Urbano II (1088-1099)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

  

                A Vittore III suc­cedette Oddone di Chatillon -già gran priore di Cluny, continuatore del programma di Gregorio VII e ora vescovo di Ostia- il quale era stato desi­gnato dallo stesso papa morente: prese il nome di Urbano II (1088-99).

                I cardinali gregoriani avevano scelto come sede del conclave Terracina, perché a Roma re­gnava gran confusione. Urbano II, appena eletto, cercò subito di en­trare in Roma, ma riuscì solo a pren­dere possesso dell'isola Tiberina,  dove tenne un sinodo nell'aprile del 1089.

                Conquistata a giu­gno la città, cercò di porre ter­mine allo scisma (era antipapa, Clemente III); quindi pote' proseguire l'indi­rizzo ri­formista di Gregorio VII, ma fu più prudente.

                Partecipò al sinodo di Melfi (1089), dove si rinnovarono i decreti contro la si­monia e il concubinato degli  ecclesia­stici e l'investi­tura da parte dei laici, quindi partecipò ai sinodi di Benevento (1091), Troia (1093) ecc.

 

2 - I concili di Piacenza e di Clermont

 

                Nel marzo 1095, Urbano II presiedette il concilio di Piacenza, presenti i vescovi d'I­talia, Francia e Germania, la contessa Matilde, l'impe­ratrice  Prassede, legati di Spagna e dell'imperatore  d'O­riente Alessio Comneno.

                Questo concilio si occupò, in particolare, dello scisma imperiale e af­frontò il pro­blema del valore delle  ordinazioni compiute dagli scismatici, un pro­blema contro­verso tra i canonisti: alcuni sostenevano la nullità delle ordinazioni; altri ac­cetta­vano la teoria della 'dispensa' avanzata da Bernoldo di Costanza ed esposta dal grande canoni­sta Ivo di Chartres. Secondo questa teoria ci sono due sorta di di­sposizioni: le prime sono eterne e immutabili; le altre sono contingenti e quindi suscettibili di modifica. Il concilio  si orientò per la teoria cano­nica della dispensa, mantenendosi su di un piano pratico. Questa teoria che concedeva alla S. Sede la facoltà di applicare o sospendere le leggi contingenti, rese un grosso ser­vizio a Urbano II.

                Urbano II, mentre stava presiedendo il concilio di Piacenza, fu chiamato in aiuto dall'imperatore  Alessio I Comneno (1081-1118) di Costantinopoli,  poiché i Greci erano minacciati dai Saraceni stanziati nell'Asia Minore. Il papa aderì all'invito  e pre­dicò la crociata, toccando la sensibilità  delle folle con l’immagine  delle torture subite dai poveri, ai quali  i “barbari” vogliono strappare quel denaro che non possiedono.

                 Da Piacenza Urbano II passò in Francia dove indisse un nuovo concilio  a Clermont, aperto il 27 novem­bre 1095.

                Quivi rin­novò la proi­bizione dell'investitura laica, aggiungendo il divieto del giuramento feu­dale, che gli ecclesiastici fino ad al­lora avevano prestato ai laici (can. 17). Ciò toccò il vertice della ten­sione tra gre­goriani e partito impe­riale, lotta che -come si ricorderà- era iniziata con Niccolò II e che era divenuta aperta con Gregorio VII, provocando la scesa in campo di Enrico IV e dell'Impero: uno scon­tro che terminerà con il concordato di Worms (1122).

                Nello  stesso Concilio  di Clermont emanò il decreto sulla "tregua di Dio", cioè la proibizione  di far guerra in determinati tempi e predicò la crociata, invitando i cri­stiani a in­traprendere l'iter Iherosolimitanum per liberare la città santa dalla ser­vitù dei nemici della fede.

                L'insediamento dei Turchi Selgiucidi,  al posto degli Arabi, in Palestina aveva peggiorato la si­tuazione dei pellegrini cristiani, che ora subivano anche molestie. Dall'Europa si cominciarono allora ad orga­nizzare numerosi pellegrinaggi armati e si pensò a una spedizione che sottraesse questi luoghi agli infe­deli, anche perché in Europa -a motivo delle incursioni dei Saraceni, degli Unni e dei Vichinghi- si era or­mai formata una classe di milites a cavallo il cui ardore combat­tivo dalla Chiesa era stato indirizzato verso fini religiosi.

 

3 - La prima crociata

 

                Alla crociata, predicata dal papa e dai suoi delegati, in parti­colare da Ademaro vescovo di Le Puy, aderì -proprio perché fu non una guerra santa, ma una forma originale  di pellegri­naggio-  tutta l'Europa. Al grido di "Deus lo volt", i crociati posero sulla propria veste una croce di panno, simbolo del voto che si doveva sciogliere  a Gerusalemme e a cui era connessa un'indulgenza di remis­sione dei pec­cati.

                I pre­cedenti di questa indul­genza sono costituiti dai poeniten­tialia [prevedevano la possibilità di commutare (commutationes) le pe­nitenze previste da certi tipi di pec­cati con altre di peso equiva­lente, ma più adatte alle ca­ratteristi­che fi­siche  e sociali del peni­tente: come il commutare un digiuno con una elemo­sina, più utile  questa al bene comune] e da una lettera che Giovanni VIII scrisse, nell'878, a un vescovo franco [vi si afferma che "coloro i quali sono caduti in bat­taglia o cadranno in seguito per la di­fesa della sant Chiesa di Dio (...) possono otte­nere il perdono dei loro peccati". Il sangue versato per la fede lava dunque ogni colpa]. Agli inizi del secolo XI si era anche diffusa l’idea che i cristiani di tutti i paesi avevano il dovere di venire in soccorso dei fratelli minacciati dai pagani e aiutarli a passare al contrattacco. Questo sentimento di solidarietà si era andato affermando a profitto dei cristiani di Spagna, costretti a difendersi contro l’islam e intorno alla metà del sec. XI gli spiriti erano ormai pronti ad accogliere l’idea di crociata.

