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Diritto

L'insieme ed il complesso delle norme che regolano la vita dei membri della comunità di riferimento. Ius, diritto, deriva da iustitia, giustizia, secondo la definizione di Celso il diritto è infatti l'arte del buono e dell'equo. Già dall'epoca romana si divide in pubblico e privato, il diritto pubblico riguardava la prosperità dello stato romano, quello privato invece l'interesse dei singoli. Nel significato originario risulta la connotazione etica, ius come ciò che è giusto, il giusto ordine, la giusta distribuzione delle cose. Nell'uso corrente la parola diritto indica il complesso di norme che coordinano l'attività di più soggetti.

Per molti secoli i manuali di diritto iniziavano con due testi importanti: I due libri delle istituzioni del giureconsulto Ultopiano e le Istituzioni di Giustiniano imperatore. Le informazioni della prima fonte si ritrovano anche nel Digesto giustinianeo (533).

Chi voglia occuparsi di diritto deve prima sapere da dove venga il suo nome. Viene da iustitia: infatti, secondo la elegante definizione di Celso, il diritto è l'arte del bono e dell'equo.

  1. In grazia di che qualcuno può chiamarci sacerdoti: coltiviamo, invero, la giustizia, ed impariamo la conoscenza del buono e dell'equo, l'equo separando dall'iniquo il lecito sceverando dall'illecito, desiderando rendere buoni non solo col timore delle pene, ma eziandio pure col conforto di premi, aspirando ad un'autentica – se non mi inganno – e non fittizia filosofia.
  2. Due sono i temi di questo studio, il pubblico e il privato. Diritto pubblico è quello che ha riguardo alla prosperità dello stato romano; diritto privato quello che ha riguardo all'interesse dei singoli. Il diritto pubblico riposa sulle cerimonie sacre, sui sacerdozi, sulle magistrature. Il diritto privato si divide in tre parti: è composto infatti di precetti naturali, delle genti o civili.
  3. Il diritto naturale è quello che la natura ha insegnato a tutti gli animali: questo diritto, invero, non è caratteristico del genere umano, bensì di tutti gli animali che nascono in terra ed in mare, ed è comune anche agli uccelli. Ne discende l'unione del maschio e della femmina, che noi chiamiamo matrimonio, e la procreazione e l'allevamento dei figli: vediamo infatti che pure gli altri animali, anche quelli selvatici, sono valutati in rapporto alla loro perizia in questo diritto.
  4. Diritto delle genti è quello di cui si servono le genti umane. Che esso si allontani da quello naturale si può facilmente capire, dato che quello è comune a tutti gli animali mentre questo è comune ai soli uomini tra loro1

Il termine originale ius possiede una connotazione etica della nozione, il quod iustum est, cio che è giusto. Ius era quindi il giusto ordine, la giusta divisione delle cose del mondo in base ai principi di giustizia distributiva, realizzando un rapporto di uguaglianza tra dato e avuto. Il termine ormai ha significato di legge, norma, regola, non è così per ius. Ora per diritto si intende quel complesso di norme che coordina l'attività di più soggetti per arrivare ad un'ordine stabile e per regolare i rapporti sociali.

Importante la distinzione tra diritto oggettivo e soggettivo. Il diritto oggetivo è l'insieme delle norme che prescrivono agli individui certi comportamenti, il diritto soggettivo è il diritto che rivendico per me. Diritto oggettivo e diritto soggetivo non sono che due aspetti della stessa medaglia, il diritto soggettivo si fonda sul diritto oggettivo, senza delle norme per tutti non esisterebbe alcun diritto soggettivo. Un esempio pratico è il mio diritto soggettivo di continuare il mio cammino in macchina davanti a un incrocio semaforico, questo mio diritto soggettivo è scandito dal diritto oggettivo, quando cioè il semaforo diventa verde. Senza il diritto oggettivo il mio diritto soggettivo non è garantito. Da una parte si ricorre al diritto per far valere i propri diritti soggettivi, più difficilmente in genere si accetta il rispetto del diritto soggettivo altrui, che comporta un mio dovere, il dovere nell'esempio di prima, di fermarsi al rosso del semaforo per permettere di passare a chi ha il semaforo verde.

