. Il vicario parrocchiale riferisca regolarmente al parroco le iniziative pastorali programmate e in atto, in modo che il parroco e il vicario o i vicari siano in grado di provvedere, con impegno comune, alla cura pastorale della parrocchia, di cui insieme sono garanti.

Can. 549 - Se il parroco è assente, a meno che il Vescovo diocesano non abbia provveduto in modo diverso a norma del can. 533, §3 e a meno che non sia stato costituito l'amministratore parrocchiale, si osservino le disposizioni del can. 541, §1; in tal caso il vicario è tenuto anche a tutti gli obblighi del parroco, fatta eccezione per l'obbligo di applicare la Messa per il popolo.

Can. 550 - §1. Il vicario parrocchiale è tenuto all'obbligo di risiedere nella parrocchia oppure, se è stato costituito per più parrocchie contemporaneamente, di risiedere in una di esse; tuttavia, per una giusta causa, l'Ordinario del luogo può permettere che risieda altrove, soprattutto se si tratta di una casa comune per più sacerdoti, purché ciò non rechi pregiudizio all'adempimento delle funzioni pastorali.

§2. L'Ordinario del luogo curi che si promuova, fra parroco e vicari, dove è possibile, una certa pratica di vita comune nella casa parrocchiale.

§3. Per quanto riguarda il periodo delle vacanze, il vicario parrocchiale ha gli stessi diritti del parroco.

Can. 551 - Per quanto riguarda le offerte che i fedeli fanno al vicario in occasione di un ministero pastorale, si osservino le disposizioni del can. 531.

Can. 552 - Il vicario parrocchiale può essere rimosso, per giusta causa, dal Vescovo diocesano o dall'Amministratore diocesano, fermo restando il disposto del can. 682, §2.

CAPITOLO VII

 I VICARI FORANEI

Can. 553 - §1. Il vicario foraneo, chiamato anche decano o arciprete o con altro nome, è il sacerdote che è preposto al vicariato foraneo.

§2. A meno che il diritto particolare non stabilisca altro, il vicario foraneo è nominato dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, a suo prudente giudizio, i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato in questione.

Can. 554 - §1. Per l'ufficio di vicario foraneo, che non è legato all'ufficio di parroco di una parrocchia determinata, il Vescovo scelga il sacerdote che avrà giudicato idoneo, valutate le circostanze di luogo e di tempo.

§2. Il vicario foraneo venga nominato a tempo determinato, definito dal diritto particolare.

§3. Il Vescovo diocesano può rimuovere liberamente, per giusta causa, secondo la sua prudente decisione, il vicario foraneo.

Can. 555 - §1. Il vicario foraneo, oltre alle facoltà che gli attribuisce legittimamente il diritto particolare, ha il dovere e il diritto: 1 di promuovere e coordinare l'attività pastorale comune nell'ambito del vicariato; 2 di aver cura che i chierici del proprio distretto conducano una vita consona al loro stato e adempiano diligentemente i loro doveri; 3 di provvedere che le funzioni sacre siano celebrate secondo le disposizioni della sacra liturgia, che si curi il decoro e la pulizia delle chiese e della suppellettile sacra, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nella custodia del santissimo Sacramento, che i libri parrocchiali vengano redatti accuratamente e custoditi nel debito modo, che i beni ecclesiastici siano amministrati diligentemente; infine che la casa parrocchiale sia conservata con la debita cura.

§2. Il vicario foraneo nell'àmbito del vicariato affidatogli: 1) si adoperi perché i chierici, secondo le disposizioni del diritto particolare, partecipino nei tempi stabiliti alle lezioni, ai convegni teologici o alle conferenze a norma del can. 279, p 2; 2) abbia cura che siano disponibili sussidi spirituali per i presbiteri del suo distretto ed abbia parimenti la massima per i sacerdoti che si trovano in situazioni difficili o sono angustiati da problemi.

§3. Il vicario foraneo abbia cura che i parroci del suo distretto, che egli sappia gravemente ammalati, non manchino di aiuti spirituali e materiali e che vengano celebrate degne esequie per coloro che muoiono; faccia anche in modo che durante la loro malattia o dopo la loro morte, non vadano perduti o asportati i libri, i documenti, la suppellettile sacra e ogni altra cosa che appartiene alla chiesa.

§4. Il vicario foraneo è tenuto all'obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano.

CAPITOLO VIII

 I RETTORI DELLE CHIESE E I CAPELLANI

Articolo 1 - I rettori delle chiese

Can. 556 - In questo contesto col nome di rettore di una chiesa si intende il sacerdote al quale è demandata la cura di una chiesa che non è né parrocchiale, né capitolare, né annessa alla casa di una comunità religiosa o di una società di vita apostolica che vi celebrino le proprie funzioni.

Can. 557 - §1. Il rettore di una chiesa viene nominato liberamente dal Vescovo diocesano, a meno che a qualcuno non competa legittimamente il diritto di elezione o di presentazione; in tal caso spetta al Vescovo diocesano confermare o istituire il rettore.

§2. Anche se la chiesa appartiene ad un istituto clericale religioso di diritto pontificio, spetta al Vescovo diocesano istituire il rettore presentato dal Superiore.

§3. Il rettore di una chiesa che sia unita al seminario o ad un collegio retto da chierici, è il rettore del seminario o del collegio, a meno che il Vescovo diocesano non abbia stabilito altrimenti.

Can. 558 - Salvo il disposto del can. 262, non è lecito al rettore compiere nella chiesa affidatagli le funzioni parrocchiali di cui al can. 530, nn. 1-6, a meno che non ci sia il consenso del parroco oppure, se è il caso, la sua delega.

Can. 559 - Nella chiesa affidatagli il rettore può compiere celebrazioni liturgiche anche solenni, salve le legittime leggi di fondazione e purché, a giudizio dell'Ordinario del luogo, non rechino danno in alcun modo al ministero parrocchiale.

Can. 560 - Quando lo ritenga opportuno, l'Ordinario del luogo può ingiungere al rettore di celebrare nella sua chiesa determinate funzioni anche parrocchiali per il popolo e inoltre di aprire la chiesa a determinati gruppi di fedeli perché vi celebrino funzioni liturgiche.

Can. 561 - Senza licenza del rettore o di un altro superiore legittimo, a nessuno è lecito celebrare nella chiesa l'Eucaristia, amministrare i sacramenti o compiere altre funzioni sacre: licenza che deve essere data o negata a norma del diritto.

Can. 562 - Il rettore di una chiesa, sotto l'autorità dell'Ordinario del luogo e osservando i legittimi statuti e i diritti acquisiti, è tenuto all'obbligo di vigilare che le funzioni sacre vengano celebrate nella chiesa con decoro, secondo le norme liturgiche e le disposizioni dei canoni, che gli oneri siano fedelmente adempiuti, che i beni siano amministrati diligentemente, che si provveda alla conservazione e al decoro della suppellettile sacra e degli edifici sacri, e che non vi avvenga nulla che sia in qualunque modo sconveniente alla santità del luogo e al rispetto dovuto alla casa di Dio.

Can. 563 - L'Ordinario del luogo, per giusta causa, può rimuovere dall'ufficio, secondo la sua prudente decisione, il rettore di una chiesa, anche se è stato eletto o presentato da altri, fermo restando il disposto del can. 682, §2.

Articolo 2 - I cappellani

Can. 564 - Il cappellano è il sacerdote cui viene affidata in modo stabile la cura pastorale, almeno in parte, di una comunità o di un gruppo particolare di fedeli, e che deve essere esercitata a norma del diritto universale e particolare.

Can. 565 - A meno che il diritto non preveda altro o a meno che a qualcuno non spettino legittimamente diritti speciali, il cappellano viene nominato dall'Ordinario del luogo, al quale pure compete istituire chi è stato presentato o confermare chi è stato eletto.

Can. 566 - §1. È necessario che il cappellano sia fornito di tutte le facoltà che richiede una ordinata cura pastorale. Oltre a quelle che vengono concesse dal diritto particolare o da una delega speciale, il cappellano, in forza dell'ufficio, ha la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle sue cure, di predicare loro la parola di Dio, di amministrare loro il Viatico e l'unzione degli infermi, nonché di conferire il sacramento della confermazione a chi tra loro versa in pericolo di morte.

§2. Negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare il cappellano ha inoltre la facoltà, esercitabile solo in tali luoghi, di assolvere dalle censure latae sententiae non riservate né dichiarate, fermo restando tuttavia il disposto del can. 976.

Can. 567 - §1. L'Ordinario del luogo non proceda alla nomina del cappellano di una casa di un istituto religioso laicale senza aver consultato il Superiore, il quale ha il diritto, sentita la comunità, di proporre qualche sacerdote.

§2. Spetta al cappellano celebrare o dirigere le funzioni liturgiche; non gli è lecito però ingerirsi nel governo interno dell'istituto.

Can. 568 - Per quanto è possibile, siano costituiti dei cappellani per coloro che non possono usufruire, per la loro situazione di vita, della cura ordinaria dei parroci, come gli emigranti, gli esuli, i profughi, i nomadi, i naviganti.

Can. 569 - I cappellani militari sono retti da leggi speciali.

Can. 570 - Se alla sede di una comunità o di un gruppo è annessa una chiesa non parrocchiale, il cappellano sia rettore della chiesa stessa, a meno che la cura della comunità o della chiesa non esiga altro.

