- Massimiliano Salerno
- News dal mondo
- Visite: 2115
Temendo le conseguenze provocate da un tasso di fertilità pari a 1,28 bambini per donna – tasso tra i più bassi al mondo ed inferiore alla soglia necessaria per il ricambio generazionale -, il Parlamento nazionale lituano ha votato con 46 voti a favore e 19 contrari un disegno di legge, che limita l’aborto in caso di stupro, incesto o pericolo di vita per la madre. Il testo dovrà ora essere approvato anche in sede di Commissione, prima di giungere in seconda votazione all’esame della massima assise.
Finora la legge, risalente al periodo della dominazione comunista, consentiva di interrompere la gravidanza senza alcuna restrizione fino alla dodicesima settimana di gestazione, ciò che ha portato ad un trend di circa 10 mila aborti l’anno per un Paese, che non raggiunge i 3 milioni e mezzo di abitanti.
Lo scorso primo giugno a Vilnius ha avuto luogo con successo la terza Marcia nazionale per la Vita, promossa dai leaders cattolici, ortodossi e protestanti, Marcia che ha peraltro visto in prima fila per impegno e partecipazione la locale Arcidiocesi e diverse organizzazioni cattoliche, con l’intento di ricordare al Paese i diritti degli esseri umani eliminati nel grembo delle loro madri. La vasta partecipazione ed anche la recente decisione del Parlamento lituano sono il segno che qualcosa, nell’opinione pubblica e spesso anche nel mondo della politica, sta davvero cambiando…
Intanto, Sua Eccellenza mons. Gintaras Grušas, da poco Arcivescovo di Vilnius, ha messo in guardia il Parlamento lituano da certe leggi imposte dall’Unione Europea, vero e proprio “cavallo di Troia”, per minare l’autonomia nazionale su temi-chiave quali quello della famiglia, introducendo l’ideologia del “gender”.
Secondo quanto riportato dall’agenzia LifeSiteNews, il presule, durante una cerimonia svoltasi in occasione del 25mo anniversario dell’indipendenza dall’ex-Unione Sovietica, sempre più «prodotti legali col marchio europeo» starebbero cercando di «penetrare nel nostro sistema giuridico» e di «distruggere il Paese sin dalle sue fondamenta». Già l’amministrazione municipale di Vilnius, sulle domande d’iscrizione dei piccoli presso i propri asili, ha sostituito i termini “padre” e “madre” con “genitore 1” e “genitore 2”.
«Ancora stiamo scontando le conseguenze del regime comunista -ha dichiarato mons. Grušas- con la schiavitù del suicidio, del divorzio, dell’aborto, dell’alcoolismo e le loro conseguenze. Sebbene molto sia stato fatto negli ultimi 25 anni, ancora è necessario intervenire, per cancellare i fantasmi della corruzione, della disonestà e dell’assenza di trasparenza». Parole molto chiare, che si auspica di poter presto udire anche dalla bocca di un numero sempre maggiore di presuli dell’Occidente (M.F.).
Una delle grandi bugie che si dicono sull'aborto è per tutelare la donna, la sua libertà, la sua salute. Niente di più falso. Il sito Unione Cristiani Cattolici Razionali ci ricorda che, il termine “Sindrome Post Aborto” (PAS) è stato utilizzato per la prima volta nel 1981 durante un’audizione al Senato degli Stati Uniti. Lo ha usato lo psicologo Vincent Rue, testimoniando che, per le sue osservazioni, l’aborto potrebbe portare a disturbi da stress post-traumatico. Da quell’anno innumerevoli studi scientifici ne hanno dimostrato l’esistenza.
Anche la salute della donna è fortemente compromessa aumenta il rischio di placenta previa, di mortalità materna, di cancro al seno, di nascite premature e aborti spontanei, ma è anche rilevato come aumenti il rischio di danni (anche cronici) all’utero.
Questo video descrive bene alcuni problemi per la salute della donna, e porta un'esperienza della depressione che può portare l'aborto anche a distanza di qualche anno:
Come avete sentito scoprire la verità, cioè vedere "quell'ammasso di cellule" che si vuole eliminare, può creare problemi psicologici, quindi gli stessi abortisti consigliano di non farlo vedere alla paziente. Questa è solo una testimonianza, ne porteremo altre, ma intanto citiamo sempre dal sito che spesso prendiamo come fonte Unione Cristiani Cattolici Razionali, alcune delle tante ricerche sulla depressione derivante dall'aborto.
Nell’aprile 2012 un team di ricercatori cinesi dell’Anhui Medical Colledge nel loro studio “The Impact of Prior Abortion on Anxiety and Depression Symptoms During a Subsequent Pregnancy”, pubblicato dal Bulletin of Clinical Psychopharmacology, hanno rilevato che le donne che hanno abortito, rispetto a quelle la cui gravidanza ha potuto proseguire, si mostravano in media il 114% più portate a stati di ansia e depressione, a prescindere che l’aborto fosse spontaneo o “scelto”. Su questo studio è interessante il commento della dottoressa Priscilla Coleman, professoressa allo Human Development and Family Studies della Green State University in Ohio: «Anche in una cultura in cui l’aborto è diffuso e viene ordinato dal governo dopo che le donne partoriscono già una volta (nella Cina moderna è ancora vietato avere più di un figlio a famiglia, ndA), l’entità dei rischi psicologici è paragonabile a quelli individuati in altre parti del mondo».
