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Nicea II (787)

Condannò gli iconoclasti o distruttori di statue e di immagini


La morte dell'imperatore Costantino V e il regno tollerante del figlio e succes­sore Leone IV Casaro (775-780), segnano una svolta nella storia del conflitto ico­noclasta. Leone IV, nel 780 lasciò il trono al fi­glio minore Costantino VI e gli affari dello Stato passarono nelle mani del­l'imperatrice Irene, iconodula dichiarata.

La politica di Irene, imperatrice reggente

Irene non voleva provo­care l'onnipotente partito iconoclasta, per cui avanzò a piccoli passi. In un primo tempo difese la libertà assoluta in materia di immagini, cosa che permise il ritorno degli iconofili esiliati. Poi procedette a dei cam­biamenti discreti, sosti­tuendo le personalità amministrative apparte­nenti al partito ico­noclasta, con degli iconofili. Quando si sentì abba­stanza forte, fece nominare patriarca di Costantinopoli l'i­conofilo Tarasio (784). Questi, nella sua lettera di intronizzazione, sconfessa le decisioni di Hieria e chiede l'invio di rap­presentanti per riunire un con­cilio ecumenico. Nello stesso tempo, I'imperatrice Irene indi­rizza una lettera al papa Adriano I (772-795), chie­dendogli di par­teci­pare al prossimo concilio.

Adriano rispose imme­dia­tamente con una lettera nella quale espose, da una parte, le opinioni or­to­dosse di Roma in materia di immagini; ma anche le idee del papato a proposito del primato papale, nonché dei legami che uni­scono l'ege­monia papale e lo Stato franco. I latori della lettera, due pre­sbi­teri tutti e due di nome Pietro, da alcuni storici vengono con­si­derati anche come i legati papali al concilio. Ma Teodoro Studita fa notare come quelle persone non fossero desi­gnate dal papa come propri rappresentanti. La rap­presentanza degli al­tri patriarchi è anch'essa dubbia.

Tarasio scrisse delle lettere che mandò, tramite i pro­pri messaggeri, in Siria, in Palestina e in Egitto. I messaggeri non pote­rono giungere a destinazione perché vennero in­tercettati dai monaci siriani i quali, te­mendo di essere accusati dagli arabi di collaborazione con Bisanzio, non li fe­cero passare. Da parte loro i monaci scel­sero due persone, un certo Giovanni e un certo Tommaso che par­teciparono al concilio come rappresentanti di Antiochia e di Alessandria. Pare però che nessuno li avesse delegati. Per tutti que­sti motivi, il carattere ecu­menico del con­cilio venne messo in dubbio da più di uno studioso.

Il concilio di Nicea II

Il concilio si riunì nel 786, sotto la presidenza del patriarca Tarasio, nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli.

Anche Irene e il figlio Costantino VI si pre­sentarono per seguire i lavori. Malgrado la lunga preparazione, quasi tutti i ve­scovi presenti erano icono­clasti. Conoscendo l'atteggiamento imperiale a favore delle immagini, questi vescovi, aiutati anche dal partito iconocla­sta, informarono la guardia imperiale dominata, come tutto l'e­sercito, dallo spirito icono­clasta. Appena il sinodo fu iniziato, i soldati penetrarono nella chiesa e dispersero i par­tecipanti. Tutto era da rifare.

Irene sciolse l'esercito iconoclasta. Tuttavia, non sentendosi si­cura, trasferì il concilio a Nicea, (II di Nicea, VII concilio ecume­nico). I lavori ripresero, sotto la presidenza di Tarasio, nel settem­bre 787. Parteciparono ai lavori 350 vescovi, due rappresentanti del papa, i due di Antiochia e di Alessandria, due alti funzionari dell'ammini­strazione, nonché i rappresentanti dell' imperatore. A Nicea si tennero sette sedute, mentre l'ottava ebbe luogo a Costantinopoli.