Ci sono vari tipi di diritti, c'è il diritto naturale, il diritto positivo, il diritto divino, il diritto canonico:

  • Il diritto naturale, ha per fondamento la natura dell'uomo, il diritto naturale è l'insieme dei principi fondamentali dell'esistenza umana validi per tutti, è un diritto che non dipende dall'uomo ma che è iscritto nella sua natura. Da qui intinge il diritto positivo. Sono espressioni del diritto naturale il rispettare la vita, il fare il bene ed evitare il male, dare a ciascuno il suo. La loro obbligatorietà risiede nell'immediata evidenza del diritto naturale. Il pensiero cristiano vede una legge eterna iscritta dal creatore nella natura, che quindi include i principi universali e immutabili immediatamente presenti. Per i giusnaturalisti invece il diritto naturale non ha origine trascendente, ma è scoperto dalla ragione, ed è posto da questi autori a fondamento del diritto positivo.
  • Il diritto positivo è il diritto approvato dal legislatore è il diritto prodotto dall'autorità, è il diritto posto.
  • Il diritto divino che è il diritto positivo dato da Dio nella rivelazione, il diritto naturale iscritto da Dio nella natura.
  • Il diritto canonico, si configura come esplicitazione del diritto naturale e rivelato, è l'insieme delle leggi che la Chiesa si dà nel tempo, l'insieme delle leggi approvate dall'autorità competente della Chiesa, allo scopo di assicurare il buono ordine della società ecclesiastica e di dirigere l'attività dei fedeli verso il duplice fine che la Chiesa persegue: il bene della comunità cattolica e la felicità eterna. Il nome "diritto canonico" deriva dal fatto che le norme giuridiche, o le decisioni o regole disciplinari emanati dai concili, venivano chiamati canoni, in contrapposizione delle “leggi” degli imperatori. È ancora in uso l'espressione ius ecclesiasticum (diritto ecclesiastico) per indicare quella parte del diritto canonico riferita alla diritto umano della chiesa, distinto da quello divino. Non bisogna confondere questa denominazione con il significato che esso assume negli ordinamenti civili degli stati: Diritto ecclesiastico: è il diritto promulgato dallo Stato nei settori che interessano l'attività delle confessioni religiose all'interno della società civile.

Perchè l'uomo ricorre al diritto?

Il diritto è intorno a noi, viviamo nel diritto, se voglio il libro devo pagarlo, viviamo nel diritto senza accorgercene spesso. La società è piena di norme, scritte o orali, di tradizione. L'esistenza di leggi e la loro pratica sono avvertite come condizioni necessari perchè ci sia libertà, giustizia e pace. Il grido "si faccia giustizia" mostra come del diritto si abbia un apprezzamento spontaneo e positivo.

Questo genera la domanda sul perchè del ricorso al diritto. Il diritto è di sua natura imperativo. I suoi enunciati prescrittivi, presi in sé, hanno forza obbligatoria. Il problema della obbligatorietà delle norme non risiede nell’obbedienza. L'eventuale trasgressione, sempre possibile, viene ricusata con il ricorso alle sanzioni. Quello che occorre giustificare è la norma in sé, con la sua forza vincolante. In linea di principio la norma non è rifiutabile, pur essendo sempre possibile la sua trasgressione.

Il fondamento dell'obbligatorietà non può risiedere nel semplice enunciato prescrittivo che costituisce la norma. La qualità imperativa dell'enunciato non rende il comando accettabile e legittimo, e quindi giuridico, altrimenti lo sarebbe anche quello del ladro che intima con la pistola che il negoziante gli dia l'incasso. Eppure non la riteniamo una norma vincolante, il negoziante non è tenuto a dargli l'incasso, anche se probabilmente lo farà per aver salva la vita.

Il fondamento dell'obbligatorietà non risiede neanche nella sanzione. La sanzione viene stabilita dagli ordinamenti giuridici per dirigere la condotta dei consociati e renderla conforme alle norme. Il problema è stabilire se la sanzione sia un elemento interno alla struttura della norma giuridica o se cada fuori di essa. Secondo la teoria generale del diritto, per sanzione si intende la reazione del gruppo sociale contro il comportamento di uno dei consociati che può essere di approvazione (= sanzione positiva) o di disapprovazione (= sanzione negativa).

Le sanzioni negative, coincidono con un male che viene inflitto per la violazione di una norma. Di solito le sanzioni negative si accompagnano a norme obbligatorie, soprattutto negative, vengono applicate alle azioni a queste contrarie. Le sanzioni positive, rafforzano l'osservanza delle norme ricorrendo a premi o incentivi.

Abbiamo due correnti di pensiero che dibattono la questione se la sanzione debba essere almeno un elemento interno alla struttura della norma giuridica.

