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Definitiva rottura con la Chiesa d'Oriente

Tutti i tentativi di unione falliranno miseramente, si rinizierà nuovamente con le rispettive scomuniche


Gregorio X morì nel 1276. Da allora, fino alla fine del secolo, si avvicen­da­rono, in rapida successione, ben nove papi.

Innocenzo V (1276); Adriano V (1276); Giovanni XXI (1276-77) il Giovanni Hispanus già fa­moso professore di filosofia e di medicina; Niccolò III (1277-80), della famiglia Orsini di Roma (tra i suoi meriti, quello di aver am­pliato lo Stato pontificio, con l'annessione della Marca di Ancona dell'Esarcato di Ravenna).

Gli successe Martino IV (1281-85), un francese (Simone de Brion) che fu munifico con gli ordini mendicanti, in quanto conferì loro il diritto di pre­dicare e confessare, funzioni fino ad allora riservate ai parroci: il che comportò anche ri­svolti economici negativi sul clero secolare. Martino IV, in politica, subì l'influenza di Carlo d'Angiò, re di Francia, che costò alla Chiesa romana la rottura definitiva con l'Oriente e la perdita della Sicilia.

Sotto Marino IV l'unione delle chiese greca e la­tina, frutto di interessi politici e non di salde convinzioni, fu infranta sia dal papa che scomunicò l'imperatore Michele, come fautore dello scisma e del­l'e­resia, sia dallo stesso imperatore il quale, dopo la vittoria ripor­tata a Belgrado (1282) su Carlo d'Angiò che lo aveva aggredito, ruppe definitivamente i rapporti con Roma.

Era accaduto che alla morte di Michele Paleologo, suo figlio Andronico, succedu­togli sul trono, cambiò radicalmente rotta, ripristinando pienamente lo scisma e rifutando qualsiasi velleità di unione.

Il sinodo della Chiesa greca celebrato nella settimana di Pasqua del 1283, segnò la fìne dei tentativi di unione. Tra il 1274 e il 1283 non erano mancate iniziative da ambedue le parti: una prima ambasciata papale, diretta dall'abate di Montecassino Bernardo, partì per Bisanzio nel 1275. Una seconda ambasciata, compo­sta da quattro frati Minori e capeggiata dal generale dell'Ordine Girolamo d'Ascoli (il futuro Niccolò IV), prese parte nell'aprile 1277 ad un importante sinodo, che riconobbe il primato romano e pronunciò la professione di fede conciliare che il grande logoteta aveva fatto a nome dell'imperatore tre anni prima. L'imperatore e suo figlio Andronico avevano si­glato l'atto ufficiale, suggellandolo con la bolla d'oro. Il patriarca Becco chiese di poter conservare immutati gli antichi riti, pur ricono­scendo il primato romano e pronunciando la professione di fede. Il clero però rifiutò il giuramento e l'inserto Filioque perché contrari alla tradizione. L'ambasciata bizantina che doveva recare al papa le deci­sioni del sinodo giunse a Roma dopo la morte di Giovanni XXI, soprav­venuta il 20 maggio 1277.

ll nuovo pontefice, Niccolò III (1277-81) adottò subito un atteggiamento più rigido nei confronti di Bisanzio. Nel mese di ottobre 1278, il papa incaricò una nuova ambasciata di portare a Costantinopoli la risposta papale ai documenti dell'aprile 1277.

Le istruzioni date al vescovo di Grosseto Bartolomeo d'Ascoli, capo della missione, erano categoriche. I legati dove­vano chiedere all'imperatore non soltanto una conferma scritta della sua sottomis­sione, ma ottenere anche la promessa del patriarca e degli altri prelati di prestare giuramento secondo la forma prescritta da Roma. Ciò fu chiesto anche al clero di tutte le città. Niccolò III esigeva quindi una to­tale sottomissione canonica alle tradizioni romane.

Il sinodo ortodosso, che do­veva rispondere alle richieste romane, non ammise il Filioque nella for­mula del Simbolo. Per il resto la dichiarazione sinodale è sostanzialmente identica a quella dell'aprile 1277. Così Niccolò III non ottenne nulla di più di quanto aveva ottenuto Giovanni XXI. Per di più era riuscito ad irritare la su­scettibilità e la fierezza del clero greco.

Non avendo poi il basileus accettato la proposta alleanza con Carlo d'Angiò, il papa decise di permettere la formazione di una coalizione occidentale contro Bisanzio. La morte di Niccolò III (22 agosto 1280) non mise in pericolo il pro­getto, perché il suo successore, il francese Martino IV (1280-1285) era favorevole al re di Sicilia. L'approvazione della coalizione contro l'imperatore bizan­tino fu confermata il 3 luglio 1281. Michele VIII Paleologo fu scomunicato da Martino IV il 18 novembre 1281, poi nuovamente il 26 marzo e il 18 ottobre 1282. Da parte sua la Chiesa greca rifiutò la sepoltura ecclesiastica a Michele VIII, morto il l° dicembre 1282.

Non meno gravido di conseguenze l’altro evento, accaduto il lunedì di pa­squa 1282: i cosiddetti vespri sici­liani con cui ebbe inizio la sollevazione degli isolani contro la tirannia francese. I ribelli si scelsero come loro signore Pietro III d'Aragona e, nono­stante i vari interventi di Martino IV, la Sicilia non fu più recuperata alla Chiesa.