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Adriano IV e Federico Barbarossa

I contrasti tra il Pontefice Adriano IV e Federico Barbarossa


Eugenio III, mortò a Tivoli l'8 luglio 1153, non pote' vedere l'ese­cuzione del trattato. Pochi giorni dopo moriva a Clairvaux an­che s. Bernardo.

Ad Eugenio III successe il 12 luglio 1153 il card. Corrado, col nome di Anastasio IV (1153-54) d'età ormai avanzata e incapace di af­frontare la nuova e rigorosa poli­tica di Federico I. Per questo, alla sua morte, fu eletto l'energico Nicola Breskspear, cardinale di Albano, il primo papa di origine inglese che prese il nome di Adriano IV (1154-59).

I suoi predecessori non erano riu­sciti ad allonta­nare da Roma Arnaldo da Brescia il quale, protetto dai senatori, sobillava i Romani contro l'autorità temporale del papa. Vi riuscì però Adriano IV che, dopo aver lanciato, all'avvici­narsi della pasqua del 1155, l'interdetto sulla città, si fece giurare dai Romani che avrebbero cacciato Arnaldo e i suoi seguaci. Adriano IV pote' così uscire dalla Città Leonina, dove era rimasto al sicuro dopo la sua ele­zione e celebrare la Pasqua del 1155 al Laterano, pacificato con i Romani; mentre Arnaldo, cacciato da Roma, si rifugiò presso i vice-comiti di Campagnatico. Ma, con il beneplacito del Barbarossa, Arnaldo fu preso e consegnato al Papa: con­dannato al rogo come eretico, le sue ceneri furono disperse nel Tevere, per evi­tare che, intorno al suo corpo, nascesse un culto popolare.

I primi rapporti tra Adriano IV e il Barbarossa furono buoni, ma ben presto si giunse allo scontro. I primi contrasti furono oc­casionati dal rifiuto del Barbarossa di rendere al papa l'officium stratoris, il ser­vizio cioè di tenergli la staffa e di reggergli le redini del cavallo, sim­bolo della superiorità del pontefice.

Barbarossa si era rifiutato per ti­more che quel gesto fosse interpretato come atto di vassallaggio, e si adattò a questa consuetudine solo in se­guito al consiglio dei principi; così come lo stesso Barbarossa ri­fiutò di ricevere la corona imperiale dai Romani, dietro un com­penso di 5.000 libbre d'argento.

Fattosi inco­ronare dal papa (18.VI.1155), il Barbarossa tornò in Germania senza prestare l'aiuto contro i Normanni, promesso nel trattato di Costanza. Fu allora che Adriano IV, acco­gliendo l'invito di alcuni signori meri­dio­nali, pensò di muovere guerra a Guglielmo I, figlio di Ruggero II, re di Napoli e di Sicilia. Sconfitto, fu costretto alla pace stipulando a Benevento un Concordato (1156) con il quale riconobbe la so­vranità normanna su tutti i territori dell'Italia meridio­nale, sotto l'alto dominio della Santa Sede.

Federico I ne fu irritato perché interpretò quel concordato come un ri­torno alla politica dei tempi di Gregorio VII, il quale si era servito dei Normanni contro l'imperatore. Del resto, quest'ac­cordo non favo­riva il piano di restaura­zione dell'impero perseguito dal Barbarossa.

La crisi scoppiò a Besançon, alla fine dell'ottobre 1157.

Motivo del contra­sto: la cattura del vescovo danese Eschilo che, tornando da una visita ad limina, mentre attraversava la Borgogna, fu fatto prigioniero da alcuni predoni e l'imperatore non si era dato da fare per liberalo. Il papa scrisse allora una lettera di rimprovero portata da due legati alla dieta di Besançon, dove si trovava Federico I.

Alcune espressioni ambigue, come il verbo "conferre coronam" -intrepretata come cessione di un diritto feu­dale- e la pro­messa di "beneficia" an­cor più grandi che il papa sa­rebbe pronto a concedere al­l'imperatore -tradotta con "feudi", quasi che l'impero fosse un feudo del papa- in­sospettirono i Tedeschi, irri­tati infine dall'atteggiamento del card. Rolando Bandinelli, capo della delegazione papale; per cui Federico ordinò ai legati di par­tire immediatamente per Roma, impedendo così loro di effettuare la pro­gettata visita canonica alle chiese della Germania.

Grazie a un'abile propaganda, i vescovi tedeschi si mi­sero dalla parte dell'imperatore. Anzi, il vescovo di Treviri -o me­glio negli ambienti della cancel­leria im­periale- fece persino il pro­getto di fondare una chiesa nazionale ger­manica, indipendente da Roma.

Il papa, indotto da Enrico, duca di Baviera e Sassonia, inviò allora una nuova legazione, dando interpreta­zioni rassicuranti (beneficium, "non feudum, sed bonum factum"; con­ferre = im­po­nere). E tuttavia il papa ribadiva in questa seconda lettera le re­sponsabilità del­l'imperatore nell'incidente di Besançon.

Fu un compromesso, più che una vera pace. Infatti, in occasione della sua se­conda calata in Italia (1158-62), l'imperatore, dopo aver sconfitto Milano, nella dieta di Roncaglia (11/11/ 1158), appog­giandosi sui giu­risti bolognesi, nell'enunciare il programma di pre­dominio politico nella penisola, fece una proclamazione dei di­ritti sovrani dell'impera­tore da non lasciare spazio né all'autonomia comunale delle città lom­barde, né ad una libertà politica del mo­vimento papale.

Una delle con­seguenze fu l'obbligo dei vescovi italiani, in possesso di rega­lìe, di pre­stare il giuramento di fedeltà, come i vescovi germanici. E persino lo Stato Pontificio fu trattato alla stregua degli altri, per cui si tornarono ad esigere tasse cadute in di­suso nel tempo, come il Fodrum, la tassa dovuta al­l'imperatore quando scendeva in Italia per l'incoronazione.

Il programma poli­tico di Federico giunse a interferire anche nelle nomine dei ve­scovi, tanto che si po­teva quasi par­lare di vere e proprie nomine imperiali.