Lo chiamano Cyberknife. E’ un’apparecchiatura costituita da un sistema di guida ad immagini, che localizza il tumore - soprattutto al cervello e alla spina dorsale (ma il suo uso si sta diffondendo anche nei confronti dei casi di neoplasie maligne dei polmoni e della prostata) – e attraverso un braccio robotico, dotato di un acceleratore lineare miniaturizzato, colpisce il bersaglio con radiazioni X da 1200 posizioni diverse intorno al paziente. Il sistema, che è definito indolore e non richiede ospedalizzazione, è attivo dal gennaio del 2003 all’Ospedale di Vicenza - reparto di Neurochirurgia 2° ad indirizzo di Radiochirurgia Stereotassica - che è stato il primo in Europa a usarlo.
Da allora, sono stati trattati oltre 2mila pazienti. Lontano da Vicenza, a Bari, l’uso del robot Cyberknife non è autorizzato. È in dotazione della clinica convenzionata “Mater Dei” (l’ex Istituto Oncologico), dove giace da due anni, in attesa che la Regione Puglia conceda il permesso. Il caso scoppia con fragore nelle ultime settimane.
Una donna di Casal Velino, in provincia di Salerno - si chiama Angela, ha 26 anni - ad agosto ha un’emorragia cerebrale. Si salva e le viene diagnosticato un tumore al cervello. Pare le dicano che per intervenire chirurgicamente, lei deve abortire. Sì, perché Angela, che si era sposata tre mesi prima, è incinta. Lei non ne ha alcuna intenzione: «Preferisco morire - dice ai giornali - ma Francesca Pia deve nascere. A una madre non si può chiedere di salvarsi uccidendo una bimba». In quei giorni, così dolorosi per lei - racconta di aver scritto anche una email a Papa Francesco, «per fargli sapere che ho bisogno di aiuto», dice - scopre la sua tenacia, il suo coraggio e la sua determinazione e, insieme ai suoi familiari si mette alla ricerca su Internet di una città raggiungibile in macchina (il viaggio in aereo sarebbe stato a rischio di una seconda emorragia), che abbia l’apparecchiatura che la può salvare, senza sacrificare la bambina, insieme all’indispensabile reparto di ostetricia e ginecologia. Le condizioni sono entrambe soddisfatte a Bari, alla clinica “Mater Dei”, che la accoglie, pur consapevoli - i responsabili della clinica - che il Cyberknife negli ultimi due anni è stato usato solo per “qualche intervento compassionevole”, come hanno dichiarato.
A questo punto, inizia il calvario di Angela. Alla Giunta regionale di Vendola, viene chiesta un’autorizzazione definita “in via eccezionale” dai responsabili del “Cbh (Città di Bari Hospital)”, proprietario del Cyberknife. L’Assessorato alla Sanità chiede una “relazione tecnica che definisce le procedure mediche da adottare e il relativo percorso assistenziale” e il “consenso informato da parte della donna”, per concedere un’autorizzazione - aggiunge - che «riguarda un apparecchio che emette radiazioni potenzialmente pericolose per la paziente e per il feto e che non è stato ancora collaudato e autorizzato». Viene anche nominata - come sempre più spesso avviene in Italia – una commissione di esperti chiamata ad indagare. Chissà se quegli esperti e i dirigenti dell’Assessorato si sono documentati su Internet sui dieci anni di esperienza dell’Ospedale di Vicenza sull’uso della macchina robotica. Sta di fatto, che subito dopo i dirigenti dell’Assessorato, per dare l’autorizzazione, impongono altre due condizioni: chiedono che vi sia la "sottoscrizione autenticata" del consenso informato che Angela aveva già firmato e una seconda "relazione tecnica" che dimostrasse che il Cyberknife sia "in possesso dei requisiti strutturali e tecnologici generali" come la protezione antincendio o antisismica, insieme con "la documentazione relativa all'avvenuto collaudo dell'apparecchiatura". La commissione di esperti si dovrà riunire per valutare la documentazione. Angela, nel frattempo, ha firmato le dimissioni volontarie e ha deciso di tornare a casa.
Angela alla fine ce l’ha fatta. Ma non in Italia, né presso una struttura della sanità pubblica. Dopo il calvario subito all’ospedale di Bari, dove il Cyberknife c’era ma non si poteva usare, Angela aveva ricevuto una serie di inviti da parte di cliniche private in tutto il Paese. Alla fine, benché non si conoscano i dettagli della sua scelta e del suo trasferimento, Angela è ricomparsa ad Atene, in una clinica privata, a dare il lieto annuncio. Quest’ultima vicenda di malasanità, conclusasi bene solo per l’eroismo della paziente, non certo per il nostro sistema, deve far riflettere su alcune cifre. La sanità in Puglia, teoricamente il fiore all’occhiello dell’amministrazione Nichi Vendola (leader del Sel, oltre che governatore della Regione), ha mostrato tutta la sua inefficienza burocratica, nonostante il suo costo sia sproporzionato alle casse regionali. Nel 2011, infatti, la sanità pugliese registrava un disavanzo di 1 miliardo e 103 milioni di euro e si piazzava terza nella classifica delle regioni con il bilancio sanitario più in rosso, dopo Lazio e Campania.
Giusto per fare un paragone, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlar male solo della sanità lombarda e del crack del San Raffaele, dobbiamo ricordare che la Lombardia, in quello stesso anno, aveva un avanzo di 45 milioni (nel 2012 registrava ancora un avanzo di 22,17 milioni), contro il miliardo e passa di disavanzo della Puglia. A cosa siano servite tutte quelle spese, non si sa. Nell’ospedale di Bari dove Angela avrebbe voluto farsi operare, il Cyberknife c’era, dunque qualcuno aveva sborsato i quattrini necessari a comprarlo. C’era ma non si poteva usare: vedi alla voce “spreco”. Il policlinico di Bari ha ricevuto dalla Regione 170mila euro per operazioni di cambi di sesso per operare la “disforia sessuale”, decisamente meno grave di un tumore al cervello. Di sicuro nessuno è mai morto per non essere riuscito a farsi cambiare subito il sesso. Il problema della sanità pubblica non si limita alla sola Puglia. In queste settimane abbiamo assistito al teatrino governativo per non tagliare la spesa sanitaria. Ma nessuno può dire, con cognizione di causa, che si spenda troppo poco. La spesa pubblica per la sanità è aumentata del 64,1% in 10 anni, dal 2000 al 2011. a un ritmo doppio rispetto all’aumento del Pil (31,9%). Lo rileva uno studio di Confartigianato. Nel 2012, la spesa per la sanità ha raggiunto quota 114,5 miliardi, pari al 14,2% della spesa pubblica totale. In Italia ammalarsi costa più caro che nel resto della Ue: tra luglio 2007 e luglio 2012 servizi e prodotti sanitari sono cresciuti del 14,1%, 5,7 punti in più dell’Eurozona. Negli stessi dieci anni, però, la spesa dei privati per la sanità è cresciuta del 25,5% (secondo il rapporto Censis). Il che vuol dire che, sempre più italiani (un quarto in più rispetto all’inizio del millennio), non fidandosi del pubblico, si rivolgono al privato. Cattiva abitudine? Non proprio: nel caso di Angela, che ha preferito addirittura rivolgersi alla vicina Grecia, è una questione di vita e di morte. Per lei e per la figlia che porta in grembo.
Fonte: La nuova Bussola quotidiana