Totalitarismo
Lo stato totalitaristico nasce dopo la prima guerra mondiale, è un modello del tutto nuovo, diverso dai modelli di stati sino allora esistenti, non era infatti uno stato tirannico, non era neanche una monarchia assoluta, nè uno stato dittatoriale. Quale sono le caratteristiche di questo stato nuovo?
- Dominio del partito unico che si identifica con lo stato,
- Il culto del capo, culto quasi idolatrico, del duce in Italia, di Hitler in Germania, un culto quasi religioso di fronte a questo capo
- Esistenza di un'ideologia di stato, vuole depositare una verità di tipo religioso a cui tutti devono aderire
- Monopolio dei mezzi di comunicazione, non c'è stampa libera, non solo i mezzi di comunicazione, ma tutti i campi dell'educazione, delle scuole, non c'è spazio per scuole di ispirazione cattolica, libera. Lo scopo è di formare una nuova ideologia, non solo controllare i corpi ma formare le menti.
- Assenza di legalità, lo stato non è più di diritto, c'è un controllo poliziesco
- Controllo centralizzato dell'economia rivolto più alla potenza che allo sviluppo
Epoca concordataria
L'avvento di questo stato nuovo ha rappresentato una grave sfida per la Chiesa cattolica ma anche per le altre Chiese cristiane, ci fu una resistenza cristiana al nazismo anche in ambienti protestanti. Anche la Chiesa ortodossa russa è stata perseguitata dal regime sovietico.
Il conflitto era inevitabile tra queste due istituzioni, la Chiesa Cattolica, rivendicava per se stesso di essere totalitario, non c'è spazio per due totalitarismi, tutto l'uomo appartiene alla Chiesa. Entrambi volevano tutto l'uomo, lo scontro era quindi inevitabile. Nel caso dei fascisti l'ostilità della Chiesa non fu così forte come contro il comunismo, questo perché nel comunismo c'è un ateismo, non fu così nel nazismo e fascismo, l'ostilità era meno esplicita e non si è tradotta subito in una politica di oppressione. Questi regimi hanno cercato le vie di un compromesso con la Chiesa, attraverso i famosi concordati. Da una parte permetteva di controllare la Chiesa e di utilizzarla ai loro fini e dall'altra parte un accordo con la Santa Sede dava una legittimità morale. Mussolini era ferocemente anticlericale, quando è arrivato al governo è diventato cattolico, era una mossa politica, per cercare l'appoggio della Chiesa.
All’indomani della Grande Guerra la situazione politica era cambiata, e per questo si facevano accordi con gli stati e con i nuovi stati sorti dalla guerra, i concordati. Questi stati avevano subito trasformazioni, non potevano più essere considerati soggetti morali come prima, quindi i concordati precedenti apparivano come non adeguati. Le convenzioni firmate in passato avevano perso ogni validità. Era allora necessario nella visione di Benedetto XV concludere nuovi accordi concordatari, per garantire la libertà e i diritti della Chiesa nel contesto della nuova Europa sorta dalla conferenza di Versailles. Benedetto XV aveva fissato il ruolo del segretario di stato: Pietro Gasparri (studioso di diritto), e confermato da Pio XI. È lui che incarna la politica concordataria. Il periodo tra le due guerre e dei concordati corrisponde al periodo della nascita degli stati totalitari. Bisogna vedere le finalità della politica concordataria. Aveva una duplice finalità: una di tipo pastorale-religiosa: si trattava di garantire la libertà e i diritti della Chiesa, la sua libertà di azione pastorale, non più garantita dal diritto comune; in qualche modo ci si vuole sostituire al diritto comune, la Chiesa si dà un diritto particolare, si vuole garantire una base giuridica di difesa per la Chiesa. Ma c’è anche una seconda finalità, di tipo politico-confessionale: si trattava di far riconoscere allo stato contraente alcune disposizioni del nuovo codice, il CIC del 1917. Per quanto riguarda le materie “miste”, cioè il matrimonio e la scuola (argomento fondamentale), il concordato diventava lo strumento privilegiato per la Santa Sede per una auspicata riconfessionalizzazione dello stato, inserendo nell’ordinamento giuridico dello stato le norme del diritto della Chiesa. Secondo Margiotta-Broglio, questa seconda finalità è soprattutto quella che ha spinto ai concordati con gli stati totalitari. Questi concordati contenevano delle disposizioni che non si ritrovano nei concordati con gli altri stati più “democratici”, come il riconoscimento civile degli effetti del matrimonio religioso, il divieto delle attività politiche per il clero, il ricorso al braccio secolare dello stato e il finanziamento del culto.
Questa politica trovava i fondamenti in una concezione dei rapporti Chiesa-stato che non aveva nulla di liberale, che escludeva ogni separazione Chiesa-stato. Scuola romana di diritto pubblico ecclesiastico, di cui anche Gasparri fu erede. Due famosi protagonisti di questa concezione furono Camillo Tarquini e Felice Cavagnis. Secondo i maestri di questa scuola, la Chiesa e lo stato costituivano due società perfette, dotate di autonomia nei loro rispettivi ambiti, ma diverse tra loro. Tuttavia, la superiorità del fine perseguito dalla Chiesa (salus animarum) rispetto a quello dello stato (bene comune) conferiva alla Chiesa un diritto di ingerenza nelle cose temporali (in temporalia ratione spiritualibus). Questa teoria della potestas indiretta in temporalibus (nel medioevo era diretta), dava alla Chiesa dei diritti che lo stato deve riconoscere. Questa teoria costituiva il fondamento teorico dell’azione diplomatica della Santa Sede.
Russia
La rivoluzione russa dopo il 17, in quest'ottica concordataria fu vista con sguardo positivo. Cerchiamo di calarci nel momento storico, all’inizio era difficile valutare la portata e la durata di questa rivoluzione; inoltre, c’era la convinzione che le rivoluzioni non erano fatte per durare nel tempo. Per queste ragioni il pontefice e i suoi collaboratori hanno sottovalutato la portata del colpo di stato. Inoltre, sembrava preferibile alla autarchia papalista. Gasparri diceva che il bolscevismo aveva il merito di rompere i vecchi schemi che impedivano la diffusione del cattolicesimo in Russia; quindi bisognava approfittare di questa situazione, prima che venisse restaurato il regime monarchico anticattolico. Questo spiega la nomina di un visitatore apostolico, Achille Ratti da parte di Pio XI. I rapporti di Ratti alla Santa Sede erano allarmisti. Momento importante fu nel 1921 la grande carestia che colpì la Russia in estate. Il papa Benedetto XV, in una lettera inviata al cardinal Gasparri, esprimeva tutta la sua compassione per il popolo russo, su cui brilla il carattere di Cristo (radici cristiane). Ma dopo aver partecipato attivamente a degli aiuti internazionali, la Santa Sede decide di ritirarsi e agire indipendentemente per organizzare un’azione pontificia di assistenza. Questo accordo fu il primo e ultimo accordo mai firmato tra Santa Sede e Unione Sovietica. Era la cosiddetta convenzione Pizzardo - Voroskij (1922). Voroskij fu assassinato un anno dopo; fu lui a negoziare con la Santa Sede questo accordo tramite l’ambasciata tedesca della Santa Sede. L’accordo fu sottoposto all’attenzione di Lenin, che era ancora in vita. Questo accordo era molto importante, perché le condizioni imposte dal governo sovietico erano molto rigide; i primi 3 punti (su 13) della convenzione sullo stato della missione assistenziale vaticana in Russia riguardavano esplicitamente il divieto per gli inviati dalla Santa Sede di svolgere alcuna attività politica. Non solo non dovevano appartenere a nazionalità o formazioni politiche ostili all’Urss (art.1), ma dovevano astenersi dentro o fuori la Russia da qualsiasi azione politica (art. 2), e dovevano limitarsi esclusivamente all’attività assistenziale (art.3).
Queste concessioni fatte dalla Santa Sede le ritroveremo identiche nei concordati stipulati con l’Italia e la Germania. Però il permesso di potersi muovere per i cattolici in Urss era di valore inestimabile (era visto come un punto di partenza). L’anno dopo si tenne una conferenza economica a Genova nel maggio del 22 a cui partecipò anche il governo sovietico. Pio XI aveva auspicato un ritorno al cattolicesimo di tutta l’Europa. La Santa Sede non faceva obiezione di principio all’organizzazione dello stato comunista, perché era agnostica in materia economica. Indubbiamente la Chiesa aveva sottovalutato il regime. Tuttavia fu consegnato al presidente della conferenza, dalla Santa Sede tramite il ministro inglese, un memorandum che diceva delle condizioni imprescindibili per un dialogo diplomatico con la Russia. Ecco i punti principali:
- Libertà di coscienza per tutti i cittadini;
- Tutela dell’esercizio privato e pubblico del culto;
- Restituzione alle Chiese dei beni confiscati.
Il memorandum era molto più duro rispetto alla locuzione papale precedente, inaugurando una vera e propria svolta, che era stata accolta male. Ci furono allora vari appelli dagli emigrati russi di protesta nei confronti del governo russo e dell’atteggiamento della Santa Sede. Si rivendicava la necessità di una maggiore fermezza nei confronti della tirannia dei sovietici. Un ruolo fondamentale lo ebbe il generale dei gesuiti, anticomunista (polacco) Ledochowski. Egli doveva in qualche modo governare la compagnia di Gesù per tutto il periodo che consideriamo (morirà nel 1942). Il memorandum non ebbe eco nella conferenza; tuttavia costrinse il delegato sovietico alla conferenza Cicerin a confermare tramite un comunicato che in conformità con la legge lo stato sovietico riconosceva il diritto alla libertà religiosa (per questo non è giusto parlare di stato ateo, perché sulla carta riconosceva la libertà di coscienza). Formalmente si riconosceva la separazione Chiesa-stato. La Russia non si ispirava solo alla laicità dello stato, perché c’era pure l’ateismo militante del partito bolscevico, che come abbiamo visto era identificato con lo stato nei regimi totalitari.
Comunque la conferenza di Genova fu un fallimento; però favorì un riavvicinamento tra Russia e Germania (trattato di Rapallo, novembre 22). Berlino diventò allora il teatro dei negoziati tra Santa Sede e governo sovietico. Del resto, la diplomazia tedesca e il nuovo ambasciatore tedesco a Mosca si era detto pronto a collaborare per il riavvicinamento tra Santa Sede e Urss (era protestante). La Santa Sede decide di affidare a Pacelli il compito di avviare le trattative con le autorità sovietiche, proponendo loro di aprire i negoziati a Berlino, e non a Roma. Si tratta di una missione delicata e importante. La posizione internazionale in questo periodo dell'Urss si era rafforzata, per cui l’Urss non era disponibile più a negoziare con la Santa Sede. L’accordo con la Santa Sede poteva esser quindi contrario alla propaganda del regime, che si proclamava ateo. Per Pacelli i diplomatici sovietici erano degli assassini e criminali, quindi aveva fatto la sua azione perché diplomatico incaricato, non perché ci credesse. Non fu mai preparato un concordato, ma solo un abbozzo di modus vivendi. Le trattative, avviate nel giugno 1924, terminarono nel dicembre 1927. Il Progetto di decreto sullo stato della religione cattolica nella Russia sovietica del Febbraio del 1925 parve a Pacelli inaccettabile. Era secondo lui una riedizione delle leggi che c’erano sotto lo zar, o forse peggio. La risposta ufficiale della Santa Sede sottolineava i punti discutibili: l’obbligo del placet del governo per la nomina dei vescovi, lo stretto controllo delle comunicazioni, l’interdizione di tutte le congregazioni e di ogni attività missionaria, l'impossibilità di insegnare la religione. Per questi motivi, a Pacelli, il progetto di decreto sembrava inaccettabile. Ma il governo sovietico non era più interessato a fare concessioni. L’interlocutore di Pacelli a Berlino, Cicerin, fece osservare a Pacelli che sarebbe stato più facile fare gli accordi 2 anni prima, quando l’Urss era riconosciuta solo dalla Germania e dagli stati asiatici. La risposta ufficiale fu comunicata a Pacelli nel 1926 era molto rigida. Manteneva inalterate le richieste precedenti. Quindi il Cremlino rifiutava di giocare la carta della libertà religiosa. Pacelli prendeva ad esempio la separazione francese tra Chiesa e stato, che era stata mal accettata dal governo francese. In qualche modo, dopo un certo periodo (ottobre 1927), il tempo per la Santa Sede dei negoziati era finito, e la Santa Sede lo fece sapere con vari comunicati stampa. Anche Pacelli non aveva mai creduto a un accordo con l’”abominevole regime bolscevico”. Pacelli torna a Roma come segretario di stato, e tornerà alla vigilia dei patti lateranensi (11 Febbraio 1929).
Italia: Patti Lateranensi
Lo scopo principale dei Patti Lateranensi era la risoluzione della cosiddetta “questione romana”, cioè della sovranità della Santa Sede sulla città di Roma, a seguito della caduta dello stato pontificio nel 1970. Pio IX aveva avuto una posizione intransigente nei confronti del nuovo governo italiano; diceva che i territori perduti non potevano essere negoziati. D’altra parte, la sovranità temporale del Papa rappresentava la migliore garanzia della sua libertà e del suo ministero. Il Papa rifiutò la legge delle guarentigie (1871), che riconosceva al papa delle garanzie, ma il papa lo rifiutò con il motu proprio ubi nos (1871). La ragione di fondo del rifiuto era che si trattava di una atto unilaterale del governo, che quindi poteva essere revocato in ogni momento. E quindi il papa si considerò da quel momento prigioniero nello stato vaticano.