Nella prima sessione (14 settembre 787) fu esami­nato il caso dei ve­scovi che ave­vano aderito all'iconoclastia e si procedette alla loro ammissione nella comunione ecclesiastica. Nella seconda sessione (26 settembre) furono lette e appro­vate le lettere di papa Adriano I. Vi si legge, tra l'altro, la se­guente affer­ma­zione: «I cri­stiani non testimoniano il loro rispetto ai le­gni e ai colori, ma a quelli di cui le imma­gini recano il nome». Nella terza sessione (28 settembre) furono esaminate e appro­vate le lettere di adesione dei patriarchi orientali. Vi si legge tra l'altro: «Noi ado­riamo l'immagine di Cristo, cioè della persona che hanno visto gli uomini e che non è sepa­rata dalla sua divinità invisibile», cosí come quella della Vergine e dei santi.

Nella quarta sessione (1° ot­tobre) fu letto un dos­sier di testi scritturistici, patristici e agio­gra­fici circa il culto delle im­magini. Il patriarca di Costantinopoli Tarasio disse in proposito: «L'Antico Testamento aveva già i suoi divini simboli, i cherubini ad esem­pio, che di là sono passati al Nuovo Testamento; e se l'Antico Testamento aveva dei cherubini, che estendevano la loro ombra sul trono della grazia, dobbiamo avere an­che noi le icone di Cristo, della Madre di Dio e dei santi, che proteggono con la loro ombra il nostro trono della grazia», cioè l'altare.

Nella quinta sessione (4 ottobre) si continuò a leggere le testimonianze pa­tristiche e a rilevare le falsifica­zioni operate dai padri del Concilio di Hieria del 754.

Negli Atti, si legge la seguente dichiarazione di Eutimio, vescovo di Sardi: "Accettiamo tutto ciò che il Signore, gli apostoli e i profeti ci hanno in­segnato, che dob­biamo cioè onorare e lodare prima di tutto la Santa Madre di Dio, superiore a tutte le potenze celesti; poi i santi angeli, i beati e lo­dati apostoli, i gloriosi profeti, i martiri che hanno lottato per Cristo, i santi dot­tori e tutti i santi, alla cui intercessione dobbiamo ri­correre, la quale può ren­derci accetti a Dio, se viviamo in una maniera virtuosa e osserviamo i suoi comanda­menti. Veneriamo inoltre la forma della croce e le reliquie dei santi; accettiamo e salutiamo e baciamo le sante e venerate immagini, in conformità all'antica tradi­zione della santa Chiesa cattolica di Dio* affinché queste riproduzioni ci richia­mino l'originale, e siamo condotti ad una certa partecipa­zione della loro santifica­zione".

In questa stessa sessione fu chiesto e ottenuto il ripristino dell'uso antico di portare in processione liturgica le icone, tradi­zione, questa, che era stata sop­pressa dagli iconoclasti. Nella sesta sessione (6 otto­bre) fu letto e refutato l'Horos, o definizione dogma­tica, dell'as­semblea eretica di Hieria e fu lanciato l'anatema contro i suoi au­tori.

La settima sessione (13 ottobre) fu comple­tamente consa­crata alla stesura dell'Horos, o definizione dogmatica conciliare, la quale legittima la raffigurazione religiosa e il culto delle immagini. Si riferisce qui il testo della parte centrale:

"Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi pa­dri e la tradizione della chiesa cattolica - ri­conosciamo, infatti, che lo Spirito santo abita in essa- noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somi­glianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le vene­rande e sante immagini, sia di­pinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono es­sere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell'immaco­lata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giu­sti. Infatti, quanto più frequentemente queste im­magini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli origi­nali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione (latria), riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivifi­cante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onoran­doli con l'offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli anti­chi. L'onore reso al­l'immagine, in realtà, ap­partiene a colui che vi è rappre­sentato e chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è ripro­dotto. Così si rafforza l'inse­gnamento dei nostri santi padri, ossia la tra­dizione della chiesa universale, che ha ricevuto il Vangelo da un confine al­l'altro della terra. Così diventiamo seguaci di Paolo, che ha parlato in Cristo, del divino collegio apostolico, e dei santi padri, tenendo fede alle tradizioni che ab­biamo ricevuto. Così possiamo can­tare alla chiesa gli inni trionfali alla maniera del profeta: Rallegrati, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci con tutto il cuore il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male e la pace dimori con te per sempre. Chi oserà pen­sare o insegnare diversamente, o, se­guendo gli ere­tici empi, vio­lerà Ie tradizioni della chiesa o inventerà delle no­vità o ri­fiuterà qualche cosa di ciò che e stato affi­dato alla chiesa, come il Vangelo, la raffigura­zione della croce, immagini dipinte o le sante reli­quie dei martiri; chi immaginerà con astuti rag­giri di sovvertire qual­cuna delle legittime tradizioni della chiesa universale, o chi userà per scopi pro­fani i vasi sacri o i venerandi monasteri, noi decretiamo che, se vescovo o chierico, sia depo­sto, se monaco o laico venga escluso dalla comunione.

Anatemi riguardo alle sacre immagini:

  1. Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, è limitato se­condo l'uma­nità, sia anatema.
  2. Se qualcuno non ammette che i racconti evangelici siano tra­dotti in imma­gini, sia anatema.
  3. Se qualcuno non onora queste immagini, [fatte] nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema.

“L'onore reso all'immagine si prosterna da­vanti alla per­sona di chi in essa è raffigurato: le immagini non possie­dono dunque una pro­pria forza per la quale sa­rebbero da venerare; l'onore prestato a esse si riferisce a ciò che rappresen­tano”.

L'ottava e ultima sessione ebbe luogo il 13 ottobre, nel pa­lazzo imperiale della Magnaura, nella stessa Costantinopoli.

Vi fu letto solen­nemente l'Horos e firmato in presenza di un grande concorso di po­polo. Al termine dei lavori, pre­sieduti dalla stessa imperatrice Irene, gli imperatori firmarono solennemente le deci­sioni del conci­lio, che ap­punto rigettava la decisione del sinodo di Hieria e ac­cettava la rappre­senta­bilità del sacro e la venerazione delle icone.

Questa fede or­todossa era stata esposta durante la se­conda seduta da un gruppo di 117 mo­naci e igumeni. Questa di­chiara­zione, combinata con la teologia di Giovanni Damasceno, co­stituisce in realtà la di­chiarazione del concilio in materia dottri­nale. La cosa più spettacolare fu, tuttavia, la totale mancanza di re­azione da parte degli iconoclasti. Un certo numero di vescovi ave­vano partecipato, I'anno prima, anche alla riunione di Costantinopoli e in quell'oc­casione si erano dichiarati iconoclasti ed erano stati fautori di disordini. Pare che Irene mettesse costoro di fronte ad un dilemma: o rimanevano della loro opinione e in questo caso dovevano abbando­nare i loro vescovadi, o si dovevano 'pentire' e, 'una volta perdonati', potevano partecipare al sinodo, conservando però un saggio silenzio.