  1. La prima corrente di pensiero afferma che la sanzione giuridica che ha come elemento caratterizzante la coazione che è una componente interna alla struttura della norma giuridica. In base a ciò, si sostiene che è diritto quel insieme di norme che è munito di sanzioni coattive. Le norme vanno considerate giuridiche non in quanto giuste, ma in quanto valide, cioè in quanto inserite in un ordinamento coercitivo, che, attraverso l'uso della sanzione ne garantisce l'obbligatorietà (Kelsen). Questa costruzione, ignora i valori della giustizia ed esclude dall'ambito delle sanzioni giuridiche estensioni positive, come pure quelle norme che si limitano ad affermazione di principio, ad esempio: "il figlio deve rispettare i genitori".
  2. La seconda corrente di pensiero sostiene che la sanzione non è una caratteristica di tutte le norme giuridiche ma solo di alcune soltanto. I sostenitori di questa tesi, sostengono che le norme provviste di sanzione coattiva, svolgono funzione di garantire l’osservanza dell’ordinamento nel suo complesso, però, l’ordinamento giuridico contiene anche norme che pur non prevedendo l’uso della forza, regola la condotta degli uomini e sono norme giuridiche (Hart).

La mancata applicazione della sanzione, non cancella il diritto, né lo fa diventare invalido; non vengono meno la giuridicità dell'ordinamento e l'illegittimità del comportamento colpito con la sanzione. Si può allora affermare che il sistema coercitivo è posto al servizio della effettività del diritto e cioè della sua effettiva osservanza, non della sua validità e obbligatorietà.

Si potrebbe forse dire allora che l'obbligatorietà della norma, deriva dal fatto che essa appartiene a un determinato ordinamento giuridico? da questo è prodotta, applicata e garantita, acquistando in esso validità prescrittiva. Verificata l'appartenenza della norma all'ordinamento, la norma è da ritenersi valida, essa è vincolante. L’obbligatorietà dell’ordinamento deriva poi da una norma fondamentale, la quale conferisce validità a tutte le altre norme. Che l'obbligatorietà della norma si fondi sull'insieme delle norme stesse appare un po' difficile però. L'obbligatorietà della norma in qualche modo si fonderebbe sull'insieme delle norme stesse.

Alcuni ritengono che l'obbligatorietà della norma trovi fondamento nell'autorità del legislatore. Per autorità del legislatore si intende non solo il potere che al legislatore compete in quanto detiene l'autorità, ma anche l'autorevolezza che deriva dalla stima e fiducia in lui riposte dei sudditi. Questa corrente di pensiero come la precedente presenta la caratteristica comune di sforzarsi di dimostrare l'obbligatorietà delle norme giuridiche, ma prescindendo dal ricercare il fondamento vitale di tale obbligatorietà.

Il fondamento ontologico delle norme giuridiche, e quindi della loro obbligatorietà, viene studiato da Sergio Cotta che, ispirandosi alla fenomenologia di Huserl, ha evidenziato il senso co-esistenziale dell’esperienza giuridica. Cotta afferma che l’individuo umano è un esistente insieme con altri esistenti simili a lui. Egli fa riferimento al nostro “esserci” che è un “co-esserci”. La co-esistenza per Cotta, è una condizione necessaria per la persona, la quale è se stessa, e ha integrale coscienza di sé solo quale ente-in-relazione. Nella co-esistenza così intesa, sta allora in fondamento del diritto: la co-esistenza è la causa profonda della obbligatorietà della norma. Cotta non spiega però in quale senso la co-esistenza stia a fondamento del diritto e quindi della obbligatorietà delle norme. Le relazioni possono essere di vario genere ad esempio amicali, economiche, quindi possono assumere varie forme. Se assumono forma giuridica, l’obbligatorietà delle norme non dipende dal nudo fatto della co-esistenza, ma dal modo di esistenza giuridica, cioè dall’ordinamento giuridico che i co-esistenti si sono dati. Per aver un ordinamento giuridico non basta che più persone siano co-esistenti, è necessario che le relazioni tra di esse e in rapporto al fine sia regolato dal diritto. Da ciò si deduce che, tra co-esistenza ed obbligatorietà delle norme bisogna introdurre a fondamento della stessa obbligatorietà, la giustizia. La giustizia dice Cotta, è il fondamento ontologico del diritto e il criterio di giustificazione oggettiva dei vari ordinamenti e norme, ai quali conferisce (o nega) obbligatorietà.

La giustizia allora è la ragione ultima della obbligatorietà delle norme. Le norme sono obbligatorie perché sono determinazioni di ciò che è giusto. La giustizia è valutazione di comportamenti o di situazioni umane perché applica a questi comportamenti un principio d'ordine della coesistenza. Questo principio d'ordine è dato non dalla semplice coesistenza, ma dallo statuto ontologico dell'uomo come io-in-relazione. In questo statuto sta il fondamento del diritto. Statuto che coincide con la dignità di persona umana ugualmente spettante a ciascun coesistente.