L’Italia era entrata in guerra nel 1915 con gli accordi di Londra. Secondo questi, l’Italia aveva ottenuto dalle potenze che la Santa Sede fosse esclusa dalla conferenza di pace finale. Di fatto, la conferenza di Versailles 19 vide l’assenza della Santa Sede, che tuttavia mandò un rappresentante ufficioso: Bonaventura Ceretti. A margine della conferenza, ci furono degli incontri tra Ceretti e Vittorio Emanuele Orlando sulla questione romana. Durante questa conferenza, il diplomatico della Santa Sede propose che l’Italia concedesse indipendenza e sovranità al territorio del vaticano. Lo statista italiano non si dimostrò contrario. Ma fu il re Vittorio Emanuele III, che bloccò i rapporti, perché pensava che stato e Chiesa dovessero procedere come due parallele. Dunque questa opposizione del re dimostrava la forza della componente anticlericale, che durò fino all’avvento del fascismo.
Nel movimento fascista, così come si costruisce alla fine della guerra, c’è un anticlericalismo di fondo. Era il prodotto di 3 correnti ideologiche:
- Sindacalismo rivoluzionario,
- Nazionalismo imperialista,
- Futurismo
Questi 3 movimenti erano decisamente ostili alla Chiesa. Marinetti parlava della necessità di svaticanizzare l’Italia. Il programma del primo fascismo, prima di Mussolini, prevedeva la confisca di tutti i beni delle congregazioni religiose, e nel programma del partito nazionale fascista del 1921, si legge che lo stato è sovrano, e questa sovranità non può essere diminuita dalla Chiesa. Mussolini invece manifestò la volontà di arrivare a un accordo con la Santa Sede, moltiplicando gesti di buona volontà. Nel 1923 ci fu un primo incontro del card. Gasparri con Mussolini, ed entrambi concordarono sul fatto che bisognava migliorare i rapporti, e instaurarono un dialogo permanente, attraverso il gesuita Tacchi Venturi.
La Santa Sede si affrettò a cercare un regolamento della questione romana. Il progetto preparato dalla Santa Sede fu ben accolto dal governo fascista. Pio XI pur essendo in linea di massima molto favorevole ad ottenere un accordo in realtà era sempre attento, visto l'atteggiamento del fascismo, ciò che preoccupava era l'educazione dei giovani, il governo sembrava già voler monopolizzare l'educazione dei bambini, infatti con l'opera nazionale Balilla si andava in questa direzione.
Così Pio XI già nel '26 afferma che la concezione dello stato che sta proponendo il fascismo non è la concezione cattolica perché fa dello stato il fine e dell'uomo un mezzo. Si vede già quindi questa diffidenza e prudenza verso questo regime.
L'avvocato Francesco Pacelli, fratello di Eugenio, si occupa dei Patti Lateranensi insieme a Gasparri. Si parla di Patti Lateranensi al plurale perché sono due. Ormai la questione romana era alle spalle, ci si preoccupava del futuro della Chiesa in Italia. Viene quindi chiusa la questione romana, ma in cambio di questo riconoscimento che costituiva un successo per il governo italiano, le concessioni del governo italiano erano molte, riconosceva la religione cattolica come sola religione dello stato, la sovranità della Santa Sede in campo internazionale, la piena proprietà e la suprema giurisdizione sul Vaticano, nasce così lo stato della città del Vaticano. Ai Patti viene legata una convenzione finanziaria che prevedeva una grossa somma di denaro per i danni ingenti subiti per la perdita del patrimonio di San Pietro. Si riconoscevano gli effetti civili del matrimonio religioso, si riconoscevano le organizzazioni dipendenti dalla Chiesa Cattolica.
All'indomani della firma di questi patti ci fu un grande entustiasmo, l'esclamazione di Pio XI “Abbiamo ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio”, ne è il fulgido esempio. Tuttavia ben presto si vide delle profonde divergenze sull'interpretazione concordato. Mussolini così riaffermò il primato dello Stato sulla Chiesa, lo stato è cattolico ma anche fascista, anzi soprattutto fascista. Il 5 giugno del 1929 il Papa ribadiva i diritti della Chiesa e minacciava di non ratificare i Patti Lateranensi, tuttavia lo scambio delle ratifiche dei patti avviene il 7 giugno del 1929 ma non pose fine al conflitto tra la Chiesa e il regime fascista.
Non tutti nella Chiesa vivevano questo entusiasmo papale, alcuni nella corrispondenza privata facevano vedere delle riserve, a cominciare da Montini, futuro Paolo VI.
La reazione della Chiesa
Negli anni '30 assistiamo a una radicalizzazione della politica della Chiesa, che va di pari passo a una politica sempre più antireligiosa dei tre regimi totalitari: fascismo, nazismo, e comunismo. È anche il risultato di una delusione, i concordati non avevano dato gli esiti sperati, non vennero rispettati e applicati.
Tre grandi testi di Papa Pio XI sono sotto i nostri occhi, tre encicliche famose:
- contro il fascismo, Non abbiamo Bisogno (1931)
- contro il nazismo, Mit brennender Sorge (Con viva ansia) (1937)
- contro il comunismo Divini Redemporis (1937)
Per il governo italiano, i Patti Lateranensi erano solo un mezzo per controllare la Chiesa, per assoggettarla alle proprie mire. Mussolini era stato chiaro il 13 Maggio del 1929 aveva detto che lo stato era soprattutto ed esclusivamente fascista, la Chiesa non era né sovrana né libera, era subordinata allo stato, faceva parte dello stato. Per il Papa la prospettiva era diversa, la Chiesa era pienamente sovrana e libera nel suo ordine. Dall'inizio ci fu una controversia sull'interpretazione da dare a questo testo concordato. Al centro di questa controversia che doveva portare alla grande crisi del 1931 tra Chiesa e Stato, l'interpretazione divergente che la Chiesa e lo Stato hanno dato a questo concordato. Al centro del problema c'era l'educazione della gioventù, lo stato fascista non era disposto a lasciare questa parte essenziale alla Chiesa, voleva controllare soprattutto l'educazione per formare al fascismo. La polemica si è soffermata sull'art.43 del concordato che garantiva l'esistenza delle organizzazioni giovanili dell'azione cattolica, in cambio c'era la spoliticizzazione del clero. In questo modo sulla carta veniva garantita l'esistenza delle organizzazioni giovanili. Ma questo concerneva solo l'aspetto religioso di tale organizzazione.
All'indomani del concordato di fatto molti militanti cattolici, molti popolari erano entrati in qualche modo nella fila dell'azione cattolica, dando ad essa una coloritura politica. Il conflitto di cui stiamo parlando tra Chiesa e Stato scoppiò nella primavera del 1931, soprattutto dopo un intervento di Pio XI che in una lettera indirizzata all'arcivescovo di Milano il cardinal Schuster, ricordava che l'azione cattolica andava al di là della sfera solo religiosa, ma andava anche nel terreno lavorativo e sociale. Questo fu all'origine di una terribile campagna intimidatoria nei confronti dell'azione cattolica, campagna che portò alla distruzione di locali associativi. Questa campagna raggiunse il suo punto culminante a fine maggio quando ci fu un'organizzazione orchestrata dal governo che andò decisamente contro il Papa.
La reazione fu impetuosa, tramite il Nunzio in Italia, il governo ricevette l'intimazione di esprimere il proprio rammarico entro 24 ore per il grave fatto accaduto. Ma invece di sottomettersi all'ingiunzione del Papa, Mussolini reagì in modo molto energico ordinando lo scioglimento di tutte le organizzazioni dell'azione cattolica. Sembrava che la situazione stava per giungere a un punto di non ritorno. Fu in questo contesto che fu pubblicata la famosa enciclica Non abbiamo bisogno, porta la data del 29 Giugno, tuttavia venne pubblicata alcuni giorni dopo, scritta dal Papa, in italiano (la prassi era di pubblicarla in latino), rivolta a tutti i patriarchi, arcivescovi e vescovi in comunione con la Sede Apostolica. Si tratta di un testo di circostanza, scritta in occasione degli eventi, c'è esplicito riferimento a questi eventi. Il Papa non voleva tuttavia andare in guerra contro il regime, sarebbe stato un suicidio, la condanna è contro l'ideologia. Condannare l'ideologia non voleva dire condannare lo stato, l'enciclica terminava con l'auspicio di arrivare a un nuovo accordo.
Fu il cardinal Gasparri ormai in pensione che prese l'iniziativa in un messaggio a Mussolini del Luglio del 1931 una lettera che incoraggiava Mussolini a cercare amichevoli rapporti con la Chiesa. Dopo aver consultato anche i cardinali del Sacro Collegio, essendo la maggioranza a favore della ripresa delle trattative, il Papa ne prese personalmente l'iniziativa, inviando un uomo di fiducia, un gesuita, Padre Tacchi Venturi, questo padre che fu inviato dal Papa Pio XI per comunicare la sua volontà di pace. Ciò che chiedeva il Papa era il riconoscimento della Chiesa nell'ambito educativo, e l'annullamento della soppressione dell'azione cattolica. Mussolini rispose che era d'accordo. Si giunse quindi a un nuovo accordo il 2 Settembre del '31, che mise fine a questa crisi. Quest'accordo non prevedeva esattamente il ritorno allo status quo. L'azione Cattolica era ormai posta alle dipendenze interne dei vescovi, garantiva l'esistenza dell'azione cattolica, ma era posta direttamente sotto l'autorità dei vescovi, il campo di azione era limitato rigidamente al campo religioso. Pio XI pensava di aver così salvato l'essenziale, ma la crisi del '31 aveva anche aperto gli occhi a molti, che sino ad allora avevano creduto di poter utilizzare il fascismo per poter ricattolicizzare l'Italia.
Don Primo Mazzolari (1890-1959), una figura di prete anticonformista, che ha avuto sino alla fine della sua vita difficoltà con le autorità ecclesiastiche per le sue prese di posizione. Durante la guerra era stato interventista e poi è venuto a delle posizioni più pacifiste e antinazionaliste negli anni '30. Era un prete lombardo, parroco in un piccolo paese. Si era opposto al fascismo, soprattutto alle violenze delle squadre fasciste. Aveva accolto con una certa freddezza i Patti Lateranensi, diceva che la Chiesa non aveva bisogno di privilegi ma di libertà. L'enciclica venne accolta quindi molto bene da Mazzolari, sorpreso piacevolmente. Rimase poi molto amareggiato dalla riconciliazione, nel frattempo nell'Agosto del '31 fu vittima di un attentato, ci fu una sparatoria, 3 colpi di pistola verso di lui. Era un'intimidazione da parte del regime, che vedeva in lui un nemico. Dopo il 31' non ci sarà più una condanna più esplicita, bisognerà aspettare il '37 per altre due encicliche contro nazismo e comunismo.
Germania: il nazismo
Il concordato con la Germania nazista è stato concluso in 6 mesi, per l'Italia ci sono voluti 7-8 anni. Questo concordato fece discutere ancora di più. Di fatto Hitler ha voluto questo concordato per imitare il modello Mussolini, Hitler seguiva con grande attenzione quello che faceva Mussolini in Italia. Il concordato tedesco è quasi ricalcato su quello di Mussolini del '29.
I dirigenti del partito del centro, del cattolicesimo politico in Germania si trovarono davanti a due soluzioni:
- Fare di tutto per impedire l'arrivo al potere delle forze estremiste, nazismo e comunismo, per impedire questo doveva approvare un'evoluzione antidemocratica, presidenzialista, non avevano la maggioranza
- L'altra soluzione era di fare alleanza con i nazisti, per impedire l'arrivo dei comunisti al potere
Due strategie diverse, il nuovo capo del Partito di centro, che era un ecclesiastico, Monsignor L. Kaas, era più favorevole alla seconda strategia, strategia di raggruppamento delle destre, unione con i partiti nazionalisti. Proprio durante questi mesi, all'inizio dell'agosto del 1931, il cancelliere tedesco che continuava a governare come poteva senza maggioranza venne ricevuto in Vaticano da Pacelli, il quale non era più nunzio in Germania, era tornato a Roma, torna nel '29 e fatto cardinale e poi segretario di stato come successore di Gasparri, quindi fu lui a dover gestire questa situazione. Quanto il papato fosse d'accordo con la seconda posizione vede gli storici di opinioni diverse. Heinrich Brüning, il cancelliere tedesco, non era grande amico di Pacelli, e racconta dell'udienza che ha avuto in vaticano, diceva che Pacelli riteneva che lui dovesse formare un governo delle destre, e poi andare subito a cercare un concordato. Concordato che era sempre stato bloccato dalle forze socialiste. Heinrich Brüning gli obiettò che giudicava in maniera sbagliata la situazione politica in Germania e la vera natura del nazismo. Testimonianza che sicuramente può essere messa in discussione, testo scritto dopo gli sviluppi storici del nazismo, da una persona non vicina sicuramente a Pacelli. Sulla base di questa testimonianza esce fuori un immagine di Pacelli come ossessionato dal concordato, questa ricerca lo porta anche all'alleanza con le forze naziste per arrivare al concordato, minimizzando il pericolo nazista per la Chiesa.
Siamo ancora negli anni 1930 quando il partito è diventato il secondo partito in Germania. La domanda che ci si poneva era come un cattolico potesse aderire al partito di Hitler, la risposta dell'episcopato tedesco era certamente negativa. Lo stesso Osservatore Romano aveva fatto eco alla condanna dell'episcopato tedesco, in cui si legge come l'appartenenza al partito nazionalsocialismo era impossibile per un cattolico. Come era impossibile per un cattolico aderire al socialismo, così lo era aderire al partito di Hitler. Questa era la posizione di episcopato e Santa Sede alla vigilia dell'arrivo al potere di Hitler, si vedeva la natura fondamentalmente anticristiana del nazismo. Pio XI e il suo segretario di stato condividevano i pareri dell'episcopato tedesco. Ma c'era anche il pericolo comunista, bisognava evitare l'arrivo dei comunisti al potere in Germania.
