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Lione II

Concilio che voleva sancire4 l'unione religiosa con i Greci


A Urbano IV, morto a Perugia il 2 ottobre 1264, dopo una sede vacante di appena sei giorni successe Clemente IV (1265-68). Alla morte di questi (novembre 1268) ci vollero più di due anni e mezzo prima che, nel conclave di Viterbo, si ottenesse una maggio­ranza di due terzi, finché fu eletto papa il card. Teobaldo Visconti di Piacenza, che si trovava ad Accon, in Tolemaide, in qualità di le­gato per una cro­ciata.

Il nuovo pontefice, che prese il nome di Gregorio X (1271-76), assunse a programma del suo pontificato l'aiuto dell'Oriente cristiano dove, nel 1261, era caduto l'impero latino di Costantinopoli e dopo l'assedio di S. Giovanni d'Acri si stavano avviando alla fine gli ultimi possessi della Siria. Abbandonati i piani di ri­conquista, si preoccupò in­vece dell'u­nione religiosa con i Greci. Per questo con­vocò, nel 1272, un concilio ge­nerale al fine di sancire l'u­nione e insieme provve­dere alla riforma della Chiesa e alla Crociata.

Gregorio X, per la riuscita del Concilio ini­ziò trattative con l'imperatore greco Michele VIII Paleologo, fa­vore­vole all'unione religiosa e al riconoscimento del primato pa­pale, ma suoi veri in­tenti erano quello di avere un aiuto contro la minaccia musul­mana e quello di scongiurare una riconquista da parte della Francia. Contrari all'idea dell'unione religiosa erano però la Chiesa greca con il patriarca di Costantinopoli Giuseppe e tutto il clero, fana­tico contro i latini e contro il papa.

Il concilio ebbe luogo a Lione, al fine di sottrarlo alla pericolosa influenza che Carlo d'Angiò aveva in Italia. Il papa vi giunse alla fine di ottobre 1273, dopo un lungo viaggio, iniziato ad Orvieto il 5 giugno.

Fu il secondo tenuto in quella città e il XIV concilio ecume­nico. Iniziò il 7 maggio 1274 e si protrasse fino all'agosto succes­sivo. Vi fu­rono invitati i più grandi teologi del tempo da san Tommaso -che però morì a Fossanova, mentre si muoveva verso Lione- a san Bonaventura, che dominò il concilio con la sua scienza, la sua parola e morì durante il concilio stesso.

Tre, come si è accennato, gli obiettivi del conci­lio: la riforma della Chiesa (disciplina del clero, abusi e così via), la preparazione della Crociata e l'unione con la Chiesa ortodossa.

Per quanto riguarda il primo obiettivo, il papa ordinò dei lavori prepara­tori, di cui sono giunte alcune importanti testimonianze: la Collectio de scandalis Ecclesiae del francescano Gilberto di Tournai, I'Opus triparti­tum del maestro generale dell'Ordine domenicano Umberto di Romans e la risposta del vescovo Bruno di Olmutz all'invito del papa. Tutti con­cordano nel segnalare l'urgenza di correggere gli abusi manifesti di cui soffre la comunità ecclesiale. Gilberto presenta persino un elenco degli scandali di cui la Chiesa è responsabile. La relazione di Umberto è più sobria, ma non meno precisa per quanto riguarda la situazione morale del clero. Umberto è l'unico a trattare dei problemi della Crociata con­tro i saraceni e della riconciliazione con i greci.

La seconda parte dell'Opus Tripartitum di Umberto è dedicata allo "scisma dei greci". Il maestro generale dell'Ordine dei Predicatori con­siglia la massima tolleranza possibile: le differenze rituali e canoni che dovrebbero poter essere mantenute “in tutti i casi in cui la Chiesa può concedere la dispensa”, a condizione che un accordo leale sia rag­giunto sul piano della fede. Il domenicano propone “di non esigere dai greci un'obbedienza piena e completa”, a condizione che l'elezione del patriarca sia confermata dal papa e che i legati romani siano accolti a Bisanzio con tutti gli onori.

Sulla Terra Santa, il papa probabilmente chiese altri rapporti. Sappiamo infatti che il De recuperatione Terrae sanctae del Minorita Fidenzo di Padova, comunicato nel 1291 al papa france­scano Niccolò IV, era stato composto all'epoca del concilio di Lione II.

Il 28 maggio 1273 il papa creò cardinali Bonaventura di Bagnoregio, ministro generale dei Frati Minori dal 1257 e l'arcivescovo di Lione, il domenicano Pietro di Tarentaise (il futuro Innocenzo V). Il concilio fu solennemente aperto il lunedì 7 maggio 1274 nella catte­drale Saint-Jean, alla presenza dei cardinali, dei patriarchi latini, del re Giacomo d'Aragona e di numerosi vescovi venuti da numerosi paesi (Polonia, Norvegia, Boemia, Irlanda e Portogallo).

