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Lione I

Innocenzo IV, giunto a Lione il 27 dicembre 1244, convocò un concilio generale per il 24 giu­gno 1245.


Il concilio si doveva occupare del giudizio su Federico; dei mezzi come aiutare la Terra Santa, dove il sultano aveva occupato Gerusalemme nel 1244; del pericolo tartaro, rap­presentato dalle orde di Gengis Kan che, conquistata Russia e Persia, stavano penentrando nella Polonia e nel­l'Ungheria.

Una convocazione fu indirizzata anche all'imperatore. Per la prima volta, anche i maestri generali degli Ordini mendicanti erano invitati a pren­dere parte a un concilio generale; mentre quattro cardinali romani (Rinaldo da Jenne, Stefano Conti, Riccardo Annibaldi e Raniero Capocci) rimasero a Roma per occuparsi dei problemi relativi all'Urbe e allo Stato della Chiesa.

Se il IV Lateranense si era imposto per il suo poderoso programma le­gislativo, il concilio di Lione I va ricordato soprattutto per i problemi politici che fu chiamato ad affrontare.

La scomunica di Federico II, da parte di Gregorio IX, aveva lasciato intravedere l'idea che soltanto un concilio avrebbe potuto tentare di risolvere il conflitto con l'imperatore. Altri problemi politici più gene­rali richiamavano poi l'attenzione: nell'estate del 1244, Gerusalemme era stata occupata; nell'autunno, l'esercito cristiano era stato battuto a Gaza; le rivelazioni dell'arcivescovo dei Ruteni, Pietro, a proposito del­l'invasione mongola della sua patria, avevano ricordato l'attualità del problema dei tartari.

Tre mesi prima dell'apertura del concilio (13 aprile 1245), il papa rinnovò la scomunica contro l'imperatore e suo figlio, il re Enrico VII. Mentre un ultimo tentativo (maggio 1245) del patriarca di Antiochia Alberto, per avvicinare le posizioni del papa e dell'impera­tore, non incontrò alcun favore presso il papa.

Il concilio -XIII° concilio ecumenico- aperto ufficialmente a Lione il 28 giugno 1245, presenti 140 vescovi (in prevalenza spa­gnoli e francesi; assenti quelli della Germania e dell'Ungheria), tenne, due giorni prima (26 giugno), una sessione preliminare nel refettorio della collegiata di S. Giusto.

Il papa pronunciò un di­scorso sui "cinque dolori del papa": la corruzione morale, l'insolenza dei Saraceni, lo scisma con la Chiesa greca, i problemi dell'Impero la­tino d'Oriente, la minaccia dei tartari e, naturalmente, la persecuzione della Chiesa da parte dell'imperatore. Contro Federico II il papa rin­novò le accuse tradizionali di violazione del giuramento, di sospetto di eresia e di sacrilegio. Così, per la prima volta, dopo i grandi concili latera­nensi, la scena conciliare fu occupata soprattutto da problemi essen­zialmente politici e non disciplinari e pastorali (come, la riforma della Chiesa e la lotta contro le eresie).

Il papa, tra la prima e la seconda sessione (5 luglio) fece copiare 91 privilegi favorevoli alla Chiesa romana, promulgati da imperatori e re, dal privilegio di Ottone I, fino a quelli di Federico II (35!). La raccolta di questi, munita dei sigilli di quaranta prelati, fu presentata alla terza sessione solenne (17 lu­glio), ma non mancò di suscitare reazioni.

Il rappresentante dell'impe­ratore, Taddeo di Sessa, gran giu­dice di corte, che ini­zialmente aveva re­clamato di ascoltare l'imperatore, affermò che la convocazione del 27 dicembre 1244 non era stata valida, protestò contro l'autenticità di certi privilegi e annunciò la sua decisione di fare appello contro ogni condanna del­l'imperatore da parte del successivo concilio. Il papa rifiutò di discu­tere, anzi fece leggere all'assemblea la bolla di deposizione, poi intonò il Te Deum prima di chiudere la terza e ultima sessione del concilio.

