TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

 

Conosciamo e crediamo

 

Chi è Gesù Cristo?

 

Viaggio nella Passione

 

Ultima cena e racconti della Passione

 

          Vogliamo cercare di capire la ricostruzione storica, ma anche il significato della morte di Gesù:

  1. La salvezza che quella morte in croce ha portato all'umanità

  2. L'escatologia, con la morte e resurrezione di Gesù si completa il discorso dell'incarnazione, la morte in croce ne è il compimento. La morte di Gesù è l'adempimento delle scritture.

          Ci troviamo davanti al dato storico più ampio, tanto che qualcuno ha detto che i vangeli sono il racconto della passione con un'ampia introduzione. Nei racconti della passione, cominciamo con la cena, il Getsemani, ecc. c'è un disegno comune tra i quattro vangeli, pur nelle loro diversità che costituiscono la ricchezza dei vangeli. C'è nei racconti della passione un filo omogeneo che non c'è nel resto della vita di Gesù. Ampiezza e anche una coerenza interna al racconto, nella nostra ricostruzione della storia di Gesù ci troviamo di fronte a due dati, anzitutto vorremmo capire dove e come possiamo attingere a questa vicenda. Luca mette in rilievo molte cose che gli altri evangelisti non dicono, questo perché Luca mette anche il discepolo nella passione di Gesù. C'è un luogo particolare dove la Chiesa primitiva fa memoria e rivive quel che è successo ed è l'eucarestia, uno dei primi temi che affronteremo quindi è proprio la cena del Signore che fa memoria di quel che è successo. Quando si radunavano succedevano due cose: c'era un gesto memoriale fondamentale che era ripetere quelle parole di Gesù, si rivive quell'evento, si ricorda la passione e lì Gesù è presente e ridà comunione, comunione e diaconia, comunione e servizio, questi erano i due risultati.

          I racconti venivano trasmessi quindi perché collegati all'esperienza che veniva fatta, il punto era convertirsi a questo evento e diventare discepoli, questo era talmente preponderante che San Paolo non racconta la vita di Gesù, Paolo annuncia l'evento, un evento trasformante. Il che cosa veramente è successo ce lo dicono i vangeli, anche se certo non con estrema esattezza.

          Il culto cristiano è il luogo in cui incrociamo questi tipi di racconti, fare memoria è già tipico dell'Antico Testamento, ogni volta che c'erano i sacrifici di lode si compiva la memoria di ciò che il Signore aveva fatto lungo la storia della salvezza: la liberazione dall'Egitto, l'alleanza, sino alla nuova alleanza di Ger 31,31. Il fare memoria nella Bibbia non vuol dire celebrare un compleanno commemorare un anniversario ma rivivere lo stesso atto, quell'unico atto diventa significativo per l'oggi, il racconto di quanto Dio ha operato si traduce in un inno di lode che nel culto giudaico veniva vissuto tramite i sacrifici con cui si ringraziava Dio per le opere compiute. Ciò che veniva vissuto nel culto antico di Israele ancora di più accade oggi per la cena del Signore, che rappresentava l'atto di culto per eccellenza, nel narrare gli avvenimenti salvifici in questo atto di culto. Il narrare è dato con il termine anamnesi, oggi questo termine si è un po' impoverito nel linguaggio bibblico è quella memoria che diventa vivente. La cena per i primi cristiani rappresentava un agire cultuale nel quale si riviveva quell'evento liberatore di Dio attraverso Gesù, per entrare nel Regno escatologico, tanto che la preghiera più ricorrente era maranatà, vieni Signore Gesù.