Per Pacelli la situazione in Germania, doveva risolversi attorno al partito cattolico di centro, questa era la situazione quando Hitler viene nominato cancelliere del Reich, il 30 Gennaio del 1933. Da quel momento si è cominciato di nuovo a pensare a un concordato, perchè bisognava garantire i diritti della Chiesa. Lo stesso Hitler aveva seguito con grande attenzione l'evoluzione della situazione italiana, riteneva Mussolini come modello, voleva fare la stessa cosa in Germania, e dunque le sue prime dichiarazioni andavano nel senso di una grande moderazione, nel suo discorso di politica generale, ad appena due mesi dopo l'arrivo al potere, disse che teneva molto a continuare a sviluppare i rapporti amichevoli con la Santa Sede, si presentò come colui che avrebbe difeso la Germania dal bolscevismo ateo. Queste dichiarazioni fecero un'ottima impressione a Roma, su Pio XI, un po' meno su Pacelli che conosceva bene Hitler.
Pio XI diceva di aver modificato la sua idea su Hitler dopo che aveva parlato in questo modo del comunismo, e delle relazioni da voler instaurare con la Santa Sede. Von Papen, un cattolico tedesco era uno dei dirigenti del partito cattolico tedesco (Zentrun) ma rappresentava l'ala destra del partito, quella più favorevole a un alleanza con Hitler, quando Hitler arriva al potere entra a far parte del suo governo e Hitler lo manda a Roma per il concordato, 15 aprile 1933 si aprono i negoziati, che portarono a un accordo, il 20 Luglio del 1933, tutto in tempi brevissimi quindi.
I dirigenti del centro, del partito cattolico, avevano votato i pieni poteri a Hitler il 23 Marzo e in questo modo avevano anche preso la decisione dell'autoscioglimento del partito. Una certa storiografia vede questa decisione dei dirigenti dei partiti viene presentata come il prezzo da pagare per arrivare al concordato, secondo alcuni proprio la Santa Sede avrebbe lavorato per questo per favorire il concordato. Non si può negare che c'è concomitanza tra l'autodissoluzione del centro, seguita qualche settimana dopo dal concordato. Dunque indubbiamente è una questione molto controversa, un dibattito aperto dagli storici.
Pacelli non si aspettava una decisione così rapida riguardo all'arrivo a potere di Hitler, Pacelli disse che era peggio di un arrivo al potere della sinistra. Tuttavia spinse per il concordato, che in quella situazione era di certo fondamentale, decise di consultare l'episcopato tedesco, soprattutto Fanlhaber, a cui chiese di scrivere un memorandum e in questo memorandum che si trova negli archivi vaticani, cerca di fare un analisi equilibrata dell'ideologia nazionalsocialismo. Se leggiamo il testo vediamo che la parte negativa prevale di gran lunga sulla parte positiva, è un memorandum che richiama i pericoli del nazismo, insiste su alcuni elementi come la propagazione dell'odio e della violenza, il culto della razza, e un cristianesimo inconseguente. I nazisti non erano ostili al cristianesimo anzi volevano promuovere un cristianesimo positivo, cioè un cristianesimo che non aveva niente a che fare con le sue radici ebraiche, presentare un Cristo Gesù ariano, non ebreo. Accanto a questa tendenza filocristiana c'era nel partito nazista anche un ritorno al paganesimo, ad antichi miti nordici.
La parte negativa del memorandum era molto più ampia quindi, la parte positiva si limitava al continuare a riferirsi al cristianesimo e all'opposizione al comunismo. Il cardinale arcivescovo di monaco, concludeva dicendo che il cristianesimo che voleva proporre il nazionalsocialismo non era più il cristianesimo di Cristo, ma una nuova religione che di cristiano aveva solo il nome. Non è un caso se fu chiesto allo stesso Fanlhaber di preparare lo schema dell'enciclica contro il nazionalsocialismo. Ma per ora siamo nel momento in cui si cerca un concordato.
Pacelli con questo testo di Fanlhaber voleva far vedere al Papa la realtà del nazismo. Il futuro Pio XII fu nonostante tutto impressionato dalle parole distensive di Hitler del 23 marzo del '33. Nel frattempo i deputati del Partito di Centro avevano votato i pieni poteri a Hitler il 23 marzo e il 29 marzo i vescovi tedeschi decisero di togliere tutti i divieti concernenti il nazismo. Ritennero che nel contesto nuovo era inopportuno riproporre queste sentenze di condanne del nazionalsocialismo.
La decisione di abolire le sanzioni che colpivano il nazismo fu presa dopo lunghe riunioni di vescovi. C'erano chiaramente diverse linee, una linea di resistenza e una più accomodante. Se non è stato possibile dare la prova di una qualsiasi pressione della Santa Sede, si deve riconoscere che questa decisione ha favorito la trattativa per il concordato. Trattative a cui non parteciparono né i vescovi né il partito. Per la Santa Sede sostanzialmente fu Pacelli ad occuparsi del concordato.
Fondamentale per il concordato il divieto di entrare in politica del clero, questo era semplice da accettare in Italia, dove in realtà c'era già stato il divieto a causa della questione romana per molto tempo, invece in Germania c'era un grande attaccamento al Partito Cattolico, i vescovi tedeschi quindi non videro di buon occhio questa decisione, rischiava di chiudere la Chiesa nelle sacrestie. Il vescovo Von Preysing uno dei più ostili al regime, molto amico di Pacelli, che lo nominò vescovo di Berlino, in una lettera a Pacelli del luglio del 1933 esprimeva una certa perplessità per il concordato, diceva come religione e politica non devono essere separati completamente, è impossibile immaginare che la Chiesa debba occuparsi solo del culto, contrario a tutto ciò che abbiamo sempre detto. Questa disposizione è inaccettabile. Nonostante tutto Pacelli decise di agire con grande risolutezza, proprio perchè vedeva questi problemi, credeva più necessario arrivare a un concordato.
Pacelli ricevette da Gasparri una nota autografa il 30 Giugno '33, Gasparri dice che bisogna andare nel senso di una politica di conciliazione con il nazismo. Anche dopo il concordato esprime la sua piena soddisfazione.
Il concordato sarà firmato da Pacelli per la Santa Sede, e per la Germania da parte di Von Paper. Se leggiamo i principali articoli vediamo che garantiscono la libertà della Chiesa. Art.19 le facoltà di teologia cattoliche rimangono confermate, la Chiesa ha il diritto di erigere scuole di filosofia e teologia che dipendono esclusivamente dall'autorità ecclesiastica. Art.31 ha fatto discutere, dice che le associazioni cattoliche saranno protette nelle loro istituzioni, qui si ha un vantaggio più a favore della Chiesa rispetto a quello italiano, si riconoscono anche le istituzioni ecclesiali con funzioni sociali. La Chiesa per assicurarsi l'applicazione di questo articolo avrebbe dovuto stillare una lista, invece questo articolo generico sarà poi interpretato dal nazismo successivamente.
Firmato il 20 Luglio del '33, la stampa tedesca governativa lo presentò come una vittoria del governo nazista, come un riconoscimento da parte della Chiesa del nazionalsocialismo. Sull'Osservatore Romano compare un articolo non firmato, probabilmente dello stesso Pacelli, che tentava di rispondere alla stampa tedesca, rifiutava l'idea che l'accordo significava un riconoscimento del nazionalsocialismo, e le sue posizioni ideologiche. Non significava adesione al nazismo.
L'ambasciatore di Francia era molto preoccupato da questo concordato. L'ambasciatore di Francia dirà che in alcuni circoli cattolici c'è il timore che questo concordato significhi un'approvazione del nazionalsocialismo, Pacelli risponde dicendo che un concordato non implica l'approvazione dell'ideologia.
Dopo il tempo dei concordati è venuto il tempo degli anatemi e delle condanne. Dopo il 1933 assistiamo a una radicalizzazione della politica della Santa Sede nei confronti dei totalitarismi, questo porterà alla pubblicazione di tre testi dottrinali fondamentali: l'enciclica contro il fascismo, e le due famose encicliche contro il nazismo e il comunismo.
Già dal 1934 pochi mesi dopo la firma del concordato, la commissione del Sant'Uffizio aveva cominciato a riflettere su un nuovo Sillabo contro gli errori del totalitarismo.
Reazione della Chiesa al nazismo
Non solo in Italia, ma anche in Germania il concordato non ebbe gli effetti sperati, e nel 1934 la situazione non era migliore di quella italiana, le violenze non erano cessate nonostante la firma del concordato, c'erano divieti che colpivano la stampa cattolica, i vescovi tedeschi erano rimasti senza reagire di fronte a queste violenze, il cardinale Michael von Faulhaber , arcivescovo di Monaco di Baviera, famose le sue omelie dell'avvento del 1933, nei quali ricordava con coraggio le origini ebraiche del cristianesimo e denunciava l'incompatibilità di quest'ultimo con il paganesimo germanico. Queste famose omelie furono tradotte in italiano l'anno successivo.
Rosenberg era rappresentante dell'ala più anticristiana del partito nazista, l'idea era quella di voler rifondare un'altra religione basata sui miti nordici. Il testo di Rosenberg fu messo all'indice nel febbraio del 1934. Rosenberg nel frattempo era stato nominato direttore delle scuole del partito, non era un uomo marginale del partito, era l'uomo della dottrina, dell'ideologia, l'intellettuale del partito, quindi era molto pericoloso.
Troviamo un rapporto di un vescovo austriaco, questo vescovo austriaco si chiamava Alois Hudal, era rettore dall'inizio degli anni '20 del collegio di Santa Maria dell'anima di Roma. Poi successivamente è anche stato fatto vescovo, e nominato consultore della congregazione del Santo Uffizio, questo monsignore decide di inviare un rapporto alla congregazione stessa nell'ottobre del 1934 per metterla in guardia contro il nazionalismo estremo, razzismo e il totalitarismo. Le definiva tre eresie. Sarebbe un errore considerare il nazionalsocialismo solo con un partito politico, ma ha una vera natura religiosa, c'è un pericolo. Non si doveva minimizzare l'impatto di queste teorie e dottrine sul partito nazista, Rosenberg e altri occupavano posizioni importanti nel partito, chiedeva quindi la condanna esplicita di queste dottrine.
Altra lettera importante è quella di Edith Stein che come figlia del popolo ebreo e figlia della Chiesa cattolica scrive al Papa, diceva che questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico era un oltraggio contro Gesù, Maria e gli apostoli.
Pio XI decise di affidare lo studio della questione ai gesuiti, in particolare al Padre Generale, W?odzimierz Ledóchowski (1866-1942) era un aristocratico di origine polacca, decisamente anticomunista, questo chiese a un gesuita di esprimere un parere sull'argomento. Propose un modello sull'esempio del Sillabo, in cui si condannavano gli errori del tempo, in tutto sono 8 posizioni contro il nazionalsocialismo estremo, 24 contro il nazismo e 14 contro il totalirismo.
Nel Novembre del '36 i cardinali del Sant'Uffizio riuniti decisero che non era opportuno la pubblicazione di questo sillabo contro questi errori. Tutto al più riconoscevano l'utilità di un atto del magistero per mettere in guardia dal comunismo. Pio XI approvò la loro decisione dicendo che avrebbe fatto qualche cosa. Venne prodotta 4 mesi dopo la Divini Redemptoris, condanna molto dura del comunismo che viene definito come intrinsecamente perverso.
L'enciclica contro il nazismo ha un'origine diversa dai lavori del Sant'Uffizio.
Contrariamente alle speranze della Santa Sede e l'episcopato tedesco, le violenze contro la Chiesa non cessarono dopo la firma del concordato, l'episcopato tedesco non rimase senza reagire. Nel 1936 c'è un aggravarsi della situazione, sino ad allora, la Chiesa aveva cercato di mantenere questa differenza tra l'ideologia e il governo. Nel Novembre del '36 ad Obersalzberg, un lungo colloquio con Hitler del cardinal Faulhaber, il rapporto inviato alla Santa Sede alla fine dice che Hitler ha senza dubbio fede in Dio.
La riunione del 16-17 gennaio del 1936 è fondamentale: parteciparono i tre cardinali tedeschi, c'era Bertram, presidente della conferenza episcopale, Faulhaber e Schultz, a questi vengono aggiunti due nomi di vescovi tedeschi, ritenuti come i più antinazisti dell'episcopato: Von Galen e il Vescovo di Berlino Von Preysing. Nessuna pubblicità a questo incontro, si riunirono intorno a un Pio XI sofferente che li ricevette nella sua camera da letto. Dissero che la situazione era gravissima, si dice che per la Chiesa ora si tratta di vita o di morte, vogliono la sua scomparsa. Interessante notare che lo stesso Hitler era diventato ostaggio del suo stesso partito.
Loro proposero che il Papa scrivesse un'enciclica a carattere dottrinale. Fu dopo questa riunione che Pacelli chiese a Faulhaber di scrivere per scritto le sue idee, di preparare una bozza di enciclica. Sulla base di questo progetto fu poi elaborata l'enciclica.
L'enciclica fu pubblicata un mese e mezzo dopo, il 14 Marzo 1937. Oltre a Faulhaber fu anche sentito Ledóchowski. Lo stesso Pio XI sembra che intervenne non accettando alcune correzioni di Pacelli. La prima parte ha molto di Pacelli, ci si riferisce al concordato del 1933. Fu per garantire la libertà della Chiesa che essa aveva firmato questo concordato, ma questo albero di pace non è cresciuto e non per colpa della Chiesa, ma del governo tedesco.
Ci fu un certo imbarazzo da parte del governo per questa enciclica, in un breve articolo sul giornale del partito si rimproverava al Papa di fare politica, di non rispettare il concordato, di rompere il concordato. Nonostante queste minacce il concordato non fu revocato, in un primo momento quindi questo silenzio imbarazzato, poi ci fu la rabbia del governo dopo che si vide che la diffusione del testo andò al di là della Chiesa stessa. Il governo tedesco quindi fece tutto per impedire la diffusione del documento. Le persecuzioni contro la Chiesa si intensificarono, nelle scuole cattoliche vennero soppressi i crocifissi nelle classi furono sostituiti dal ritratto di Hitler.
Nonostante tutto questo la risonanza dell'enciclica fu notevole.
Il comunismo: Divini Redemptoris
Altra enciclica è quella contro il comunismo, Divini Redemptoris, in realtà fu pubblicata sempre nello stesso anno anche una terza enciclica che parlava della situazione messicana. Situazione preoccupante, si vedeva anche lì la mano di Mosca e del comunismo.
