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Questione Romana

La Questione romana nasce con l'unità d'Italia, è la controversia politica relativa al ruolo di Roma, sede del potere temporale del Papa ma, al contempo, capitale naturale d'Italia. Pio IX rivendicava lla sovranità della Santa Sede sulla città di Roma, anche dopo la caduta dello stato pontificio nel 1970. Pio IX aveva avuto una posizione intransigente nei confronti del nuovo governo italiano; diceva che i territori perduti non potevano essere negoziati. D’altra parte, la sovranità temporale del Papa rappresentava la migliore garanzia della sua libertà e del suo ministero.

Il 27 marzo 1861 Roma era stata proclamata capitale del Regno d'Italia nella seduta del Parlamento, seguita ad un vibrante discorso di Cavour: il presidente del consiglio aveva ricordato le profonde ragioni storiche che motivavano quella decisione e si era mostrato fiducioso nella annessione per via militare di Roma all'Italia che avrebbe comportato la cancellazione del legittimo e plurisecolare potere temporale della Chiesa.

Roma era tuttavia protetta da Napoleone III, che al contempo era il principale alleato e protettore del neonato Regno d'Italia. Assente il consenso francese, le uniche azioni furono condotte da Garibaldi, e si conclusero con le tragiche giornate dell'Aspromonte e di Mentana.

La questione romana, comunque, non si limitava al solo problema dell'annessione territoriale di Roma, ma chiamava in causa il complesso tema delle relazioni tra Chiesa cattolica e Regno d'Italia: già gravemente compromesse dalla permanente opposizione al Risorgimento, manifestata da Pio IX a partire dal 1849.

Nel 1870, alcune settimane dopo la caduta di Napoleone III (battaglia di Sedan il 1 settembre), l'esercito italiano si fece coraggio e guidato da Raffaele Cadorna entrò in Roma, non più difesa dalle truppe francesi (Breccia di Porta Pia il 20 settembre), annettendo il millenario Stato della Chiesa al Regno d'Italia. Nel 1871 veniva approvata la Legge delle Guarentigie , la quale - come dice il suo nome - fissava precise garanzie per il Papa e la Santa Sede.

Il Papa (all'epoca Pio IX), secondo la suddetta legge, diventava suddito dello Stato Italiano, pur potendo godere di una serie di privilegi rispetto agli altri cittadini. Tuttavia il Pontefice non volle mai accettare una legge unilaterale (fu compilata infatti su iniziativa del solo Stato italiano) e, a suo parere, eversiva; per questo motivo utilizzò un'espressione ricavata dagli Atti degli apostoli: non possumus (in italiano, "non possiamo"). Rinunciò quindi alla dotazione annua, prevista in lire 3.225.000. E quindi il papa si considerò da quel momento prigioniero nello stato vaticano.

La cosiddetta “Questione Romana”, cominciò ad essere posta all’indomani dell’annessione delle province pontificie delle Marche e dell’Umbria al Regno di Sardegna e di Piemonte, portando alla riduzione dello Stato Pontificio soltanto a Roma e dintorni. Di fronte a tale situazione si aprirono al papa e ai suoi collaboratori due possibili soluzioni che diedero vita due distinti partiti:

  1. quello transigente, che cercava la via del compromesso onorevole con la monarchia Sabauda;
  2. quello intransigente, che rifiutava ogni forma di compromesso;

Il Papa, dopo aver esitato a lungo, aderì al partito intransigente rappresentato dal cardinale Segretario di Stato Giacomo Antonelli, secondo cui Roma non poteva divenire la capitale del nuovo regno unificato per due motivi:

  1. I diritti della Santa Sede sulla città di Roma, non erano gli stessi diritti di una ordinaria dinastia reale perché la sovranità su Roma apparteneva a tutti i cattolici e non soltanto ad una determinata nazione e di conseguenza essi erano inalienabili;
  2. la sovranità temporale del papa rappresentava la garanzia maggiore per la libertà e l’indipendenza della Chiesa e del suo magistero spirituale e dottrinale;

Nel 1871, abbiamo detto, il papa rifiutò la “Legge delle guarentigie”, votata dal Parlamento italiano col quale l’Italia riconosceva la sovranità spirituale del papa e l’inviolabilità della sua persona.

Nel 1874 Pio IX ingiunse ai cattolici italiani di non recarsi alle urne e con il famoso non expedit (in italiano "non conviene"), il divieto fu poi ripreso da Leone XIII, impedirono, così, ai cattolici (per più di trent'anni) la partecipazione attiva alla vita politica del Paese.

I pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI (nei primi tre decenni del XX secolo) videro, invece, una lenta distensione di rapporti ed un graduale riavvicinamento tra le parti. L'affermazione dei socialisti favorì, inoltre, l'alleanza tra cattolici e liberali moderati (Giolitti) in molte elezioni amministrative, alleanza detta clerico-moderatismo. Segno di questi mutamenti è la lettera enciclica del 1904 Il fermo proposito, che, se da un lato conservava il non expedit, ne permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono: vari cattolici entrarono, in questo modo, in parlamento, sia pure a titolo personale.

In tal modo la Questione Romana rimarrà aperta fino alla firma dei Patti Lateranensi del 11 Febbraio del 1929.