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Pio IX

Il lunghissimo pontificato di Pio IX non portò ad una pacificazione o ad una riconciliazione, ma inasprì ancora di più l’antagonismo


Antagonismo tra la Chiesa e la rivoluzione, tra Dio e la libertà, tra il cattolicesimo romano e il movimento liberale nato dalla Rivoluzione Francese. Infatti la chiesa di Pio IX per difendere i propri diritti sposò la causa della controrivoluzione, che non ha significato una riduzione degli obiettivi temporali o politici della Chiesa, ma nella mentalità del papa e dei suoi collaboratori, c’era l’idea che se la missione della Chiesa era, primariamente, di ordine spirituale, il compimento di essa presupponeva la difesa intransigente della sovranità temporale del papato, vista come la condizione necessaria e indispensabile della sovranità spirituale del papato. L’irrigidimento antimodernista e antiliberale di Pio IX andò di pari passo:

Le tre grandi date, che costituiscono l’apogeo del pontificato di Pio IX, che assumono questa doppia dimensione sono:

  1. 1854: proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione con l’enciclica Ineffabilis Deus, che costituisce un’affermazione solenne del magistero pontificio;
  2. 1864: condanna degli errori modernisti, contenuti nel catalogo Syllabus;
  3. 1870: proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia con la costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, che coincise con la caduta dello Stato pontificio il 20 settembre del 1870;

Il pontificato di Pio IX è inserito nel contesto dell’unità d’Italia, in quella che è rimasta famosa col nome di “Questione Romana”. La sua elezione suscitò le più grandi speranze negli ambienti liberali e patriottici, in quanto tutta una corrente del cattolicesimo italiano era favorevole alla causa dell’unità d’Italia e cercava di rompere con le concezioni assolutiste e controrivoluzionarie, auspicando una conciliazione tra civiltà moderna e cristianesimo. Nel 1843, il sacerdote e professore dell’Università di Torino Vincenzo Gioberti pubblicò il libro Del primato morale e civile degli italiani, nel quale tracciava un programma di una Confederazione Italiana sotto la presidenza del papa. L’influenza di tale libro fu notevole in quanto, l’autore affidò, in un certo qual modo, la direzione del Risorgimento nazionale al papa, permettendo l’adesione dei cattolici italiani, finora piuttosto ostili ad una causa vista come anticlericale, alla causa dell’unificazione nazionale. Il pensiero del Gioberti era avvalorato dalla convinzione comune che il nuovo papa Pio IX, a differenza del precedente, fosse favorevole a questo programma neoguelfo.

Pio IX al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque in una famiglia della piccola nobiltà marchigiana, tre suoi fratelli parteciparono alla rivoluzione del 1831, egli stesso come vescovo di Spoleto prima e poi come vescovo di Imola, aveva dimostrato una certa moderatezza nei confronti di questo movimento rivoluzionario, anzi si diceva che deplorasse il comportamento duro del pontefice Gregorio XVI. Il nuovo papa era legato alla più grande figura di questo movimento liberale italiano, don Antonio Rosmini, che nella sua opera maggiore Le cinque piaghe della Chiesa, auspicava una riforma della Chiesa, allo scopo di colmare la frattura tra clero e popolo, favorendo l’introduzione della lingua volgare nella liturgia e sperava che la Chiesa conquistasse la libertà dalla tutela statale e proponeva l’elezione dei vescovi fatta dal clero e dal popolo e non dallo Stato. Nel 1848 il papa, dopo averlo consultato, volle che rimanesse al suo fianco sia a Roma sia durante il suo esilio a Gaeta, ma nonostante ciò la sua opera fu condannata e messa all’indice nel 1849.