A differenza del nazismo il comunismo veniva visto come una minaccia mondiale che non riguardava un singolo stato, fu visto come il pericolo maggiore. Proprio per questo motivo inizialmente la Chiesa fu morbida con il governo tedesco, sembrava garante contro il comunismo.
A partire dal 1929, con l'ascesa al potere di Lenin, si ha una propaganda antireligiosa (decreto dell'8 aprile 1929) che nelle feste natalizie vide la chiusura di centinaia di chiese e luoghi di culto, spesso ortodossi ma anche cattolici, ci fu l'abolizione della domenica come giorno di riposo per tutta la popolazione. Fu in questo contesto che Pio XI decise di pubblicare una lettera indirizzata al cardinale Basilio Pompili, cardinale vicario di Roma, il 2 Febbraio 1930, questo segnava indubbiamente una svolta, perchè non si tratta più di cercare un modus vivendi per garantire la Chiesa, ma si trattava di combattere apertamente la campagna antireligiosa del comunismo. Fino a questo momento in realtà la Chiesa ha cercato un concordato, un accordo con il governo russo.
La Chiesa si vedeva assediata dal pericolo comunista, Messico, Mosca, Spagna, si mirava alla distruzione del primato cattolico. Di fronte a questa minaccia rivoluzionaria senza precedenti, la Santa Sede non poteva rimanere senza reagire, non bastavano più le preghiere e le pie esortazioni, ci voleva qualcosa di più organizzato, in questo contesto fu mandata a tutti i nunzi una nota circa la propaganda comunista.
Fu creato un Segretariato sull'ateismo, diretto da Padre Ledit, uomo con una certa esperienza, insegnava storia della Russia. Questo Segretariato raccolse in pochi anni, un'impressionante documentazione sul comunismo: riviste e opuscoli. Una struttura che doveva coordinare e raccogliere tutto quello che riguardava il comunismo per organizzare poi una contro propaganda, e infatti venne pubblicata una rivista Lettere di Roma sull'ateismo moderno. La rivista aveva più di 1000 abbonati.
Primo a parlare al Papa dell'enciclica fu proprio W?odzimierz Ledóchowski, che in una lettera inviata a Pio XI nell'aprile del 1936, sosteneva la necessità di combattere la propaganda ateistica di Mosca, bisognava dire tutta la verità sugli orrori comunisti, dalla Russia al Messico passando per la Spagna. W?odzimierz Ledóchowski si offre disponibile a un aiuto, scrive infatti "Vostra Santità, perdonerà il mio ardire e se credesse opportuno di scrivere una tale Enciclica, credo che potremmo anche noi contribuir qualche materiale utile di diversi paesi" (Lettera manoscritta dell'11 Aprile 1936 in AES IV, stati eccl. 577).
Al Cardinal Ottaviani si doveva invece un manuale di diritto canonico che condannava tutti i totalitarismi. Il progetto preparato dal Sant'Uffizio insisteva sul carattere religioso del comunismo, non era solo un sistema economico. La Chiesa ha sempre manifestato indifferenza per le varie forme di governo, il problema è che qui si parla di religione. Se per il comunismo la Chiesa cattolica rappresentava il nemico da abbattere bisognava che tutti coloro che volessero combattere il comunismo si dovessero alleare con la Chiesa. L'idea era quella di creare un fronte anticomunista, un fronte che comprendeva anche chi era al di fuori della Chiesa. Questo porterà poi molto più avanti nel 1949 al famoso decreto del Sant'Uffizio che vietava ogni forma di collaborazione con i comunisti, in caso contrario c'era il rischio di scomunica.
Il progetto del Sant'Uffizio più che anticomunista era antitotalitario. Pio XI sembra non prese in considerazione questo progetto. Fu il secondo schema quello che il Papa prese in considerazione, fu quello dei gesuiti, riuniti intorno alla figura del padre Ledóchowski, arrivato a Pio XI solo nel febbraio 1937. Questo testo non è stato conservato negli archivi, ma vi sono altri documenti che consentono di valutare l'apporto dato alla redazione dell'enciclica dalla Compagnia di Gesù e dal suo generale. A differenza del Sant'Uffizio, i gesuiti vedevano nel comunismo il principale nemico della Chiesa, la visione del Sant'Uffizio, invece, come abbiamo detto, è una visione generale su tutti i totalitarismi, i gesuiti invece parlano per lo più del comunismo, tacendo un po' il totalitarismo nero.
A differenza del Sant'Uffizio l'approccio non è tanto dottrinale, ma concreto, è il comunismo di Mosca che bisogna condannare, è un sistema. Bisogna evitare l'impressione che la Chiesa è capace di buone parole ma non è concreta nel condannare, "non arriva ai fatti".
All'inizio di Febbraio fu convocato d'urgenza a Roma padre Gustave Desbuquois, fu lui a riequilibrare un progetto che sembrava troppo negativo. Desbuquois aveva delle idee di certo più moderate rispetto a quelle di Ledóchowski. Per questo quest'ultimo lo riprese per aver osato parlare di un possibile dialogo con i comunisti.
Altro motivo di divergenza tra i due è che nel progetto di Ledóchowski si richiede un accenno agli ebrei, cioè al fatto che dietro al bolscevismo ci sarebbero stati gli ebrei, Ledóchowski voleva far passare questo nel testo dell'enciclica "Ci pareva necessario che in una tale Enciclica si faccia, sia pure di passaggio e velatamente, almeno un'allusione all'influsso ebraico, essendo certo che non solo gli autori intellettuali del comunismo erano tutti ebrei, ma anche il movimento comunista in Russia è stato inscenato da ebrei, e adesso pure, benché non sempre apertamente in tutte le regioni, se si va ben a fondo, sono gli ebrei i primi fautori e promotori della propaganda comunista" in margine a questo testo il Papa avrebbe scritto "da verificare". La cosa certa è che nel testo dell'enciclica non si parlerà mai dell'ebraismo.
L'enciclica fu pubblicata in latino, il 19 Marzo 1937, durante la festa di San Giuseppe, patrono dei lavoratori. Questa enciclica ha molto di Pio XI a differenza di quella contro il nazismo che è più di Pacelli.
La struttura generale dell’enciclica è divisa in cinque parti:
- La prima parte ricorda l’atteggiamento fermo tenuto dalla Chiesa nei confronti del comunismo durante i pontificati di Pio IX e Leone XIII, fino ad arrivare al pontificato di Papa Ratti
- La seconda parte presenta la dottrina comunista e gli amari frutti che essa porta con sé
- La terza espone la luminosa dottrina sociale della Chiesa Cattolica
- La quarta indica i rimedi e i mezzi da adottare per combattere il flagello del comunismo
- La quinta lancia un appello a tutte le forze morali e spirituali, chiamate a collaborare a questa opera mondiale di salvezza
Alla fine ci si rivolge agli stessi comunisti affinché abbandonino il loro errore.
Il documento voleva essere più positivo che negativo, tracciava i contorni di un nuovo ordine sociale cristiano, fondato sui principi della morale cattolica. Ciò che rimarrà invece sarà per lo più la condanna senza appello del comunismo “il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana” (n.58).
Alla vigilia delle elezioni francesi del 1936, in cui vinse la sinistra, Maurice Thorez, segretario del partito comunista francese, aveva lanciato un appello sulla radio francese, appello sulla mano tesa ai cattolici; e l’appello fu abbastanza recepito tra i cattolici francesi. Nacque la rivista Terre Nouvelle, che predicava una conciliazione tra marxisti e cristiani; sulla copertina c’era una croce rossa sbarrata con falce e martello, per un cristianesimo rivoluzionario. La rivista fu messa all’indice. Di certo c’erano anche posizioni più moderate, anche tra i domenicani.
Quindi questo appello fu rivolto di nuovo anche alla fine del 37, Maurice Thorez parlava di un possibile accordo tra cattolici e comunisti sul piano sociale. Proprio in quell’occasione il Papa cercò di dare una risposta che fosse non del tutto negativa, ma fu fraintesa.
Nel taccuino di Pacelli si legge che il papa si chiedeva se si poteva solo rifiutare questa mano tesa. E così il Papa dirà “Noi prendiamo la mano che ci tendete e vi tendiamo la nostra e vi preghiamo di bene accoglierla perchè noi non vogliamo l'una e non vi offriamo l'altra se non facendo nostre, come ne abbiamo il diritto e il dovere, le parole di nostro Signore Gesù Cristo: venite a me” (Udienza del 6 Novembre 1937, Stati eccl. 354).
Quindi, dopo la pubblicazione dell’enciclica, sembrò a molti esserci un “ripensamento del papa”. I vescovi francesi allora si chiesero il perché di questa apertura, chiesero spiegazioni alla Segreteria di Stato, che fu imbarazzata nello spiegare che in realtà non c’era stato nessun cambiamento di posizione. Pacelli scrisse che non si trattava di un proposito fisso, ma di un semplice pensiero, che la Chiesa, preoccupata pastoralmente per coloro che sono nell’errore, voleva esprimere ai “lontani”.
Verdier, vescovo di Parigi, fece eco al papa: “Il buon medico non respinge la mano che gli viene tesa per il dolore. Il buon Pastore del Vangelo si preoccupa molto più della pecora perduta che delle altre novantanove rimaste nell'ovile. Si bisogna rispondere nobilmente, cristianamente, con infinita carità, a coloro che ci chiamano da tanto lontano”.
Ci fu di nuovo una presa di posizione ufficiale sull’Osservatore Romano (29 dicembre 1937), che diceva formalmente che non era possibile un’intesa con i comunisti (cioè la posizione dell’enciclica). Si faceva però la distinzione tra errore ed errante. Distinzione che sarà poi ripresa nella Pacem in terris (1963) di Papa Roncalli, Giovanni XXIII: qui il Papa farà la distinzione tra errore ed errante. L’errore è da condannare con fermezza, ma con l’errante bisogna aprire un dialogo. Questa enciclica all'indomani del Concilio aprirà la strada al dialogo con il mondo dell'ateismo.
Pio XI avrebbe voluto pubblicare un altro testo (enciclica mancata), di condanna ancora più esplicita, non tanto contro il comunismo, ma contro il nazismo (che non era stato esplicitamente condannato nell’enciclica) e l’antisemitismo. L’avvicinamento dell’Italia alla Germania portò all’introduzione di leggi discriminatorie contro gli ebrei. Nel luglio del 1938 una serie di scienziati fascisti pubblicò il manifesto della razza. Il Papa disse che l’antisemitismo era inaccettabile perché siamo tutti semiti, spiritualmente. Durante un’assenza di Pacelli (ottobre-novembre del 1938), Tardini riceveva spesso il papa, e lo aggiornava in particolare sulle misure adottate dal governo italiano. Il Papa disse che da buon italiano si vergognava di quello che il governo faceva (affermazione riportata nei taccuini di Tardini).
È proprio in questo contesto che nasce l’idea di pubblicare una nuova enciclica sul razzismo e l’antisemitismo; e chiese di avere un’udienza a un gesuita di passaggio a Roma, un gesuita americano, La Farge, che aveva pubblicato un testo sul razzismo negli stati uniti. E il papa gli chiese di scrivere un progetto di enciclica sul razzismo. Iniziò a lavorare con un francese ed un tedesco (Desbuquois e Gundlach), nell’autunno del 1938 uscì un progetto di enciclica che fu consegnato a Ledochowschi; e da allora questo progetto di enciclica si perse; pochi mesi dopo (febbraio 1939) il papa morì (10 anni dai patti lateranensi). Comunque, il papa non ebbe modo di dare alle stampe il testo. Pio XII sembra che non lo riprese in considerazione. Nella sua prima enciclica, Summi Pontificatus, c’è tutta una parte che riprende la sostanza del progetto, l’unità del genere umano (il titolo originale era humani generis unitas). L’enciclica “mancata” oggi è disponibile, anche se non pubblicata, che però ci svela la volontà del pontefice di pubblicare un’altra enciclica.
Le guerre dei totalitarismi
Diverse le guerre generate dai totalitarismi, almeno 3:
- La guerra d’Etiopia
- La guerra in Spagna
- La Seconda Guerra Mondiale
Si vede che c’è un legame tra l’ideologia totalitaria e la guerra, il culto della violenza. Qui bisogna allora mettere in evidenza che senza la Prima guerra mondiale non ci sarebbero stati questi regimi, quindi c’è una notevole importanza della Grande Guerra nella nascita e nel successo dei regimi totalitari. Esperienza tragica, di morte e disperazione, ma che per coloro che sopravvissero a questa esperienza, si trasformò in un’esperienza quasi sacra, che contribuì paradossalmente a mitigare l’avversione alla guerra e contribuì alla creazione del mito della guerra. George Mosse ha riflettuto molto su questo. La Grande Guerra ha portato alla sacralizzazione della violenza, come rigeneratrice.
Basti pensare in Italia al futurismo. Scriveva Marinetti: "la guerra, sola igiene del mondo". La Grande Guerra ha dato a questo discorso un’attualità nuova, perché assistiamo a una rinascita spirituale, con molti che ritrovarono la fede sul campo di battaglia. All’indomani della guerra ci fu una rinascita del sentimento religioso, ma anche di nuove forme di sacralità (politiche), e tra queste il nazionalismo, il culto della nazione. La Prima Guerra Mondiale fu in qualche modo la guerra dei nazionalismi (la Seconda Guerra Mondiale fu quella dei totalitarismi). Nasce il culto per i caduti, visti come martiri. La Grande Guerra, che fu di una violenza mai conosciuta prima, ha contribuito a rendere brutali coloro che vi avevano partecipato; tanto più se i sopravvissuti appartenevano a una nazione sconfitta, come la Germania o l’Italia. La Prima Guerra Mondiale non ha significato la fine delle violenze (ad esempio squadrismo fascista). Si pensava di utilizzare i mezzi della guerra anche in politica. Ci furono, come in Germania, degli assassini politici. Conseguenze della Grande Guerra, fu soprattutto la nascita dei regimi totalitari.
