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Conflitto per le investiture

La battaglia tra Gregorio VII ed Enrico


A provocare l'intervento di Gregorio era stato l'impero ger­manico, dove regnava Enrico IV (1056-1106), dichiarato maggio­renne nel 1065, a quindici anni; un re che inizialmente si era mo­strato favorevole ai piani di riforma del papa, forse perché in diffi­coltà per la sollevazione dei Sassoni (1073-1074). Sottomessi però i Sassoni (giugno 1075), non volle più saperne delle precedenti con­cessioni e, senza piegarsi al di­vieto delle investiture, provvide a nominare i titolari di parecchi vesco­vadi italiani, fra cui quello di Milano, la cui sede, per di più, non era va­cante. Vi nominò il dia­cono Tebaldo, facendolo subito consacrare.

Enrico, che aveva dalla sua parte l'episcopato della Germania e dell'Ita­lia settentrionale e che contava nell'aristocrazia romana, capeggiata da Cencio, decise allora di scate­nare la guerra contro Gregorio, convo­cando a Worms, per il 24 gennaio 1076, un concilio di vescovi -vi inter­ve­nero 26 vescovi su 38- e di prin­cipi tedeschi. Sotto l'influenza di Enrico il sinodo dichiarò che Gregorio VII non era papa legittimo e gli ri­fiutò l'obbedienza. Fu inviata una lettera del concilio al papa, dove lo si accusava di essere un invasor, un usurpatore della Sede Apostolica.

A provocare la rivolta del re e dei vescovi erano stati i 'Dictatus papae' rite­nuti dai vescovi un pro­gramma di accentra­mento ecclesiastico, una menomazione delle loro prerogative tra­dizionali; dal sovrano e dai principi, un'ingerenza pontificia circa il potere tem­porale.

Lo stesso Enrico, poi, diffuse un manifesto pole­mico, di­retto a Ildebrando -non papa ma 'falso monaco'- in cui, in veste di patrizio ro­mano, ordinava a Gregorio di scendere dalla cattedra apostolica usurpata. L'accusava, in­fatti, di aver disprez­zato l'ordine stabilito da Dio, rivendicando a sé, contro la volontà di Dio, il regno e il sacerdozio e di essersi eretto con­tro il potere regio. Enrico ri­vendica la separazione dei due poteri, per cui non viene ricono­sciuta valida una deposizione del re fatta dal papa; ma poiché il re è di diritto di­vino ed é Patrizio dei romani, gli sembra legittima e in certi casi necessaria la de­posizione del papa, fatta dal re. Così, la separazione dei due poteri vale solo per il re sul papa: il vec­chio cesaropapismo imperiale torna a rivendicare le sue anti­che prero­gative.

Un sinodo di vescovi lombardi, radunati a Piacenza, approvava quell'ope­rato e in­viava il chierico Rolando, a Roma, per notificare i de­creti di Worms. Il papa, che nel frattempo aveva riunito in Laterano il preannunciato sinodo (14-22 febbraio 1076), rispose alla deposizione e alla negazione di obbedienza da parte dei sinodi di Worms e di Piacenza con identiche misure. In particolare lanciò nei confronti di Enrico IV la scomunica in forma di solenne preghiera al Principe degli Apostoli Pietro:

"Beato Pietro, principe degli apostoli, ve ne supplico, porgetemi bene­volo orec­chio. Ascoltate il vostro servo che avete nutrito sin dal­l'infanzia che sino a quest'oggi avete sottratto dalle mani degli empi che lo hanno odiato e lo odiano ancora per la fedeltà verso di voi (...) col vostro potere e colla vostra autorità interdico al re Enrico, che con orgoglio insensato si è eretto contro la Chiesa, di governare il re­gno di Germania e d'Italia e prosciolgo tutti i cri­stiani dal giura­mento presta­togli e proibisco a chiunque di riconoscerlo re".

Il concilio di Worms, che aveva deposto il papa (1076), era stato un grosso errore, di cui Enrico IV si era servito per attribuire a sé quella superiorità che la tradizione riconosceva come prero­gativa del papa; mentre la deposizione del re, fatta nello stesso anno dal papa, fu l'inizio di una guerra infelice, e ciò, nonostante che Gregorio si fosse mostrato disposto ad assolvere Enrico IV il giorno in cui egli avesse chiesto per­dono e avesse fatto la relativa penitenza (Reg. IV, 3).

