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Declino della casa carolingia

Carlo morì il 28 gennaio 814 ad Aquisgrana, dove, esumato nel 1165 da Federico Barbarossa, è venerato con culto locale.


Due anni dopo morì anche Leone III (12 giugno 816). Gli successe il diacono Stefano IV (816-817) il quale si recò presso Lodovico per incoronarlo impera­tore, a Reims, in­sieme alla moglie Ermengarda.

Lodovico era già stato incoronato da Carlo, ad Aquisgrana, l'11 set­tembre 813 (incoronazione di carattere di­nastico e politico); questa nuova in­coro­nazione (di carattere religioso) stava quindi a significare che il titolo imperiale ve­niva solo dal papa.

Stefano IV morì il 25 gennaio 817 e gli successe Pasquale I (817-824) il quale, dopo aver inviato all'imperatore notizia della sua elezione, chiese ufficialmente di rinnovare il patto tra il papato e la casa caro­lingia.

Pactum Ludovicianum e constitutum Lotarii (817)

Lodovico ac­consentì, rilasciando, nell'817, il pactum Ludovicianum, diretto a s. Pietro e ai suoi vicari, il diploma più antico che ci è pervenuto.

  1. Vi si confer­mano i diritti della Chiesa romana su Roma e suo ducato, e sulle città della Tuscia longo­barda, Campania romana, esarcato di Ravenna, Sabina, isole di Sardegna, Sicilia e Corsica. Mentre per i ducati di Toscana e di Spoleto ribadiva la loro indi­pendenza dal­l'impero e concedeva che dessero alla Chiesa romana il consueto censo annuo.
  2. Nella seconda parte l'imperatore riconosce al papa il pieno dominio e l'ufficio di giudice ordinario dei suoi sudditi, ri­servandosi però il diritto di eserci­tare la fun­zione di alto tribunale di appello.
  3. Nella terza, l'imperatore promette di non inter­venire nell'elezione del papa che doveva svolgersi secondo la prassi ca­nonica. Appena eletto il papa doveva però inviare alla corte franca suoi legati per rinno­vare il patto d'amicizia: con ciò veniva implici­tamente affermato il diritto impe­riale di giurisdizione suprema e di controllo sulla amministrazione pontifi­cia.

Nello stesso anno (estate 817), in una grande assemblea ad Aquisgrana, Lodovico fissò la costituzione dell'Impero (ordinatio impe­rii) che rimase diviso fra i tre figli, assegnando la dignità im­periale a Lotario, mentre a Pipino fu data l'Aquitania e a Ludovico la Baviera. Lotario, nominato, nell'822, re di Roma e ve­nuto a Roma, nell'823, per farsi incoronare re, l'anno successivo si fece ricono­scere (constitutum Lotarii) il controllo sulla elezione del papa, di­sponendo che il papa non potesse essere consacrato senza l'appro­vazione (me consentiente) dell'impera­tore e la pre­senza dei suoi legati.

Morto il vecchio Lodovico (+840), per porre fine ai contra­sti dinastici, fu neces­saria una nuova intesa tra i fra­telli: si ebbe così il patto di Verdun (843) nel quale, diviso l'impero carolingio in tre parti, si defini­scono nei limiti geografici al­tret­tante naziona­lità: tedesca, francese e italiana. A Carlo -subentrato al fratello Pipino- fu riconoscita la Francia e la Marca spagnola, a Lodovico la Germania e a Lotario, che aveva il titolo imperiale, l'I­talia e la Lotaringia (territori della Provenza): l'imperatore aveva così Roma e Aquisgrana.

Intanto gli Arabi, dalla Sicilia, dove erano sbarcati nell'817, face­vano conti­nue scorrerie sulle coste della penisola. Nell'846 erano giunti a Roma e dopo aver sbaragliato gli uomini delle scho­lae peregrinorum, avevano saccheggiato le basili­che fuori le mura.

Papa Leone IV (847-55) fece allora costruire le mura a prote­zione della Basilica vaticana. L'opera, che terminò nel 852, dopo sei anni di lavoro, in onore del papa fu chiamata civitas Leonina. Quindi, il pontefice raccolse alcune città della Campania in una lega che sconfisse gli Arabi nella battaglia navale di Ostia (849).

Niccolò I (858-67)

Morto Lotario (+855), gli successe il figlio Ludovico II che si pre­occupò del problema dell'Italia meridionale, cercando di sot­trarre agli Arabi i loro punti di appoggio (Bari, Taranto), ma finì prigioniero, an­che se temporaneamente, del suo vassallo, il duca di Benevento. Tanto basso era il prestigio imperiale.

Accanto a de­boli imperatori risultò maggiormente l'energia di papa Niccolò I, succeduto nell'858 a Benedetto III (855-58) il quale, a sua volta, stando a una strana favola -attestata a partire dalla metà del secolo XIII- sarebbe succe­duto alla pa­pessa Giovanna, una donna di Magonza, o d'Inghilterra che, da trave­stita, avrebbe oc­cupato la cattedra di Pietro per due anni e sette mesi, finché fu scoperta per un parto occorsole durante una proces­sione.

Molteplici le spiegazioni date a questo mito, messo in dubbio da Enea Silvio Piccolomini e poi confutato dall'olandese David Blondel (1649): sarebbe derivato per alcuni da una statua, male in­terpre­tata (un sacerdote di Mitra, con piccoli servitori); per altri dalla leggenda di una vergine, monaca in un monastero di uomini, o dalle stesse cortigiane che, durante il secolo X, dominarono il pa­pato.

Papa Niccolò, un romano di nobile famiglia, indubbiamente fu un grande papa, forse il più grande nel periodo tra Gregorio Magno e Gregorio VII. Egli seppe circondarsi di uomini capaci, come Anastasio Bibliotecario il quale, prima di diventare suo segretario, era stato anti­papa. Entrato subito in cordiali rapporti con l'impera­tore, si dimostrò tuttavia grande assertore dei diritti del papato sia in Oriente, sia di fronte all'imperatore.

Contro le pretese dell’arcive­scovo di Ravenna il quale, favo­rito dall’imperatore Ludovico II, rivendicava una indipendenza spirituale e temporale dal papa, Niccolò I emanò disposizioni che re­stringevano sui vescovi suffra­ganei. Inoltre il papa resistette ai capricci matrimoniali di Lotario II, re di Lorena e fratello del­l'imperatore. Sostenne Rotado, vescovo di Soissons, ingiustamente depo­sto dal metropo­lita, Incmaro di Reims, che aveva abusato della sua giuri­sdi­zione ai danni del suo vescovo a lui soggetto. Si trattò tutta­via di un abuso non isolato: le decretali isidoriane erano state redatte per difen­dere appunto i diritti dei ve­scovi suffraganei, contro le pretese sia dei metropoliti, come delle autorità laiche.

Niccolò sostenne inoltre il pa­triarca Ignazio di Costantinopoli, scomuni­cando (863) Fozio che lo aveva destituito. Con ciò difese la dignità delle Sede apostolica contro il cesaropapismo bizantino, ma non pote' evitare l'aprirsi di una tempo­ranea rottura fra Bisanzio e Roma: l'episodio è infatti all'inizio dello scisma della Chiesa greca.