In questo periodo torna la domanda sulla posizione della Chiesa nei confronti della guerra. Ci si chiede se non fosse tornata nel cristianesimo l’idea di crociata. Soprattutto in Spagna, si voleva una specie di crociata contro il comunismo. Il cristianesimo invece si fonda essenzialmente su un messaggio di pace. La dottrina della guerra giusta, che risaliva al medioevo e ad Agostino, cercava di regolare l’uso della violenza, anche se tendeva anche a legittimare il ricorso alla violenza. Le condizioni per la guerra giusta erano:
- l’autorità legittima del principe (non degli individui, la guerra andava dichiarata);
- la causa doveva essere giusta (idea della riparazione di un’ingiustizia, ma doveva essere comunque l’extrema ratio)
- proporzionalità tra mezzi e fini;
- l’intenzione retta (ristabilire la giustizia e l’ordine).
Diversa era l’idea di crociata, che inizia a diffondersi nel XII secolo, questa si è una “guerra santa”. L’idea si diffuse dopo le prime crociate. C’è una differenza tra guerra giusta e guerra santa. Il concetto di guerra santa porta con sé l’idea che la guerra come tale poteva essere santa, ed essere in grado di santificare chi la faceva. I crociati, in qualche modo, erano martiri della fede si ha una santificazione della guerra. Il ricorso alle armi non soltanto non era vietato, ma incoraggiato addirittura dal papato.
Terzo concetto interessante è quello della guerra divina, cioè guerra come punizione divina. Questo discorso appare abbastanza anche negli scritti dei cattolici dopo la rivoluzione francese, interpretata come punizione di Dio. Punizione inflitta da Dio alla società moderna sempre più secolarizzata per favorire il ritorno alla pace e la concordia sotto la guida della Chiesa. Questo tipo di lettura “provvidenzialista” ha avuto un certo successo durante la Prima Guerra Mondiale. Ci possiamo chiedere allora in che senso la Prima Guerra Mondiale ha modificato questi discorsi.
Bisogna ripartire dal pontificato di Benedetto XV (il papa della Grande Guerra), parlò di orribile carneficina, inutile strage, suicidio collettivo. Il suo magistero sulla guerra è fondamentale. Tutti i papi successivi si sono sentiti chiamati a continuare questa profezia della pace nel mondo.
Una nota ai capi dei paesi belligeranti del 1917 proponeva una specie di pace negoziata; purtroppo questa offerta non fu recepita da nessuno, neanche dai cattolici, che erano furiosamente scatenati nella difesa della propria nazione. In Francia molti professori tomisti difendevano la guerra come difesa della civiltà cristiana.
Padre Antonin-Dalmace Sertillanges, domenicano professore a Parigi, fece durante una cena patriottica religiosa nel dicembre del 1917, un grande discorso davanti a tutte le autorità civili e religiose; disse pubblicamente che i cattolici francesi non potevano rispondere positivamente all’appello di pace del Papa. C’era una specie di consenso patriottico nazionale (anche in Italia). La cosa era interessante, perché esprimeva un’idea di gran parte della Chiesa francese.
Prima Guerra Mondiale
Una guerra che non ha risparmiato i civili; in questo senso non poteva più essere considerata guerra giusta. Dopo la guerra il papato non cesserà mai di mettere in guardia i cattolici contro il nuovo flagello del nazionalismo.
Benedetto XV il 23 Maggio 1920 pubblicò un’enciclica Pacem dei munus, in cui tracciava il programma di un vero e proprio internazionalismo cristiano (di fronte ai nazionalismi). Si trattava di non lasciare ai comunisti il monopolio e del pacifismo.
Lo stesso Pio XI, nella Ubi arcano dei (23 dicembre 1922), sua prima enciclica, parla dei pericoli insiti nell’immoderato nazionalismo , e nella sacralizzazione della nazione, da distinguere dal giusto amore di patria. Si pensava, nella metà degli anni 20, a una enciclica contro il nazismo; Papa Ratti condannò anche il movimento nazionalista dell’action française (1926), anche se non ci furono dichiarazioni dottrinali. Nel mondo cattolico ci furono anche vescovi che cercarono di proporre la pace e un atteggiamento positivo nei confronti della Società delle Nazioni. Nasce in questo senso la collaborazione internazionale dei cattolici, e viene anche incoraggiata dalla Santa Sede.
Anche a livello teologico ci fu un tentativo tra fine anni ‘20, inizio anni ‘30 di ripensare la dottrina della guerra giusta. C’era la Società delle Nazioni, il cui obiettivo era di impedire una nuova guerra. Proprio nel mondo cattolico ci furono tentativi sulla scia dei documenti di Benedetto XV, di ripensare la dottrina cattolica. Alla fine degli anni 20, un gruppo di teologi francesi si riunirono a Friburgo intorno al vescovo, per stabilire che l’unico caso in cui una guerra era giusta, era il caso di legittima difesa.
Per poter reagire alla logica della violenza, la Chiesa quindi soprattutto a partire da Benedetto XV ha sviluppato una profezia della pace.
La Guerra di Etiopia
Scatenata dal regime fascista nel 1935, e conclusa nel 1936 con l'annessione dell'Etiopia al Regno d'Italia. Questa guerra fu la prima crisi internazionale che coinvolgeva direttamente l'Italia dopo la riconciliazione del 1929. Fu la guerra più importante della storia dell'Italia unita dopo le due guerre mondiali. Fu una vera guerra fascista, voluta e condotta da Mussolini, si trattava di rilanciare la vocazione imperiale dell'Italia, la più grande Italia, doveva estendersi sino all'Africa, l'Italia che aveva fatto la grandezza dell'impero romano. Diversi i motivi di questa guerra:
- Economico, colonizzare nuove terre e darle a gente povera dell'Italia del sud;
- Strategico, prendere posto in Africa accanto ad altre potenze, come la Francia;
- Politico, si trattava di rafforzare la popolarità del regime, toccando il punto sensibile dell'orgoglio nazionale, l'Italia che riprende posto tra le grandi potenze.
La questione che si è posta alla coscienza cattolica di allora era questa: poteva essere una guerra giusta questa guerra in Etiopia? Dal suo esilio londinese Don Luigi Sturzo diceva che non c'erano le condizioni perché questa fosse una guerra giusta, era una guerra di conquista, e lo stesso Papa decise di parlare a una riunione di infermiere cattoliche (27 Agosto 1935), ricevendole a Castel Gandolfo fece un discorso in cui condannava espressamente l'aggressione che si profilava. Tre i motivi della condanna:
- Perchè la guerra è orribile, la guerra deve essere evitata ad ogni costo, provoca solo rovine e devastazioni
- Rifiuto di una guerra fondata sul primato della forza, le legittime aspirazioni all'espansione non potevano giustificare un diritto di conquista con la forza
- Rischio di aggravarsi della situazione internazionale.
L'opinione cattolica italiana invece fu molto favorevole a questa guerra, la guerra di Etiopia ha rappresentato quasi il massimo dell'appoggio al regime. Non si esitò a sposare i temi della propaganda del regime, si andava a benedire le armi e le bandiere, come se fossero destinate a una crociata. L'allora arcivescovo di Milano, il 28 Ottobre del 1935, fece un omelia davanti alle più alte cariche dello stato e dell'esercito e parla di missione, viene spiegata questa guerra in chiave missionaria.
Troviamo questa giustificazione della guerra in nome dell'evangelizzazione, questo viene ripreso dalla maggior parte della stampa cattolica.
Appena dichiarata questa guerra ci fu da parte della Società delle Nazioni la sanzione contro l'Italia.
In Francia ci fu una mobilitazione degli intellettuali cattolici, c'erano due atteggiamenti molto diversi nel mondo cattolico francese. Da un lato c'era chi giustificava questa guerra, questo in nome della lotta contro il comunismo, la massoneria, e chi invece condannava questa guerra in nome delle esigenze della morale cristiana. Il primo atteggiamento conservatorio si espresse in un manifesto intitolato Per la difesa dell'occidente e la pace in Europa e fu firmato da grandi numerosi esponenti della destra. Qui si diceva che la Chiesa difendeva l'evangelizzazione universale, e qui si attaccava anche la Società delle Nazioni, che metteva tutti sullo stesso piano senza considerare la superiorità della società civile. Ci sarà anche un contro-manifesto intitolato Per la giustizia e la pace, questo condannava il principio di ricorso alla guerra per espansione o civilizzazione.
Questa situazione aiutò l'avvicinamento tra Italia e Germania, infatti Francia e Inghilterra erano contro questa guerra, e fecero approvare delle sanzioni dalla Società delle Nazioni. Erano membri della Società delle Nazioni era sia l'Italia che l'Etiopia, quest'ultimo era l'unico stato africano che faceva parte della società delle nazioni.
Il silenzio del Papa contribuiva a far pensare a un Papa filofascista, il Papa in realtà, dopo l'intervento in occasione dell'incontro con le infermiere, non aveva più parlato della guerra. Certo era un silenzio forzato, il Papa era molto contrario, ma veniva costretto a non parlare anche dal suo entourage, che non voleva provocare una nuova crisi con il governo fascista italiano, non è un silenzio in senso di adesione, ma un silenzio forzato, non poteva, non doveva parlare.
Guerra civile spagnola
In Spagna ancora di più ci fu mobilitazione cattolica, anche questa guerra suscita un rinnovo dell'idea della crociata. La nuova costituzione repubblicana della Spagna riconosceva la libertà di coscienza, il divorzio, la scuola laica, e poneva numerosi limiti alle congregazioni religiose, prevedeva anche la dissoluzione di tutte le associazioni che avevano fatto voto di ubbidienza a un'autorità straniera, come i Gesuiti con il loro quarto voto di ubbidienza al Papa. Il crocifisso fu tolto da tutte le aule scolastiche, il conflitto sembrava inevitabile.
Anche se all'interno della Chiesa spagnola c'era una linea intransigente, il cardinale arcivescovo di Toledo Isidro Goma y Tomas, nel 1934 aveva partecipato a un grande congresso eucaristico internazionale che si svolgeva in Argentina e aveva fatto un discorso che la diceva lunga sulla sua idea, facendo apologia dell'opera civilizzatrice della Spagna, disse che l'America era opera della Spagna, Spagna e cattolicesimo stanno insieme, si ha un nazionalismo cattolico. Nel momento della guerra civile chiaramente quindi si vedeva questa come una guerra santa, che difendeva i valori cristiani, questa linea è quella più condivisa. Molti vescovi spagnoli la ritenevano una vera e propria crociata per difendere i valori del cristianesimo.
Alcuni vescovi avevano una posizione più conciliante con il nuovo regime. Un esempio è quello del cardinale Vidal y Barraquer. Lo stesso nunzio in Spagna era piuttosto moderato, la Santa Sede si era detta pronta a cooperare con il nuovo governo.
Appena cominciata la guerra l'episcopato spagnolo ha riconosciuto in questa guerra una guerra benedetta da Dio. La Chiesa spagnola fu vittima di una terribile persecuzione, assassini, uccisioni di preti e religiosi, profanazioni. Dunque tutto questo ha fatto si che l'episcopato nella stragrande maggioranza fosse schierata con i nazionalisti contro la repubblica, riconoscendo in questo movimento la sollevazione della Spagna cattolica contro quella rossa. Si trattava quindi di una vera e propria crociata. Il vescovo di Salamanca, riprendendo le due città di Sant'Agostino non esitava a scrivere che esteriormente sembra una guerra civile ma in realtà è una crociata. Lo stesso cardinal Isidro Goma y Tomas dopo un colloquio con il generale Franco, decise di pubblicare una lettera collettiva di tutto l'episcopato spagnolo del 1 Luglio del 1936 che prendeva ufficialmente posizione in favore di Franco. Quasi tutti i vescovi spagnoli firmarono, tranne due, tra cui Vidal y Barraquer.
Anche nel caso della Spagna dal punto di vista della dottrina cattolica faceva problemi, una sollevazione contro un governo legittimo. Se leggiamo la lettera pastorale collettiva, l'argomentazione di fondo era che la gerarchia ecclesiale non ha fatto niente per sollevare questo movimento, la Chiesa non è quindi responsabile dello scoppio della guerra, una guerra che però era ritenuta pienamente legittima. E veniva giustificata dal diritto tomista di resistenza all'oppressore. La Chiesa nonostante il suo desiderio di pace non poteva restare indifferente al conflitto. La guerra veniva quindi giustificata, si trattava di una guerra giusta. Non si parlava qui di crociata, guerra santa, anzi si prendeva le distanze da questo termine all'inizio del documento, tuttavia andava nella direzione di una guerra giusta.
Questa lettera pastorale era indirizzata a tutti i vescovi del mondo non solo alla Chiesa spagnola, un documento che ebbe un notevole impatto su tutta la cristianità, furono inviate almeno 850 risposte di adesione da parte di tutti i vescovi del mondo. La guerra di Spagna ha quindi mobilitato anche al di là della Spagna tutta l'opinione cattolica mondiale. La maggior parte a favore della posizione della Chiesa spagnola.
Jacques Maritain in una prefazione, se la prendeva con questa idea della guerra santa in Spagna, si combatta questa guerra se la si crede giusta, ma non la si chiami santa. Maritain non fu capito, lo accusarono di essere anche lui comunista, e il suo atteggiamento non era capito neanche in Vaticano, il suo ostinarsi a vedere solamente le violenze di Franco stupiva. La risposta di Maritain si può trovare in una lettera a Mounier del 29 Novembre 1933 “il signor Maritain non è né ebreo né comunista. Definirlo comunista non ha più valenza obiettiva che dire, come accade in certi ambienti, che il papa è comunista. La sua più grande preoccupazione è di impedire che, nell'opinione pubblica, si associno il cristianesimo e il modo di agire spesso poco cristiano dei nazionalisti spagnoli. Che quello dei rossi sia poco cristiano è evidente, ma ciò non compromette il cristianesimo, perchè i rossi sono gli avversari del cristianesimo”.