Dalla parte del papa si schierarono la mar­chesa Matilde di Toscana, il movimento dei patari di Milano e, a partire dal 1080, i Normanni dell'Italia meridio­nale. Mentre in Germania i principi laici ostili al dispotismo di Enrico IV e i vescovi, presenti a Worms, si resero ben presto conto della gravità dell'atto da loro compiuto.

Canossa

Tre gli atti che Gregorio VII compì contro Enrico: la sospen­sione dal regno di Germania e d'Italia, lo scioglimento dei sudditi dal giura­mento di fedeltà e la scomunica.

Enrico IV, preoccupato della propria sorte, dopo laboriose trattative con i principi laici, radunati prima a Ulma e poi a Tribur (ottobre 1076), i quali vole­vano procedere all'ele­zione di un nuovo re, cedette. Tra Enrico IV, i principi e il legato papale Cadalo si decise così di invitare Gregorio VII a venire in Germania, per presiedere una dieta del re­gno da tenersi ad Augusta il 2 febbraio 1077.

Questa è la grande vittoria del papa su Enrico IV, il quale fu costretto a rila­sciare una promissio di obbedienza, che il legato doveva portare a Roma.

Il piano di Enrico era però di farsi assolvere dal papa prima della progettata dieta: per questo segretamente, per sfuggire al controllo dei principi, scese dalla Germania in Italia per incontrarsi con Gregorio VII che, nel frattempo, aveva la­sciato Roma ed era giunto vicino alle Alpi, in attesa che una scorta lo conducesse in Germania. Saputo dell'arrivo inaspettato del re, il papa si rifugiò nel castello di Canossa -a SE di Reggio E.- sotto la protezione della contessa Matilde.

Là si recò Enrico IV il 25 gennaio 1077, con una piccola scorta ad implorare dal papa l'asso­luzione nelle forme ca­noniche. Il papa, dimostrando la sua gran­dezza morale e re­ligiosa dopo che Enrico, per tre volte in altrettanti giorni, aveva bussato alla porta del castello, come un penitente, scalzo e vestito di saio (Reg. IV, 12), lo assolse dalla scomunica, rimandando la questione del regno alla dieta tedesca. Tuttavia Enrico si servì del suo gesto clamoroso per rinviare il viaggio del papa in Germania, con la pre­vedibile deposizione da parte dei principi.

A differenza di Worms, Canossa segna la vittoria politica di Enrico sopra Gregorio VII. La tregua servì infatti ad Enrico per raf­forzare il partito antipapale dell'Italia settentrionale, dove si fece incoronare re d'Italia.

Da parte loro, i principi tedeschi, scontenti dell'assoluzione dalla scomunica, si radunarono a Forchheim (13 marzo 1077), dove ri­gettarono Enrico ed elessero re il suo cognato Rodolfo di Rheinfelden, duca di Svevia. Questi, promise subito ob­bedienza al papa e la con­ces­sione delle elezioni canoniche, ma Gregorio non prese posizione a fa­vore del nuovo re.

Gregorio VII muore in esilio

Scoppiò allora una guerra civile e Gregorio si offrì come arbitro, ma le parti pre­ferirono sottrarsi al suo giudizio.

Enrico, riacquistata potenza po­litica, chiese a Gregorio, con la minaccia di eleggere un antipapa, il riconoscimento per sé e la scomunica per Rodolfo. Gregorio, uscì allora dalla neutralità, sino allora mantenuta e nel concilio romano del 7 marzo 1080, dopo aver ripetuta la proibi­zione della investi­tura laica, compresi i benefici minori e fissata la pro­cedura per le elezioni episcopali, solennemente scomunicò Enrico IV, lo depose dal regno e ri­conobbe, come re di Germania, Rodolfo.

Ma la situazione politica del 1080 era ben diversa da quella del 1076 ed Enrico pote' influire sull'episcopato. Convocò così un'assem­blea di vescovi tede­schi e italiani a Bressanone dove, il 25 giugno 1080, fece di nuovo dichiarare de­posto Gregorio e fece eleggere antipapa, col nome di Clemente III, l'arcivescovo Guiberto di Ravenna.