Negli anni 1846-48 l’atteggiamento di Pio IX confermava la sua fama di papa liberale, in quanto le sue prime misure erano aperte in tal senso:

Ma quel interpretazione equivoca non evitò la rottura tra il Regno di Sardegna e Piemonte contro l’Austria per liberare l’Italia dalla tutela austriaca. Nel 1848, il papa dichiarò che era impossibile per lui in quanto capo della santa Chiesa Cattolica Romana, di partecipare ad una guerra di liberazione nazionale tra due nazioni cattoliche, cioè affermava che il papa è prima di tutto il capo di uno Stato internazionale spirituale e non di uno Stato nazionale. Tale affermazione fu interpretata dai patrioti italiani e dai cattolici liberali come un tradimento che faceva crollare la speranza che il papa potesse diventare il capo di questo movimento per l’unità d’Italia. L’intervento del papa segnò la sconfitta della corrente liberale e moderata del Risorgimento e la corrente più estremista, repubblicana e anticlericale, che faceva capo a Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovane Italia, né approfittò per provocare nello Stato Pontificio una rivoluzione che costrinse il papa, dopo l’assassinio del suo primo ministro il conte Pellegrino Rossi, a fuggire a Gaeta, nel Regno delle Due Sicilie. Il papa ritornerà a Roma, a seguito dell’intervento delle truppe francesi di Napoleone III nel 1849, anche se questa rottura con lo Stato italiano, portò ad un doppio progetto di radicalizzazione:

Gli eventi successivi portarono nel 1861 alla proclamazione del regno di Italia, grazie alla dinastia Sabauda, mentre nel settembre del 1870, con la “breccia di Porta Pia”, Roma è occupata e proclamata capitale del nuovo Regno d’Italia. La cosiddetta “Questione Romana”, cominciò ad essere posta all’indomani dell’annessione delle province pontificie delle Marche e dell’Umbria al Regno di Sardegna e di Piemonte, portando alla riduzione dello Stato Pontificio soltanto a Roma e dintorni. Di fronte a tale situazione si aprirono al papa e ai suoi collaboratori due possibili soluzioni che diedero vita due distinti partiti:

Il papa, dopo aver esitato a lungo, aderì al partito intransigente rappresentato dal cardinale Segretario di Stato Giacomo Antonelli, secondo cui Roma non poteva divenire la capitale del nuovo regno unificato per due motivi:

  1. i diritti della Santa Sede sulla città di Roma, almeno nell’idea del papa, non erano gli stessi diritti di una ordinaria dinastia reale perché la sovranità su Roma apparteneva a tutti i cattolici e non soltanto ad una determinata nazione e di conseguenza essi erano inalienabili;
  2. la sovranità temporale del papa rappresentava la garanzia maggiore per la libertà e l’indipendenza della Chiesa e del suo magistero spirituale e dottrinale;

Le trattative per arrivare ad un compromesso fallirono, a seguito dello sviluppo dell’anticlericalismo e del proselitismo delle chiese Evangeliche. L’intransigenza della politica papale si manifestò sia in ambito politico e morale che dottrinale, infatti ricordiamo a tal proposito l’enciclica Quanta cura cui era unito il Syllabus errorum, che condannava 80 proposizioni giudicate erronee e inaccettabili, tra cui il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, l’indifferentismo religioso, il socialismo, il comunismo, la massoneria, il gallicanesimo, il liberalismo. L’ultimo errore, che riassumeva tutti gli altri, affermava non solo l’impossibilità per il Romano Pontefice e quindi per la Chiesa di riconciliarsi col progresso, il liberalismo e la civiltà moderna, ma anche l’incompatibilità tra il cattolicesimo e tutto il retaggio dei lumi.

Questi due documenti suscitarono violente reazioni nell’opinione pubblica, infatti mentre l’insieme dell’episcopato fece propria la condanna degli errori e dei peccati dello spirito rivoluzionario, la stampa anticlericale e massonica ne approfittò per rilanciare i suoi attacchi contro la Chiesa, bruciando pubblicamente i due documenti sulla pubblica piazza di Napoli e Palermo. In Vaticano tale reazione fu inaspettata, tant’è vero che si cercò di limitare la portata dei due documenti distinguendo tra la tesi, intesa come ideale da seguire e l’ipotesi, cioè il necessario adattamento alle circostanze. Tale distinzione fu ritenuta un’interpretazione autorevole tanto che in Francia fu ripresa dal vescovo d’Orleans Mons. Dupanloup, dove in un opuscolo intitolato La convenzione del 15 settembre e l’enciclica dell’8 dicembre, spiega che la condanna di una proposizione non significa l’affermazione del suo contrario, e che il catalogo degli errori non era un’innovazione rispetto alla dichiarazioni anteriori della Santa Sede. Tale interpretazione minimalista e liberale ebbe larga diffusione in Europa tanto che con un breve del 1865 il papa l’approvò. Il prelato francese abilmente collegava il documento pontificio ad un altro documento concordato nel settembre del 1864 tra la Francia e l’Italia secondo il quale:

Tale convenzione criticata aspramente da Mons. Dupanloup, non fu rispettata dall’Italia, infatti dopo la partenza delle sue truppe, il governo francese dovette intervenire per difendere la capitale pontificia dall’attacco di Garibaldi e delle camicie rosse che agivano con la complicità del governo italiano. Ma dopo la sconfitta dei francesi da parte dei prussiani nel 1870, le truppe italiane entrarono in Roma il 20/09/1870, data della caduta dello Stato Pontificio. Nel 1871, il papa rifiutò la “legge delle guarentigie”, votata dal Parlamento italiano col quale l’Italia riconosceva la sovranità spirituale del papa e l’inviolabilità della sua persona, in quanto non era un accordo tra due parti uguali e quindi irrevocabile. In tal modo la Questione Romana rimarrà aperta fino alla firma dei patti Lateranensi del 11 Febbraio del 1929.

Durante la prima metà dell’800 si assiste ad un movimento di ritorno al papa, in quanto nell’Europa della restaurazione il papato romano non era stato toccato dalla rivoluzione, quindi l’istituzione pontificia appariva come il simbolo del principio d’ordine e di autorità di fronte alla minaccia rivoluzionaria. Questo pensiero diffuso soprattutto in Francia e in Germania è chiamato movimento dell’Ultramontanismo, che partì dalla base, dalla coscienza del popolo cristiano dopo la vicenda rivoluzionaria e che la Santa Sede incoraggiò in due modi:

  1. nell’esaltazione del magistero universale e infallibile del papato;
  2. nel rafforzamento della centralizzazione romana nel governo della Chiesa;

Sotto il primo punto di vista, la Compagnia di Gesù giocò un ruolo decisivo, perché dopo un primo moneto di titubanza del papa fu ricostituita, proprio perché nella lotta che si stava aprendo a Roma tra le forze sovversive della rivoluzione, l’aiuto dei gesuiti era necessario. Nel 1850 fu fondata a Roma, da un gruppo di gesuiti: Carlo Maria Curci, Luigi Taparelli d’Azeglio, Matteo Liberatore, la rivista La civiltà cattolica, che divenne ben presto la voce ufficiosa della Santa Sede, rimasta tale fino al pontificato di Pio XII. L’idea di forza del Collegio dei Redattori, che dipendeva direttamente dal padre generale della compagnia, era quella dell’universalità del Magistero pontificio, che si andò concretizzando con la proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione nel 1854. La proclamazione di tale dogma, preceduto da una consultazione dell’episcopato riunitosi nella basilica di s. Pietro alla presenza di tutta la Chiesa, ebbe come scopo quello di manifestare l’importanza del Magistero romano.

La definizione del nuovo dogma era anche una forma di riconoscimento del movimento mariano, che si era ampiamente diffuso nella prima metà dell’800 a seguito di tutta una serie di apparizioni della Madonna, tra cui la più famosa fu quella della Vergine avvenuta a Parigi nel Luglio del 1830 a Caterina Labouré. Nel 1842 a Roma si ebbe un’altra apparizione, nella chiesa di s. Andrea delle Fratte, che vide la spettacolare conversione del giovane ebreo francese Alfonso Ratisbonne, che fonderà successivamente la Congregazione delle suore di Nostra Signora di Sion, avente lo scopo dio pregare ed operare per la conversione degli ebrei. Altre apparizioni furono: 1846, La Salette e 1858, Lourdes. Questo fenomeno delle apparizioni, rigenerò il culto mariano e mobilitò diversi vescovi, che richiesero al papa di formulare il dogma dell’Immacolata concezione. Pio IX dapprima restio, nominò nel 1848 una commissione per studiare la questione e durante il suo esilio a Gaeta, chiese tramite lettera un parere ai vescovi sulla questione. Nove su dieci furono favorevoli ad una nuova definizione, per cui venne istituita una nuova commissione avente il compito di fondare il dogma mariano sia nella Scrittura che nella Tradizione.