Luigi Sturzo non nega che ci sono stati dei crimini commessi dai repubblicani, ma tutto questo non giustifica i crimini degli altri, dei nazionalisti, che usavano anch'essi la violenza. Non si può giustificare la violenza. Questo lo diceva nel suo libro La Chiesa e lo stato.
La Santa Sede aveva già parlato del terribile triangolo delle persecuzioni subite dalla Chiesa nella Russia comunista, nel Messico rivoluzionario, nella Spagna repubblicana. Il problema non era da poco, tutto ciò, tutto questo pericolo, dava ragione per predicare una crociata? Il Papa doveva fare come i suoi predecessori aderire alla crociata per difendere la cristianità? Il Papa riteneva di non dover predicare la crociata, si era già posto la questione in occasione dell'insurrezione del Messico alla fine degli anni '20, ma aveva risposto che non poteva incoraggiare la violenza armata, le armi proprie della Chiesa sono quelle spirituali, crociate di preghiera, messe di espiazione, ecc...
Ci fu certamente un certo imbarazzo dopo lo scoppio della guerra civile spagnola. Alla fine dell'estate, di fronte alle notizie che arrivavano, di queste violenze contro la Chiesa, il Papa ha capito che doveva prendere posizione. Fu preparato un progetto di lettera che non fu più pubblicato. I suoi passi essenziali furono però ripresi nel discorso che fece Pio XI a Castel Gandolfo il 14 settembre del 1936, due mesi dopo lo scoppio dell'insurrezione in Spagna. Il Papa cercava di non identificare la causa nazionalista con quella della Chiesa, e cominciava definendo la guerra spagnola come una guerra civile, non una guerra santa, “tra figli dello stesso paese, dello stesso popolo, della stessa patria”. Non sottovalutava la dimensione propriamente religiosa del conflitto, questo conflitto aveva anche una dimensione religiosa, i responsabili di questa strage fraterna erano le stesse forze sovversive che miravano alla conquista del mondo intero, e all'annientamento della religione cattolica e alla sua benefica influenza sulle masse. L'impegno per la difesa non doveva però sfociare in eccessi, né in interessi egoistici o di partito.
Nella Divini Redemptoris del 19 Marzo 1937 denunciava gli orrori del comunismo in Spagna: “il furore comunista non si è limitato ad uccidere i Vescovi e migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose, cercando in modo particolare quelli e quelle che proprio si occupavano con maggior impegno degli operai e dei poveri; ma fece un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni ceto, che fino al presente vengono, si può dire ogni giorno, trucidati a schiere per il fatto di essere buoni cristiani o almeno contrari all'ateismo comunista”.
D'altro canto Pio XI non vedeva di buon occhio neanche i tentativi di mediazione degli altri governi. Quando Francia e Gran Bretagna chiesero alla Santa Sede di entrare nel loro piano di non intervento si sentirono accusate “di cooperare alla distruzione della fede”.
Seconda Guerra Mondiale
Appare come l’esito, la conseguenza fatale, ineluttabile, di tutta una serie di crimini internazionali, provocati dalla Germania nazista negli anni ’30:
- Rimilitarizzazione della Renania nel 1936, L’annessione dell’Austria del marzo del 1938, L’invasione della Cecoslovacchia nel marzo 1939, L’invasione della Polonia il 1 settembre 1939
Quest’ultima segnerà l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, tutti i tentativi di mediazione erano falliti, la politica di distensione era finita, ormai si era convinti che l'unico modo di fermare Hitler era attraverso l'uso delle armi. Ma mentre Inghilterra e Francia in questo erano ormai irremovibili, la Santa Sede cercò invano una via diplomatica.
Guerra che scoppia il 1 settembre del 1939, dopo l'invasione della Polonia. In meno di 18 mesi la Germania divenne la potenza dominante di tutta l’Europa, era anche una guerra ideologica.
Da una parte le democrazie occidentali (Francia, Inghilterra e poi Usa), dall’altra i totalitarismi: (Germania nazista, Unione sovietica, Italia fascista).
Ci fu un riavvicinamento tra Germania e Italia, simbolicamente rappresentata dalla visita di Hitler a Roma nel maggio del 1938; nel 1939 c’è la firma del patto d’acciaio. In seguito, il patto Ribbentrop-Molotov (ministro degli esteri di Germania e Urss), di non aggressione tra le due maggiori potenze totalitarie. Questo permise l’invasione della Polonia.
L'atteggiamento della Santa Sede fu:
- Progressivo “irrigidimento” della posizione della Santa Sede contro i totalitarismi (soprattutto Pio XI), culminato con la pubblicazione delle due encicliche contro nazismo e comunismo.
- Moderazione da parte della Santa Sede riguardo, ad esempio, la guerra d’Etiopia e la guerra di Spagna. Il papato ebbe un atteggiamento di riserbo.
- Questo atteggiamento “moderato” ha portato a una tensione crescente con le Chiese locali (nazionali), coinvolte in questi conflitti, che erano favorevoli alla guerra. In questo senso andavano gli appelli alla pace del papa.
In questo periodo viene eletto papa Pacelli nel marzo 1939. Fu eletto anche nel contesto molto teso di questi mesi. Eletto in meno di 24 ore, al terzo scrutinio. Appariva come l’unico in grado di guidare la Chiesa, sembrava il più preparato a questo compito, in virtù della sua formazione e delle sue esperienze. Incarnava la continuità della Santa Sede nella linea anti-totalitaria. Tuttavia oggi la tesi dominante di certa storiografia insiste più sulla discontinuità con la linea di Pio XI.
Pio XII, appena eletto, ha voluto tentare la strada della distensione, della conciliazione, della pace, in modo particolare con la Germania nazista. Miccoli insiste molto sul fatto che, appena eletto, Pio XII ha voluto seguire l’esempio di Leone XIII (quando venne eletto, era una situazione difficile, a livello internazionale). Leone XIII aveva, appena eletto, cambiato atteggiamento contro la Germania di Bismark, aprendo la strada al superamento del Kulturkampf, e lo stesso voleva fare Pio XII. Effettivamente, Pio XII si richiamava esplicitamente all’opera di Leone XIII. Infatti la preoccupazione principale di Pio XII, appena eletto, era di salvaguardare la pace.
In un primo momento, dunque, la Santa Sede ha cercato di promuovere una politica di pace, in particolare una conferenza internazionale tra le maggiori potenze europee per risolvere pacificamente i conflitti, anche per evitare l’invasione della Polonia. Invece questi sforzi non ebbero effetto positivo, perché anche gli stati non volevano più fare concessioni a Hitler.
Il 24 Agosto 1939 quando ormai il patto Molotv-Ribbentrop aveva ufficializzato l'alleanza diabolica tra i due totalitarismi (Germania e Russia), il Papa lanciò un ultimo appello ai governi dai microfoni di Radio Vaticana: “Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendono a trattare”. La linea della Santa Sede fu ancora una volta di imparzialità. Imparzialità, non neutralità; la neutralità può avere una connotazione morale, mentre imparzialità è un termine giuridico, senza voler dire che la Santa Sede restava indifferente sul piano morale e dottrinale.
Distinzione quindi tra i due piani: quello politico e quello dottrinale e morale. Questo si vide nell’enciclica inaugurale di Pio XII (Summi pontificatus), dove si condanna l’assolutizzazione dello stato, ma anche dove si parla dell’unità del genere umano.
C’era un’impossibilità di condannare esplicitamente le aggressioni, dovuta alla linea diplomatica. Questo ha contribuito a creare il caso dei silenzi di Pio XII. A partire dall’invasione della Polonia nel 1939. Il papa si limitò a esprimere la sua compassione. Il Papa è padre di tutti i popoli, la posizione del Papa non può essere quella di un primate di una Chiesa locale, perché padre di tutti i popoli. Il Papa rivendicava in un articolo sull’Osservatore Romano, una genericità di linguaggio, e si rifiutava di prendere un linguaggio particolare, perché era papa di tutti. Per questo non designava esplicitamente la Germania nazista come aggressore della Polonia.
Pio XI, negli ultimi mesi del suo pontificato, stava preparando una condanna ancora più severa dell'ideologia razzista, tanto che aveva chiesto a un gesuita americano, John LaFarge, di preparare uno schema di enciclica sul razzismo e sull'antisemitismo. Pio XII non pubblicò questo testo. L'enciclica Summi pontificatus del 20 Ottobre 1939 criticava ogni concezione assolutistica, che attribuendo allo stato un'autorità illimitata minava i fondamenti della convivenza tra le nazioni.
Nel messaggio del Natale 1939 Pio XII ricordava i postulati fondamentali di una pace giusta e onorevole: il diritto alla vita e all'indipendenza di tutte le nazioni, un disarmo mutuamente consentito, organico e progressivo, la costituzione di giuridiche istituzioni, il rispetto dei veri bisogni e delle giuste richieste dei popoli e delle minoranze.
Pio XII cercò di operare un cambiamento di regime in Germania. Forte del dissenso di capi dell'esercito tedesco rispetto alla politica di conquista di Hitler, cercò di sondare la situazione con il governo britannico, per capire se un cambio di regime avrebbe potuto portare la pace. Il Papa così fece da intermediario tra la resistenza tedesca e il governo britannico. Per la resistenza tedesca Pio XII ebbe contatti con Josef Muller, avvocato cattolico e antinazista di Monaco, per la Gran Bretagna il rappresentante fu Sir Arcy Osborne, che si mostrava però molto scettico. Lo storico inglese Owen Chadwick dirà che “mai nella storia un papa è tanto coinvolto in modo così delicato in una cospirazione volta a rovesciare un tiranno con la forza”.
I negoziati continuarono per tutto l'inverno 1939-40, le condizioni erano:
- Rovesciamento del regime di Hitler e dei nazisti
- Abbandono di tutti i progetti di offensiva verso l'Occidente
- Ripristino delle frontiere precedenti al 1937
- Le esitazioni dei cospiratori a portare a termine il colpo di stato contro Hitler e i dubbi del governo britannico fecero fallire la trattativa.
L'11 Marzo 1940 la visita in Vaticano del ministro degli Affari esteri del Reich von Ribbentrop decreta la fine della trattativa. Von Ribbentrop assicurò che la Germania non era nemica della Chiesa e che la Germania avrebbe vinto la Guerra prima della fine del 1940. Dall'incontro uscì soddisfatto il ministro tedesco, probabilmente meno lo fu il pontefice che vide ormai lontano ogni tentativo di fermare l'espansione tedesca.
Nel 1940 ci fu l’offensiva della Germania in Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Era al via il sogno egemonico di Hitler: riunire tutte le nazioni europee nel segno della croce uncinata. Nel giugno 1940 tutta l’Europa era sotto il dominio della Germania nazista. Anche la Francia capitolerà nel Giugno del 1940. La previsione di Von Ribbentrop non sembrava così lontana. Rimaneva solo la Gran Bretagna a contrastare l'avanzata tedesca.
In questo contesto l’Italia fascista decise di entrare in guerra. Pio XII fece di tutto durante questi primi mesi della guerra (settembre 1939-giugno 1940) per dissuadere l’entrata dell’Italia nel conflitto (come aveva fatto Benedetto XV per la Prima Guerra Mondiale).
Pio XII si recò personalmente al Quirinale nel 1939, facendo un discorso al re, invitando esplicitamente l’Italia a rimanere fuori dal conflitto, e nell’aprile del 1940 scrisse una lettera a Mussolini.
Le vittorie fulminanti dell’armata tedesca nella primavera del 1940 permisero a Hitler di realizzare il suo sogno egemonico di dominio dell’Europa continentale. Solo la Gran Bretagna sembrava capace di contrastare la Germania. Sembrava che non ci fosse più spazio per un’iniziativa di pace da parte della Santa Sede.
Tuttavia nell'estate del 1941, con l’operazione Barbarossa, la Germania attaccò l’Urss. Questa per la Santa Sede fu la prova del fuoco.
Fu in quel contesto nuovo di una guerra condotta contro il bolscevismo (per difendere la civiltà occidentale), che il papa fu sollecitato a benedire questa crociata contro il bolscevismo da parte dell’asse Italia-Germania. In alcuni paesi, come la Francia, accettarono di patrocinare iniziative che andavano a favore di questa guerra “santa”. Ma Pio XII non si lasciò trascinare sulla strada di benedire la guerra. La Santa Sede non intendeva allontanarsi dalla linea dell’imparzialità.
Spiegava monsignor Tardini, uno dei tre collaboratori del Papa (Tardini, Montini e Marione): ”Il comunismo è il peggior nemico della Chiesa, ma non l’unico; il nazismo sta facendo una vera e propria guerra alla Chiesa”. Ben presto si pose un altro problema, che riguardò in particolare i cattolici: nell’enciclica Divini Redemptoris contro il comunismo, veniva definito come un’ideologia intrinsecamente perversa, con la quale non si poteva collaborare. Questo divieto di collaborazione con il comunismo, e quindi con l’Urss, sua incarnazione, cominciava a creare problemi ai cattolici (soprattutto americani). Ci si chiedeva se si poteva continuare a condannare ogni collaborazione con l’Urss? Sembrava una contraddizione all’enciclica. Il presidente Roosevelt capì che aveva bisogno dell’opinione cattolica, e quindi mandò a chiedere a Roma.
Dall’inizio della guerra Roosevelt aveva mandato un rappresentante speciale a Roma, Taylor. Andò a chiedere a Pio XII un chiarimento, per ottenere un chiarimento della Santa Sede riguardo alle alleanze. Il 2 settembre 1941 Roosevelt scrisse a Pio XII (che conosceva di persona, per un viaggio di un mese negli Usa) annunciando a Roma l’arrivo del suo rappresentante. In questa lettera scrisse: “credo che la sopravvivenza della Russia sia meno pericolosa, per la religione, per la Chiesa in quanto tale e per l'umanità in generale di quanto lo sarebbe la sopravvivenza della forma tedesca di dittatura”. Questa lettera non suscitò l’approvazione della Segreteria di Stato, che ci vedeva una tentata apologia del comunismo. Ma dai documenti pubblicati, la segreteria non esitò a fornire il chiarimento chiesto dagli Usa. Il cardinal Maglione (segretario di stato) disse: “La Santa Sede ha condannato e condanna il comunismo. Non ha mai avuto una parola né può averla contro il popolo russo. Ha pure condannato le dottrine naziste. Chi può dire che il Santo Padre sia avverso e non sia invece molto amico del popolo germanico?”.