Can. 571 - Nell'esercizio del suo incarico pastorale, il cappellano mantenga il debito rapporto con il parroco.

Can. 572 - Per quanto riguarda la rimozione del cappellano, si osservi il disposto del can. 563.

SEZIONE I

GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA

 

TITOLO I

NORME COMUNI A TUTTI GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA (Cann. 573 – 607)

 

Can. 573

§1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste.

§2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere osservare i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale i consigli stessi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.

Can. 574 - §1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto e promosso da tutti.

§2. A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per usufruire di un dono peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del proprio istituto, giovare alla sua missione di salvezza.

Can. 575 - I consigli evangelici, fondati sull'insegnamento e sugli esempi di Cristo Maestro, sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore e con la sua grazia sempre conserva.

Can. 576 - Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante l'approvazione canonica e parimenti, per quanto le compete, curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni.

Can. 577 - Nella Chiesa sono moltissimi gli istituti di vita consacrata, che hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro concessa: essi infatti seguono più da vicino Cristo che prega, che annuncia il Regno di Dio, che fa del bene agli uomini o ne condivide la vita nel mondo, ma sempre compie la volontà del Padre.

Can. 578 - L'intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, così come le sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell'istituto, devono essere da tutti fedelmente custoditi.

Can. 579 - I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con formale decreto istituti di vita consacrata, purché sia stata consultata la Sede Apostolica.

Can. 580 - L'aggregazione di un istituto di vita consacrata ad un altro è riservata all'autorità competente dell'istituto aggregante, salva sempre l'autonomia canonica dell'istituto aggregato.

Can. 581 - Spetta all'autorità competente dell'istituto a norma delle costituzioni dividere l'istituto stesso in parti, con qualunque nome designate, erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o circoscriverle in modo diverso.

Can. 582 - Sono riservate unicamente alla Sede Apostolica le fusioni e le unioni di istituti di vita consacrata, come anche le confederazioni e federazioni.

Can. 583 - Le modifiche negli istituti di vita consacrata, che riguardino elementi già approvati dalla Sede Apostolica, non si possono effettuare senza il suo benestare.

Can. 584 - Sopprimere un istituto spetta unicamente alla Sede Apostolica, alla quale compete pure disporre dei beni temporali relativi.

Can. 585 - Spetta invece all'autorità competente dell'istituto la soppressione di parti dell'istituto stesso.

Can. 586 - §1. È riconosciuta ai singoli istituti una giusta autonomia di vita, specialmente di governo, mediante la quale abbiano nella Chiesa una propria disciplina e possano conservare integro il proprio patrimonio, di cui al can. 578.

§2. È compito degli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia.

Can. 587 - §1. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti il codice fondamentale, o costituzioni, di ciascuno deve contenere, oltre a ciò che è stabilito da osservarsi nel can. 578, le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto proprio dei sacri vincoli.

§2. Tale codice è approvato dalla competente autorità della Chiesa e soltanto con il suo consenso può essere modificato.

§3. In tale codice siano adeguatamente armonizzati gli elementi spirituali e quelli giuridici; tuttavia non si moltiplichino le norme senza necessità.

§4. Tutte le altre norme, stabilite dall'autorità competente dell'istituto, siano opportunamente raccolte in altri codici e potranno essere rivedute e adattate convenientemente secondo le esigenze dei luoghi e dei tempi.

Can. 588 - §1. Lo stato di vita consacrata, per natura sua, non è né clericale né laicale.

§2. Si dice istituto clericale quello che, secondo il fine o il progetto inteso dal fondatore, oppure in forza di una legittima tradizione, è governato da chierici, assume l'esercizio dell'ordine sacro e come tale viene riconosciuto dall'autorità della Chiesa.

§3. Si chiama istituto laicale quello che, riconosciuto come tale dalla Chiesa stessa, in forza della sua natura, dell'indole e del fine, ha un compito specifico, determinato dal fondatore o in base ad una legittima tradizione, che non comporta l'esercizio dell'ordine sacro.

Can. 589 - Un istituto di vita consacrata si dice di diritto pontificio se è stato eretto oppure approvato con decreto formale dalla Sede Apostolica; di diritto diocesano invece se, eretto dal Vescovo diocesano, non ha ottenuto dalla Sede Apostolica il decreto di approvazione.

Can. 590 - §1. Gli istituti di vita consacrata, in quanto dediti in modo speciale al servizio di Dio e di tutta la Chiesa, sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa.

§2. I singoli membri sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche a motivo del vincolo sacro di obbedienza.

Can. 591 - Per meglio provvedere al bene degli istituti e alle necessità dell'apostolato il Sommo Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale, può esimere gli istituti di vita consacrata dal governo degli Ordinari del luogo e sottoporli soltanto alla propria autorità, o ad altra autorità ecclesiastica, in vista di un vantaggio comune.

Can. 592 - §1. Perché sia più efficacemente favorita la comunione degli istituti con la Sede Apostolica, ogni Moderatore supremo trasmetta alla medesima, nel modo e nel tempo da questa fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita del proprio istituto.

§2. I Moderatori di ogni istituto provvedano a far conoscere i documenti della Santa Sede riguardanti i membri loro affidati, e ne curino l'osservanza.

Can. 593 - Fermo restando il disposto del can. 586, gli istituti di diritto pontificio sono soggetti in modo immediato ed esclusivo alla potestà della Sede Apostolica in quanto al regime interno e alla disciplina.

Can. 594 - L'istituto di diritto diocesano, fermo restando il can. 586, rimane sotto la speciale cura del Vescovo diocesano.

Can. 595 - §1. Spetta al Vescovo della sede principale approvare le costituzioni e confermare le modifiche in esse legittimamente apportate, salvo ciò su cui fosse intervenuta la Sede Apostolica, e inoltre trattare gli affari di maggiore rilievo riguardanti l'intero istituto, quando superano l'ambito di potestà dell'autorità interna, non senza però avere consultato gli altri Vescovi diocesani, qualora l'istituto fosse esteso in più diocesi.

§2. Il Vescovo diocesano può concedere dispense dalle costituzioni in casi particolari.

Can. 596 - §1. I Superiori e i capitoli degli istituti hanno sui membri quella potestà che è definita dal diritto universale e dalle costituzioni.

§2. Invece negli istituti religiosi clericali di diritto pontificio essi godono inoltre della potestà ecclesiastica di governo, tanto per il foro esterno quanto per quello interno.

§3. Alla potestà di cui al §1 si applicano le disposizioni dei cann.  131,  133 e  137-144.

Can. 597 - §1. In un istituto di vita consacrata può essere ammesso ogni cattolico che abbia retta intenzione, che possegga le qualità richieste dal diritto universale e da quello proprio, e non sia vincolato da impedimento alcuno.

§2. Nessuno può essere ammesso senza adeguata preparazione.

Can. 598 - §1. Ogni istituto, attese l'indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo il suo programma di vita, sono da osservarsi i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza.

§2. Tutti i membri devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell'istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.

Can. 599 - Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato.

Can. 600 - Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti.

Can. 601 - Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai Superiori legittimi, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni.

Can. 602 - La vita fraterna propria di ogni istituto, per la quale tutti i membri sono radunati in Cristo come una sola peculiare famiglia, sia definita in modo da riuscire per tutti un aiuto reciproco nel realizzare la vocazione propria di ciascuno. I membri poi, con la comunione fraterna radicata e fondata nella carità, siano esempio di riconciliazione universale in Cristo.

Can. 603 - §1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.

§2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è propria.

Can. 604 - §1. A queste forme di vita consacrata è assimilato l'ordine delle vergini le quali, emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa.

§2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è confacente al loro stato.

Can. 605 - L'approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata unicamente alla Sede Apostolica. I Vescovi diocesani però si adoperino per discernere i nuovi doni di vita consacrata che lo Spirito Santo affida alla Chiesa e aiutino coloro che li promuovono, perché ne esprimano le finalità nel modo migliore e le tutelino con statuti adatti, utilizzando soprattutto le norme generali contenute in questa parte.

Can. 606 - Quanto si stabilisce per gli istituti di vita consacrata e per i loro membri vale a pari diritto per l'uno e per l'altro sesso, a meno che non risulti altrimenti dal contesto o dalla natura delle cose.

Can. 607 - §1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con questo l'intera sua esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.

§2. L'istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i voti pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita fraterna in comunità.

§3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto.

TITOLO II

GLI ISTITUTI RELIGIOSI (Cann. 608 – 709)

 

CAPITOLO I

 CASE RELIGIOSE: EREZIONE E SOPPRESSIONE

Can. 608

La comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un Superiore designato a norma del diritto. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l'Eucaristia, in modo che sia veramente il centro della comunità.

Can. 609 - §1. Le case di un istituto religioso vengono erette dall'autorità competente secondo le costituzioni, previo consenso scritto del Vescovo diocesano.

§2. Per l'erezione di un monastero di monache si richiede inoltre il benestare della Sede Apostolica.

Can. 610 - §1. L'erezione di case si compie tenuta presente l'utilità della Chiesa e dell'istituto e assicurate le condizioni necessarie per garantire ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa secondo le finalità e lo spirito propri dell'istituto.

§2. Non si proceda all'erezione di una casa se prudentemente non si ritiene possibile provvedere in modo adeguato alle necessità dei membri.