Altro aspetto del movimento di centralizzazione è l’intervento crescente di Roma nella vita delle Chiese locali attraverso:

  1. il rafforzamento dell’azione della Santa Sede nelle diocesi, soprattutto nelle nomine dei vescovi. Infatti Pio IX nominò alcuni vescovi senza tenere conto delle proposizioni delle chiese locali, avendo come criterio: l’aver studiato a Roma e una certa docilità al magistero pontificio. Nello stesso tempo il papa cercò di ripristinare i contatti personali con i vescovi:
    • ripristinando le visite Ad limina;
    • convocando tre assemblee episcopali: 1854, 1862, 1867;
    • rafforzamento delle figure dei Nunzi, non più soltanto rappresentati del papa presso i governi, ma interpreti della sua volontà nelle Chiese locali;
  2. l’uniformizzazione delle usanze ecclesiastiche, soprattutto nella liturgia, il cui scopo era quello di avvicinare la gente a Roma. Nello stesso tempo l’universalizzazione della liturgia romana portò alla scomparsa delle liturgie locali. Quest’opera di riforma fu fatta anche:
    • in Francia tramite l’opera dell’abate di Solesmes dom Prosper Guéranger, che fu il restauratore dei monaci benedettini francesi e del canto gregoriano;
    • in Germania tramite l’opera di riforma operata dal monastero di Beuron, fondato nel 1862;
    • in Belgio tramite l’opera di riforma operata dal monastero di Maredsous;

Questi ultimi due monasteri divennero i più grandi centri del rinnovamento liturgico, che si ebbe anche nell’uso del Breviario romano. Nello stesso tempo ci fu la diffusione della teologia morale di S. Alfonso Maria de Liguori, che contribuì a trasformare la spiritualità rigorista giansenista, con una pratica eucaristica frequente e una devozione mariana.

Il papa crebbe nella popolarità, soprattutto quando con l’occupazione di Roma nel 1870, i cattolici europei si mobilitarono in difesa del suo potere temporale, diffondendo l’idea del papa “prigioniero d’Italia”. Nell’ottobre del 1870 venne costituito a Ginevra un movimento laicale sotto la guida del vescovo ausiliare Mons. Mermillod, i cui scopi erano:

Anche se l’ispirazione di questo movimento è controrivoluzionaria, i mezzi da esso utilizzati erano moderni: la stampa e la pressione dell’opinione pubblica, i quali fanno parte di una mentalità democratica che appartiene ai popoli a non più ai governi, quindi si può dire che la crisi del 1870 fu l’inizio della modernizzazione della Chiesa.

L’intenzione di convocare un concilio fu annunciata ufficialmente nell’occasione della grande assemblea dell’episcopato del 1867, che commemorava il 18° centenario del martirio dei S.S. Apostoli Pietro e Paolo. Lo scopo che con esso Pio IX si prefiggeva era duplice:

  1. incoraggiare l’opera di restaurazione dottrinale iniziata col suo pontificato e proseguita con l’enciclica Quanta Cura e col Syllabus errorum;
  2. adattare la legislazione ecclesiastica ai profondi cambiamenti avvenuti nel tempo;

Per preparare questo concilio furono istituite delle Commissioni preparatorie incaricate di preparare gli schemi sugli argomenti da trattare. Un terzo dei membri di queste commissioni, i Consultori, furono scelti dai Nunzi e fu in favore di teologi ultramontanisti e antiliberali, a scapito dei teologi tedeschi esclusi, perché contrari all’affermazione dell’infallibilità pontificia. Il concilio si aprì l’8 dicembre del 1869, nella basilica di S. Pietro con una lunghissima cerimonia alla presenza di circa 700 Padri conciliari e di migliaia di fedeli provenienti da varie parti del mondo. Infatti territorialmente l’assemblea era divisa, tra Padri europei e non, tra cui vari prelati di rito orientale e da un folto gruppo di vescovi americani (novità rispetto a Trento). A questa ripartizione geografica ve ne fu una anche di tipo ideologico-dottrinale, che divideva l’assemblea in due fazioni:

  1. gli infallibilisti, maggioranza ostile al liberalismo e favorevole ad una definizione dogmatica sull’infallibilità del papa, provenienti da paesi tradizionalmente cattolici, anche se tra di essi vi erano anche alcuni vescovi che operavano in diocesi dove era presente il protestantesimo, e le motivazioni che essi addicevano erano di natura:
    • teologica: chiudere le controversie dottrinali sulle prerogative del papa;
    • extrateologica: riaffermare in Europa il principio di autorità del papa che era stato minato dallo spirito rivoluzionario;
  2. gli antinfallibilisti, una minoranza non omogenea, unita però contro una definizione di tale genere, rappresentati dai vescovi tedeschi, austriaci e francesi, che addicevano come motivazioni:
    • difendere i diritti dell’episcopato;
    • il timore di peggiorare le relazioni con gli altri Stati moderni;
    • evitare un nuovo scisma, soprattutto in Germania, molto ostile alla definizione del dogma dell’infallibilità;

Nel gennaio 1870 furono presentate, in ordine di tempo, due petizioni:

  1. con la prima, messa in circolazione da un gruppo di Padri di pressione, indipendenti dalla Curia Romana, si chiedeva al papa di mettere la questione dell’infallibilità all’ordine del giorno. Essa fu firmata da 450 Padri conciliari;
  2. con la seconda si chiedeva l’opposto e fu firmata solo da 136 Padri;

Nel marzo del 1870 furono fatte nuove petizioni tendenti ad ottenere:

Nonostante l’opposizione, il papa decise di anticipare il dibattito, trasformando il capitolo sull’infallibilità in una costituzione autonoma consegnata ai Padri col titolo di De Summo Pontefice. La discussione fu dall’inizio molto animata, in quanto un folto numero di Padri moderati cercavano un compromesso per evitare una frattura con la minoranza, ma ogni tentativo fallì perché gli antinfallibilisti non vollero aderire ad un progetto comune. Infatti il loro timore era quello di approvare un testo in cui veniva definita una dottrina che identificasse il papa con la Chiesa, quindi, per evitare il pericolo, desideravano che fosse chiaramente indicato che il papa, quando definisce una verità di fede, non può ignorare la fede della Chiesa di cui i vescovi sono testimoni autorizzati.

Mons. Grasser, a nome della commissione teologica, spiegò la portata esatta del documento e allo scopo di tranquillizzare l’opposizione, affermò che:

Ma questo documento non calmò la minoranza e 60 vescovi di questa corrente lasciarono Roma prima della votazione finale. La nuova costituzione Pastor Aeternus votata il 18 Luglio 1870 dalla quasi totalità dei Padri presenti stabiliva che: “il papa possiede quell’infallibilità promessa alla Chiesa quando parla ex cattedra”, quando parla come “pastore e maestro di tutti i cristiani” e “nella suprema potestà dell’ufficio episcopale afferma in modo definitivo che una dottrina sulla fede o sui costumi sia da credere da tutta la Chiesa”. L’infallibilità, quindi, è delimitata:

Il dogma fu interpretato in modo opposto dalle due fazioni:

  1. gli infallibilisti: in modo massimalista;

  2. gli antinfallibilisti: in modo minimalista;

Dopo la votazione del dogma, la maggior parte dei Padri lasciò Roma a causa della calura estiva e per lo scoppio della guerra tra la Francia e la Prussia, quindi il concilio proseguì con pochi vescovi, se non che fu sospeso sine die, al seguito dell’ingresso delle truppe italiane a Roma il 20 settembre 1870.

Fra le diverse conseguenze scaturite dalla definizione ricordiamo la scisma avvenuto nei paesi germanici, non per volontà dei vescovi che aderirono al dogma, ma a causa delle Università tedesche con a capo il professore Ignazio Döllinger, che era ostile al primato del papa e alla centralizzazione romana, in quanto sosteneva che col nuovo dogma era nata una nuova Chiesa. Quindi allo scopo di redigere una dichiarazione con la quale si rifiutava il dogma, riunì a Norimberga i teologi rappresentati delle Università tedesche, egli in realtà non voleva provocare uno scisma, ma i suoi colleghi costituirono la nuova Chiesa scismatica dei “Vecchi Cattolici”, mentre in Svizzera sorse un’altra Chiesa scismatica “La Chiesa Cattolica Cristiana”.

