Episcopo, Vescovo
Responsabile (pastore) di una diocesi ed è considerato successore degli apostoli. La parola viene dal greco επίσκοπος (episcopo), che significa "supervisore", "sorvegliante".
Il recupero della sacramentalità dell'episcopato, restituisce il vescovo pienamente alla sua Chiesa locale. Grazie a questa plenitudo ordinis, il vescovo, all'interno della diocesi, si caratterizza come ministro di comunione di cui è forma storica vivente all'interno della comunione della sua Chiesa locale. I riferimenti teologici, presi soprattutto da Ignazio, sottolineano come la koinonia della comunità, si concentra intorno alla figura del vescovo. In Evangelizzazione e ministeri,n.54: “la grazia propria del vescovo, non è di essere la sintesi dei ministeri,come si poteva pensare in passato, ma di essere il ministero della sintesi, dell'armonizzazione di tutti i ministeri, volti alla edificazione della comunità”.
Quando consideriamo il vescovo in rapporto alla collegialità, una ministerialità propria dell'episcopato è quella di essere legame vivente della comunione universale delle Chiese (icona della cattolicità). Poiché la communio episcoporum è communio ecclesiarum, i singoli vescovi, da soli, rappresentano la propria Chiesa, insieme col papa, rappresentano tutta la Chiesa.
La dottrina dell'episcopato del Vaticano II è esaminata in quattro punti:
- origine della successione apostolica,
- sacramentarietà,
- collegialità,
- ministero pastorale.
Il Concilio di Trento nell'elencare i diversi ministeri abbiamo detto tra gli ordini maggiori non cita l'episcopato, perché la dottrina prevalente è quella della visione giuridica dell'episcopato, il vescovo si differenziava dal sacerdote per la giurisdizione. Per il Concilio Vaticano II con la consacrazione episcopale viene amministrata la pienezza dell'ordine, è una vera e propria ordinazione, si viene ordinati. Bisognerebbe andare a capire in che cosa consiste questa pienezza dell'ordine. C'è però una distinzione non solo sul piano giuridico come era idea nel Concilio di Trento, la differenza è anche sull'ordine, dobbiamo trarne la conclusione che la messa del vescovo non è propriamente uguale a quella del prete, c'è una differenza: dal punto di vista cristologico non c'è alcuna differenza, si tratta della stessa eucarestia, dal punto di vista della rappresentazione ecclesiale il Concilio Vaticano II dice che l'assemblea radunata insieme con il vescovo è la principale rappresentazione dell'assemblea.
L'episcopato implica la totalità del sacro ministero la conseguenza è il superamento della tradizionale distinzione tra potere d'ordine e di giurisdizione. Al primo si collegava la missione santificatrice e al secondo si collegavano il magistero e il pastorato del vescovo (il governo). L'autorità del vescovo dipende da Cristo, dalla sua ordinazione a vescovo, tuttavia c'è la missio canonica l'idea quindi di comunione gerarchica con il sommo pontefice e gli altri vescovi. In caso di grave mancanza gli viene tolta la missio canonica e la possibilità quindi di attuare il suo ministero. Prima si vedeva il ministero vescovale a partire dal Papa, nel momento in cui l'episcopato viene legato alla sacramentalità, al dono di Cristo, l'effetto è di decentrare l'episcopato e collegarlo alla Chiesa locale. Il vescovo quindi non si deve sentire vicario del Papa, prima del Vaticano II c'era questa idea, non è questa la visione del Concilio Vaticano II.
La discussione sulla collegialità ha conosciuto una delle pagine più difficili della storia conciliare. Per collegialità si intende la dottrina sulla natura unitaria dell'episcopato che per sua natura è unitaria, non è di un vescovo solo, forma un soggetto responsabile del governo di tutta la Chiesa. Lumen Gentium 19 la collegialità viene fondata sul fatto storico della chiamata dei 12. Costituì i primi apostoli sotto forma del collegio. Gruppo stabile con Pietro primo capo ma sempre all'interno del collegio. Questa proposizione contiene già l'idea fondamentale su cui si basa tutto il testo, la forma primitiva è collegiale: i 12 con Pietro a capo ma non esterno ai 12. I vescovi discutevano proprio sul termine collegialità, perché in ambiente protestante equiparava le prerogative interne e escludeva l'idea quindi di un capo sugli altri. Invece i poteri al loro interno non sono perfettamente uguali. Riconosciamo che il Papa è dentro il collegio ma le prerogative non sono identiche, nel collegio ma è sempre il capo, per questo la discussione all'interno del Concilio fu molto aspra proprio perchè la parola “collegio” era sentita in modo equivoco. I lavori al Concilio si bloccarono, fu necessaria la nota esplicativa previa, che non fa parte della Lumen Gentium ma è nota alla costituzione, ribadiva il ruolo del pontefice, e questa nota ottenne l'effetto importantissimo di fare approvare la Lumen Gentium.