Can. 611 - Il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa religiosa implica il diritto: 1) di condurre una vita conforme all'indole propria dell'istituto e alle sue specifiche finalità; 2) di esercitare le opere proprie dell'istituto, a norma del diritto, salve restando le condizioni apposte nell'atto del consenso; 3) per gli istituti clericali, di avere una chiesa, salvo il disposto del can. 1215, §3, e di esercitarvi il ministero sacro, osservate le disposizioni del diritto.

Can. 612 - Per destinare una casa religiosa ad opere apostoliche differenti da quelle per cui fu costituita si richiede il consenso del Vescovo diocesano; questo non è necessario se si tratta di un cambiamento che, salve sempre le leggi di fondazione, si riferisce solamente al regime interno e alla disciplina.

Can. 613 - §1. Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del proprio Moderatore, è di per sé una casa sui iuris, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti.

§2. Il Moderatore di una casa sui iuris è, per diritto, Superiore maggiore.

Can. 614 - I monasteri di monache associati a un istituto maschile mantengono il proprio ordinamento e il proprio governo, secondo le costituzioni. I reciproci diritti ed obblighi siano determinati in modo che l'associazione possa giovare al bene spirituale.

Can. 615 - Quando un monastero sui iuris non ha, oltre al proprio Moderatore, un altro Superiore maggiore e non è associato a un istituto di religiosi in modo che il Superiore di questo abbia su quel monastero una vera potestà definita dalle costituzioni, tale monastero è affidato alla peculiare vigilanza del Vescovo diocesano a norma del diritto.

Can. 616 - §1. Una casa religiosa eretta legittimamente può essere soppressa dal Moderatore supremo a norma delle costituzioni, dopo avere consultato il Vescovo diocesano. Per i beni della casa soppressa deve provvedere il diritto proprio dell'istituto, nel rispetto della volontà dei fondatori o donatori e dei diritti legittimamente acquisiti.

§2. La soppressione dell'unica casa di un istituto è di competenza della Santa Sede, alla quale è pure riservato di disporre dei beni relativi.

§3. La soppressione di una casa sui iuris, di cui al  can. 613, spetta al capitolo generale, a meno che le costituzioni non stabiliscano altrimenti.

§4. La soppressione di un monastero sui iuris di monache spetta alla Sede Apostolica, osservato, per quanto riguarda i beni materiali, il disposto delle costituzioni.

CAPITOLO II

 IL GOVERNO DEGLI ISTITUTI

Articolo 1 - Superiori e consigli

Can. 617 - I Superiori adempiano il proprio incarico ed esercitino la propria potestà a norma del diritto universale e di quello proprio.

Can. 618 - I Superiori esercitino in spirito di servizio quella potestà che hanno ricevuto da Dio mediante il ministero della Chiesa. Docili perciò alla volontà di Dio nell'adempimento del proprio incarico, reggano i sudditi quali figli di Dio, e suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana, li ascoltino volentieri e promuovano altresì la loro concorde collaborazione per il bene dell'istituto e della Chiesa, ferma restando l'autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che va fatto.

Can. 619 - I Superiori attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa. Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola di Dio e li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia. Siano loro di esempio nel coltivare le virtù e nell'osservare le leggi e le tradizioni del proprio istituto; provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano gli irrequieti, confortino i timidi, con tutti siano pazienti.

Can. 620 - Sono Superiori maggiori quelli che governano l'intero istituto, o una sua provincia, o una parte dell'istituto ad essa equiparata, o una casa sui iuris, e parimenti i loro rispettivi vicari. A questi si aggiungano l'Abate Primate e il Superiore di una congregazione monastica, i quali tuttavia non hanno tutta la potestà che il diritto universale attribuisce ai Superiori maggiori.

Can. 621 - Col nome di provincia si designa l'unione di più case che costituisce una parte immediata dell'istituto sotto il medesimo Superiore, ed è canonicamente eretta dalla legittima autorità.

Can. 622 - Il Moderatore supremo ha potestà, da esercitare secondo il diritto proprio, su tutte le province dell'istituto, su tutte le case e su tutti i membri; gli altri Superiori godono di quella potestà nell'ambito del proprio incarico.

Can. 623 - Per essere validamente nominati o eletti all'ufficio di Superiore si richiede un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua o definitiva, da determinarsi dal diritto proprio o, trattandosi di Superiori maggiori, dalle costituzioni.

Can. 624 - §1. I Superiori devono essere costituiti per un periodo di tempo determinato e conveniente secondo la natura e le esigenze dell'istituto, a meno che le costituzioni non dispongano diversamente per il Moderatore supremo e per i Superiori delle case sui iuris.

§2. Il diritto proprio provveda con norme opportune che i Superiori costituiti a tempo determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione.

§3. Tuttavia durante il loro incarico possono essere rimossi dal loro ufficio o trasferiti ad un altro, per ragioni stabilite dal diritto proprio.

Can. 625 - §1. Il Moderatore supremo dell'istituto sia designato mediante elezione canonica a norma delle costituzioni.

§2. Alle elezioni del Superiore di un monastero sui iuris, di cui al can. 615, e del Moderatore supremo di un istituto di diritto diocesano presiede il Vescovo della sede principale.

§3. Gli altri Superiori siano costituiti a norma delle costituzioni, in modo però che se vengono eletti necessitino della conferma del Superiore maggiore competente; se poi vengono nominati dal Superiore, si premetta una opportuna consultazione.

Can. 626 - I Superiori nel conferire uffici e i membri nelle elezioni osservino le norme del diritto universale e del diritto proprio, si astengano da qualunque abuso o preferenza di persone e, null'altro avendo di mira che Dio e il bene dell'istituto, nominino o eleggano le persone che nel Signore riconoscono veramente degne e adatte. Inoltre nelle elezioni rifuggano dal procurare in qualunque modo voti per sé o per altri, direttamente o indirettamente.

Can. 627 - §1. I Superiori abbiano il proprio consiglio a norma delle costituzioni e nell'esercizio del proprio ufficio siano tenuti a valersi della sua opera.

§2. Oltre ai casi stabiliti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è richiesto il consenso oppure il consiglio, a norma del can. 127.

Can. 628 - §1. I Superiori designati a tale incarico dal diritto proprio dell'istituto visitino con la frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi alle norme dello stesso diritto proprio.

§2. È diritto e dovere del Vescovo diocesano visitare, anche per quanto riguarda la disciplina religiosa: 1) i monasteri sui iuris, di cui al  can. 615; 2) le singole case di un istituto di diritto diocesano che sono nel suo territorio.

§3. I religiosi si comportino con fiducia nei confronti del visitatore e rispondano secondo verità nella carità alle domande da lui legittimamente poste; a nessuno poi è lecito distogliere in alcun modo i religiosi da un tale obbligo, né impedire altrimenti lo scopo della visita.

Can. 629 - I Superiori risiedano ciascuno nella propria casa, e non se ne allontanino se non a norma del diritto proprio.

Can. 630 - §1. I Superiori riconoscano ai religiosi la dovuta libertà per quanto riguarda il sacramento della penitenza e la direzione della coscienza, salva naturalmente la disciplina dell'istituto.

§2. I Superiori provvedano con premura, a norma del diritto proprio, che i religiosi abbiano disponibilità di confessori idonei, ai quali possano confessarsi con frequenza.

§3. Nei monasteri di monache, nelle case di formazione e nelle comunità più numerose degli istituti laicali vi siano, d'intesa con la comunità interessata, confessori ordinari approvati dall'Ordinario del luogo, senza tuttavia alcun obbligo di presentarsi a loro.

§4. I Superiori non ascoltino le confessioni dei propri sudditi, a meno che questi non lo richiedano spontaneamente.

§5. I religiosi si rivolgano con fiducia ai Superiori, ai quali possono palesare l'animo proprio con spontanea libertà. È però vietato ai Superiori indurli in qualunque modo a manifestare loro la propria coscienza.

Articolo 2 - I capitoli

Can. 631 - §1. Il capitolo generale, che ha nell'istituto la suprema autorità a norma delle costituzioni, deve essere composto in modo da rappresentare l'intero istituto, per risultare vero segno della sua unità nella carità. Al capitolo compete soprattutto: tutelare il patrimonio dell'istituto di cui al  can. 578 e promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi; eleggere il Moderatore supremo, trattare gli affari di maggiore importanza e inoltre emanare norme, che tutti sono tenuti ad osservare.

§2. La composizione e l'ambito di potestà del capitolo siano definiti dalle costituzioni; il diritto proprio deve inoltre determinare il regolamento da osservarsi nella celebrazione del capitolo, specialmente per quanto riguarda le elezioni e la procedura dei lavori.

§3. Secondo le norme stabilite dal diritto proprio, non solo le province e le comunità locali, ma anche qualunque religioso può liberamente far pervenire al capitolo generale i propri desideri e proposte.

Can. 632 - Il diritto proprio determini con esattezza quanto riguarda gli altri capitoli dell'istituto e altre assemblee simili, cioè la loro natura e autorità, la composizione, il modo di procedere e il tempo della celebrazione.

Can. 633 - §1. Gli organismi di partecipazione o di consultazione adempiano fedelmente la funzione loro affidata a norma del diritto universale e proprio, ed esprimano nel modo loro proprio la sollecitudine e la partecipazione di tutti i membri in vista del bene dell'intero istituto o della comunità.

§2. Nell'istituire e nel servirsi di questi mezzi di partecipazione e di consultazione si proceda con saggia discrezione e il loro modo di agire sia conforme all'indole e alle finalità dell'istituto.

