Il portavoce della Conferenza Episcopale del Costa Rica, P. Javier Román, ha indicato alla stampa locale che si stimano tra 800.000 e 1 milione le persone che hanno partecipato alla Marcia per la Vita il 17 novembre in tutto il Paese. Nelle dichiarazioni raccolte dal giornale costarricense Extra, P. Roman ha detto che “la marcia ha superato di molto le nostre aspettative, poiché stimiamo che siano arrivati da tutto il paese tra 800 000 e 1 milione di persone”.
In un comunicato l’Arcivescovo di San José (Costa Rica), Mons. Rafael Quirós, ha ricordato che il 17 novembre, “migliaia di cattolici, e molte altre persone, immerse in un clima di festa, siamo usciti in strada con il fermo proposito di dimostrare il nostro impegno a promuovere, costruire e rafforzare la famiglia come istituzione e fondamento della società”. “Come Chiesa, ancora una volta, con totale certezza, pieni di gioia e senza paura, abbiamo manifestato nuovamente, che la visione cristiana della famiglia, condivisa dalla stragrande maggioranza del popolo del Costa Rica richiede una protezione speciale da parte dello Stato“.
Mons. Quirós ha assicurato che questa manifestazione di massa ha chiaramente espresso “che la Chiesa cattolica non disprezza, né attacca, né incita alla discriminazione di nessuna persona, ma nel suo legittimo diritto difende, rispetta e promuove il matrimonio e la famiglia nel vero senso della parola.Abbiamo voluto richiamare l’attenzione sulla crisi morale, sociale, economica e politica che attraversano le famiglie costarricensi”, ha detto. L’arcivescovo ha sottolineato che la marcia di domenica “non è stata né occasionale né improvvisata, quello che abbiamo fatto è stato di ascoltare la voce del nostro popolo che vedendosi minacciato, ci ha gridato di portare a termine un evento così bello come quello che abbiamo vissuto. Dal momento che la famiglia è la cellula fondamentale della società, sollecitiamo rispettosamente i signori candidati alla Presidenza della Repubblica, e perché no, che aspirano ad un posto a sedere, che manifestino davanti agli elettori con chiarezza il loro pensiero sulla famiglia“, sia “per quanto riguarda la sua conformazione, attenzione completa, quanto ad alloggio, salute, educazione, formazione nei valori, sensibilizzazione”.
L’Arcivescovo di San José ha dichiarato “con soddisfazione, abbiamo visto come la nostra convocatoria si è data proprio in un momento in cui il Papa Francesco, sottolineando che la crisi sociale e spirituale nel mondo di oggi riguarda la vita familiare, ci invia un documento preparatorio per la Terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo che si concentrerà precisamente nel guardare e analizzare la situazione attuale della famiglia oggi”. In una seconda fase del Sinodo, ha detto, si cercherà “di delineare quello che pastoralmente corrisponda al contorno dell’ambiente familiare. Dalle urgenze della Nuova Evangelizzazione, si deve comprendere questa consultazione che abbiamo ricevuto. Siamo tutti invitati a rinnovare il nostro impegno per la famiglia, proclamando gioiosamente il Vangelo della vita, sicuri che camminiamo nella verità. Chiudiamo le nostre orecchie a qualsiasi proposta contraria” ha concluso l’Arcivescovo.
Fonte: Prolifenews
Sono centinaia i bambini perfettamente sani che potrebbero essere stati abortiti per errore in un famoso ospedale di Cardiff, in Galles. Una storia che ha dell’incredibile e ancora più incredibili sono le reazioni di giudici e opinionisti, che hanno derubricato lo scandalo a semplice «errore» medico per quanto «sgradevole». La vicenda ha cominciato a emergere lo scorso anno quando una donna di 31 anni, Emily Wheatley, incinta di nove settimane, con una gravidanza a rischio, si è recata all’University Hospital of Wales di Cardiff per un controllo. Dopo l’ecografia si è sentita dire che il suo bambino purtroppo era morto per cui si doveva procedere alla revisione della cavità uterina (raschiamento).