Contrariamente alla testimonianza di Matteo Paris, il concilio di Lione I non pronunciò però nessuna nuova scomunica dell'imperatore.

La ra­gione va forse ricercata nel fatto che, secondo Innocenzo IV, la sua bolla del 13 aprile 1245 non aveva bisogno di una conferma conciliare. Soltanto il papa era abilitato a deporre l'imperatore, il quale veniva considerato come una creatura del pontefice. Innocenzo IV così ne dette spiegazione nel suo Apparatus:

"Bisogna ricordare per quale diritto il papa depone l'imperatore: il Giusto figlio di Dio, mentre era ancora in vita, e da ogni eternità, era il Signore per natura; così, egli avrebbe potuto, per diritto naturale, lan­ciare una sentenza di deposizione e di condanna contro gli imperatori e ogni altro sovrano, poiché si trattava di persone che egli aveva creato e arricchito di doni della natura e della grazia. Per la stessa ragione, il suo Vicario lo può ugualmente".

L'impera­tore, di­chiarato col­pevole di tutte le imputazioni, fu de­posto ed i principi tedeschi invitati ad eleggere un nuovo impe­ra­tore, mentre il papa ri­vendicava a sé la gestione del regno di Sicilia.

Onde scalzare la potenza im­periale di Federico II, Innocenzo IV bandì contro di lui una crociata, conce­dendo ai partecipanti gli stessi privilegi di cui godevano le crociate di Terra Santa. Tre ar­civescovi renani, obbedienti al papa, coinvol­sero alcuni principi che procedettero a nominare un nuovo re nella persona di Enrico Raspe, langravio di Turingia il quale vinse Corrado IV, figlio del­l'imperatore e duca di Svevia, ma morì il 17 febbraio 1247. Per opera di un legato papale gli fu dato, come suc­ces­sore, Guglielmo conte d'O­landa, incoronato il 1 novembre 1248. Entrambi i re ebbero però scarso se­guito poiché le città imperiali, in maggioranza, si erano schierate per gli Hohenstaufen.

Il concilio Lionese I contribuì soltanto parzialmente a risolvere i grandi problemi di cui soffrivano le Chiese d'Occidente, a causa della centra­lizzazione romana che aveva conosciuto un'importante evoluzione proprio sotto Innocenzo IV: I'imposizione fiscale istituita dal papato, le ricadute locali della politica beneficiale della curia romana, la progres­siva limitazione della libertà cli scelta dei capitoli cattedrali nelle ele­zioni vescovili, la politicizzazione della Chiesa romana e altro ancora.

Questo conci­lio promulgò 17 canoni, gli ultimi dei quali si oc­cupavano del­l'aiuto all'impero d'O­riente, della Crociata in Terra Santa e della lotta contro l'invasione dei Tartari. Assai significativamente, la formula “con l'approvazione del santo concilio”, così frequente nei decreti del IV concilio lateranense, manca quasi totalmente in quelli del concilio di Lione I. Il papa decise persino di ritardare la pubblicazione dei canoni conciliari per poter inserirvi ul­teriori correzioni. La diffusione dei canoni conciliari, che lo stesso papa commentò nel suo Apparatus, profìttò dell'esistenza, ben stabilita, delle collezioni di decretali. Ventitre decreti saranno accolti nel Liber Sextus.

Indubbiamente, il concilio di Lione I segnò la “fine di un epoca domi­nata dal papa e dall'imperatore”.

L'unità della cristianità si realizzava, a prima vista, sotto l'autorità del papa verus imperator, ma di fatto la via era libera per l'esplosione di nuove energie, che condurranno a entità nazionali con potere legislativo. Per la Chiesa romana, la vittoria sancita dal concilio di Lione I, implicava un rischio di progressiva politicizza­zione della sua iniziativa, soprattutto nel Regno di Sicilia.