Dopo Pearl Harbor dell'8 dicembre 1941 gli Usa entrarono in guerra. Nell’agosto del 1941 era stata adottata la cosiddetta Carta Atlantica tra Usa e Inghilterra. La Carta Atlantica elencava gli obiettivi della guerra per gli alleati, e tra questi era menzionata la libertà religiosa e la libertà di espressione. Pio XII nel suo radiomessaggio del Natale 1941 diceva che la pace futura sarebbe dovuta essere fondata sulla legge morale, manifestata dal creatore per mezzo dell’ordine naturale. L’osservanza di questa legge naturale doveva essere inculcata e promossa dall’opinione pubblica di tutti gli stati. Senza abbandonare la politica di imparzialità, Pio XII aveva scelto il campo in cui schierarsi.
Gli Usa volevano la resa incondizionata della Germania; non c’era più posto per una pace di compromesso. Continuare però la guerra fino alla fine, come volevano gli Stati Uniti, favoriva oggettivamente i disegni di conquista di Stalin, perché l’armata rossa continuava ad avanzare. Il pericolo, ben visto dalla Santa Sede, era quello di una bolscevizzazione dell’Europa orientale. Tuttavia questo pericolo non si tradusse in una nuova condanna formale del comunismo ateo, nonostante le richieste formulate al papa, in particolare dall’Ungheria, che chiese una nuova condanna del comunismo. La Chiesa non chiudeva gli occhi di fronte al bolscevismo, ma non poteva parlarne senza parlare del nazismo. Nonostante la Santa Sede vedesse molto chiaro il pericolo comunista, la Santa Sede rimase fedele alla linea dell’imparzialità, e non pubblicò nessun nuovo documento.
Ma questo rifiuto di Pio XII di lasciarsi a dichiarazioni inopportune su una crociata anti-bolscevica non impedì ai suoi collaboratori di esprimere preoccupazione circa l’avanzata russa.
Nel Luglio 1943 gli americani sbarcano in Sicilia, la vittoria degli alleati sembra ormai certa e il 1 settembre in un radiomessaggio il Papa diceva che la vera forza non ha da temere di essere generosa. La vittoria degli alleati sembrava ormai certa. Pio XII e i suoi collaboratori erano contrari alla resa incondizionata della Germania, e non condividevano l’ottimismo con cui il governo americano guardava a un’eventuale collaborazione con il comunismo dopo la guerra. Non perdevano occasione i collaboratori di Pio XII per ricordare ai diplomatici sovietici che le dichiarazioni non erano sufficienti, servivano fatti.
A partire dall'estate del 1944 preoccupazione del pontefice era quella dell'avanzata politico militare della Russia. Importante è la testimonianza del generale De Gaulle che fu ricevuto in udienza privata dal papa il 30 giugno del '44. Riporta la preoccupazione fondamentale di Pio XII: “E' l’azione dei sovietici, oggi in terra polacca, domani in tutta l'Europa centrale, a riempire d’angoscia il santo padre. Durante il nostro colloquio, egli ricorda ciò che già accade in Galizia, dove, dietro l'Armata rossa, inizia la persecuzione contro i fedeli e i preti. Egli ritiene pertanto che la Cristianità dovrà affrontare prove molto crudeli e che soltanto la stretta unione degli Stati europei che si ispirano al cattolicesimo: Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Portogallo, potrà arginare il pericolo. Credo che il grande progetto di papa Pio XII sia questo”.
Qualche mese dopo, sarà ricevuto in udienza da Pio XII anche Winston Churchill. Pio XII avrebbe voluto convincere gli americani a cercare le vie di una pace negoziata, per evitare che l’Urss ne approfittasse per occupare l’Europa centrale. Infatti dopo la Seconda Guerra Mondiale inizierà la guerra fredda (così chiamata dallo stesso Churchill), in cui rimane solo il comunismo, perché nazismo e fascismo scompaiono.
Secondo dopo Guerra
La vittoria degli alleati sulle forze dell’asse ha segnato la fine del totalitarismo nero, ma non di quello rosso. Il comunismo rimane in piedi nel 1945, anzi, esce rafforzato dalla guerra. Nei paesi dell’Europa Occidentale (Francia e Italia), i partiti comunisti escono dalla guerra rafforzati e legittimati dalla loro presunta resistenza al nazifascismo. Nell’Europa orientale l’avanzata dell’armata rossa ha favorito lo sviluppo e la diffusione del comunismo, l’instaurazione di regimi comunisti, ha portato alla sovietizzazione dell’Europa orientale. Si creano così le condizioni per la guerra fredda. Guerra perché fu un vero antagonismo, ma fredda perché non ci fu un conflitto armato. La pace era impossibile, ma la guerra era improbabile. La Chiesa cattolica (sotto Pio XII) è stata coinvolta in pieno nella guerra fredda.
Cosa ha fatto la Chiesa per resistere all’ascesa elettorale del comunismo in Europa occidentale? Ha giocato la carta dei partiti democratici di ispirazione cristiana. La fine della guerra ha visto un’evoluzione del magistero nei confronti della democrazia. Nei radiomessaggi di Pio XII, si legittima la democrazia, riconoscendovi il sistema di governo più compatibile con la libertà dei cittadini. Leone XIII aveva realizzato delle encicliche politiche, dicendo che la Chiesa non era contraria alla democrazia, perché poteva accettare tutte le forme di governo, purché non si violino i diritti di alcuno, e in particolare della Chiesa. Non c’era opposizione, ma neanche preferenza: era una forma di governo tra le altre. Con Pio XII cambia la posizione.
Molti cattolici francesi in realtà coltivavano la nostalgia della monarchia. Con Pio XII viene sottolineato il valore quasi morale della democrazia, che è nettamente preferita. La preoccupazione principale della Chiesa non è la forma di governo, ma l’uomo come tale, che deve essere e rimanere soggetto e fondamento e fine della società. Ispirazione personalistica.
Il totalitarismo ha inciso in modo decisivo quindi sul magistero, per quanto riguarda le questioni politiche. Pio XI, nel suo magistero, si identifica nella lotta ai totalitarismi, che però non era adesione ai valori della democrazia. Anche in Ubi arcano dei (1922), Pio XI aveva messo in guardia contro gli eccessi a cui potevano condurre i moderni organi rappresentativi, che pur non essendo contro la dottrina cattolica, sono però più esposti al sovvertimento delle fazioni, c'era quindi nelle sue parole un certo antiparlamentarismo.
Per questo non è così normale la nascita di partiti democratici cristiani, questa nascita viene fuori da una situazione complicata, dal pericolo di ascesa al potere del comunismo anche nei paesi occidentali. Per questo dopo non poche esitazioni Pio XII volle adottare la linea del partito unico dei cattolici, fu proprio a causa di questo pericolo.
Le elezioni del 2 Giugno 1946 costituirono l'occasione per una mobilitazione di forze cattoliche in difesa della religione e della patria. Pio XII intervenne più volte per ricordare ai fedeli il dovere di andare a votare per la buona causa. Anche alla vigilia delle elezioni il Papa intervenne: “Domani stesso i cittadini di due grandi nazioni accorreranno in folle compatte alle urne elettorali. Di che cosa in fondo si tratta? Si tratta di sapere se l'una e l'altra di queste due nazioni, di queste due sorelle latine, di ultramillenaria civiltà cristiana, continueranno ad appoggiarsi sulla salda roccia del cristianesimo, sul riconoscimento di un Dio personale, sulla credenza nella dignità spirituale e nell'eterno destino dell'uomo, o se invece vorranno rimettere le sorti del loro avvenire all'impassibile onnipotenza di uno Stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio”.
Si spingono i cattolici a partecipare alle elezioni, per difendere l’identità cattolica della nazione. Fu un ampio successo, perché il partito di De Gasperi ottenne la maggioranza, col 35% dei voti. Questo convalidò la strategia che era stata decisa, dell’unità politica dei cattolici.
De Gasperi, era stato l’ultimo segretario alla camera del Pp di Don Luigi Sturzo, e sarà il fondatore della Dc, Democrazia Cristiana. Si poteva puntare o su un partito unico dei cattolici, o difendere un pluralismo dei partiti per i cattolici. Nella curia di Pio XII c’era chi sosteneva una tesi, e chi l’altra. Il partito unico era sostenuto anche da Montini.
Altra prova saranno le politiche del 48. Si vide l’Azione cattolica in una mobilitazione senza precedenti. Qui Luigi Gedda, uno dei dirigenti dell'Azione cattolica in Italia, creò i comitati civici. Il 18 aprile del 1948 fu un trionfo della Dc di De Gasperi: 48,5% dei voti, e maggioranza assoluta alla Camera (305 deputati su 574 totali). Il Papa stesso intervenne varie volte in quelle settimane, e parlò di peccato grave e colpa morale per chi avesse rinunciato a votare. Pare che Pio XII fu sorpreso da un risultato così positivo. Il modello di questo partito unico dei cattolici, appoggiato anche dal laicato cattolico, era un modello da seguire in altri paesi. Il Vaticano quindi cercherà di esportarlo agli altri paesi.
Ma di certo era più difficile esportarlo in Francia ad esempio, dove dominava il principio della separazione tra Chiesa e Stato. I dirigenti del Mouvement republican populaire (MRP), ne erano consapevoli, tanto da evitare una connotazione confessionale troppo marcata, e non avevano intenzione di accettare la benchè minima ingerenza della gerarchia ecclesiastica.
Anche in Germania la nuova Unione democristiana (CDU) aveva adottato una linea politica volutamente interconfessionale, aperta alla collaborazione con i protestanti.
Altro caso è invece quello dell’Europa dell’est, e della Chiesa del silenzio. La liberazione operata dall’armata rossa non portò molta libertà, soprattutto religiosa. Gli stati dell’est Europa diventano stati satelliti della Russia, in regimi di democrazia popolare. Dopo il 1945 i regimi hanno cercato una politica ecclesiastica. Si mirava anzitutto a fomentare le divisioni, giocando la carta della divisione tra clero ed episcopato; poi si tentò di separare le chiese da Roma, di nazionalizzare le chiese. In particolare i primi a essere vittime di queste misure furono le chiese greco cattoliche (Ucraina, Romania).
Nell'Aprile 1945, fu arrestato il metropolita dell’Ucraina, Josyf Slipyj, liberato solo nel 1963 grazie alla politica di Giovanni XXIII. Nel Maggio 1945 fu lanciato un appello per la riunificazione con la Chiesa ortodossa russa. Gli ucraini si volevano separare dalla matrigna romana e ricongiungersi con la Chiesa patriarcale di Mosca. Tutte le chiese greco-cattoliche furono consegnate alla Chiesa ortodossa Russa. Lo stesso avvenne in Romania nel 1948. Fu una politica direttamente orchestrata da Mosca.
Primo bersaglio di questa strategia furono proprio le chiese greco cattoliche perché più vicine all’ortodossia e più deboli. Queste sono rinate dopo la fine del comunismo.
L’offensiva contro gli uniati si estese agli altri paesi: Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, e Polonia.
Nel 1945, il 29 Novembre, nasce ufficialmente la repubblica federale popolare jugoslava sotto Tito. La Jugoslavia era suddivisa in 3 grandi blocchi: 48% ortodossi, 36% cattolici (in Slovenia e Croazia) e il 14% di religione islamica. Il più importante rappresentante della Chiesa jugoslava era Alojzije Stepinac, vescovo di Zagabria.
L’accusa maggiore rivolta contro la Chiesa era di alto tradimento per aver collaborato con i regimi fascisti. Fu arrestato nel ‘45 e nel ‘46, e fu condannato per alto tradimento e crimini di guerra a 16 anni di lavori forzati. Ci fu allora una forte protesta da parte della Santa Sede. Ma questa protesta non portò all’interruzione delle relazioni diplomatiche con il regime di Tito. La Jugoslavia voleva distinguersi dalla Russia comunista, per questo motivo c'era la possibilità di un accordo con la Santa Sede. Stepinac fu liberato e trasferito nel suo paese natale, sotto stretta sorveglianza. Tutto sembrava andare verso un accordo, ma la decisione di Pio XII di fare Stepinac cardinale bloccò le relazioni diplomatiche. Nel 1953 il parlamento emanò una legge che rafforzava il controllo dello stato sulle attività della Chiesa.
In Cecoslovacchia invece la situazione fu molto più drammatica. I paesi cechi avevano già una tradizione anticattolica che risaliva ai tempi di Huss. Diversa era la situazione in Slovacchia, che però durante la guerra era rimasta stato indipendente, mentre la Cechia era stata assimilata al Reich. La Slovacchia era stata diretta da un regime clerico-fascista retto da Monsignor Tiso. Per la sua compromissione col fascismo, la Chiesa cattolica slovacca era fragile, ed esposta agli attacchi del comunismo.
Figura importante è quella dell’arcivescovo di Praga, Josef Beran. Era un ex docente di teologia, che fu fatto vescovo nel 1946 da Pio XII. All’inizio era ben visto dal governo, perché era stato internato a Dachau. Ma le cose cambiarono dopo il colpo di stato del 1948. Da quel momento il governo comunista cercò di sottomettere la Chiesa cattolica al suo controllo.
Nell’ottobre del 1949 fu istituito per la prima volta l’Ufficio di stato per gli affari del culto, incaricato di controllare la Chiesa, e in particolare la Chiesa cattolica. Si voleva allineare la Chiesa sui principi del regime comunista. A partire dal 1948 il governo cecoslovacco chiese al Vaticano di richiamare il suo delegato.
