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Il giubileo del 1300

Il giubileo del 1300, 13 secoli dalla nascita del Redentore fu un avvenimento glorioso


Il 1300 fu l’anno della proclamazione del Giubileo. La scadenza secolare, una scadenza simbolica -tredici secoli dalla nascita del Redentore, il Dio fatto uomo- diede a Bonifacio VIII l'occasione per dimostrare che egli teneva le chiavi del regno dei cieli: fu un avvenimento veramente glorioso. Ma non fu decisione nata dalla curia papale.

Narra il cardinale Stefaneschi nel suo Liber de centesimo (splendido il codice G. 3, dell'Archivio di S. Pietro, ora alla Biblioteca Apostolica Vaticana: nella miniatura del primo foglio il cardinale appare inginocchiato ai piedi di Maria per offrirle la sua opera devota), che dal giorno di natale 1299 al successivo primo gennaio, "rimase come oc­culto il mistero di quel nuovo perdono". Il primo gennaio 1300 Bonifacio si trovava al Laterano e la giornata passò senza che nulla si notasse di straordinario. Sul far della sera, "come se quel mistero si fosse a poco a poco aperto e svelato ai Romani", corse immediatamente voce che, qualunque romano avesse visitata la tomba del principe degli apostoli, avrebbe ottenuta, in quel giorno piena e totale indulgenza dei suoi pec­cati e, nei giorni successivi, l'indulgenza di cento anni. Così, quasi te­mendo che col finire della giornata finisse anche la grazia, una folla immensa si accalcò dinanzi la basilica di S. Pietro. Dopo que­sto principio crebbe ogni giorno di più il concorso dei cittadini e dei fore­stieri. C'era la convinzione che l'anno secolare avrebbe portato, come tredici secoli prima, una nuova riconciliazione, la "dilutio peccaminum".

Alcuni erano persuasi di lucrare l'indulgenza plenaria, altri un'indulgenza di cento anni; era comunque opinione corrente che Roma avrebbe concesso un grande perdono.

Ciò durò sino al 4 febbraio, "giorno che a tutto il mondo viene mostrata la venerabile immagine che si suol chiamare Sudario o Veronica", quando pellegrini, specie stranieri, assai più del solito e in turbe fitte, continuarono ad attestare al papa la convinzione che s'era dif­fusa sull'acquisto dell'indulgenza. Così riferiscono molti cronisti del tempo, come Giovanni Villani di Firenze, Guglielmo Ventura di Asti ecc.

Da parte sua, lo Stefaneschi attesta che sarebbe venuto, tra gli altri, a Roma anche un vecchio, più che centenario, che, chiamato alla presenza del pontefice, testimoniò come cento anni prima, suo pa­dre si era recato alla Città Santa per l'indulgenza e gli aveva consi­gliato di fare altrettanto se gli fosse toccata la ventura di giungere al nuovo anno secolare. Personalmente allo Stefaneschi il vegliardo aggiunse "che in ciascun giorno di quell'anno centesimo si poteva lucrare l'indulgenza di cento anni per la quale era venuto appunto pellegrino".

E poiché giorno dopo giorno la folla, che faceva ressa per recarsi a pregare sulla tomba dell'Apostolo, aumentava sem­pre di più, il papa fece esaminate le antiche memorie, ma nulla ritrovò in propo­sito.

La cosa -annota lo Stefaneschi- era più opinione che verità e frattanto, mentre il pontefice dimorava nel Patriarchio Lateranense, nacque il centesimo, termine che sta per Giubileo.

A Bonifacio VIII indubbiamente bastò il sensus fidelium: così il 22 febbraio 1300, giorno della festività della cattedra di S. Pietro, Bonifacio VIII pubblicò una bolla che cominciava appunto così: "c'è una relazione degna di fede degli antichi che a coloro che si recano nella venerabile basilica del primo degli apostoli in Roma sono state concesse ampie remissioni e indulgenze dei peccati"; e poiché ciò rispondeva alla comune opinione dei fedeli il pontefice decise per l'indulgenza plenaria.

Bonifacio elargì l’indulgenza a tutti coloro che, durante l'anno (a cominciare dal Natale precedente, dando così alla bolla anche un valore retroattivo) avessero pregato alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo per trenta giorni, se erano romani, per quindici, se erano forestieri, purchè confessi e pentiti delle loro colpe.