Il grave gesto fu motivato asserendo che Gregorio era un invasor della Sede Apostolica ed era incorso nell'eresia, caso contemplato dalla tradizione canonica e che escludeva dal papato.

La situazione si sviluppò a favore di Enrico IV, poiché nella battaglia di Hohenmölsen sull'Elster, da lui vinta, morì l'anti-re Rodolfo (5 ottobre 1080). Gli si trovò un suc­cessore insignificante nella persona del conte Ermanno di Luxemburg.

Enrico, scompaginatasi l'opposizione di Germania, decise allora di tra­spor­tare il teatro del combattimento in Italia: scese nella primavera del 1081 e assediò Roma, ma solo nell'estate del 1083, in una terza campa­gna, riuscì ad entrare nella Città Leonina con il suo antipapa. Intronizzato in S. Pietro Clemente III, la dome­nica delle palme, Enrico ri­cevette da lui, il giorno di pasqua (31 marzo), la corona imperiale.

Gregorio VII tuttavia continuava a resistere in Castel S. Angelo, da dove invocò l'aiuto dei Normanni. Questi vennero a Roma, guidati da Roberto il Guiscardo e costrinsero Enrico e l'anti­papa a ritirarsi verso Nord.

La città fu al­lora liberata e Gregorio, ri­portato in Laterano. Ma il saccheggio e le devastazioni compiute dai Normanni avevano inasprito i Romani anche contro Gregorio VII per cui il papa dovette lasciare Roma al seguito del Guiscardo e si ritirò a Salerno, dove morì il 25 maggio del­l'anno successivo (1085), pronunciando le parole riferi­teci da Paolo di Benried: "Semper dilexi iustitiam et odio habui iniquitatem" (cfr. Ps 44, 8), parole veramente pronunciate perché confermate da altre fonti (non però l'aggiunta "propterea morior in exilio" che risulta poste­riore). Ne ap­profittò l'antipapa Clemente III che ritornò a Roma e vi celebrò la festa del natale, mentre Enrico, andò in Germania e si mise a com­battere l'anti-re Ermanno di Lussemburg.

Gregorio VII, strenuo difensore della Chiesa, elevato da Paolo V nel 1606 agli onori degli altari, ebbe il merito di valorizzare le vecchie strutture ecclesiasti­che e di crearne di nuove; tale l'invio di legati pa­pali per presiedere, “vice sedis apostolicae”, i sinodi, or­gano tradizionale dell'episcopato, valorizzato dalla riforma del se­colo XI.

L'azione dei la­gati e dei papi si svolgeva principalmente at­traverso la corrispodenza: da qui la necessità di creare rapporti frequenti e diretti fra Roma e l'e­piscopato. I legami con Roma ven­nero estesi alla postulazione del pallio e alla visita ad limina. Non si trattò tuttavia di una centralizzazione, cioè di un tentativo di as­sorbire i poteri dei vescovi e delle chiese locali a vantaggio della Sede Apostolica; si creò invece un rapporto di scam­bio tra primato papale ed episco­pato, la cui migliore espressione è l'epi­stolario dello stesso pontefice, rispettoso dell'autorità episcopale e de­side­roso di avere la collaborazione dei vescovi e non la loro subordi­nazione.

La riforma del secolo XI ebbe, come ulteriori aspetti, nuovi rapporti tra il vescovo e il suo clero, stimolato a liberarsi dalle impli­cazioni feudali in cui era ca­duto e a ritrovare la propria dignità eccle­siastica. Non meno importante l'ufficio e la posizione riconoscita ai christifideles in seno alla Chiesa. Ad essi Gregorio si appellò sia per rendere più efficaci i decreti di riforma del clero, sia per avere il loro aiuto per un soccorso all'orientalis Ecclesia minacciata dagli infedeli. Gregorio VII fu infatti il primo a conce­pire l'idea di una crociata in Oriente, avendo sin dal 1074 proget­tato di recarsi personalmente, alla testa di un grande esercito, per liberare il Santo Sepolcro conquistato dai Turchi Selgiucidi.