Articolo 3 - I beni temporali e la loro amministrazione

Can. 634 - §1. Gli istituti, le province e le case, in quanto persone giuridiche per il diritto stesso, hanno la capacità di acquistare, di possedere, di amministrare e alienare beni temporali, a meno che tale capacità non venga esclusa o ridotta dalle costituzioni.

§2. Evitino tuttavia ogni forma di lusso, di eccessivo guadagno e di accumulazione di beni.

Can. 635 - §1. I beni temporali degli istituti religiosi, in quanto beni ecclesiastici, sono retti dalle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa, a meno che non sia espressamente disposto altro.

§2. Tuttavia ogni istituto stabilisca opportune norme circa l'uso e l'amministrazione dei beni, perché sia in tal modo favorita, tutelata e manifestata la povertà che gli è propria.

Can. 636 - §1. In ogni istituto, e parimenti in ogni provincia retta da un Superiore maggiore, ci sia l'economo, costituito a norma del diritto proprio e distinto dal Superiore maggiore, per amministrare i beni sotto la direzione del rispettivo Superiore.

Anche nelle comunità locali si istituisca, per quanto è possibile, un economo distinto dal Superiore locale.

§2. Nel tempo e nel modo stabiliti dal diritto proprio gli economi e gli altri amministratori presentino all'autorità competente il rendiconto dell'amministrazione da loro condotta.

Can. 637 - I monasteri sui iuris, di cui al  can. 615, devono presentare una volta all'anno il rendiconto della loro amministrazione all'Ordinario del luogo; questi ha inoltre il diritto di prendere visione della conduzione degli affari economici della casa religiosa di diritto diocesano.

Can. 638 - §1. Spetta al diritto proprio determinare, entro l'ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell'amministrazione ordinaria, e stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria.

§2. Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti validamente, oltre che dai Superiori, anche dagli officiali a ciò designati dal diritto proprio, nei limiti del loro ufficio.

§3. Per la validità dell'alienazione, e di qualunque negozio da cui la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento, si richiede la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente con il consenso del suo consiglio. Se però si tratta di negozio che supera la somma fissata dalla Santa Sede per le singole regioni, come pure di donazioni votive fatte alla Chiesa, o di cose preziose per valore artistico o storico, si richiede inoltre la licenza della Santa Sede stessa.

§4. Per i monasteri sui iuris, di cui al can. 615, e per gli istituti di diritto diocesano, è necessario anche il consenso scritto dell'Ordinario del luogo.

Can. 639 - §1. Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza dei Superiori, è tenuta a risponderne in proprio.

§2. Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui beni propri, ne deve rispondere personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso affari dell'istituto, è l'istituto che ne deve rispondere.

§3. Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza del Superiore, è lui stesso, e non la persona giuridica, a doverne rispondere.

§4. Rimanga fermo tuttavia che si può sempre intentare un'azione contro colui il cui patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto.

§5. I Superiori religiosi si astengano dall'autorizzare a contrarre debiti, a meno che non consti con certezza che l'interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie, e che l'intero capitale si potrà restituire entro un tempo non troppo lungo con una legittima ammortizzazione.

Can. 640 - Gli istituti, tenuto conto dei singoli luoghi, si adoperino per dare una testimonianza in certo modo collettiva di carità e di povertà e, nella misura delle proprie disponibilità, destinino qualcosa dei propri beni per le necessità della Chiesa e per contribuire a soccorrere i bisognosi.

CAPITOLO III

 AMMISSIONE DEI CANDIDATI E FORMAZIONE DEI MEMBRI

Articolo 1 - Ammissione al noviziato

Can. 641 - Il diritto di ammettere i candidati al noviziato spetta ai Superiori maggiori a norma del diritto proprio.

Can. 642 - I Superiori ammettano con la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all'età richiesta, abbiano salute, indole adatta e la maturità sufficiente per assumere il genere di vita proprio dell'istituto; la salute, l'indole e la maturità siano anche verificati, all'occorrenza, da esperti, fermo restando il disposto del can. 220.

Can. 643 - §1. È ammesso invalidamente al noviziato: 1) chi non ha ancora compiuto 17 anni di età; 2) chi è sposato, durante il matrimonio; 3) chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica, salvo il disposto del can. 684; 4) chi entra nell'istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno, e chi è accettato da un Superiore costretto allo stesso modo; 5) chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica.

§2. Il diritto proprio può stabilire altri impedimenti o apporre condizioni, anche per la validità dell'ammissione.

Can. 644 - I Superiori non ammettano al noviziato chierici secolari senza consultare il loro proprio Ordinario, né persone gravate di debiti e incapaci di estinguerli.

Can. 645 - §1. I candidati, prima di essere ammessi al noviziato, devono produrre un attestato di battesimo, di confermazione e di stato libero.

§2. Se si tratta di ammettere chierici, o persone che furono ammesse in un altro istituto di vita consacrata, o in una società di vita apostolica o in seminario, si richiede inoltre l'attestato rilasciato rispettivamente dall'Ordinario del luogo, o dal Superiore maggiore dell'istituto o della società, oppure dal rettore del seminario.

§3. Il diritto proprio può esigere altri documenti circa l'idoneità richiesta per i candidati e l'immunità da impedimenti.

§4. I Superiori, se loro pare necessario, possono chiedere altre informazioni, anche sotto segreto.

Articolo 2 - Il noviziato e la formazione dei novizi

Can. 646 - Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell'istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità.

Can. 647 - §1. L'erezione della casa di noviziato, la sua soppressione o il trasferimento della sede siano fatti mediante un decreto scritto del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio.

§2. Il noviziato per essere valido deve essere compiuto in una casa regolarmente designata allo scopo. In casi particolari, e a modo di eccezione, su concessione del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, un candidato può fare il noviziato in un'altra casa dell'istituto sotto la guida di un religioso provato, che faccia le veci del maestro dei novizi.

§3. Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, dimori in un'altra casa dell'istituto, da lui stesso designata.

Can. 648 - §1. Per essere valido il noviziato deve comprendere dodici mesi, da trascorrere nella stessa comunità del noviziato, fermo restando il disposto del can. 647, §3.

§2. Per integrare la formazione dei novizi le costituzioni possono stabilire, oltre al tempo di cui al §1, uno o più periodi di esercitazioni apostoliche, da compiersi fuori dalla comunità del noviziato.

§3. Il noviziato non sia prolungato oltre i due anni.

Can. 649 - §1. Salvo il disposto dei cann. 647, §3 e 648, §2, una assenza dalla casa del noviziato che superi i tre mesi, continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Una assenza che superi i quindici giorni deve essere ricuperata.

§2. Con il permesso del Superiore maggiore competente la prima professione può essere anticipata, non oltre quindici giorni.

Can. 650 - §1. Lo scopo del noviziato esige che i novizi siano formati sotto la direzione del maestro, secondo un regolamento di formazione, da determinarsi dal diritto proprio.

§2. La direzione dei novizi, sotto l'autorità dei Superiori maggiori, è riservata unicamente al maestro.

Can. 651 - §1. Il maestro dei novizi deve essere un membro dell'istituto che abbia emesso i voti perpetui e sia stato legittimamente designato.

§2. Al maestro si possono assegnare, quando occorre, degli aiutanti i quali devono a lui sottostare per quanto riguarda la direzione del noviziato e il regolamento della formazione.

§3. Alla formazione dei novizi devono essere preposti religiosi accuratamente preparati i quali, senza essere distolti da altri impegni, possano assolvere il loro compito in modo efficace e stabile.

Can. 652 - §1. Spetta al maestro e ai suoi aiutanti discernere e verificare la vocazione dei novizi e gradatamente formarli a vivere la vita di perfezione secondo le norme proprie dell'istituto.

§2. I novizi devono essere aiutati a coltivare le virtù umane e cristiane; introdotti in un più impegnativo cammino di perfezione mediante l'orazione e il rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia; formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo attraverso la pratica dei consigli evangelici; informati infine sull'indole e lo spirito, le finalità e la disciplina, la storia e la vita dell'istituto, ed educati all'amore verso la Chiesa e i suoi sacri Pastori.

§3. I novizi, consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad una attiva collaborazione con il proprio maestro per poter rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina.

§4. I membri dell'istituto si adoperino nel cooperare alla formazione dei novizi, per la parte che loro spetta, con l'esempio della vita e con la preghiera.

§5. Il tempo di noviziato, di cui al can. 648, §1, sia dedicato all'opera di formazione vera e propria; perciò i novizi non siano occupati in studi o incarichi non direttamente finalizzati a tale formazione.

Can. 653 - §1. Il novizio può liberamente lasciare l'istituto, e d'altra parte l'autorità competente dell'istituto può dimetterlo.

§2. Compiuto il noviziato, se il novizio viene giudicato idoneo, sia ammesso alla professione temporanea, altrimenti sia dimesso; se rimane qualche dubbio sulla sua idoneità il Superiore maggiore può prolungare il periodo di prova a norma del diritto proprio, ma non oltre sei mesi.

Articolo 3 - La professione religiosa

Can. 654 - Con la professione religiosa i membri assumono con voto pubblico l'obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e vengono incorporati all'istituto con i diritti e i doveri definiti giuridicamente.

Can. 655 - La professione temporanea venga emessa per un periodo di tempo, determinato dal diritto proprio, che non deve essere inferiore a tre anni, né superiore a sei.