L'opposizione dei Franchi

Sottoscritti dai vescovi, dai le­gati papali e dagli imperatori, i decreti furono però approvati da papa Adriano I solo nel 791, ra­gione non ultima l'ostilità verso quel concilio da parte dei Franchi e per rivalità politica e per una diversa teologia sulle im­magini. Mentre presso la corte Franca, ostile alla chiesa bizantina, maturò anche una confuta­zione chiamata Capitulare de immaginibus, nota sotto il nome di Libri Carolini. Nella Capitulare si condannava il conciliabolo di Hieria, del 754, che aveva proibito la rappresenta­zione delle immagini di Cristo -dicendo che solo l'Eucarestia è la vera immagine- e della Vergine e aveva minacciato severe puni­zioni a chi avesse fabbricato o venerato le icone. Ma si riprovava anche al Concilio di Nicea II di aver usato termini non adeguati, come proskìnèsis, tradotto con adoratio, anziché venera­tio, per indicare il culto di dulia delle immagini. Papa Adriano I, da parte sua, difese le decisioni del concilio Niceno II, ma un concilio di ve­scovi dei regni franco e longobardo, convocato da Carlo Magno nel giugno 794 a Francoforte, condannò quel concilio ecumenico, in particolare quel che riguarda la rela­zione tra icona e persona rappresentata, quasi avesse pre­scritto l'adorazione delle immagini. Papa Adriano rimase tuttavia saldo nell'ac­cettazione di Nicea, ma il sinodo di Francoforte costituì un serio avvertimento per il papato riguardo alle sue relazioni privi­legiate con lo Stato franco. Per la Chiesa orientale greca invece quel concilio signi­ficò la conclusione del suo sviluppo teo­logico e la pace religiosa. Base dell'iconoclastia era la nega­zione della vera cristologia che si ap­pone al docetismo (la dot­trina di Cerinto, un rigido giudaista vis­suto nell'Asia minore sullo scorcio del I sec. e degli gnostici i quali negavano la vera natura umana del Redentore e la sua iden­tità col Cristo storico; per loro il Redentore si fece uomo in ma­niera doce­tica, cioè con un corpo puramente apparente, abbando­nato al momento della passione) e al monofisismo (dottrina che, dopo l’incarnazione, ammette in Cristo un'unica natura, per cui il corpo di Cristo è un corpo di­viniz­zato). Ma anche contro ogni concezione di Dio mu­sulmana e tra­scen­dentalista, negatrice della visibilità dell'Incarna­zione, dei sacramenti e della Chiesa. Da qui il valore dogmatico delle icone che aiutano a com­prendere la rela­zione tra Dio e l'uomo.

Il trionfo dell'Ortodossia

Agli inizi dell'800 riprese la lotta iconoclasta, colpa degli ul­traortodossi di Costantinopoli che si raccoglievano attorno a Teodoro, igumeno del mo­nastero di Stoudios, i quali accusarono Irene di una politica troppo indulgente nei confronti degli icono­clasti.

Malgrado Irene venisse rovesciata dal trono, il sinodo tenuto a Costantinopoli nell'809 sotto l'imperatore Nicetoro I, condannò gli ultraortodossi e l'imperatore mandò in esilio gli studiti. Questi vennero amnistiati sotto Michele I (811-813), ma la si­tuazione volse al peggio per gli ortodossi.

Leone V (813-820), detto l'Armeno, Fu un abile generale sotto gli imperatori Nicetoro I e Michele I, constatando che lo Stato e soprattutto l'e­sercito andavano di male in peggio sotto gli ico­nofili, si volse al partito icono­clasta e il patriarca Niceforo fu co­stretto a dare le dimissioni. Salì al trono grazie a una rivolta militare, e fu lui a deporre Michele I nel 813. Era convinto che la situazione in cui versava l'impero e gli insuccessi militari non dipendessero dall'incapacità dei generali e dei loro condottieri, ma dalle troppe concessioni che furono fatte al culto delle immagini.

Nel 814 difese con successo Costantinopoli da una invasione bulgara; nello stesso anno promuovette anche un concilio in cui depose il Patriarca di Costantinopoli in carica: Niceforo I, sostituendolo con uno maggiormente favorevole a lui e alle sue idee iconoclaste. Dall'emissione del conseguente nuovo editto iniziò un nuovo periodo di persecuzioni religiose nell'impero. Stando ad una let­tera indirizzata dall'imperatore Michele II a Ludovico il Pio (824) Leone V nell'813 aveva proibito le icone nei punti accessibili delle chiese, perché la gente pre­stava loro una vera ado­razione. Si tratta in questo caso della prima conces­sione fatta agli iconoclasti. Poiché gli iconofili reagirono, facen­dosi forti delle de­cisioni del conci­lio di Nicea, Leone V convocò nell'815 un concilio nella chiesa di Santa Sofia e questo concilio, dopo aver an­nullato le decisioni di Nicea, rimise in vigore quelle del sinodo di Hieria. L'iconoclasmo venne rilanciato e Teodoro Studita si pose alla testa della op­posizione ortodossa. Morì nel Natale del 820, in un complotto organizzato da Michele il Balbo che gli successe sul trono dopo averlo ucciso.