          La cena cristiana a differenza dei sacrifici giudaici non pretende dei sacrifici come nell'Antico Testamento ma fa memoria dell'evento della croce e della resurrezione, si rievocano i gesti di Gesù sul pane e sul vino, non offrendo qualcosa quindi ma facendo memoria della morte e resurrezione di Gesù. A livello di culto si rivive l'avvenimento della morte e resurrezione di Gesù. Vi è un nesso tra la cena pasquale ebraica e quella istituita da Gesù? Si certamente vi è un collegamento soltanto che i riti che compivano gli ebrei venivano fatti soprattutto per rafforzare l'identità del popolo e quindi salvaguardare il loro stato di purità rispetto a colui che non era puro. Nella cena cristiana non ci sono più discriminazioni tra puro e impuro, tutti trovano posto, anzi durante la cena cristiana i più poveri trovavano un aiuto. San Paolo si scaglia nella 1 Cor con la cena che non veniva divisa tra tutti in maniera equa. La cena cristiana aveva due scopi quello di cementare la comunione tra i cristiani, significa fare corpo, fare Chiesa e poi soccorrere gli indigenti. Quando se ne andavano alle loro case ognuno doveva avere qualcosa, non ci doveva essere chi aveva di più e chi di meno.

            In questa cena c'è a un certo punto la cena del Signore, ci si riferiva al pane e al vino. Due testi di San Paolo son molto importanti:

  1. 1 Cor 10,16 (“il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? "). Siamo nel contesto dei pasti sacri e degli idolotriti, Paolo dice che accostarsi al pane e al calice significa accostarsi a Cristo, fare comunione con Cristo. Questa comunione si vive soprattutto con i segni che Gesù ci ha lasciato durante l'ultima cena.

  2. 1 Cor 11, questo è il testo più importante, prima Paolo fa un discorso sul rapporto uomo donna davanti a Dio e poi al versetto 17 inizia a parlare della cena del Signore, qui c'è tutta la dottrina eucaristica di Paolo. Al capitolo 12 inizierà a parlare dei carismi. Nei versetti 17-23 Paolo rimprovera i Corinzi per il loro comportamento, come ci si può accostare al corpo del Signore se ci sono delle ingiustizie, chi ha più e chi meno? 1 Cor 11, 23-26 (“Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane [24]e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». [25]Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». [26]Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.”) importanti già le prime parole, dice che ha ricevuto dal Signore, il verbo greco vuol dire accogliere, come qualcosa che è stata consegnata. Paolo ha ricevuto dal Signore probabilmente intende che lo ha accolto dalle prime comunità che glielo hanno raccontato, e l'ha ricevuto come qualcosa di molto prezioso, da trasmettere, quasi un testamento, una cosa delicatissima. Questi 3 versetti rappresentano il testo più antico di tutto il Nuovo Testamento che si riferisce all'eucarestia, ma forse è il testo più antico di tutti in assoluto, sappiamo infatti che Paolo si trovava a Corinto tra il 50-52 d.C. Abbiamo una lettera dell'imperatore Claudio a Gaulione che scrive per una questione dei confini, al tempio di Delphi abbiamo trovato un'iscrizione che afferma che Gaulione è stato console tra il 50-51 o il 51- 52. Siamo certi che il proconsole Gaulione è a Corinto, e siamo certi che è nel 50 a Corinto perchè dice che ha incontrato Attila e Priscilla, l'espulsione degli ebrei cristiani da Roma è nel 49 d.C. Quindi se è così non si va oltre al 50 d.C. Paolo era quindi già a Corinto nel 50 d.C. Paolo dice ora nella lettera, che è del 56 d.C., che in realtà l'ha già trasmessa a loro, quindi questa tradizione appartiene con grande probabilità ancora prima alla comunità di Antiochia, e ad Antiochia Paolo era ben conosciuto. Grandi affinità inoltre con Luca che anche lui attinge dalla comunità antiochiana. Questo testo diventa un punto di partenza per gli altri testi dei vangeli, o meglio i sinottici, visto che in Giovanni non c'è il racconto dell'ultima cena ma solo la lavanda dei piedi. Da questo testo di Paolo si evince che la cena del Signore non era altro che la memoria della croce e resurrezione ma invocavano il Signore con l'espressione Maràna tha (Vieni Signore Gesù). La cena del Signore è quindi due cose anamnesi e prognosi, memoria e prognosi, cioè futuro, quello che sarà, noi annunciamo ciò che è stato e sarà.

