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Domenica, giorno del Signore, dies Domini

I cristiani la chiamano «giorno del Signore». È la domenica, il giorno donato dal Signore al suo popolo, «il giorno fatto dal Signore» (Sal 117,24), che «ha avuto sempre, nella storia della Chiesa, una considerazione privilegiata per la sua stretta connessione col nucleo stesso del mistero cristiano. La domenica infatti richiama, nella scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo. È la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l’inizio della “nuova creazione” (cfr. 2 Cor 5,17). È il giorno dell’evocazione adorante e grata del primo giorno del mondo, ed insieme la prefigurazione, nella speranza operosa, dell’“ultimo giorno”, quando Cristo verrà nella gloria»1 : dies Domini, dies Christi, dies Ecclesiae, dies hominis, dies dierum. Perciò «nessun altro giorno è altrettanto sacro per il cristiano quanto la domenica»2.

La celebrazione della domenica è per la Chiesa un segno di fedeltà al suo Signore. «La Chiesa, infatti, lo ha ricevuto, non lo ha creato : esso è per lei un dono : può goderne, ma non può né manipolarlo né cambiarne il ritmo, o il senso, o la struttura ; esso infatti appartiene a Cristo e al suo mistero. Alla Chiesa non resta che impegnarsi in uno sforzo d’intelligenza e d’amore, che la conduca a penetrarne sempre più profondamente il senso, la fecondità e il valore, per rendere a sua volta il giorno del Signore sempre più trasparente e persuasivo per l’uomo a cui lo deve annunciare»3.

Nel pomeriggio del primo giorno dopo il sabato, due discepoli del Signore, sfiduciati per quanto era avvenuto nei giorni precedenti, si erano incamminati da Gerusalemme verso Emmaus. «Gesù in persona si accostò e camminava con loro [...e] spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui [...e] quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,15.27.30). E i due lo riconobbero, e tornarono a Gerusalemme, dove riuscirono a rintracciare gli apostoli e gli altri, e ci fu la condivisione dell’annuncio : «Realmente il Signore è risorto».

L’episodio storico di Emmaus è calato dall’evangelista Luca in una composizione teologica e liturgica. Vi si riconoscono, infatti, i tratti fondamentali della catechesi primitiva e l’atmosfera che richiama la celebrazione eucaristica. Del resto Luca, nel vangelo, ci dà l’impressione che tutti gli eventi della risurrezione (inclusa l’ascesa) siano avvenuti lungo l’arco di una sola giornata, e precisamente quella che verrà quasi subito chiamata domenica. Evidentemente l’evangelista non vuole dare una indicazione cronologica, ma teologica : risurrezione, apparizioni, missione, ascesa, costituiscono un unico mistero di salvezza. Il giorno del Signore - la domenica - è quello in cui si sono compiuti gli eventi centrali della salvezza.

L’incredulità di Tommaso, assente la sera del primo giorno dopo il sabato all’incontro con il Signore Risorto, ci dà modo di sapere che «otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa» (Gv 20,26). Stavolta anche Tommaso è presente. E Gesù entra a porte chiuse, si ferma in mezzo a loro, dona la pace.

Otto giorni dopo, di settimana in settimana fino alla fine dei tempi, i discepoli si riuniscono, e Gesù è in mezzo a loro, e con lui celebrano il mistero della pace. La Chiesa, comunità dei credenti in Cristo, depositaria della Nuova Alleanza nel suo sangue (cfr. Lc 22, 20: 1 Cor 11, 25), iniziò a celebrarne il ricordo nello stesso giorno in cui il Signore è risorto ed è apparso ai discepoli e ha spezzato il pane per due di loro, a Emmaus (cfr. Lc 24, 30). Egli stesso, infatti, aveva come suggerito e consacrato il ritmo settimanale del giorno da dedicare al suo ricordo, apparendo di nuovo, otto giorni dopo, agli Undici riuniti nello stesso luogo (cfr. Gv 20, 26).

«Da allora il cristiano non potrebbe più vivere senza celebrare quel giorno e quel mistero. Prima di essere una questione di precetto, è una questione di identità. Il cri­stiano ha bisogno della domenica. Dal precetto si può anche evadere, dal bisogno no»4.