L'annuncio avvenne dall'ambone della basilica Vaticana, "velato di drappi di seta e d'oro": così come lo vediamo nell'affresco della basilica Lateranense, lacerto di una complessa storia riprodotta nei dettagli da Giotto, sulla loggia esterna della basilicadi S. Giovanni in Laterano. Vi è raffigurato Bonifacio VIII, con due personaggi ai suoi fianchi, uno dei quali legge la bolla di indizione. A commissionare l'opera fu il cardinal Stefaneschi lo stesso che, sempre a ricordo del Giubileo, commissionò al medesimo Giotto di dipingere sulla controfacciata della basilica costantiniana di S. Pietro la cosiddetta Navicella. Vi era rappresentato l'episodio accaduto sul lago di Tiberiade, di cui parla l'evangelista Matteo: esattamente il momento in cui Cristo afferra per la mano Pietro che sta per affogare e, salvandolo, lo rimprovera per aver dubitato di lui, scena proabilmente corredata da scritte scritte messe in bocca a Pietro ("Domine salvum me fac", Mt 14, 30); o a Cristo ("Modice fidei, quare dubitasti", Mt 14, 31), opera perduta ma che conosciamo da un'incisione di Parri Spinelli. Il tema fu più volte replicato nella seconda metà del sec. XV; di notevole interesse la tavola commissionata dalle religiose del monastero aperto di Torre degli Specchi a Roma ed eseguita intorno al 1485 da Antoniazzo Romano, ora ad Avignone.

Autori materiali dell'‘Antiquorum habet’, la bolla di indizione del giubileo, furono Iacopo Stefaneschi, diacono di S. Giorgio in Velabro, il quale poco dopo la chiusura del giubileo scrisse il De centesimo seu Iubileo anno liber e maestro Silvestro di Adria, scrittore della cancelleria; mentre il card. Giovanni Le Moine, illustre canonista, ne fece un commento.

La bolla, di cui furono fatte varie copie spedite a quanti erano in comunione con la Chiesa insieme a una circolare esplicativa nella quale furono aggiunti tre versi leonini, cioè a rima baciata, quasi un ritornello per i predicatori e per i pellegrini in marcia verso Roma.

Annus centenus - Romae semper est iubilenus / Crimina laxantur - cui poenitet ista donantur / Hoc declaravit - Bonifacius et roboravit".

che, tradotto, significa: ogni anno centenario è sempre un anno giubilare a Roma. Per detta circostanza le colpe vengono lavate e a chi si pente viene dato il perdono. Così ha stabilito papa Bonifacio e lo ha convalidato con la sua autorità. Copie di questo ritornello furono incise su pietra e poste lungo le strade del pellegrinaggio romeo.

Per l'indirizzo generale, per la formula di perpetuità -la concessione non ha un valore circoscritto nel tempo- e per altre sue parti, la bolla rientra nella tipologia di quelle di indulgenza, nel passato elargite alla basilica di S. Pietro: un'indulgenza giubilare, cioè "plenaria", data secondo la forma consueta e relative sanzioni, allo scopo di garantire l'osservanza della disposizione. E tuttavia nell'arenga o preambolo, dove si esprime la motivazione ideale, la ragione di carattere universale della promulgazione del Giubileo, il pontefice ricorda il suo "dovere di ufficio" e la missione salvifica della Chiesa nello spazio e nel tempo.

Quasi a rimarcarne la perpetuità, fu disposto che il documento fosse inciso su una lastra marmorea e apposto nell'atrio della basilica di S. Pietro in Vaticano, dove tuttora si trova (presso la Porta Santa, a sinistra, in alto, incorniciata da marmi preziosi), una delle poche memorie superstiti dell'antica basilica costantiniana, dove il marmo era stato posto tra la porta bronzea e quella argentea.

Quanto allo spirito del documento, di fronte alla visione escatologica dominante di fine secolo e che aveva spinto tanti fedeli a venire a Roma, prima ancora che fosse stato indetto il giubileo, il pontefice risponde con un invito ad incrementare la devozione verso il Principe degli apostoli, cui tradizionalmente era legato il pellegrinaggio a Roma.

E' l'atteggiamento penitente dei fedeli che muove il papa a concedere "non solo una piena e più ampia, bensì una pienissima perdonanza di tutti i loro peccati".

Quanto alle modalità: due erano le condizioni per l'acquisto dell'indulgenza: 1 - il pentimento e la confessione, perché la grazia possa operare; 2 - la visita alle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo. La prima condizione ricorre in tutte le elargizioni di indulgenze. La seconda era una novità, suggerita forse della liturgia che da tempo aveva associato i due fondatori della Chiesa di Roma nell'unica solenne commemorazione del 29 giugno.