Can. 656 - Per la validità della professione temporanea si richiede che: 1) chi la vuole emettere abbia compiuto almeno 18 anni di età; 2) il noviziato sia stato portato a termine validamente; 3) ci sia l'ammissione, fatta liberamente da parte del Superiore competente, con il voto del suo consiglio a norma del diritto; 4) la professione sia espressa, e venga emessa senza che ci sia violenza, timore grave o inganno; 5) sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un altro.

Can. 657 - §1. Allo scadere del tempo per il quale fu emessa la professione il religioso che lo richiede spontaneamente ed e ritenuto idoneo sia ammesso alla rinnovazione della professione o alla professione perpetua; altrimenti deve lasciare l'istituto.

§2. Se però pare opportuno, il tempo della professione temporanea può essere prolungato dal Superiore competente secondo il diritto proprio, facendo tuttavia in modo che il periodo in cui il religioso è vincolato dai voti temporanei non superi complessivamente la durata di nove anni.

§3. La professione perpetua può essere anticipata per giusta causa, ma non oltre un trimestre.

Can. 658 - Oltre alle condizioni di cui al can. 656, nn. 3, 4 e 5 e alle altre apposte dal diritto proprio, per la validità della professione perpetua si richiedono: 1) almeno 21 anni compiuti; 2) la previa professione temporanea di almeno tre anni, salvo il disposto del can. 657, §3.

Articolo 4 - La formazione dei religiosi

Can. 659 - §1. In ogni istituto, dopo la prima professione, si continui la formazione di tutti i membri perché possano condurre più integralmente la vita propria dell'istituto e rendersi meglio idonei a realizzarne la missione.

§2. Pertanto il diritto proprio deve stabilire il regolamento e la durata di questa formazione, tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto.

§3. La formazione dei membri che si preparano a ricevere gli ordini sacri è regolata dal diritto universale e dal "piano degli studi" proprio dell'istituto.

Can. 660 - §1. La formazione deve essere sistematica, adeguata alla recettività dei membri, spirituale e apostolica, dottrinale e insieme pratica, e portare anche al conseguimento dei titoli convenienti, sia ecclesiastici sia civili, secondo l'opportunità.

§2. Durante il periodo di questa formazione non si affidino ai religiosi compiti e opere che ne ostacolino l'attuazione.

Can. 661 - Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica; i Superiori ne procurino loro i mezzi e il tempo.

CAPITOLO IV

 OBBLIGHI E DIRITTI DEGLI ISTITUTI E DEI LORO MEMBRI

Can. 662 - I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta dal Vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto.

Can. 663 - §1. Primo e particolare dovere di tutti i religiosi deve essere la contemplazione delle realtà divine e la costante unione con Dio nell'orazione.

§2. I religiosi facciano tutto il possibile per partecipare ogni giorno al Sacrificio eucaristico, ricevano il Corpo santissimo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel Sacramento.

§3. Attendano alla lettura della sacra Scrittura e all'orazione mentale, alla dignitosa celebrazione della liturgia delle ore secondo le disposizioni del diritto proprio, e compiano gli altri esercizi di pietà, fermo restando per i chierici l'obbligo di cui al can. 276, §2, n. 3.

§4. Onorino con culto speciale, anche con la pratica del rosario mariano, la Vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata.

§5. Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro.

Can. 664 - I religiosi siano perseveranti nella conversione dell'animo a Dio, attendano anche all'esame quotidiano di coscienza e si accostino con frequenza al sacramento della penitenza.

Can. 665 - §1. I religiosi devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono assentarsene senza licenza del Superiore. Se poi si tratta di una assenza prolungata, il Superiore maggiore, col consenso del suo consiglio e per giusta causa, può concedere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, ma per non più di un anno, a meno che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome dell'istituto.

§2. Il religioso che si allontana illegittimamente dalla casa religiosa, con l'intenzione di sottrarsi alla potestà dei Superiori, deve essere da questi sollecitamente ricercato e aiutato, perché ritorni e perseveri nella propria vocazione.

Can. 666 - Nel fare uso dei mezzi di comunicazione sociale si osservi la necessaria discrezione e si eviti tutto quanto può nuocere alla propria vocazione e mettere in pericolo la castità di una persona consacrata.

Can. 667 - §1. In ogni casa si osservi la clausura adeguata all'indole e alla missione dell'istituto, secondo le determinazioni del diritto proprio, facendo in modo che ci sia sempre una parte della casa riservata esclusivamente ai religiosi.

§2. Nei monasteri di vita contemplativa si dovrà osservare una più rigorosa disciplina di clausura.

§3. I monasteri di monache interamente dedite alla vita contemplativa devono osservare la clausura papale, cioè conforme alle norme date dalla Sede Apostolica. Tutti gli altri monasteri di monache osservino la clausura adatta all'indole propria e definita dalle costituzioni.

§4. Il Vescovo diocesano ha la facoltà di entrare, per giusta causa, nella clausura dei monasteri di monache situati nella sua diocesi e può anche permettere, per causa grave e col consenso della Superiora, che altri siano ammessi nella clausura e che le monache stesse ne escano per il tempo strettamente necessario.

Can. 668 - §1. Avanti la prima professione i membri cedano l'amministrazione dei propri beni a chi preferiscono e, se le costituzioni non stabiliscono altrimenti, liberamente dispongano del loro uso e usufrutto. Essi devono inoltre, almeno prima della professione perpetua, redigere il testamento, che risulti valido anche secondo il diritto civile.

§2. Per modificare queste disposizioni per giusta causa, come anche per porre qualunque atto relativo ai beni temporali, devono avere la licenza del Superiore competente a norma del diritto proprio.

§3. Tutto ciò che un religioso acquista con la propria industria o a motivo dell'istituto, rimane acquisito per l'istituto stesso.

Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque titolo, rimane acquisito dall'istituto, a meno che il diritto proprio non disponga diversamente.

§4. Chi per la natura dell'istituto deve compiere la rinuncia radicale ai suoi beni la rediga, possibilmente in forma valida anche secondo il diritto civile, prima della professione perpetua, con valore decorrente dal giorno della professione stessa.

Ugualmente proceda il professo di voti perpetui che a norma del diritto proprio volesse rinunciare a tutti i suoi beni o a parte di essi, con licenza del Moderatore supremo.

§5. Il professo che per la natura dell'istituto ha compiuto la rinuncia radicale ai suoi beni perde la capacità di acquistare e di possedere, di conseguenza pone invalidamente ogni atto contrario al voto di povertà. I beni che ricevesse dopo tale rinuncia toccheranno all'istituto, a norma del diritto proprio.

Can. 669 - §1. I religiosi portino l'abito dell'istituto, fatto a norma del diritto proprio, quale segno della loro consacrazione e testimonianza di povertà.

§2. I religiosi chierici di un istituto che non ha abito proprio adotteranno l'abito clericale a norma del can. 284.

Can. 670 - L'istituto ha il dovere di procurare ai suoi membri quanto, a norma delle costituzioni, è necessario per realizzare il fine della propria vocazione.

Can. 671 - Il religioso non si assuma incarichi o uffici fuori del proprio istituto senza la licenza del legittimo Superiore.

Can. 672 - I religiosi sono obbligati dalle disposizioni dei cann. 277, 285, 286, 287 e 289, e i religiosi chierici inoltre dalle disposizioni del can. 279, §2; negli istituti laicali di diritto pontificio, la licenza di cui al can. 285, §4, può essere concessa dal proprio Superiore maggiore.

CAPITOLO V

 L'APOSTOLATO DEGLI ISTITUTI

Can. 673 - L'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo nella testimonianza della loro vita consacrata, che essi sono tenuti ad alimentare con l'orazione e con la penitenza.

Can. 674 - Gli istituti interamente dediti alla contemplazione occupano sempre un posto eminente nel Corpo mistico di Cristo: essi infatti offrono a Dio un eccelso sacrificio di lode, arricchiscono il popolo di Dio con i frutti preziosi della santità, mentre con il proprio esempio lo stimolano e con una misteriosa fecondità apostolica lo estendono. Perciò, per quanto urgente sia la necessità dell'apostolato attivo, i membri di tali istituti non possono essere chiamati a prestare l'aiuto della loro opera nei diversi ministeri pastorali.

Can. 675 - §1. Negli istituti dediti all'apostolato l'azione apostolica appartiene alla loro stessa natura. Perciò l'intera vita dei membri sia permeata di spirito apostolico, e d'altra parte tutta l'azione apostolica sia animata dallo spirito religioso.

§2. L'azione apostolica deve sempre sgorgare dall'intima unione con Dio, e al tempo stesso consolidarla e favorirla.

§3. L'azione apostolica, da esercitarsi a nome della Chiesa e per suo mandato, sia condotta nella comunione con la Chiesa.

Can. 676 - Gli istituti laicali maschili e femminili attraverso le opere di misericordia spirituale e corporale partecipano della funzione pastorale della Chiesa e prestano agli uomini i più svariati servizi; essi perciò perseverino fedelmente nella grazia della propria vocazione.

Can. 677 - §1. I Superiori e i membri mantengano con fedeltà la missione e le opere proprie dell'istituto; tuttavia le adattino con prudenza alle necessità dei tempi e dei luoghi, adottando anche mezzi nuovi e convenienti.

§2. Gli istituti poi ai quali sono unite associazioni di fedeli si adoperino con particolare sollecitudine perché queste siano permeate del genuino spirito della loro famiglia religiosa.