«“Giorno del Signore” e “signore dei giorni” (come lo definisce un sermone del sec.V ; cf. Pseudo Eusebio di Alessandria, Sermone 16) la domenica è il giorno in cui la Chiesa, per una tradizione che “trae origine dallo stesso giorno della risurrezione” (SC 106), celebra attraverso i secoli il mistero pasquale di Cristo, sorgente e causa di salvezza per l’uomo. “Festa primordiale” (SC 106) della comunità cristiana, pasqua settimanale, sintesi mirabile e viva di tutto il mistero della salvezza dalla prima venuta del Cristo all’attesa del suo ritorno, la domenica ha costituito, con il suo ritmo settimanale, il nucleo primitivo della celebrazione del mistero di Cristo nella successione dei diversi tempi e dell’intero anno liturgico».5

Ed essendo l’eucaristia il vero cuore della domenica, fin dai primi secoli è stata ricordata ai fedeli la necessità di partecipare all’assemblea liturgica. «Noi non possiamo stare senza la cena del Signore», risposero i martiri di Abitine ai loro accusatori6. Infatti da molto tempo i cristiani «avevano abbandonato il sabato come giorno da dedicare a Dio nel riposo e nel culto, e lo avevano sostituito con il primo giorno dopo il sabato (l’una sabbatorum), il primo della settimana ; perché vero giorno del Signore ormai non sarà più quello in cui Dio si riposa dalle sue opere, ma quello in cui egli agisce per la vita e per la salvezza dell’uomo»7.

Il giorno del Signore (dies Domini) è il giorno della Chiesa (dies Ecclesiae), comunità riunita nella fede e nella carità, sacramento della presenza del Signore in mezzo ai suoi: nel segno umile, ma vero, del convenire in unum (cfr. 1 Cor 11,20), nel ritrovarsi dei molti nell’unità di «un cuore solo e un’anima sola» (cfr. Atti 4, 32), si manifesta l’unità di quel corpo misterioso di Cristo che è la Chiesa.

Pertanto la domenica è il giorno dell’eucaristia, non solo perché è il giorno in cui si partecipa alla messa, quanto piuttosto perché in quel giorno, più che in qualunque altro, il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio, a imitazione di colui che nel suo sacrificio ha fatto della propria vita un dono al Padre e ai fratelli.

Parola che annuncia e ripropone questo dono di sè, sacramento che lo comunica significandolo nella frazione del Pane come gesto della condivisione, disponibilità al servizio che nasce direttamente dalla stessa carità di Cristo: questa è la vita eucari­sticamente vissuta. L’eucaristia non è solo un rito, ma anche una scuola di vita. Essa non può esaurirsi entro le mura del tempio, ma tende necessariamente a varcarle per diventare impegno di testimonianza e servizio di carità. Quando l’assemblea si scioglie e si è rinviati alla vita, è tutta la vita che deve diventare dono di sè. È anche questo un significato del comandamento del Signore: «Fate questo in memoria di me»8.

«La domenica non è solo un giorno della settimana, è anche un giorno nel più grande ritmo annuale. Piccola “pasqua settimanale”, nucleo primitivo e originario di ogni successivo sviluppo della pratica cultuale e liturgica (cfr. SC 106), la domenica vive e respira del mistero di Cristo che culmina nella grande domenica della Pasqua annuale. [...] il Triduo pasquale emerge come momento culminante di tutto l’anno liturgico. Intorno ad esso, come un unico mistero, sono i «cinquanta giorni» della Pasqua fino a Pentecoste “come un sol giorno” (cfr. MR, Norme, n,22), e i “quaranta giorni” della Quaresima, a preparazione. In relazione a questo nucleo iniziale e primordiale del culto cristiano si colloca il Natale con il suo ciclo, strutturato a imitazione di quello pasquale: un tempo di Natale e un tempo di preparazione, l’Avvento (cfr. MR, Norme, n.32-39). Intorno a questi tempi ruota e si impernia tutta la struttura dell’anno liturgico e progredisce e cresce nel suo cammino di fede la vita del popolo cristiano. E durante tutto l’anno, secondo criteri non sempre omogenei (e che dunque esigono finezza d’interpretazione), si sviluppano i diversi momenti della vita e del mistero di Cristo, dall’Annunciazione alla Presentazione al tempio, alla solennità del Corpo e San­gue del Signore»9.

Per la nostra cultura la domenica è il settimo giorno, l’ultimo della settimana. Ma nel suo significato cristiano la domenica è innanzi tutto «il primo della settimana, l’una sabbatorum; il giorno in cui Dio riprende la sua opera creatrice. È anche il giorno del riposo, pregu­stazione e pegno del riposo vero, ultimo, eterno; il giorno che non avrà mai fine, oltre il quale non ci sarà altro giorno: l’ottavo, l’ultimo, il definitivo. Il giorno in cui il lavoro cede definitivamente il posto alla contemplazione, il pianto alla gioia, la lotta alla pace. Non alibi alla pigrizia, ma progetto e speranza per dare senso e coraggio all’impegno di anticipare già all’oggi ciò che viene contemplato e sperato come futuro»10.

Oggi «è possibile che il giorno della festa perda il suo significato cristiano originario per risolversi in un giorno di puro riposo o di evasione, nel quale l’uomo, vestito a festa ma incapace di fare festa, finisce con il chiudersi in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il cielo»11.