Per questo intervento però la signora Wheatley decideva di andare in un altro ospedale, il Nevill Hall Hospital di Abergavenny, dove le hanno fatto un’ulteriore ecografia scoprendo che il bambino era ancora vivo e perfettamente sano. Emily Wheatley è fortemente traumatizzata dalla situazione, ci pensa sua madre a sporgere immediatamente denuncia al Public Services Ombudsman for Wales, il difensore civico gallese per i disservizi pubblici. Segue un’approfondita inchiesta, i cui dati – riferiti nei giorni scorsi - si rilevano agghiaccianti. Si scopre, infatti, che presso l’University Hospital of Wales si applica fin dal 2006 un protocollo ormai superato dalle nuove linee guida emanate dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists per prevenire i margini di errori diagnostici degli aborti spontanei nel primo stadio della gravidanza.
In pratica si usano ecografie addominali laddove è disponibile e consigliata l’ecografia transvaginale. In quell’ospedale nascono ogni anno seimila bambini, mentre si registrano tra i 600 e i 1200 aborti spontanei. Da qui la stima che le donne vittime di diagnosi sbagliate possano essere state centinaia. Le conseguenze di questa incredibile vicenda appaiono, però, più surreali degli antefatti che le hanno generate. L’ospedale, infatti, si è semplicemente scusato imputando tutto ad un semplice «errore medico»; dovrà solo provvedere a cambiare immediatamente il metodo di accertamento delle condizioni del feto.
La Wheatley, la cui figlia scampata all’aborto ha ora 8 mesi, è stata risarcita con la risibile somma di 1.500 sterline, mentre l’Ombudsman, Peter Tyndall, nel rapporto ufficiale se ne è uscito con una sortita dal tipico aplomb anglosassone: «Le donne a cui è stato recentemente diagnosticato un aborto spontaneo all’University Hospital of Wales, e a cui è stata conseguentemente praticata un’evacuazione uterina, troveranno tutto ciò estremamente sgradevole (“extremely disturbing”)». Insomma, è stata compiuta una vera e propria strage ma tutto si risolve con delle scuse.
Del resto, anche da noi in Italia il fatto non ha trovato alcuna eco. Il che non dovrebbe neanche sorprendere più di tanto vista la concezione che ormai sta diventando comune. Ricordiamo come non più di un mese fa Filomena Gallo e Gianni Baldini, rispettivamente Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente di Biodiritto Università di Firenze, abbiano dichiarato senza mezzi termini che «gli embrioni sono di proprietà della coppia» che li ha generati, e come tali nella loro piena e assoluta disponibilità, al punto da potersene disfare come meglio aggrada. Di fronte a vicende come quella di Cardiff appare sempre più evidente come l’uomo moderno abbia perso il senso della ragione. Quando si giunge a teorizzare la reificazione dell’essere umano, considerandolo alla stessa stregua di un “prodotto”, di cui si può rivendicare la proprietà e persino distruggere con assoluta nonchalance – essendo semplice “cosa” –, allora tutto diventa possibile e accettabile.
Anche la storia di ordinaria follia accaduta all’University Hospital of Wales. Non può non venire alla mente, a questo proposito, il noto concetto di banalità del male di Hanna Arendt, un male che sembra trascendere ogni possibilità di comprensione e persino di attribuzione di responsabilità personale. La banalità del male in questo caso, oltre che nella tragedia dell’uccisione di centinaia di innocenti perpetrata presso il prestigioso ospedale gallese, sta anche nelle incredibili reazioni a quella strage: nessuna conseguenza concreta di carattere giuridico a livello di sanzioni, ma soprattutto l’assenza di qualunque sincero sentimento di umana compassione. A questo siamo ormai ridotti.
Fonte: La nuova Bussola quotidiana