Can. 678 - §1. I religiosi sono soggetti alla potestà dei Vescovi, ai quali devono rispetto devoto e riverenza, in ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato.

§2. Nell'esercizio dell'apostolato esterno i religiosi sono soggetti anche ai propri Superiori e devono mantenersi fedeli alla disciplina dell'istituto; i Vescovi stessi non tralascino di urgere, quando occorre, un tale obbligo.

§3. Nell'organizzare le attività apostoliche dei religiosi è necessario che i Vescovi diocesani e i Superiori religiosi procedano su un piano di reciproca intesa.

Can. 679 - Il Vescovo diocesano, per una causa molto grave e urgente, può proibire ad un membro di istituto religioso di dimorare nella sua diocesi qualora il Superiore maggiore, avvisato, trascurasse di provvedere in merito; in tal caso la questione deve essere subito deferita alla Santa Sede.

Can. 680 - Tra i diversi istituti, e anche tra questi e il clero secolare, si favorisca una ordinata collaborazione, nonché il coordinamento di tutte le opere e attività apostoliche sotto la guida del Vescovo diocesano, avuto riguardo all'indole e alle finalità dei singoli istituti, come pure alle leggi di fondazione.

Can. 681 - §1. Le opere che dal Vescovo diocesano vengono affidate ai religiosi sono soggette all'autorità e alla direzione del Vescovo stesso, fermo restando il diritto dei Superiori religiosi a norma del can. 678, §2 e §3.

§2. In tali casi si stipuli una convenzione scritta tra il Vescovo diocesano e il Superiore competente dell'istituto, nella quale fra l'altro sia definito espressamente e con esattezza ogni particolare relativo all'opera da svolgere, ai religiosi che vi si devono impegnare e all'aspetto economico.

Can. 682 - §1. Se si tratta di conferire un ufficio ecclesiastico in diocesi a un religioso, la nomina viene fatta dal Vescovo diocesano su presentazione, o almeno con il consenso, del Superiore competente.

§2. Il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, sia a discrezione dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità.

Can. 683 - §1. In occasione della visita pastorale, ed anche in caso di necessità, il Vescovo diocesano può visitare, personalmente o per mezzo di altri, le chiese e gli oratori cui accedono abitualmente i fedeli, le scuole e le altre opere di religione o di carità spirituale o temporale affidate ai religiosi; non però le scuole aperte esclusivamente agli alunni propri dell'istituto.

§2. Che se eventualmente il Vescovo scoprisse abusi, dopo avere richiamato inutilmente il Superiore religioso, può di sua autorità prendere egli stesso i provvedimenti del caso.

CAPITOLO VI

 SEPARAZIONE DEI MEMBRI DALL'ISTITUTO

Articolo 1 - Passaggio ad un altro istituto

Can. 684 - §1. Un professo di voti perpetui non può passare dal proprio istituto religioso ad un altro se non per concessione del Moderatore supremo dell'uno e dell'altro istituto, previo consenso dei rispettivi consigli.

§2. Il religioso dopo avere trascorso un periodo di prova, che deve durare almeno tre anni, può essere ammesso alla professione perpetua nel nuovo istituto. Se però non vuole emettere tale professione o non vi è ammesso dai Superiori competenti, ritorni all'istituto di provenienza, a meno che non abbia ottenuto l'indulto di secolarizzazione.

§3. Perché un religioso possa passare da un monastero sui iuris ad un altro dello stesso istituto o della federazione oppure della confederazione, si richiede ed è sufficiente il consenso del Superiore maggiore dell'uno e dell'altro monastero, oltre che del capitolo del monastero che lo accoglie, salvi altri requisiti determinati dal diritto proprio; non si richiede una nuova professione.

§4. Il diritto proprio determini la durata e le modalità del periodo di prova che il religioso deve compiere nel nuovo istituto prima della professione.

§5. Per passare ad un istituto secolare o ad una società di vita apostolica, oppure da questi ad un istituto religioso, è necessaria la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si deve attenere.

Can. 685 - §1. Fino al momento della professione nel nuovo istituto, mentre rimangono vincolanti i voti, sono sospesi i diritti e gli obblighi che il religioso aveva nel precedente istituto; tuttavia fin dall'inizio del periodo di prova il religioso è tenuto all'osservanza del diritto proprio del nuovo istituto.

§2. Con la professione nel nuovo istituto il religioso viene ad esso incorporato, mentre cessano i voti, i diritti e gli obblighi precedenti.

Articolo 2 - Uscita dall'istituto

Can. 686 - §1. Il Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, per grave causa può concedere ad un professo perpetuo l'indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più di tre anni, previo consenso dell'Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare se si tratta di un chierico. Una proroga dell'indulto, o una concessione superiore a tre anni, è riservata unicamente alla Santa Sede, oppure al Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano.

§2. Spetta unicamente alla Sede Apostolica concedere l'indulto di esclaustrazione per le monache.

§3. Su richiesta del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, l'esclaustrazione può essere imposta dalla Santa Sede per un membro di istituto di diritto pontificio, oppure dal Vescovo diocesano per un membro di istituto di diritto diocesano: ciò per cause gravi e salva sempre l'equità e la carità.

Can. 687 - Il religioso esclaustrato è ritenuto esonerato dagli obblighi non compatibili con la sua nuova situazione di vita, tuttavia rimane sotto la dipendenza e la cura dei suoi Superiori ed anche dell'Ordinario del luogo, soprattutto se si tratta di un chierico. Può portare l'abito dell'istituto, a meno che non sia stabilito altrimenti nell'indulto. Egli però manca di voce attiva e passiva.

Can. 688 - §1. Colui che, scaduto il tempo della professione, vuole uscire dall'istituto, lo può abbandonare.

§2. Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l'istituto può ottenere il relativo indulto dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio se si tratta di istituto di diritto pontificio; negli istituti di diritto diocesano e nei monasteri, di cui al can. 615, l'indulto, per essere valido, deve essere confermato dal Vescovo della casa di assegnazione.

Can. 689 - §1. Allo scadere della professione temporanea, se sussistono giuste cause, un religioso può essere escluso dalla successiva professione, da parte del competente Superiore maggiore, udito il suo consiglio.

§2. Una infermità fisica o psichica, anche contratta dopo la professione, quando a giudizio degli esperti rende non idoneo alla vita nell'istituto il religioso di cui al §1, costituisce motivo per non ammetterlo alla rinnovazione della professione o della professione perpetua, salvo il caso che l'infermità sia dovuta a negligenza da parte dell'istituto, oppure a lavori sostenuti nell'istituto stesso.

§3. Se però il religioso, durante i voti temporanei, diventa demente, anche se non è in grado di emettere la nuova professione, non può tuttavia essere dimesso dall'istituto.

Can. 690 - §1. Chi al termine del noviziato, oppure dopo la professione, è uscito legittimamente dall'istituto può esservi riammesso dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio, senza l'onere di ripetere il noviziato; spetterà tuttavia al Moderatore stesso stabilire un conveniente periodo di prova prima della professione temporanea e la durata dei voti temporanei prima della professione perpetua, a norma dei cann. 655 e 657.

§2. Della stessa facoltà gode il Superiore di un monastero sui iuris, con il consenso del suo consiglio.

Can. 691 - §1. Un professo di voti perpetui non chieda l'indulto di lasciare l'istituto se non per cause molto gravi ponderate davanti a Dio; presenti la sua domanda al Moderatore supremo dell'istituto, il quale la inoltrerà all'autorità competente insieme con il voto suo e del suo consiglio.

§2. Tale indulto per gli istituti di diritto pontificio è riservato alla Sede Apostolica; per gli istituti di diritto diocesano lo può concedere anche il Vescovo della diocesi in cui è situata la casa di assegnazione.

Can. 692 - L'indulto di lasciare l'istituto, una volta legittimamente concesso e notificato al religioso, se da lui non fu rifiutato all'atto della notificazione, comporta per il diritto stesso la dispensa dai voti, come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione.

Can. 693 - Se il religioso è chierico l'indulto non viene concesso finché egli non abbia trovato un Vescovo che lo incardini nella diocesi o almeno lo riceva in prova. In quest'ultimo caso, trascorsi cinque anni, il religioso viene incardinato nella diocesi, per il diritto stesso, a meno che il Vescovo non lo abbia respinto.

Articolo 3 - Dimissione dei religiosi

Can. 694 - §1. Si deve ritenere dimesso dall'istituto, per il fatto stesso, il religioso che: 1) abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica; 2) abbia contratto matrimonio o ad esso abbia attentato, anche solo civilmente.

§2. In tali casi il Superiore maggiore col suo consiglio deve senza indugio, raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti giuridicamente.

Can. 695 - §1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto per i delitti di cui ai cann. 1397, 1398 e 1395 a meno che, per i delitti di cui al can. 1395, §2, il Superiore non ritenga che la dimissione non sia affatto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in altro modo alla correzione del religioso come pure alla reintegrazione della giustizia e alla riparazione dello scandalo.

§2. In tali casi il Superiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla imputabilità, renda note al religioso e l'accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi. Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso controfirmate, siano trasmessi al Moderatore supremo.

Can. 696 - §1. Un religioso può essere dimesso anche per altre cause purché siano gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come ad esempio: la negligenza abituale degli obblighi della vita consacrata; le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la disobbedienza ostinata alle legittime disposizioni dei Superiori in materia grave; un grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l'ostinato appoggio o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa; l'adesione pubblica a ideologie inficiate di materialismo o di ateismo; l'assenza illegittima, di cui al ca. 665, §2, protratta per sei mesi; altre cause di simile gravità eventualmente determinate dal diritto proprio.