Il numero dei parteci­panti è, come al solito, difficile da valutare. Gli elenchi ci forniscono i nomi di duecento vescovi. Secondo un testimone oculare, 1.024 prelati erano presenti nella cattedrale il giorno dell'inaugurazione. Come Innocenzo III nel 1215, anche Gregorio X pronunciò un'omelia sul testo di Luca 22, 15: “Ho desiderato con ardore mangiare questa Pasqua con voi”.

Tra la prima e la seconda sessione, il papa preparò un decreto sul finanziamento della Crociata. La cristianità fu divisa in ventisette circo­scrizioni o collectariae. In ognuna di queste, una commissione avrebbe avuto il compito di organizzare la colletta della decima, da pagare se­mestralmente. Il decreto prevedeva severe sanzioni (la confisca dei beni) per i ritardatari. Il progetto papale incontrò diffidenza, per la paura che la tassa per la Crociata si trasformasse in imposta perma­nente. La costituzione Zelus fidei fu letta e approvata nella seconda sessione (I8 maggio).

Alla vigilia della terza sessione Gregorio X tenne, con i cardinali, un concistoro per risolvere il problema della successione al trono di Germania. Tra i due pretendenti (Alfonso di Castiglia e Rodolfo di Asburgo, che aveva inviato suoi rappresentanti a Lione), il papa scelse in modo irrevocabile Rodolfo. L'elezione fu però riconosciuta ufficial­mente soltanto dopo il concilio, il 26 settembre. La terza sessione (4 giugno) fu interamente riservata alla promulga­zione di 12 costituzioni relative alla nomina dei vescovi, l'attribuzione dei benefici, la repressione degli abusi ecc.

Verso la fine di maggio, Gregorio X aveva ricevuto dai suoi legati a Costantinopoli, i frati minori Girolamo d'Ascoli e Bonagrazia di S. Giovanni in Persiceto (futuro ministro generale dell'Ordine), la lettera che annunciava il prossimo arrivo degli ambasciatori dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo. L'ambasciata bizantina fu accolta il 24 giugno con tutti gli onori. Numerosi padri conciliari, in compagnia del camerlengo papale, del vicecancelliere, dei notai pontifici e di familiari cardinalizi condussero i greci fino al palazzo arcivescovile dove Gregorio X aveva fissato la sua residenza. Il pontefice diede loro il bacio della pace. Gli inviati di Bisanzio consegnarono al papa le credenziali, le lettere dell'imperatore e di suo figlio Andronico, oltre che le missive dell'episcopato greco. Gli ambasciatori dichiararono di essere venuti per prestare omaggio di obbedienza alla Chiesa romana. Mancarono tuttavia vere e proprie discussioni teologiche, come ci saranno poi al conci­lio di Firenze (1439), poiché i legati eseguirono gli ordini dell'im­peratore che voleva l'unione per soli fini politici.

I Greci riconob­bero il primato del papa e accetta­rono le appellazioni a Roma. Quanto alla questione del filioque, fu ac­cettata la dottina della Chiesa romana e la formula fu aggiunta an­che dai greci nel canto del credo. Mentre, quanto ai riti, fu deciso che i Greci potevano mantenere il loro rito e la loro liturgia. L'unione fu celebrata in forma solenne cinque giorni dopo, festa dei ss. Pietro e Paolo. All'articolo che esprimeva la fede nella processione dello Spirito, I'inserto Filioque fu ripetuto due volte.

Si raccontò poi che il vescovo di Nicea, il secondo ambasciatore, aveva in quel punto osservato il silen­zio. I greci cantarono nella loro lingua “lodi solenni al signor papa”. I colloqui che seguirono furono presieduti, sembra, da s. Bonaventura. Nel corso della quarta sessione, gli inviati di Michele Paleologo ri­cevettero un posto d'onore alla destra del papa, dopo i cardinali.

Il papa si rallegrò della presenza degli ambasciatori dell'imperatore bi­zantino venuti liberamente a sottomettersi “all'obbedienza verso la Chiesa romana, senza domandare alcun compenso temporale”.

L'autore del resoconto ufficiale aggiunge che le dichiarazioni del papa non in­contrarono il favore di tutti. Lo scetticismo era diffuso. Il papa insi­stette sulla libertà e la sincerità dei bizantini, decisi, secondo lui, ad ac­cettare “la fede della Chiesa romana e il suo primato”. Poi il papa fece leggere, in traduzione latina, le lettere che gli erano state presentate. Nella sua lettera, I'imperatore aveva fatto trascrivere il simbolo che gli aveva inviato Clemente IV: questa professione di fede entrò negli atti del concilio e diventò documento conciliare. L'imperatore dichiarava di riconoscere il primato della Chiesa romana, promettendo obbedienza, ma domandava di poter conservare, per la Chiesa greca, il suo simbolo nella forma precedente alla separazione. Così anche i riti liturgici, per­ché non in contraddizione né con la Scrittura, né con gli antichi concili. Al termine di questa lettura, il logoteta giurò, “sull'anima dell'impera­tore”, di conservare la fede della Chiesa romana e di promettere di ac­cettare il suo primato in completa identità con le istruzioni dell'impera­tore.