Da qui la disposizione che i romei, per lucrare il giubileo, oltre la basilica di S. Pietro, visitino anche quella di San Paolo con queste modalità: "se si tratta di Romani per trenta giorni continui o saltuari e almeno una volta al giorno, se invece si tratta di pellegrini o di stranieri nello stesso modo per quindici giorni".

A quanti si erano sottoposti a detta disciplina il pontefice, in forza "del potere delle chiavi", cioè dell'autorità che gli viene da Cristo, in quanto successore di Pietro, concedeva, alle solite condizioni -cioè pentiti e confessati- il perdono della pena dovuta ai peccati, non riguardava pertanto i peccati i quali si rimettono con il sacramento della confessione.

Nello stesso giorno in cui fu letta, in S. Pietro, la bolla giubilare, fu promulgata anche la bolla "Nuper per alios", con la quale venivano esclusi dal beneficio dell'indulgenza plenaria chi avesse avuto rapporti commerciali con i saraceni -i quali nel 1291 avevano conquistato Acri, inibendo così l'accesso dei cristiani ai Luoghi Santi- accomunati agli scomunicati Colonnesi, a Federico d'Aragona e ai suoi fautori siciliani.

Cominciò allora la grande romeria. La folla che accorse a Roma fu grandissima. Si mossero verso la Città Eterna pellegrini da tutte le più lontane regioni d'Europa, dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Spagna, dall'Ungheria, dalla Germania.

Tenuto conto della data di emananzione della bolla -22 febbraio 1300- e dei tempi di percorrenza -nel Medioevo da Parigi a Roma s'impiega­vano normalmente almeno cinquanta giorni- ci si chiede come mai le fonti ci attestano che, fin dall'inizio dell'anno, l'afflusso normale dei pellegrini aumentò notevolmente. Se ciò fosse stato determinato solo dalla diffusione della bolla papale sarebbero occorsi da uno a quattro mesi prima che i pellegrini d'Italia e d'Europa potessero giungere a Roma. Plausibile è l'ipotesi che a spingere tanta gente, a mettersi in cammino, sia stata l'attesa escatologica diffusasi a seguito della predicazione di Gioacchino da Fiore e dei suoi interpreti. Sin dal 1260 si era andata formando la convinzione che, da un momento all'altro, la Chiesa sarebbe entrata nella "terza età" quella dello spirito. Così giorno dopo giorno si fece sempre più pressante il bisogno di perdono. L'attesa rigenerazione avrebbe ricalcato quella sperimentata dall'imperatore Costantino, al momento di immergersi nel fonte battesimale. Nozione questa che sarà ripresa nella bolla di indizione del secondo giubileo, quello del 1350.

Bisognosi di salvezza i pellegrini affluivano a Roma, per avere la sicurezza della salvezza. Una fiumana di persone che giornalmente si spostava dalla basilica di S. Pietro a quella di S. Paolo e viceversa. Ogni venerdì, poi e nelle solennità, veniva esposta l'immagine della Veronica.

Stando al cronista Giovanni Villani, oltre 200.000 al giorno erano i pellegrini non romani che si avvicendavano nella visita alle due basiliche. Vera o falsa l'informazione, indubbiamente dovette grandemente impressionare la fiumana di gente che, diretta a Roma, invase le strade d'Italia. Si legge negli Annales Colmarienses: "fu fatto così gran concorso in Roma che assai spesso in un giorno si ebbe un movimento di trentamila romei entrati e trentamila usciti". Vi erano rappresentanti di tutte le età e di tutte le categorie, per lo più erano poveri; nessun re tuttavia si mosse per venire a lucrare il giubileo. In compenso giunsero fedeli non solo dalle città, ma anche da villaggi sperduti, come si evince dai protocolli notarili superstiti dove non è difficile incontrare testamenti dettati da modesti pellegrini, prima di intraprendere la romeria.

Nonostante l'eccezionale movimento di pellegrini, per le provvidenze del papa, non mancarono le vettova­glie e non si lamentarono disordini.

Le offerte dei pellegrini furono abbondanti e il papa se ne servì per il culto e l'ufficiatura delle basiliche.

L'anno giubilare terminò il 24 dicembre del 1300, ultimo giorno dell'anno, secondo l'usanza della curia romana (stile della natività). Il giorno dopo, inizio del nuovo anno, il pontefice con una "gratia non bullata" concesse ai pellegrini ancora presenti in Roma, o impediti durante il viaggio, o morti prima di aver completato le visite alle basiliche, un'ampia indulgenza (concessione "Ad Honorem Dei”).

Fu veramente un anno di grazia. Uno dei frutti del giubileo fu la pace che regnò in Italia in quell'anno, un'eccezione per quei tempi travagliati da lotte fratricide.