§2. Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti anche cause di minore gravità, stabilite dal diritto proprio.

Can. 697 - Nei casi di cui al can. 696, se il Superiore maggiore, udito il suo consiglio, giudica che si debba avviare il processo di dimissione:

1) raccolga o integri le prove;

2) ammonisca il religioso, per iscritto o davanti a due testimoni con la esplicita comminazione della conseguente dimissione in caso di mancato ravvedimento, notificandogli chiaramente la causa della dimissione e accordandogli piena facoltà di rispondere in propria difesa; qualora poi l'ammonizione risulti inutile, il Superiore proceda a una seconda, dopo un intervallo di almeno quindici giorni;

3) se anche questa seconda ammonizione risultasse inutile, e se il Superiore maggiore col suo consiglio giudicasse sufficientemente provata l'incorreggibilità, e insufficienti le difese del religioso, trascorsi senza risultato altri quindici giorni dall'ultima ammonizione, trasmetta al Moderatore supremo tutti gli atti, sottoscritti da lui stesso e dal notaio, unitamente alle risposte date dal religioso e da lui firmate.

Can. 698 - In tutti i casi di cui ai cann. 695 e 696 rimane sempre fermo il diritto del religioso di comunicare con il Moderatore supremo e di esporre a lui direttamente gli argomenti a propria difesa.

Can. 699 - §1. Il Moderatore supremo col suo consiglio, che per la validità deve constare di almeno quattro membri, proceda collegialmente ad una accurata valutazione delle prove, degli argomenti e delle difese e, se ciò risulta per votazione segreta, emetterà il decreto di dimissione; questo, per essere valido, esprima almeno sommariamente i motivi, in diritto e in fatto.

§2. Nei monasteri sui iuris, di cui al can. 615, la decisione circa la dimissione compete al Vescovo diocesano, al quale il Superiore deve sottoporre gli atti revisionati dal suo consiglio.

Can. 700 - Il decreto di dimissione non ha vigore se non fu confermato dalla Santa Sede, alla quale vanno trasmessi il decreto stesso e tutti gli atti; per gli istituti di diritto diocesano la conferma spetta al Vescovo della diocesi in cui sorge la casa alla quale il religioso è ascritto. Il decreto tuttavia, per avere valore, deve indicare il diritto, di cui gode il religioso dimesso, di ricorrere all'autorità competente entro dieci giorni dalla ricezione della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo.

Can. 701 - Con la legittima dimissione cessano, per il fatto stesso, i voti e insieme gli obblighi derivanti dalla professione.

Se però il religioso è chierico, non potrà esercitare gli ordini sacri fino a quando non abbia trovato un Vescovo il quale, dopo un conveniente periodo di prova nella diocesi a norma del can. 693, lo accolga o almeno gli consenta l'esercizio degli ordini sacri.

Can. 702 - §1. Coloro che legittimamente escono dall'istituto religioso o ne sono legittimamente dimessi non possono esigere nulla dall'istituto stesso per qualunque attività in esso compiuta.

§2. L'istituto deve però osservare l'equità e la carità evangelica verso il religioso che se ne separa.

Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno o nel pericolo imminente di un gravissimo danno per l'istituto il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente, da parte del Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale col consenso del suo consiglio. Se è necessario, il Superiore maggiore curi che si istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica.

Can. 704 - Dei religiosi che a qualunque titolo sono separati dall'istituto si faccia menzione nella relazione, di cui al can.

592, §1, da inviare alla Sede Apostolica.

CAPITOLO VII

 I RELIGIOSI ELEVATI ALL'EPISCOPATO

Can. 705 - Il religioso elevato all'episcopato continua ad essere membro del suo istituto, ma in forza del voto di obbedienza è soggetto solamente al Romano Pontefice e non è vincolato da quegli obblighi che, nella sua prudenza, egli stesso giudichi incompatibili con la propria condizione.

Can. 706 - Il religioso di cui sopra: 1) se per la professione ha perduto il dominio dei suoi beni, ricevendone altri ne ha l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione; quanto alla proprietà, il Vescovo diocesano e gli altri di cui al can. 381, §2, l'acquistano per la Chiesa particolare; tutti gli altri per l'istituto, oppure per la Santa Sede, a seconda che l'istituto abbia o no la capacità di possedere; 2) se per la professione non ha perduto il dominio dei suoi beni ne ricupera l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione; e acquista per sé a pieno titolo quelli che gli provengono in seguito; 3) in entrambi i casi, deve disporre secondo la volontà degli offerenti per quei beni che gli provengono non a titolo personale.

Can. 707 - §1. Il religioso Vescovo emerito può scegliersi la sede in cui abitare, anche fuori dalle case del proprio istituto, a meno che la Sede Apostolica non abbia disposto altrimenti.

§2. Quanto al suo sostentamento conveniente e degno, se il Vescovo è stato a servizio di una diocesi si osserverà il can. 402, §2, a meno che il suo istituto non voglia provvedere a tale sostentamento; altrimenti la Sede Apostolica disporrà in altro modo.

CAPITOLO VIII

 LE CONFERENZE DEI SUPERIORI MAGGIORI

Can. 708 - I Superiori maggiori possono utilmente associarsi in conferenze o consigli per conseguire più agevolmente, nell'unione delle forze, il fine proprio dei singoli istituti, salvi sempre l'autonomia, l'indole e lo spirito proprio di ognuno, sia per trattare affari di comune interesse, sia per instaurare un opportuno coordinamento e cooperazione con le conferenze dei Vescovi ed anche con i singoli Vescovi.

Can. 709 - Le conferenze dei Superiori maggiori abbiano i propri statuti approvati dalla Santa Sede, dalla quale unicamente possono essere erette, anche in persone giuridiche, e sotto la cui suprema direzione esse rimangono.

TITOLO III

GLI ISTITUTI SECOLARI (Cann. 710 – 730)

 

Can. 710

L'istituto secolare è un istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo soprattutto operando all'interno di esso.

Can. 711 - Un membro di istituto secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione canonica, laicale o clericale, in mezzo al popolo di Dio, salve le disposizioni del diritto a proposito degli istituti di vita consacrata.

Can. 712 - Ferme restando le disposizioni dei cann. 598-601, le costituzioni stabiliscano i vincoli sacri con cui vengono assunti nell'istituto i consigli evangelici e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell'istituto.

Can. 713 - §1. I membri di tali istituti esprimono e realizzano la propria consacrazione nell'attività apostolica e come un fermento si sforzano di permeare ogni realtà di spirito evangelico per consolidare e far crescere il Corpo di Cristo.

§2. I membri laici, nel mondo e dal di dentro del mondo, partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa sia mediante la testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l'aiuto che danno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e il mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo. Essi offrono inoltre la propria collaborazione per il servizio della comunità ecclesiale, secondo lo stile di vita secolare loro proprio.

§3. I membri chierici sono di aiuto ai confratelli con una peculiare carità apostolica, attraverso la testimonianza della vita consacrata, soprattutto nel presbiterio, e in mezzo al popolo di Dio lavorano alla santificazione del mondo con il proprio ministero sacro.

Can. 714 - I membri degli istituti secolari conducano la propria vita nelle situazioni ordinarie del mondo, soli, o ciascuno nella propria famiglia, o in gruppi di vita fraterna a norma delle costituzioni.

Can. 715 - §1. I membri chierici incardinati in una diocesi dipendono dal Vescovo diocesano, salvo quanto riguarda la vita consacrata nel proprio istituto.

§2. Quelli invece che a norma del  can. 266, §3 vengono incardinati nell'istituto, se sono destinati alle opere proprie dell'istituto o a funzioni di governo all'interno di esso, dipendono dal Vescovo allo stesso modo dei religiosi.

Can. 716 - §1. Tutti i membri partecipino attivamente alla vita dell'istituto secondo il diritto proprio.

§2. I membri di uno stesso istituto conservino la comunione tra loro curando con sollecitudine l'unità dello spirito e la vera fraternità.

Can. 717 - §1. Le costituzioni definiscano la forma di governo propria dell'istituto, la durata in carica dei Moderatori e il modo della loro designazione.

§2. Nessuno sia designato come Moderatore supremo se non è stato incorporato nell'istituto in modo definitivo.

§3. Coloro che nell'istituto hanno incarichi di governo abbiano cura che sia conservata l'unità dello spirito e che sia promossa l'attiva partecipazione dei membri.

Can. 718 - L'amministrazione dei beni dell'istituto, che deve esprimere e favorire la povertà evangelica, è regolata dalle norme del Libro V, I beni temporali della Chiesa, e dal diritto proprio dell'istituto. Il diritto proprio deve parimenti definire gli obblighi, specialmente di carattere economico, dell'istituto verso i membri che ad esso dedicano la propria attività.

Can. 719 - §1. Per rispondere fedelmente alla propria vocazione e perché la loro azione apostolica scaturisca dall'unione con Cristo, i membri siano assidui all'orazione, attendano convenientemente alla lettura delle sacre Scritture, osservino i tempi di ritiro annuale e compiano le altre pratiche spirituali secondo il diritto proprio.

§2. La celebrazione dell'Eucaristia, in quanto possibile quotidiana, sia la sorgente e la forza di tutta la loro vita consacrata.

