Vittore I (186-197)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

 

Il "Liber Pontificalis" lo presumeva originario dell'Africa e riportava che suo padre si chiamava Felice. Questa fonte, desumendo i dati dal "Catalogo Liberiano", indicava che Vittore regnò dal 186 al 197. Il testo armeno del Chronicon di Eusebio di Cesarea, tuttavia, posizionava l'inizio del pontificato di Vittore nel settimo anno di regno dell'Imperatore Commodo (187) e gli accreditava una durata di dodici anni; nella sua Historia Ecclesiastica Eusebio stesso, però, riposizionò l'inizio del pontificato al nono anno del regno di Commodo (189) e lo fece durare dieci anni.

Durante gli ultimi anni del regno di Commodo (180-192) e i primi anni di quello di Settimio Severo (dal 193) la Chiesa di Roma poté godere di un periodo di pace privo di persecuzioni.

L'opinione positiva sui cristiani che aveva Commodo viene generalmente attribuita all'influenza di una donna chiamata Marcia. Secondo la testimonianza di Sant'Ippolito di Roma (Philosophumena, IX 12), costei era favorevole ai cristiani, forse una cristiana lei stessa. Marcia, un giorno, convocò Papa Vittore a palazzo e, per poterne ottenere la liberazione, gli chiese un elenco dei cristiani romani che erano stati condannati ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna (ad metalla). Questa fu la prima volta che l'impero romano scese a patti con la Chiesa ed il suo vescovo in tema di persecuzioni. Il papa le diede l'elenco e Marcia, avendo ricevuto la grazia da parte dell'imperatore, spedì il presbitero Giacinto in Sardegna con l'ordine di liberazione per i cristiani. Tra costoro c'era anche Callisto, futuro papa, che, anziché fare ritorno a Roma, si ritirò ad Anzio.

Sant'Ireneo di Lione (Adversus Haerses, IV, XXX 1) riportava che in questo periodo i Cristiani ebbero molti incarichi ufficiali presso la Corte imperiale. Anche Settimio Severo, durante i primi anni del suo regno, guardò con favore i cristiani, lasciandoli nei posti chiave della sua corte. Tra coloro che rimasero a palazzo c'era un certo Proculo che una volta lo aveva addirittura curato. Questo imperatore protesse i cristiani dagli eccessi dei pagani, e suo figlio, Caracalla, ebbe persino una balia cristiana (Tertulliano, Ad Scapulam, IV). In questo periodo il cristianesimo fece grandi passi avanti nella capitale e trovò proseliti persino fra le famiglie ricche e nobili (Eusebio, Historia Ecclesiastica, V, XXI).

 

La questione quartodecimana

Durante il suo pontificato, però, la Chiesa fu sconquassata da dissensi interni. Si acuì la disputa sulla celebrazione della Pasqua. I cristiani di Roma che erano immigrati dalle province dell'Asia erano soliti celebrare la Pasqua il 14° giorno del mese di Nisan, in qualsiasi giorno della settimana cadesse, come avrebbero fatto nelle loro terre d'origine. Al suo apparire, naturalmente, questa usanza portò agitazione all'interno della comunità cristiana di Roma. Papa Vittore decise, perciò, che ci dovesse essere uniformità nell'osservanza della festa pasquale e per questo cercò di persuadere i quartodecimani a seguire la pratica generale della Chiesa.

Vittore scrisse a Policrate, vescovo di Efeso e gli suggerì di convocare gli altri vescovi asiatici per discutere della questione con loro. Ciò fu fatto; ma nella lettera spedita da Policrate a papa Vittore, questi dichiarò che avrebbe fermamente continuato nell'usanza Quartodecimana "osservata da così tanti santi e celebri vescovi della regione". Vittore tenne allora una riunione di vescovi italiani a Roma, il primo sinodo romano di cui si abbiano notizie, e scrisse ai vescovi reggenti dei vari distretti, esortandoli a riunire i vescovi loro dipendenti e consigliarsi con loro sul problema della festa Pasquale. Le risposte giunsero da tutte le parti del mondo: dal sinodo di Palestina, presieduto da Teofilo di Cesarea e Narciso di Gerusalemme; dal sinodo del Ponto, presieduto dall'anziano Palma; dalle comunità di Gallia, il cui vescovo era Ireneo di Lione; dai vescovi del regno di Osrhoene; e da singoli vescovi, come Bachilo di Corinto. Tutte queste risposte riportavano unanimemente che la Pasqua veniva osservata la domenica. Vittore, che in tutta la faccenda agì come capo dell'intera cristianità cattolica, fece quindi appello ai vescovi della provincia d'Asia affinché abbandonassero il loro costume ed accettassero la pratica di celebrare la Pasqua sempre di domenica. Se non avessero ottemperato non sarebbero più stati in comunione con la chiesa di Roma.