          La cena del Signore soprattutto negli Atti degli Apostoli viene chiamata anche fratio panis, come nell'Antico Testamento c'era nei sacrifici il racconto delle meraviglie di Dio ora si ascoltano gli insegnamenti del Signore morto e risorto. La luce della Pasqua illumina i fatti accaduti in Gesù di Nazareth questi fatti accaduti raccontano e attualizzano la profezia del Servo di Jahvè, che è ora Gesù, che morì per amore perseguitato ma ora è vivo in mezzo a noi.

          Questi racconti raccontano il fatto o già interpretano il fatto? È importante che quei racconti sono avvenuti in una memoria viva, in un contesto di fede e non di biografia, i racconti che abbiamo sono racconti affidabili perchè ci vogliono riprodurre dei fatti che andavano contro l'interesse stesso della comunità, ci parlano di un messia che è condannato, sbeffeggiato, un messia perdente, perchè raccontare la storia di colui che ha perso se la comunità cristiana vive nella gioia? La storia antica è sempre stata la storia dei vincitori, quasi mai nessuno ha scritto la storia degli sconfitti, qui si racconta la storia di uno sconfitto che però non risulta tale per la sua comunità.

          Il racconto della cena di addio risulta essere il frutto di diverse tradizioni, diverse comunità che hanno tramandato qualche cosa sino a che è arrivato qualcuno che ha interpretato queste tradizioni e con un'intenzione particolare ci ha dato un testo. I racconti che abbiamo gli autori da dove li hanno presi? Ogni autore ha le sue fonti. Nei testi sacri per il racconto della cena esistono due tradizioni che si intersecano tra loro una cultuale e una testamentaria, si incrociano ma nei testi c'è la prevalenza ora dell'una ora dell'altra. La prima tradizione, quella cultuale, voleva collegare quello che facevano i primi cristiani con quello che faceva Gesù, la prassi cristiana con quella di Gesù e si nota qui una forte sensibilità liturgica e storica. La liturgia è un atto sacro non è una commemorazione è rivivere in modo sacro un avvenimento. Una liturgia ha quindi dei codici e segni particolari che non possono essere stravolti, questi atti hanno bisogno di alcuni segni di riconoscimento. Gesù ha celebrato la cena di addio in un contesto pasquale ebraico, ha osservato certi codici ma poi è andato oltre. C'è anche un'altra tradizione detta testamentaria che tende a collegare la prassi della carità dei primi cristiani con la prassi di Gesù, il testamento che ha lasciato Gesù è quella di servirsi gli uni e gli altri, ha lavato i piedi degli apostoli. Questo è il suo testamento.

  1. Della tradizione cultuale i testi sono: 1 Cor 11,23-26; Lc 22,19-30; Mc 14,22-24; Mt 26,26-28. I testi che si rassomigliano di più sono Paolo e Luca, Marco e Matteo dicono qualcosina di più. I primi cristiani celebrano, mettono in pratica l'insegnamento di Gesù nella sua ultima cena. Ci sono poi delle sfumature diverse, esiste un tramandarsi delle cose che parte dalla sensibilità dalla Chiesa di Antiochia, l'altra si riferisce di più a Marco che accentua l'aspetto sacrificale della cena del Signore, è detta tradizione marciana.

    • La prima tradizione antiochena insiste sul dono personale di Gesù e sottointende una teologia dell'alleanza, quando si celebra la cena del Signore avviene una nuova alleanza, non più con i sacrifici degli animali, ma con la morte di Gesù. Le assemblee dei primi cristiani erano pervase dalla gioia della Pasqua e si pregustava il banchetto escatologico e convergevano i ricordi dell'evento passato la cena del Signore e la sua morte e resurrezione. I primi cristiani bevendo e mangiando dell'unico pane credevano che si attualizzasse la nuova alleanza di Gesù con i suoi discepoli. Questa teologia la troveremo poi sviluppata nella Lettera agli Ebrei, dove per giunta il collegamento con i sacrifici antichi e la figura del mediatore sono messi a fuoco in un modo eccezionale.