Il vescovo pur ricevendo la sua potestas dal dono sacramentale non può esercitarla al di fuori del corpo perché l'episcopato è uno. Compito del vescovo quindi è proprio la comunione episcopale, questo ha un certo riflesso anche nel presbiterato, quando uno viene ordinato prete anche gli altri preti impongono le mani, cosa che non accade con il diaconato che è in riferimento al vescovo. Anche il compito del presbiterato non va fatto come se fossimo autonomi di una parrocchia, ma in comunione con gli altri presbiteri. Lumen Gentium 22 tratta del rapporto tra Papa e collegio e Lumen Gentium 23 il rapporto del singolo vescovo con l'intero collegio. Quale è il rapporto tra papato e collegio?
Il Papa e il collegio formano un unico collegio, quindi il Papa non va visto fuori dal collegio
Il corpo episcopale tutto insieme e suprema istanza del governo della Chiesa, un'affermazione molto forte. I vescovi possono prendere decisioni di governo quindi per tutta la Chiesa del mondo.
Il collegio non può essere compreso se non in rapporto al Papa suo capo
Diritto Canonico
Il vescovo della diocesi o quelli interessati nel caso in cui si tratti di seminario interdiocesano si occupano dell'alta direzione ed amministrazione del seminario (CIC c.259). Spetta al vescovo approvare il regolamento del seminario (c.243) e ammettere agli ordini (cc. 1025; 1052), per questo motivo il vescovo deve, nella misura del possibile conoscere i candidati, e per questo motivo deve visitare spesso il seminario e vigilare sulla formazione (c.259). Il vescovo deve fare in modo che si provveda alla costituzione e alla conservazione del seminario, al sostentamento degli alunni, alla rimunerazione degli insegnanti e alle altre necessità del seminario (c.263). Per provvedere alle necessità del seminario il vescovo oltre alle offerte speciali previste dal can. 1266 può imporre un tributo alla diocesi: sono soggette al tributo per il seminario tutte le persone giuridiche ecclesiastiche, anche private che hanno sede in diocesi, a meno che non si sostengano solo di elemosine oppure non abbiano attualmente un collegio di studenti o di docenti finalizzato a promuovere il bene comune della Chiesa; tale tributo deve essere generale, proporzionato ai redditi di coloro che vi sono soggetti e determinato secondo le necessità del seminario. (c.264). Il can.985 invita il rettore del seminario a non ascoltare le confessioni dei propri seminaristi, a meno che questi, non lo chiedano spontaneamente. Il Vescovo diocesano ammetta al seminario maggiore soltanto coloro che, sulla base delle loro doti umane e morali, spirituali e intellettuali, della loro salute fisica e psichica e della loro retta intenzione, sono ritenuti idonei a consacrarsi per sempre ai ministeri sacri (c.241). Il Vescovo diocesano abbia cura che i chierici che hanno intenzione di trasferirsi dalla propria ad una Chiesa particolare di un'altra regione, siano preparati convenientemente ad esercitarvi il ministero sacro, che imparino cioè la lingua della regione, abbiano conoscenza delle sue istituzioni, delle condizioni sociali, degli usi e delle consuetudini (c.257).
Il Vescovo diocesano può inoltre incardinare o scardinare un chierico. Un chierico già incardinato sia incardinato validamente in un'altra Chiesa particolare, deve ottenere dal Vescovo diocesano una lettera di escardinazione sottoscritta dal medesimo; allo stesso modo deve ottenere dal Vescovo diocesano della Chiesa particolare nella quale desidera essere incardinato una lettera di incardinazione sottoscritta dal medesimo. L'escardinazione concessa in tale modo non ha effetto se non è stata ottenuta l'incardinazione in un'altra Chiesa particolare (c.267). Il Vescovo diocesano non proceda all'incardinazione di un chierico se non quando: 1) ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l'onesto sostentamento dei chierici; 2) gli consti a un documento legittimo la concessione dell'escardinazione e inoltre abbia avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano di escardinazione, se necessario sotto segreto, sulla vita, sui costumi e sugli studi del chierico; 3) il chierico abbia dichiarato per iscritto al Vescovo diocesano stesso di volersi dedicare al servizio della nuova Chiesa particolare a norma del diritto (c.269).