Questa procedura non piacque a tutti i vescovi. Ireneo di Lione ed altri scrissero a papa Vittore biasimandolo per la sua severità, esortandolo a mantenere pace ed unità con i vescovi asiatici, ed a intrattenere rapporti amichevoli con loro. Ireneo gli ricordò anche che i suoi predecessori avevano sempre mantenuto l'osservanza della domenica di Pasqua, come era giusto, ma non avevano interrotto le relazioni amichevoli e la comunione con vescovi asiatici solo perché questi seguivano un altro costume (Eusebio, Historia Ecclesiastica, V, XXIII-XXV.)

Non si hanno ulteriori informazioni su come finì la storia dei vescovi asiatici sotto Vittore I. Tutto ciò che è noto è che nel corso del III secolo la pratica romana dell'osservanza della domenica di Pasqua divenne gradualmente universale. A Roma stessa, dove Papa Vittore impose, naturalmente, l'osservanza della domenica di Pasqua a tutti i Cristiani della capitale, un certo Blasto, un orientale, insieme ad alcuni seguaci contrari al papa, provocò un scisma che, comunque, non crebbe d'importanza.

 

Vittore e le eresie

Papa Vittore ebbe anche delle difficoltà con un presbitero romano chiamato Florino, probabilmente proveniente dall'Asia Minore. Come ufficiale della corte imperiale, Florino ebbe modo di conoscere San Policarpo di Smirne direttamente in Asia Minore e, in seguito divenne presbitero della Chiesa di Roma. Questi aderì allo gnosticismo, considerato eresia dalla Chiesa, diffondendo gli insegnamenti di Valentino. Ireneo scrisse due trattati contro di lui e richiamò l'attenzione di Vittore anche sui sui scritti, che riteneva pericolosi. Florino fu rimosso dalle sue funzioni sacerdotali e scomunicato (Eusebio, Historia Ecclesiastica, V, XV 20).

Durante il pontificato di Vittore un ricco cristiano, Teodato di Bisanzio, un venditore di pellame, giunse da Costantinopoli a Roma ed iniziò a predicare false verità su Cristo: affermava che il Cristo era soltanto un uomo illuminato dallo Spirito Santo con dei poteri sovrannaturali (adozionismo). Il papa condannò questa eresia e scomunicò Teodato. Quest'ultimo, tuttavia, non si sottomise, ma, al contrario, insieme ai suoi seguaci, diede il via ad uno scisma che per qualche tempo fu anche vitale. Quinto Settimio Fiorente Tertulliano affermava che Vittore potrebbe anche essere venuto in contatto col Montanismo, ma non ci sono prove a sostegno della sua teoria.

 

Passaggio dal greco al latino

San Girolamo indicava Papa Vittore come il primo scrittore in latino della Chiesa menzionando nel suo De viris Illustribus dei piccoli trattati ("Vittore, tredicesimo vescovo della città di Roma, scrittore di certi opusculi sulla questione pasquale ed altro, governò la Chiesa dieci anni sotto Severo"). Fino ad allora tutti gli scritti della Chiesa venivano redatti in greco. A parte le lettere sulla controversia Pasquale, nessuno degli scritti di Vittore è noto. Forse fu proprio durante il regno di Vittore che il canone delle Sacre scritture in uso a Roma, e parzialmente conservato nel Canone muratoriano, fu stilato, sancendo il passaggio definitivo dal greco al latino.

Nella nota che lo riguarda, nel Liber Pontificalis si parla della controversia Pasquale e dell'introduzione dei sequentes fra il clero, che gli è attribuita. Non è chiaro cosa questo significhi, se ci si riferisca agli accoliti o agli assistenti che, sembra, comparvero in seguito, per coadiuvare quel clero molto occupato nell'amministrazione dei propri interessi. In ogni caso, la nota è una di quelle che l'autore inserì arbitrariamente nelle biografie dei vari papi, e non ha, di conseguenza, alcun valore storico. Lo stesso vale per l'ordinanza relativa all'amministrazione del battesimo nei casi di necessità attribuita a papa Vittore dallo stesso autore.

Vittore, nonostante il periodo di pace che visse la Chiesa, patì il martirio sotto Settimio Severo e venne sepolto vicino alla Tomba di Pietro. Alcune sue reliquie sono ora conservate presso l'altare maggiore della Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.