La portata dello scisma, in Germania, fu limitata a motivo della persecuzione contro la Chiesa da parte del governo tedesco conosciuta col nome di Kulturkampf, espressione polemica che significa “lotta per la civiltà” utilizzata per la prima volta nel 1873 da un parlamentare di Berlino. Dopo la sconfitta della Francia e la proclamazione del Nuovo Reich, fatta a Parigi, dal governo tedesco, fu avviata una politica anticattolica il cui scopo era quella di sottoporre tutta la vita ecclesiastica al controllo dello Stato e ciò veniva fatto a nome della difesa della civiltà moderna dall’oppressione della Chiesa. La ragione di questa politica non era dottrinale, ma nazionalista: il cancelliere Bismarck voleva richiamare all’ordine la Chiesa Romana, in quanto a seguito della fondazione del partito cattolico del “Centro”, temeva che i cattolici potessero fondare uno Stato nello Stato. La motivazione ufficiale di questa politica anticattolica, che si è concretizzata con vari leggi discriminatorie, fu il rifiuto del Vaticano di esigere dai cattolici tedeschi il silenzio sulla Questione Romana, a seguito del quale Bismarck ruppe le relazioni con la Chiesa Romana e affidò al ministro dei culti Falk il compito di preparare delle misure restrittive contro i cattolici tedeschi. Questa misure regaliste, che avevano lo scopo di sottoporre la Chiesa al controllo dello Stato, portarono ad un ritorno alla tradizione luterana, autorità sovrana dello Stato sulla Chiesa. Esse approvate nel maggio del 1873 e rifiutate dall’episcopato tedesco prevedevano:

Contro tali leggi, i vescovi locali adottarono un atteggiamento di resistenza passiva che portò all’arresto di molti prelati, sicché mole sedi rimasero vacanti. La Santa Sede reagì:

Fra le conseguenze del Kulturkampf, e della fermezza della Chiesa, paradossalmente ci furono il ravvicinamento dei vescovi a Roma e la distrazione dalla tentazione, di una gran parte dei cattolici tedeschi di aderire allo scisma;

Il Kulturkampf, si estese anche in Svizzera, ma si differenzia da quello tedesco perché fu limitato a poche diocesi, dove i cattolici erano in minoranza (Basilea e Ginevra)e perchè si è originato da un conflitto interno alla Chiesa che portò alla separazione e alla formazione della Chiesa Cattolica nazionale.

La nuova costituzione svizzera conteneva disposizioni discriminatorie nei confronti della Chiesa cattolica, cancellate solo nel 1973, fra cui:

Conclusione:

Alla fine del pontificato di Pio IX si assiste ad una sorta di apogeo dell’anticlericalismo definita da Mons. Dupanloup come una forma di “ateismo sociale”. Esso in contrapposizione al clericalismo si è sviluppato almeno in due forme:

  1. di stampo liberale: si basa sul principio che la religione è una cosa privata e l’idea portante è quella di liberare lo Stato dalla tutela della Chiesa. In questa forma l’anticlericalismo non è anticristiano o antireligioso;
  2. di stampo positivista o marxista: si basa sull’idea di sostituire la fede della Chiesa con una fede fondata sulla ragione e ciò perché la religione fa parte del passato e così anche la Chiesa. In questa forma l’anticlericalismo è anticristiano e antireligioso (ateismo marxista);

Alla fine dell’800 si passa dalla prima alla seconda forma, le cui forze portanti furono la massoneria e il movimento operaio e anarchico. Nell’Europa del centro/nord, dominata da protestantesimo, l’anticlericalismo ha portato a delle politiche stataliste e regaliste, invece, nei paesi tradizionalmente cattolici (Spagna, Francia, Portogallo), ha dato luogo a delle soluzioni radicali, nel senso di una netta separazione tra Chiesa e Stato.