L'imperatore Michele II Balbo (820-829) dapprima volle ri­manere im­par­ziale: annullò le decisioni del sinodo di Hieria, del si­nodo dell'815, ma anche del concilio di Nicea e proibì qualsiasi di­scussione a propo­sito delle icone. Più tardi, però, favorì gli icono­clasti, e così fece anche il figlio e successore Teofilo (829- 842), che addirittura perse­guitò gli iconofili e fece chiudere gli studi di pittura delle icone. Ma l'iconocla­smo aveva perduto qualsiasi se­guito tra il popolo.

Così, sotto Michele III (842-867), che aveva ereditato il trono al­l'età di ap­pena tre anni, la ma­dre dell'imperatore, Teodora, dive­nuta reggente, fece restau­rare le im­magini e favorì l'elezione di s. Metodio, un iconofilo come patriarca il quale, l'11 marzo 843, in­disse un sinodo che condannò l'iconoclasmo; mentre la reggente, con un decreto, ripristinò definitivamente l'Orto­dossia.

La Chiesa bi­zantina festeggia ancora oggi questo avvenimento ogni anno, nella ricorrenza della prima domenica di Quaresima detta, per questo, «domenica dell'Ortodos­sia». La com­memorazione è sotto­lineata da una solenne processione con le icone. Il proprio della fe­sta è parti­colarmente solenne ed i testi sono di una rara bellezza formale e con­cettuale. Il «Synodikon» che vi viene solenne­mente letto esalta la vitto­ria della Chiesa sugli iconoclasti, rende onore a tutti quelli che l'hanno resa possibile e anatematizza tutti gli ere­tici, considerati come nemici della fede e della Chiesa.

Ecco due brani tratti da altrettanti inni del Proprio della do­menica dell'Or­todossia:

«La Chiesa di Cristo ha accolto, nelle sante icone di Cristo Salvatore, della Madre di Dio e di tutti i santi, un inestimabile orna­mento. Per la loro festosa esposi­zione, essa splende e si ve­ste di grazia e mette in rotta la turba degli ere­tici e, con giubilo, rende gloria a Dio, l'Amico degli uomini, che per lei ha sop­portato volonta­riamente la passione».

L'altro dice:

"Noi che siamo passati dal­l'empietà alla pietà, e che siamo stati illuminati dalla luce della conoscenza, bat­tiamo le mani, offrendo a Dio un canto di azione di grazia; e veneriamo con onori le sante icone di Cristo, della Tuttapura e di tutti i santi, siano esse raffi­gurate sui muri, o sulle tavole o sui vasi sa­cri, respingendo l'empietà di coloro che non possiedono la vera fede. L'onore, infatti, reso all'imma­gine -dice Basilio- passa all'originale. Per l'intercessione dell'Immaco­lata tua Madre e di tutti i santi, ti chiediamo, o Cristo Dio, di donarci la grande misericor­dia ".

La lunga controversia sulle immagini si era svolta mentre l'impero era sotto la minaccia degli Arabi e fu nefasta tanto per l'Oriente, dove gli iconofili furono perseguitati e alcuni subirono il martirio; quanto per l'Occidente cristiano, dove si acuì la crisi del dominio bizantino per cui il papato si orientò verso il regno franco, rompendo così l'equilibrio che fino ad allora si era mantenuto tra Oriente e Occidente.