Il carattere festivo della domenica è certo quello più immediatamente percepito e più universalmente condiviso dalla cultura contemporanea. «Ma la domenica dell’uomo secolarizzato non è la stessa del cristiano. L’uomo secolarizzato vive la sua domenica soprattutto come giorno di riposo dal lavoro e la sua festa spesso si riduce al semplice sentirsi liberato dal peso e dai fastidi della fatica quotidiana; un giorno di vacanza che è quasi solo evasione. La cultura contemporanea secolarizzata, intatti, ha svuotato la domenica del suo significato religioso originario e tende a sostituirlo sia con la fuga nel privato sia con nuovi riti di massa: lo sport, la sagra, la discoteca, il turismo... Linguisticamente si è passati dal “giorno del Signore” al “week?end”, dal “primo giorno della settimana” al “fine settimana”»12.

Vari fattori hanno contribuito a tale evoluzione: «il passaggio da una cultura prevalentemente rurale a una di tipo urbana e industriale con forte con­centrazione della popolazione nelle aree urbane; i ritmi di lavoro sempre più incalzanti (specialmente nel settore dei servizi), l’organizzazione sempre più serrata del tempo libero, sempre più ampio; la maggiore mobilità delle persone (migrazione interna, faci­lità di viaggiare, seconda macchina, seconda casa, ...); le nuove possibilità di praticare sports diversi; la promozione delle attività culturali, politiche, sportive, che con l’attuale calendario scolastico e aziendale finiscono per concentrarsi quasi necessariamente nella domenica. Nessuna di queste nuove realtà è di per se stessa cattiva o illegittima, ma non si può negare che da tutto questo può derivare il pericolo della perdita della dimensione religiosa della vita e del tempo. Il giorno del Signore potrebbe ridursi così a semplice giorno dell’uomo. Si apre al proposito uno dei più importanti impegni di un rinnovamento pastorale che deve saper cogliere gli aspetti positivi del nuovo modo di vivere la domenica, per valorizzarli e per consentire che i cristiani possano sempre celebrare degnamente il giorno del Signore ed esserne chiari testimoni»13

«Astenersi dal lavoro e dalla fatica, deporre la tristezza delle cure quotidiane, oltre che costituire la condizione indispensabile per partecipare alla festa comune, diventa affermazione del trionfo della vita, del primato della gioia: “Il giorno di domenica siate sempre lieti, perché colui che si rattrista in giorno di domenica fa peccato” (Didascalia degli Apostoli V, 20,11)»14.

In questa prospettiva il riposo domenicale acquista una dimensione essenzialmente simbolica e profetica, perché «afferma la superiorità dell’uomo sull'ambiente che lo circonda: egli riconosce come suo il mondo in cui è chiamato a vivere, ma progetta e anticipa il mondo nuovo e una libe­razione definitiva e totale dalla servitù dei bisogni»15.

Il Codice di Diritto canonico prescrive che «soddisfa il precetto di partecipare alla messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno precedente ricorda la norma della Chiesa»16.

Se, per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica, «la stessa norma raccomanda vivamente di prendere parte alla liturgia della Parola, se ve n’è qualcuna, oppure di dedicare un congruo tempo alla preghiera personale o in famiglia o, secondo l’opportunità, in gruppi di famiglie e di amici»17.


1) DD 1.

2) GdS 2 : EC 3, 1935.

3) GdS 3 : EC 3, 1936.

4) GdS 8 : EC 3, 1941.

5) GdS 1 : EC 3, 1934.

6) PL 8, 709 ; cfr. DD 46.

7) GdS 8. EC 3, 1941.

8) Particolare valore va riconosciuto, in questa prospettiva, al servizio dei ministri straordinari della Comunione, attraverso i quali l’eucaristia domenicale giunge a coloro che, impediti per l’età, per la malattia o altro, rimarrebbero altrimenti privi del suo conforto e del vincolo che li unisce alla comunità. Ugualmente preziose le offerte per le necessità della comunità, del culto e dei poveri. L’assoluta trasparenza della loro destinazione e utilizzazione favorirà certamente questa forma di condivisione che già S. Paolo raccomandava (cfr. 2 Cor 8, 14) e Giustino testimoniava nel II secolo (cfr. Apologia Prima, 67).

9) GdS 21 : EC 3, 1954.

10) GdS 20 : EC 3, 1953.

11) GdS 5 : EC 3, 1938.

12) GdS 18 : EC 3, 1951.

13) GdS 19 : EC 3, 1953.

14) GdS15 : EC 3, 1948.

15) GdS 16 : EC 3, 1949.

16) CIC, can.1248, 1.

17) GdS 26 : EC 3, 1959.