Nel marzo 2012 Cinzia Baccaglini, laureata in Psicologia clinica e di comunità, una delle massime esperte italiane della sindrome postaborto, ha evidenziato i due quadri gnoseologici che ricorrono nella pratica clinica, cioè la “psicosi post-aborto” e il “disturbo post-traumatico da stress”, soffermandosi anche sulle differenze tra i disturbi psicologici in cui incorrono le donne che praticano un aborto chirurgico rispetto a quelle che utilizzano la pillola Ru486
Nel dicembre 2011, il British Journal of Psychiatry ha presentato un nuovo studio, ad oggi la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura mondiale. Il campione della metanalisi ha compreso 22 studi e 877.181 partecipanti ed è stato concluso che le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale, e quasi il 10% di incidenza di problemi di salute mentale ha dimostrato di essere direttamente attribuibile all’aborto. I ricercatori si augurano che queste informazioni vengano fornite alle donne in procinto di abortire.
Nell’ottobre 2011, Stefano Bruni, pediatra, già dirigente medico presso il Dipartimento di Emergenza e Urgenza Pediatrica dell’Ospedale Materno Infantile di Ancona, ricercatore e docente della Clinica Pediatrica dell’Università Politecnica delle Marche e responsabile scientifico per l’Italia di un gruppo internazionale che fa ricerca nel campo della terapia per malattie genetiche rare ha parlato della “PASS”: Post Abortion Survivors Syndrome, sofferenza psicologica cui vanno incontro i bambini sopravvissuti all’aborto di un fratellino, o sopravvissuti, a seguito di una pratica di fecondazione assistita, alla soppressione di un certo numero di embrioni “soprannumerari” e non desiderati. Nell’articolo seguono dichiarazioni di specialisti nel campo.
Nel settembre 2011, dopo venti anni di lavoro con centinaia di organizzazioni di diversi paesi, l’Istituto Elliot, guidato dal dottor David C. Reardon, riconosciuta autorità mondiale in questo campo, ha pubblicato una metanalisi con la quale dimostra che l’aborto indotto è molto più “devastante” nelle donne di quanto si pensasse. Dal 1980 i professionisti della salute mentale hanno cominciato a trattare un numero sempre crescente di donne con difficoltà mentali ed emotive a seguito dell’aborto. Amy Sobie, portavoce dell’Elliot Institute, ha dichiarato: «l’aborto continua a uccidere le donne. Può essere legale, ma non è sicuro». Ha argomentato la sua affermazione spiegando che le principali riviste mediche hanno segnalato un alto tasso di mortalità associato all’aborto e tassi di suicidio 7 volte maggiori. Inoltre, la ricerca ha anche collegato direttamente con l’aborto indotto l’abuso di sostanze, la depressione, l’infertilità e il divorzio. Infine, mentre il 90% delle donne che abortisce dice di non avere informazioni sufficienti, l’83% ha ammesso che avrebbe continuato la gravidanza se avesse ricevuto un sostegno. Amy Sobie ha quindi concluso: «gli studi dimostrano che le donne che hanno avuto un aborto non supportano i gruppi pro-aborto. Sanno sulla loro pelle che l’industria dell’aborto ha fallito».
Nel settembre 2011, sul “British Journal of Psychiatry” è apparsa una ricerca basata su 877.000 donne, nella quale si è dimostrato che coloro che si sottopongono all’interruzione di gravidanza hanno quasi il doppio di probabilità di soffrire di problemi di salute mentale rispetto a chi decide di partorire. Inoltre è stato appurato che il 10% di tutti i problemi di salute mentale deriva dall’aborto. In particolare, le donne che hanno subito un aborto hanno registrato un aumento del 34% di probabilità di disturbi d’ansia, del 37% di depressione, il 110% (più del doppio) in più del rischio di abuso di alcool, il 220% (più del triplo) in più di consumare cannabis e il 155% in più del rischio di suicidio.
Per le altre moltissime ricerche potete andare direttamente alla fonte sempre l'ottimo sito Unione Cristiani Cattolici Razionali
VITTIME IN TUTTA EUROPA. Solo due settimane fa, l’Ema (European medicine agency) ha assicurato che le donne che utilizzano la pillola possono continuare a farlo senza timori, perché nonostante ci sia il rischio di contrarre la Tev (tromboembolia venosa), questo è un evento raro. La dichiarazione è stata però fatta senza ricordare tutte le vittime della pillola in Europa e nel mondo, e senza sottolineare che la Tev può anche portare alla morte. All’inizio dell’anno la Francia aveva vietato l’uso del contraccettivo dopo che un centinaio di ragazze avevano rischiato la vita, mentre altre quattro erano decedute. Anche in Gran Bretagna aveva fatto clamore il caso di una sedicenne morta dopo che aveva cominciato ad assumere la pillola. Dalle ricerche inglesi era emerso poi un collegamento fra la Diane e la depressione, come dimostrano molte testimonianze.
CAUSE MILIONARIE. In Canada, dove a gennaio è morta una ragazza di 18 anni, sono state segnalate 11 morti collegate al farmaco. Negli Stati Uniti i decessi contati finora sono più di 50 e la Bayer ha già pagato 750 milioni di dollari per 3.500 donne, mentre altre 3.800 sono in causa con la casa farmaceutica. Eppure settimana scorsa anche la Società italiana della contraccezione (Sic), durante il suo congresso nazionale, ha sottolineato che «i benefici della pillola sono maggiori dei rischi». Anche in questo caso non si è parlato delle vittime, in compenso è stato chiarito che «la pillola è il metodo più efficace nella prevenzione delle gravidanze indesiderate».
Fonte: Tempi.it