Quindi fu cantato il Credo, dapprima in latino, da tutto il concilio e poi in greco, dagli ambasciatori dell'imperatore, dal loro seguito e dai vescovi e abati greci venuti dal regno di Sicilia. Le parole "Qui ex Patre Filioque procedit" furono cantate due volte. La sessione terminò con la lettura delle credenziali degli ambasciatori dei Mongoli, pa­gani, con i quali la Santa Sede voleva allearsi contro i musulmani.

Il 16 luglio, all'indomani della morte di s. Bonaventura (notte tra e il 15 luglio), si tenne la quinta sessione. Pietro di Tarentaise conferì solennemente il battesimo ad uno degli ambasciatori tartari e a due dei suoi compatrioti.

Dopo il battesimo, Gregorio X promulgò quattordici costituzioni, poi pronunciò l'elogio funebre di s. Bonaventura. Il giorno seguente, l'ultimo del concilio, il papa fece leggere e ap­provare ancora una serie di costituzioni, tra cui i de­creti sulla disciplina nella Chiesa.

Quanto all'e­lezione papale, per im­pe­dire le troppo lunghe vacanze, fu pre­scritto, con il can. 2 Ubi pericu­lum, il si­stema del conclave (riunione di tutti i cardinali in una abita­zione comune, con isola­mento dal mondo esterno e graduale diminu­zione dei cibi. Clemente VI, nel 1351, renderà il regola­mento meno rigido).

I canoni successivi regolano le elezioni episcopali, le nomine dei par­roci, proibendo il cumulo dei benefici. Più importante è il can. 23 che decretò la soppressione degli ordini mendicanti, fatta eccezione per i domenicani e i francescani, fissando un regolamento per tutti i nuovi ordini. Fu infine presentato un bilancio del lavoro svolto. Dei tre obiettivi che si il concilio si era proposto, due, disse il papa, erano stati raggiunti: l'unione con i greci e le misure a favore della Crociata. Il primo novembre 1274, Gregorio X pubblicò la collezione delle costituzioni conciliari (31 capitoli).

Il giudizio storico non concorda con l'impressione avuta da Gregorio X. Dei tre obiettivi del concilio, soltanto il terzo ha lasciato tracce profonde. Il concilio di Lione II è infatti importante per l'in­fluenza avuta sullo sviluppo del diritto canonico.

Le più importanti ri­guardano l'elezione del sovrano pontefice (c. 2, Ubi periculum), la di­sciplina delle cariche ecclesiastiche (c. 3-4, 6, 7-14, 16), i vescovi e i prelati (c. 15, 18, 21, 22, 24), il servizio divino e il culto (c. 17, 25), la soppressione degli ordini religiosi fondati dopo il IV concilio latera­nense, senza l'approvazione della Sede apostolica (c. 23), le sanzioni ecclesiastiche e la repressione dell'usura (c. 20, 26-31), nonché la di­sciplina dell'attività degli avvocati e procuratori ecclesiastici (c. 19: obbligo di prestare il giuramento di promuovere il bene dei loro clienti; questa costituzione non entrò nel Corpus iuris canonici). La rapida in­serzione di quasi tutte le costituzioni lionesi nelle collezioni canoniche e nel Liber Sextus le conferirono un valore duraturo.

A causa della morte di Gregorio X, la Crociata rimase un progetto: ormai non era più possibile indurre i principi e nazioni ad impiegare le loro forze in una crociata.

Abbandonati a sé stessi, dopo la sfortunata crociata in­trapresa nel 1270 da s. Luigi re di Francia, morto di peste nei pressi di Cartagine, i cri­stiani perdettero in breve i resti dei loro possedimenti in Palestina. Nel marzo del 1298 cadde Tripoli in mano dei musulmani; quindi, nel maggio 1291, fu la volta di Accon, ultimo baluardo della re­sitenza cri­stiana. Dopo di che gli Occidentali abbandonarono spontane­amente Tiro, Sidone e Beirut.

La stessa l'unione della Chiesa greca con Roma non fu che una breve illusione. Alla morte di Michele Paleologo, il figlio Andronico cambiò radicalmente rotta, rifìutando qualsiasi velleità di unione. Egli interruppe de­finitivamente il sogno dell'unione dei latini e dei greci, che Gregorio aveva annunciato come un fatto compiuto nell'ultima sessione del concilio di Lione II, un sogno al quale il papa aveva creduto con lealtà, ma che Michele Paleologo aveva tentato di assecondare con ambiguità, se crediamo al giudizio del massimo cronista bizantino coevo (Pachimere).