Ma il governo cecoslovacco ha voluto anche riorganizzare la Chiesa cattolica, per poterla meglio controllare: ha praticato una divisione interna, che ha condotto all’arresto di Beran, e alla condanna di altri 3 vescovi slovacchi, accusati di spionaggio e tradimento. La Chiesa era così decapitata, al punto che Pio XII incaricò il preposto generale dei gesuiti di procedere a ordinazioni clandestine per ovviare alla carenza di sacerdoti.
Il governo creò un'associazione di sacerdoti, il Movimento per la pace del clero cattolico, per diffondere la propaganda pacifista dell’Urss contro il bellicismo americano. Il movimento fu subito sconfessato dall’episcopato. Sarà sostituito da un altro movimento “Pacem in terris”.
Altro caso fu l’Ungheria. Qui la Chiesa cattolica era dominante, e aveva creato una fitta rete di associazioni. La Chiesa in Ungheria era un vero potere; fu questo potere che il governo comunista volle attaccare. Si arrivò subito alla rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. La maggior parte dei beni della Chiesa fu confiscata. Nel maggio 1947 ci fu una serie di divieti che colpiva tutte le manifestazioni religiose della fede. E questo soprattutto da quando alla guida dei vescovi ungheresi ci fu Mindszenty, nominato da Pio XII nell'ottobre del 1945. Non poteva essere accusato di debolezza contro il nazismo, perché pure lui aveva conosciuto la prigionia sotto il nazismo. Ma non era un interlocutore comodo, perché era decisamente anticomunista. Era convinto che non esistesse compromesso con il regime (inflessibile, intransigente). Qualsiasi compromesso con il comunismo significava per la Chiesa una sconfitta, questa era la sua idea. Venne condannato ai lavori forzati per alto tradimento alla fine del 1948.
L’episodio irrigidì la posizione della Chiesa cattolica. Nel Luglio 1949 un decreto del Sant’Uffizio scomunica tutti i cattolici che collaboravano con i partiti comunisti. Fu il cosiddetto “affare Mindszenty”. La rivoluzione del 1956 fece sì che il cardinale uscisse dal carcere, ma con la repressione russa fu costretto a rifugiarsi nell’ambasciata americana, dove rimarrà fino al 1971.
Nel caso della Polonia, invece, la Chiesa era molto forte, più forte che negli altri paesi occupati dall’armata rossa, forte soprattutto nelle campagne. Per questo almeno all’inizio il governo fu prudente contro la Chiesa cattolica, la riforma agraria del settembre del 1944 non toccò i beni della Chiesa, e in poco tempo sorsero numerose associazioni, scuole e giornali cattolici. Ma questa politica non durò a lungo. Nel 1948 ci fu l’inizio di una politica di laicizzazione della società. Nel 1948 fu eletto un altro vescovo primate: Stefan Wyszynski, esperto di dottrina sociale della Chiesa, molto intransigente nei confronti del comunismo ateo. Ma a differenza di Mindszenty (che diceva che ogni compromesso era una sconfitta), diceva che bisognava tentare un compromesso, per rafforzare la Chiesa. Chiedeva inoltre una certa indipendenza dell’episcopato. Le trattative portarono a un primo accordo nel 1950, una specie di concordato firmato dai vescovi, senza il consenso della Santa Sede. Questo accordo fu giudicato severamente a Roma, perché Pio XII non voleva negoziare, e poi non era l’episcopato che doveva trattare col governo, ma la Santa Sede. Questa prima dichiarazione comune del 14 aprile del 1950 prefigura quella che sarà l’ostpolitik degli anni 60, che dava alcune garanzie alla Chiesa. Ma nel ‘52-‘53 la situazione peggiorò di nuovo e Wyszynski fu arrestato di nuovo nel 1953.
Concilio Vaticano II
La questione che si è posta ai padri conciliari è stata: condannare o no il comunismo, sulla scia della Divini Redemptoris? Se si guarda i cosiddetti “vota” conciliari (lettere mandate dai vescovi in cui si esprimevano i suggerimenti in vista del concilio), non meno di 286 vota (cioè vescovi) chiedevano esplicitamente la condanna formale del comunismo. Essi provenivano in prevalenza da Italia, Spagna e America latina.
Poi si passa alla seconda fase, fase preparatoria propriamente detta, in cui agirono le commissioni preparatorie, in cui furono preparati alcuni testi che affrontavano la questione del comunismo. Uno si chiamava De cura animarum, e vi si trattava la questione del comunismo. Ma il papa Giovanni XXIII, come anche Paolo VI, non erano tanto favorevoli a una nuova condanna del comunismo. Questo si vede già dal discorso di apertura del concilio di Giovanni XXIII: Gaudet, mater ecclesia (Gioisci, Madre Chiesa), testo molto personale, in questo discorso Giovanni XXIII invitava i padri conciliari e la Chiesa a far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: era un modo per escludere ogni condanna dottrinale. A questo contribuì anche la presenza dei rappresentanti delle altre chiese.
Pacem in terris, l’enciclica di Giovanni XXIII del 1963, faceva la distinzione tra errore ed errante. Paolo VI pubblicò la Ecclesiam suam in seguito, anch’essa incentrata sul tema del dialogo. In questo testo il papa affronta il dialogo col mondo del comunismo ateo. Quindi l’influenza di questi due testi è stata forte, La questione comunque si pose solo al termine dei lavori (schema 13, in cui si pensò di introdurre l’argomento del comunismo). In realtà, non si parla esplicitamente del comunismo, ma questo viene affrontato nel più grande problema dell’ateismo moderno. Alla fine più di 300 padri chiederanno la condanna del comunismo (esplicita, non solo come forma di ateismo, ma come sistema politico totalitario). La petizione diceva che se non si faceva niente per il comunismo, ci si sarebbe trovati nella stessa situazione di chi rimproverava a Pio XI e Pio XII di aver taciuto contro il nazismo.
La loro azione non fu senza effetto. Infatti i testi conciliari sono stati frutto di un compromesso, perché all’ultimo momento il testo fu ritoccato, dietro intervento del papa stesso, e fu aggiunto un testo che diceva: “la Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza”. Ancora una volta il comunismo non è menzionato esplicitamente. Sarà creato un segretariato per il dialogo con i non credenti, voluto dallo stesso Paolo VI.
La via del dialogo veniva aperta con il Concilio Vaticano II, la risposta dei sovietici e dei grandi partiti occidentali non si fece attendere, il Concilio fu visto molto bene. Di certo c’era un’ala della Chiesa che rimaneva più rigida, quest’ala era simbolicamente rappresentata dal Sant’Uffizio del cardinale Ottaviani, continuava ad essere contraria alla via dell’aggiornamento voluta da Giovanni XXIII e ripresa da Paolo VI.
Il partito comunista francese era soddisfatto dei risultati ottenuti con il Concilio Vaticano II, e voleva proseguire nella strada della mano tesa di Maurice Thorez, e avviare un vero dialogo con il cristianesimo. In Italia lo stesso Togliatti disse che il comunismo doveva abbandonare la lotta contro la Chiesa, e invitava i comunisti italiani a procedere a un aggiornamento, per eliminare vecchie formule che non corrispondono alla realtà di oggi, in particolare la propaganda ateistica, tenendo conto della coscienza religiosa delle masse italiane.
Anche nella questione dei missili su cuba, l’intervento di Giovanni XXIII fu molto importante. Comunque all’indomani del concilio ci fu una serie di incontri, conferenze, ecc. sul dialogo tra comunisti e cattolici. Il Cardinal Konig, vescovo di Vienna, diceva che bisogna distinguere i casi in cui il dialogo è possibile, e quelli in cui ha motivazioni solo politiche.
Ostpolitik
L’Ostpolitik è stata portata avanti dalla Santa Sede nel post concilio, è un’apertura a est. Portata avanti da Giovanni XXIII prima e Paolo VI dopo. L’ostpolitik iniziò all’indomani della prima sessione del Concilio Vaticano II. Subito dopo la pubblicazione della Pacem in terris, si iniziò ad avere questi contatti, ad aprire un dialogo che nella concezione di Giovanni XXIII e Paolo VI era l’unica possibilità per fermare una nuova guerra mondiale che questa volta sarebbe stata nucleare. Paolo VI continuò la politica iniziata da Giovanni XXIII con la Pacem in terris, pubblicando l’Ecclesiam suam (agosto 1964). Paolo VI in più voleva che la Chiesa giocasse un ruolo importante nella mediazione.
Questa politica, in realtà, non aveva nulla di rivoluzionario, anzi, era una ripresa della politica concordataria. Nell’aprile del 1963, alla fine del pontificato di Giovanni XXIII, quando si pensava ad una possibile apertura politica, Giovanni XXIII in un appunto, si ricorda di una frase pronunciata da Pio XI, subito dopo i patti lateranensi: “Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona”. Questa politica aveva raggiunto l’apice negli anni ‘20-‘30. Ma anche negli anni ‘50, Pio XII, ostile al comunismo, aveva voluto cogliere segnali da parte dei paesi sovietici per l’apertura di un dialogo.
Allora l’idea era che l’unico modo per garantire la sopravvivenza della Chiesa, era una politica di distensione e di dialogo, e in questo la Chiesa conciliare poteva giocare un ruolo centrale di mediatrice. Dunque questa politica fu avviata da Giovanni XXIII e continuata da Paolo VI a partire dal 1963.
I risultati non furono straordinari, 2 gli accordi:
- Con l’Ungheria (settembre 1964), dopo lunghi mesi di trattative (le cose non furono così semplici, inizialmente il regime non rispose con toni distensivi). Non era un vero e proprio concordato, ma un agreement di tipo concordatario, che proponeva un modus vivendi tra Chiesa e governo comunista. Ma era il primo atto con rilevanza internazionale che la Santa Sede firmava con una democrazia popolare. Mindszenty fu contrario a questa politica, , e criticò la logica del dialogo, pensando che l’occidente aveva fatto troppe concessioni al comunismo. Dal 1956 Mindszenty era rifugiato all’ambasciata americana a Budapest e non intendeva in alcun modo rinunciare al suo ruolo di Primate al fine di agevolare la conclusione di un accordo tra Santa Sede e un governo ateo e dispotico come quello del suo paese. Nonostante questo impedimento i negoziati continuarono. Quindi questa politica di apertura fu sofferta.
- Col regime jugoslavo, quando fu firmato un protocollo che garantiva dei diritti alla Chiesa. Ma anche qui l’episcopato croato ebbe da ridire.
Con altri paesi, come Cecoslovacchia (la quasi totalità delle diocesi era priva di pastori e su iniziativa del governo si era costituita una gerarchia parallela di vicari capitolari) e Polonia, il rapporto fu molto più difficile.
Il risultato maggiore è che tutto ciò permise alla Santa Sede di partecipare alla conferenza di Helsinki del 1975, sulla cooperazione in Europa, punto importante per la rivoluzione silenziosa contro il comunismo.
Se la Santa Sede non avesse avviato un dialogo con i partiti comunisti, non avrebbe potuto neanche partecipare a queste assemblee. Con Helsinki la Santa Sede tornò sulla scena internazionale. L’ultima partecipazione della Santa Sede era stato il congresso di Vienna del 1815. E l’invito a partecipare venne proprio dai governi comunisti. La conferenza doveva riunire i paesi della nato e del patto di Varsavia, in Finlandia. La decisione di partecipare per la Santa Sede non fu così semplice, per più motivi:
- Anzitutto perché era limitata al continente europeo (la Chiesa del concilio aveva una visione più universale), ma anche perché era una conferenza politica, e la Santa Sede non voleva entrare neanche marginalmente in interessi politici nazionali, perché si voleva una presenza solo morale. L’obiettivo della conferenza, comunque era di garantire la pace in Europa, questo obiettivo non poteva che essere condiviso dalla Santa Sede. Ma non soltanto l’obiettivo della conferenza, ma anche il metodo dei negoziati erano conformi a quelli dettati dal papato sin dall’inizio del XX secolo.
- Secondo motivo, meno esplicito, era legato alla politica del dialogo che la Chiesa conduceva in quegli anni. Si pensava che la partecipazione della Santa Sede avrebbe consentito di raggiungere maggiori risultati.
- Terzo motivo, era l’idea a cui teneva Paolo VI, del ritorno della Santa Sede come protagonista sulla scena internazionale dopo 2 secoli di ostracismo. Il paradosso è che questo fu reso possibile non dagli amici dell’Occidente cristiano, ma dai paesi del blocco orientale, ostili alla religione e persecutori della Chiesa.
Alla luce di queste tre motivazioni, vediamo che la Santa Sede non ha cessato di richiamare l’attenzione sul rispetto dei diritti e della libertà dell’uomo, in particolare della libertà religiosa. Nel marzo 1963 Monsignor Zakbar, pronunzio apostolico in Finlandia spiegò che il rispetto dei diritti fondamentali e soprattutto del diritto alla libertà religiosa era un fattore di pace. La Santa Sede chiedeva quindi che questi principi fossero menzionati nei documenti finali. Queste raccomandazioni finali infatti includono il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa quella di coscienza, religione e credo.
Adozione dell’atto di Helsinki, firmato il 1 ago del 1975. Si menziona esplicitamente il rispetto delle libertà fondamentali. La Santa Sede l’ha fatto sulla scia dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, che dedicò un documento alla libertà religiosa (Dignitatis Humanae). Testo fondamentale, perchè il documento di Helsinki fu distribuito in milioni di copie nei paesi comunisti. Pur essendo regimi totalitari, non potevano non tenere conto di un documento firmato da loro stessi.
Questo documento fu fondamentale anche per la liberazione di molti popoli dal comunismo, basti pensare al KOR (Comitato di difesa degli operai) fondato a Varsavia nel settembre del 1976, dopo i moti operai di Ursus e di Radom. O della Charta 77, firmata a Praga nel gennaio del 1977 da un piccolo gruppo di cittadini cecoslovacchi.
Per realizzare questa sezione sono stati usati degli appunti presi dalle lezioni di Philippe Chenaux presso la Pontificia Università Lateranense e soprattutto il libro:
Philippe Chenaux, L'ultima eresia, la Chiesa cattolica e il comunismo in Europa da Lenin a Giovanni Paolo II, Carocci editore, 2011:Roma