Diritto e morale

Il rapporto tra diritto e morale oggi è più di conflitto che di interazione, ma non è sempre stato così. Il diritto non copre certamente tutta la morale, ma non può tralasciare le leggi morali. Si richiede ora invece una neutralità sul piano dei contenuti morali, così che le leggi ora devono essere quelle della maggioranza, si pensa che lo stato non possa imporre uno stato di moralità più elevata di quello che i cittadini condividono, oppure che bisogna partire dal relativismo etico, unica via che si aprirebbe al pluralismo. L'enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium vitae riprende tutti questi punti, mettendo in luce anche la pretesa di alcuni ordinamenti giuridici di legittimare giuridicamente l'aborto e l'eutanasia, di per sè contrari a leggi morali oggettive e universali.

La legge civile dovrebbe garantire a tutti i cittadini i diritti fondamentali che appartengono alla persona. Quindi se l'autorità può rinunciare a reprimere ciò che se proibito provocherebbe un danno peggiore, non può mai legittimare il calpestare i diritti fondamentali di una persona anche se fosse la maggioranza a volerlo. E per questo motivo aborto ed eutanasia sono intollerabili perchè negano i diritti fondamentali di una persona, il diritto alla vita.

Evangelium vitae ribadisce come non è mai lecito conformarsi a leggi intrinsecamente ingiuste, verso le quali c'è l'obbligo di opporsi mediante obiezione di coscienza. Ribadisce inoltre la moralità del diritto, il primato della morale sul diritto e la subordinazione del diritto alla morale.

Nonostante la tendenza attuale a separare il diritto dalla morale nel corso della storia la tendenza è stata quella inversa. Nell'antica Grecia, giustizia e legge si identificano, la vera legge è giusta, così anche per il mondo latino "il diritto è l'arte del buono e dell'equo" afferma Ulpiano, il diritto è pensato dal mondo latino dentro la morale.

Per il pensiero cristiano è da considerarsi legge solo quella giusta, le leggi quindi devono essere giuste in quanto ordinate al bene comune e chi le emana non deve eccedere nel suo potere. "Pieno compimento della legge è l'amore" (Rm 13,10), il diritto è tale anche per il cristianesimo perchè è giusto, secondo San Tommaso oggetto del diritto è la giustizia.

L'epoca moderna ha portato invece al distacco tra il diritto e la morale, questo è stato favorito da diversi motivi:

  • la nascita dello stato moderno, laico e pluriconfessionale
  • la secolarizzazione
  • una nuova concezione della soggettività e della libertà
  • un nuovo modo di intendere il rapporto tra libertà e verità

L'ordinamento giuridico e l'ordinamento morale certo non coincidono:

  1. l'ordinamento giuridico si rivolge non a tutto l'agire umano responsabile, ma solo a quell'agire che serve a garantire a tutti una pacifica esistenza, l'ordinamento morale invece è interessato a tutte le azioni dell'individuo. La coscienza penetra tutto l'agire.
  2. L'ordinamento giuridico è inoltre concentrato sugli atteggiamenti visibili ed esteriori, quelli ordina, mentre l'ordinamento morale riguarda anche e soprattutto l'interiorità dell'individuo.
  3. L'ordinamento giuridico ha una struttura imperativa e sanzionatoria, è ipotizzabile il dissenso, è ipotizzabile ubbidire a Dio prima che agli uomini, nell'ordinamento morale non c'è invece possibilità di dissenso.
  4. La legge positiva certamente non può proibire tutti i vizi ma solo quelli che ledono più gravemente la giustizia e la vita sociale, c'è quindi un minimo etico, ciò che tutti possono riuscire ad attuare.

Da evitare i due estremi quelli di un ordinamento giuridico che pretenda la completa identificazione con le norme morali e che richieda una morale troppo elevata, e un ordinamento che invece non preveda in alcun modo un accostamento alla morale.

Il diritto è chiamato ad essere un ordine di giustizia tra gli uomini, anche se questo abbiamo detto è un po' lontano dall'idea che la nostra epoca ha del diritto. E' un ordine in quanto c'è un armonico rapportarsi tra uomini che sono diretti verso un fine. E' di giustizia perchè questa relazione tra uomini si realizza secondo giustizia, secondo una parità ontologica dei soggetti che hanno uguali diritti e doveri. Le norme giuridiche devono essere rapportate a un ordine morale che le fonda e le giustifica, l'ordine giuridico quindi ha carattere morale perchè si fonda sulla giustizia.


Molti dei dati presi sono tratti dalle lezioni del professor Agostino Montain di cui segnalo il libro per chi cerca approfondimenti:

Agostino Montain, Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa, 2000, EDB: Bologna

1) Ulpiano, I due libri delle istituzioni,I,1-4