    • L'orientamento marciano vedeva in Gesù il compimento dei sacrifici antichi espiatori, il sangue versato era il segno della comunione tra Dio e il suo popolo, anche in altre religioni esiste questo. Non è tanto il sangue in sé che conta ma il significato: Dio che si è alleato con il suo popolo per sempre. In questi testi avviene che Gesù ormai è l'unico sacrificio di espiazione non bisogna fare altri sacrifici di animali, l'unico sacrificio è quello del Cristo, qui nel sangue si compone l'alleanza nuova e definitiva, quando si rievocavano poi i fatti della passione si metteva l'accento sul fatto che Gesù è quel servo di Jahvè che ha espiato per molti, ma c'è bisogno di ricomprendere questa espiazione, non ha pagato qualche cosa al Padre per ripagarlo. La tradizione cultuale fonda insieme l'idea della nuova alleanza e l'anticipazione dell'atto di espiazione che si sarebbe compiuta sul calvario. La cena cristiana era un sacrificio di lode che commemorava la nuova alleanza superando il sacrificio antico mosaico.

  2. Nella tradizione testamentaria l'accento cade non tanto sul pane e sul vino ma sul comandamento nuovo, i testi sono Gv 15,12 Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni e gli altri come io ho amato voi; Mc 14,25; Mt 26,29; Lc 22,15-18. Nel testo di Luca troviamo il discorso del calice, Luca lega il comando di Gesù al fatto di adempiere a questa memoria, si deve adempiere una memoria per un mandato di Gesù “fate questo in memoria di me” significa che gli apostoli e i loro successori hanno il compito di reiterare questo gesto perchè continui a significare la passione e morte di Gesù. Si dice che in questa tradizione testamentaria avviene come un accostamento di testamenti biblici dal quale emerge che una persona prima di morire riunisce i suoi e dà loro addio magari in occasione del pasto, facendo del pasto un atto di Dio, c'è qualche cosa che ha da dire. Nell'approssimarsi della fine si radunano intorno a una persona coloro che devono ascoltare una parola, avere un lascito, è una consegna del comandamento del Gesù del comandamento reciproco, in questi testi appare come colui che serve, i commensali vengono serviti da Gesù. Lc 22,27-30 “Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. [28]Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; [29]e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, [30]perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.”. Ci sono molti elementi che si intersecano il Gesù che si fa servitore, tradizione testamentaria, unita al senso della cena del Signore, l'aspetto escatologico, mangiare e bere un giorno nel suo Regno. Aspetto testamentario, conviviale ed escatologico, tre aspetti insieme intrecciati. Chi come Gesù serve sarà un giorno servito dal Figlio dell'Uomo nel Regno futuro. Anche oggi attraverso il culto siamo richiamato al servizio e alla carità. L'eucarestia è fonte e culmine della vita cristiana, è fonte come sorgente, dall'eucarestia siamo nutriti e culmine quando viene messo in pratica. Culto e carità rendono presente Gesù in mezzo a noi, l'una senza l'altra non può stare.

          Entrambe le due tradizioni ci riportano alla cena del Signore e mostrano una convergenza verso la storia vissuta da Gesù durante la sua morte, la cena del Signore è un anticipo della morte e resurrezione di Gesù. La cena eucaristica dei primi cristiani è luogo privileggiato per fare memoria delle gesta di Gesù martire e profeta. Se la cena che ha fatto Gesù è stato come spiegare in anticipo la sua passione e morte ora la cena dei primi cristiani è celebrare quel che Gesù aveva preannunciato e compiuto qualche giorno dopo. I primi cristiani quando si radunano per celebrare la cena del Signore raccontano quello che è stato.

          I racconti della passione e morte non sono altro che l'incrocio di diverse tradizioni. Nei racconti delle ultime cene le comunità erano diverse e i narratori erano diversi. Vero che la tradizione orale era importantissima e quindi i trasmettitori dovevano essere fedelissimi a ciò che avevano appreso ma è chiaro che il linguaggio non è qualcosa di univoco, tutto ciò arricchito dal fatto che l'evangelista non può non tenere presente chi ha davanti, quindi si basa anche su chi ha davanti. Nei racconti della passione noi abbiamo quattro prospettive, quale è allora la storia reale? La storia reale non c'è nel senso biografico, non vuol dire che la storia dei vangeli non sia vera, lo è nella sostanza dei fatti, si applica infatti il criterio storico della molteplice attestazione molto più che a tanti altri testi.

Viaggio nella Passione