§3. Si accostino liberamente e con frequenza al sacramento della penitenza.

§4. Siano liberi di ricevere la necessaria direzione della coscienza e di richiedere consigli in materia, se lo desiderano, anche ai propri Moderatori.

Can. 720 - Il diritto di ammettere nell'istituto per il periodo di prova oppure per assumere i vincoli sacri, sia temporanei sia perpetui o definitivi, compete ai Moderatori maggiori con il loro consiglio, a norma delle costituzioni.

Can. 721 - §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale: 1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età; 2) chi è legato attualmente con un vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica; 3) chi è sposato, durante il matrimonio.

§2. Le costituzioni possono stabilire altri impedimenti, anche per la validità dell'ammissione, o apporre altre condizioni.

§3. Per essere accettati si richiede inoltre la maturità necessaria per condurre in modo conveniente la vita propria dell'istituto.

Can. 722 - §1. La prova iniziale sia ordinata allo scopo che i candidati prendano più chiara coscienza della loro vocazione divina e di quella specifica dell'istituto, ne vivano lo spirito e sperimentino il genere di vita ad esso proprio.

§2. I candidati siano opportunamente formati a condurre una vita secondo i consigli evangelici e istruiti a trasformare integralmente la propria esistenza in apostolato, adottando quelle forme di evangelizzazione che meglio rispondano al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto.

§3. Le costituzioni devono definire il metodo e la durata di tale prova, non inferiore a due anni, che precede il primo impegno con vincoli sacri nell'istituto.

Can. 723 - §1. Compiuto il tempo della prova iniziale il candidato che viene giudicato idoneo assuma i tre consigli evangelici, confermati dal vincolo sacro, oppure lasci l'istituto.

§2. Questa prima incorporazione, non inferiore a cinque anni, sia temporanea a norma delle costituzioni.

§3. Trascorso tale periodo di tempo, il membro giudicato idoneo sia ammesso all'incorporazione perpetua oppure a quella definitiva, cioè con vincoli temporanei da rinnovarsi sempre ad ogni scadenza.

§4. L'incorporazione definitiva è equiparata a quella perpetua, in ordine a determinati effetti giuridici, che devono essere stabiliti nelle costituzioni.

Can. 724 - §1. Dopo il primo impegno con vincoli sacri, la formazione deve essere continuata costantemente a norma delle costituzioni.

§2. I membri devono essere preparati di pari passo tanto nelle scienze umane quanto in quelle divine; i Moderatori dell'istituto sentano seriamente la responsabilità della loro continua formazione spirituale.

Can. 725 - L'istituto può associare a sé, con qualche vincolo determinato dalle costituzioni, altri fedeli che si impegnino a tendere alla perfezione evangelica secondo lo spirito dell'istituto e a partecipare della sua stessa missione.

Can. 726 - §1. Trascorso il periodo dell'incorporazione temporanea il membro può liberamente lasciare l'istituto, o per giusta causa può essere escluso dalla rinnovazione dei vincoli sacri da parte del Moderatore maggiore, udito il suo consiglio.

§2. Il membro di incorporazione temporanea che lo richieda spontaneamente, per grave causa può ottenere dal Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, l'indulto di lasciare l'istituto.

Can. 727 - §1. Se un membro incorporato con vincolo perpetuo vuole lasciare l'istituto, dopo avere seriamente ponderato la cosa davanti al Signore deve chiederne l'indulto, per mezzo del Moderatore supremo, alla Sede Apostolica se l'istituto è di diritto pontificio; altrimenti anche al Vescovo diocesano, secondo quanto è definito dalle costituzioni.

§2. Trattandosi di sacerdote incardinato nell'istituto si osservi il disposto del  can. 693.

Can. 728 - Con la legittima concessione dell'indulto di lasciare l'istituto cessano tutti i vincoli, e insieme i diritti e gli obblighi derivanti dall'incorporazione.

Can. 729 - La dimissione di un membro dall'istituto avviene a norma dei cann.  694 e  695. Le costituzioni definiscano altre cause di dimissione, purché siano proporzionatamente gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, e inoltre si osservi la procedura stabilita ai cann.  697-700. Al membro dimesso si applica il disposto del can. 701.

Can. 730 - Per il passaggio di un membro di istituto secolare ad un altro istituto secolare si osservino le disposizioni dei cann.  684, §§1, 2, 4 e  685; per il passaggio invece a un istituto religioso o ad una società di vita apostolica, o da questi ad un istituto secolare, si richiede la licenza della Sede Apostolica, alle cui disposizioni ci si deve attenere

SEZIONE II

LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA (Cann. 731 – 746)

 

Can. 731 - §1. Agli istituti di vita consacrata sono assimilate le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l'osservanza delle costituzioni.

§2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche vincolo definito dalle costituzioni.

Can. 732 - Quanto è stabilito nei cann.  578-597 e  606 si applica anche alle società di vita apostolica, tuttavia nel rispetto della natura di ciascuna società; alle società di cui al  can. 731, §2, si applicano anche i cann.  598-602.

Can. 733 - §1. Una casa viene eretta e una comunità locale viene costituita dall'autorità competente della società previo consenso scritto del Vescovo diocesano, il quale deve essere anche consultato quando si tratta della soppressione di queste.

§2. Il consenso per l'erezione di una casa comporta il diritto di avere almeno un oratorio, nel quale sia celebrata e custodita la santissima Eucaristia.

Can. 734 - Il governo della società è definito dalle costituzioni, osservati, secondo la natura delle singole società, i cann. 617-633.

Can. 735 - §1. L'ammissione dei membri, il periodo di prova, l'incorporazione e la formazione vengono determinati dal diritto proprio di ogni società.

§2. Per l'ammissione nella società si osservino le condizioni stabilite dai cann.  642-645.

§3. Il diritto proprio deve determinare il regolamento per la prova e per la formazione, in consonanza con il fine e l'indole della società, particolarmente in campo dottrinale, spirituale, apostolico, cosicché i membri, riconoscendo la vocazione divina, siano convenientemente preparati alla missione e alla vita della società.

Can. 736 - §1. Nelle società clericali i chierici sono incardinati alla società stessa, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti.

§2. Per quanto riguarda il piano degli studi e la recezione degli ordini, si seguano le norme previste per i chierici secolari, fermo restando tuttavia il §1.

Can. 737 - L'incorporazione comporta da parte dei membri gli obblighi e i diritti definiti dalle costituzioni; da parte della società l'impegno di guidare i membri alla realizzazione della propria vocazione secondo le costituzioni.

Can. 738 - §1. Tutti i membri sono soggetti ai propri Moderatori a norma delle costituzioni in ciò che riguarda la vita interna e la disciplina della società.

§2. Sono soggetti inoltre al Vescovo diocesano in ciò che riguarda il culto pubblico, la cura delle anime e le altre attività apostoliche, attesi i cann. 679-683.

§3. Le relazioni tra il membro incardinato nella diocesi e il proprio Vescovo sono definite dalle costituzioni o da particolari convenzioni.

Can. 739 - I membri, oltre agli obblighi che secondo le costituzioni li toccano in quanto tali, sono tenuti agli obblighi comuni ai chierici, a meno che non risulti altrimenti dalla natura delle cose o dal contesto.

Can. 740 - I membri devono abitare nella casa o nella comunità legittimamente costituita e osservare la vita in comune a norma del diritto proprio; da questo sono pure regolate le assenze dalla casa o dalla comunità.

Can. 741 - §1. Le società e, se non è detto altrimenti nelle costituzioni, le loro parti e le case, sono persone giuridiche e in quanto tali hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali a norma delle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa, dei cann. 636, 638 e 639, nonché del diritto proprio.

§2. Anche i membri, a norma del diritto proprio, hanno la capacità di acquistare, possedere e amministrare beni temporali e di disporne, ma tutto ciò che loro proviene in considerazione della società rimane acquisito per la società stessa.

Can. 742 - L'uscita e la dimissione dei membri non ancora incorporati in modo definitivo sono regolate dalle costituzioni di ciascuna società.

Can. 743 - Un membro incorporato definitivamente può ottenere dal Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, l'indulto di lasciare la società, con la conseguente cessazione dei diritti e degli obblighi derivanti dall'incorporazione, fermo restando il disposto del can. 693, a meno che tale concessione non sia a norma delle costituzioni riservata alla Santa Sede.

Can. 744 - §1. È parimenti riservato al Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, di concedere a un membro incorporato definitivamente la licenza di passare ad un'altra società di vita apostolica, venendo frattanto sospesi i diritti e gli obblighi della propria società, fermo restando tuttavia il diritto di potervi ritornare prima dell'incorporazione definitiva nella nuova società.

§2. Per il passaggio ad un istituto di vita consacrata, o da questo ad una società di vita apostolica, si richiede la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si dovrà attenere.

Can. 745 - Il Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio può concedere a un membro incorporato in modo definitivo l'indulto di vivere fuori della società, tuttavia non oltre tre anni, rimanendo sospesi i diritti e gli obblighi incompatibili con la sua nuova condizione; questi però rimane sotto la cura dei Moderatori.

Se si tratta di un sacerdote, si richiede inoltre il consenso dell'Ordinario del luogo in cui deve dimorare, rimanendo anche sotto la sua cura e dipendenza.

Can. 746 - Per la dimissione di un membro definitivamente incorporato si osservino, con gli adattamenti del caso, i cann. 694-704.

 

 

Conosciamo e crediamo