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Condanna a nicolaismo e simonia

La lotta della Chiesa contro nicolaismo e simonia


Con la riforma della Chiesa, promulgata dagli imperatori tedeschi (Corrado II) e, con Leone IX, condotta decisamente dal papato, si in­ten­deva togliere principal­mente due piaghe, i due abusi che deso­lavano la Chiesa del secolo XI: i costumi sregolati degli ecclesiastici (nicolaismo) e la simonia (vendita delle dignità eccle­siastiche).

Quasi per giustificarsi, a Raterio di Liegi, vescovo di Verona, che voleva combattere il nicolaismo, i preti risposero che, senza donne, non avrebbero saputo come provvedere alle più elementari necessità del mangiare e del vestire. Ma più che una mag­giore corruzione, erano le circostanze che rendevano grave questo male. Il pericolo maggiore, come denuncia s. Pier Damiani, stava nel tentativo di legittimare quello stato di cose, non limitandosi il clero al concubi­nato, ma volendo celebrare regolare matrimonio. Il che, per la menta­lità dell'epoca, avrebbe compor­tato la trasmissione dell'ufficio eccle­siastico ai propri figli, ren­dendo ereditaria o dividendo la proprietà ec­clesiastica.

Il movi­mento riformatore voleva la restaurazione dell'antica disciplina; ma i moderati volevano evitare il ri­schio di una reazione popo­lare. Da qui la condanna di chi disprezzava la messa dei preti sposati. Questa posizione moderata non bastava a sradicare prontamente il male, da qui la disposizione di Niccolò II, nel decreto del 1059, di diser­tare le messe celebrate dai preti uxorati. Costoro, secondo un'antica terminologia , tratta da Ap. 2, 6 e 14s, erano detti ni­colaiti .

S. Ireneo enu­mera i nicolaiti fra gli eretici a motivo della dottrina sostenuta dal leg­gendario Nicola, autore della setta. Per S. Pier Damiani, Nicolaiti sono quei chierici che, contro la legge ecclesia­tica, si uni­scono con donne. Costoro, oltre a compiere un atto di fornicazione, incorrono nell'eresia nicolaita in quanto, più che di­fendere un malcostume, volevano legitti­mare un'usanza, appunto il matrimonio dei preti ap­pellandosi a testi scritturali e patristici. Fra questi, Ulrico vescovo di Imola, l'au­tore di un Rescritto apparso anonimo e composto verso il 1060.

L'altra piaga era la venalità nel­l'accedere agli ordini ecclesiastici e nell'esercizio del mini­stero pa­sto­rale. A Milano, a un certo momento, il suddiaconato valeva 12 denari; il diaconato, 18; il sacerdozio 24.

Era detta eresia, richia­mandosi a Simon Mago e alla tradi­zione patristica -specie s. Gregorio Magno- che parla di "simoniaca heresis"; per capirla occorre rifarci alla moltitudine di chiese e monasteri di proprietà privata provvisti e amministrati nell’interesse dei proprietari. Alcuni riformatori radicali, definivano però simonia ogni ge­nere di investi­tura laicale, anche se non vi era alcun commercio indegno. E' il caso del canonista Burcardo che non riconosceva neppure quello che il diritto successivo chiama 'ius stolae', cioè la richiesta di denaro ai fedeli per amministrare i sacra­menti o per atti di culto, come la sepoltura. Per Burcardo si doveva provvedere al so­stentamento del clero con le ren­dite di cui erano dotate le chiese, le decime e le offerte dei fedeli, se­guendo l'antica regola romana; per cui tale rendite, divise in quattro parti, veni­vano devolute: la prima al vescovo, la seconda al prete, la terza alla chiesa per il culto e la quarta ai poveri (quarta pauperum).

Lo scandalo, in effetti, stava non tanto nel traffico delle cose sacre, ma nel fatto che a conferire i benefici spirituali fossero dei laici e che la Chiesa, i suoi ordini, le sue funzioni fossero inquadrati nel feudo e usati a scopi terreni. Alle condanne del concilio del Laterano (1059), si aggiun­sero pene più precise comminate, ai trasgressori, da Niccolò II nei concili del 1060 e 1061.

Queste sanzioni furono appoggiate dai movimenti reli­giosi e popolari conquistati dall'idea della riforma e ostili al clero si­moniaco e concubinario: si pensi alla lotta condotta da s. Giovanni Gualberto (+1073), monaco di s. Miniato che, a mo­tivo della simonia, si era ritirato prima a Camaldoli, poi a Vallombrosa dove costituì una congregazione monastica.

Per scovare simoniaci e concubinari si fece anche appello alle forze locali, in particolare alla pataria, un movimento popolare che da Milano si diffuse nel resto d’Italia, giungendo però ad eccessi come nel caso dell’arcivescovo di Milano Guido, sostenitore dell’antipapa Cadalo. Esponenti del movimento patarino: Landolfo Cotta, Arioldo, Erlembaldo gonfaloniere della Chiesa e Anselmo di Baggio, che divenne papa col nome di Alessandro II.

Alcuni riformatori negavano la validità di qualsiasi mini­stero ecclesiastico esercitato da preti simoniaci e concubinari, fino a voler che fossero rinnovare or­dinazioni fatte da vescovi simoniaci.