                Durante l’assenza dei crociati, i loro beni dovevano essere posti sotto protezione della Chiesa. Sull’esempio del pontefice ovunque si predica il viaggio di penitenza, la spedizione  per la remissione dei peccati. Il papa stesso, attraversando la Francia, si fa apostolo della crociata.

                Urbano II si rivolse ai cavalieri e a quanti erano in grado di dare un contributo effettivo alla crociata: sua intenzione  fu quella di organizzare una spedizione  armata. Di fatto però si verificò che, a partire per primi, nel 1096, furono contadini e di nobili di scarse fortune: una massa innumerevole, un esercito senza un comandante.

                A guidare questo primo pellegrinaggio armato fu Pietro d'Amiens, l'Eremita, un monaco piccardo, ritenuto dalla leggenda promo­tore dell'impresa. Indossava una tunica di lana e, sopra la tunica, la cocolla lunga fino ai piedi, copriva il tutto un mantello; non portava brache e andava a piedi nudi; si nutriva di vino, pesce e pochissimo pane. E’questa la cosiddetta crociata popolare, che si mosse disordinatamente, verso Costantinopoli. Molti peri­rono lungo il viaggio; altri si accanirono contro gli ebrei (Fulcherio di Orleans massacrò ebrei di Praga; furono perseguitati ebrei nelle città renane: episodi tutti biasimati dalle autorità ecclesiastiche, specie i battesimi di massa loro imposti); altri infine giunsero a Costantinopoli, dove furono sfamati dall’imperatore Alessio; oltrepassarono quindi il Bosforo e si avviarono verso Nicomedia. Sconsigliati di proseguire, rimasero fermi due mesi e, in breve, furono sterminati dai Turchi.

                I veri cro­ciati si diedero convegno a Costantinopoli per la primavera del 1097. Erano "milites" di tutte le parti d'Europa, attrezzati per la guerra: il primo nucleo, costi­tuito da cavalieri francesi, partì da Puy il 16 agosto 1096 sotto la guida del vescovo Ademaro e di Raimondo di Tolosa. Lungo la strada si aggiunse un secondo gruppo di Lorenesi, Francesi del Nord e Tedeschi, guidati da Goffredo di Bouillon e da suo fratello Balduino; poi un terzo gruppo di Normanni e Francesi del dominio del re, guidati da Ugo di Vermandois fratello del re Filippo I, e un quarto gruppo di Normanni dell'Italia meridionale, guidati da Boemondo di Taranto, figlio del Guiscardo e da Tancredi, suo ni­pote.

                Per vie di­verse giunsero a Costantinopoli, ma i rapporti tra imperatore e crociati si po­sero ambigui: l'imperatore Alessio Comneno mirava a trarre vantaggio personale dal­l'impresa, voleva sconfiggere i Turchi che lo minaccia­vano; i crociati intendevano combattere per il Santo Sepolcro e non per Bisanzio. Scopo della crociata era in­fatti la liberazione della cristianità occidentale dai Turchi: nessuna promessa di re­stituzione dei territori ai Greci, an­tichi possessori.

                Anima della spedizione, il legato papale Ademaro. Espugnata Nicea (19 maggio 1097), occuparono Antiochia e il 15 luglio 1099 en­trarono in Gerusalemme. Immensa la gioia per la cristianità.

                Ben presto però nacquero grossi problemi. Le terre conquistate furono ammini­strate con il sistema feudale, che era ormai declinante in Occidente e non po­teva di certo vivificare l'Oriente.

                 La gerarchia greca nei paesi conqui­stati  era quasi estinta; da qui l'istituzione di una gerarchia latina (con quat­tro metropoliti e sette suffraganei), di monasteri latini e persino del patriarcato latino di Gerusalemme: il che contribuì ad ap­profondire la divisione in atto con il patriarcato di Costantinopoli.  L'elimina­zione di quanto re­stava del clero greco e la sostituzione  con quello latino fu però un grosso errore, anche per la scelta poco oculata del primo patriarca latino,  Arnolfo di Rohez, più con­dottiero che uomo di Chiesa, spoliatore dei beni dei greci e persino predatore di reliquie.

                 Il feudo più importante: il regno di Gerusalemme, fu tenuto col titolo di di­fensore del Santo Sepolcro da Goffredo di Buglione. Gli suc­cesse (1100)  il fratello Baldovino,  che accettò il titolo regio, la cui auto­rità era limitata da una corte di Ligi. Gli altri tre princi­pati federati (più che soggetti),  con il re di Gerusalemme erano: la contea di Edessa, con Baldovino di Fiandra; la contea di Tripoli, con Raimondo di Tolosa; il principato  di Antiochia, con Boemondo d'Altavilla.

 

4 - Gli ultimi  anni di Urbano II

 

                Tornato in Italia, nell'autunno del 1096, dopo aver celebrato un concilio  al Laterano, si recò nell'Italia me­ridionale per trattare con i principi Normanni che avevano conqui­stato la Sicilia, togliendola ai Saraceni.

                Fu in questa occasione che Urbano II, attesa la necessità di or­ganizzare la Chiesa nell'Isola dopo il lungo do­minio mussulmano, ac­condiscese alla richiesta di Ruggero di non mandare legati, ma di dare a lui  il titolo  di "legato della Calabria e della Sicilia". Questa conces­sione fu sancita dalla bolla del 5 luglio 1098.

                Nell'ottobre del 1098 Urbano tenne un concilio a Bari, quindi tornò a Roma dove, l'anno successivo, cele­brò un nuovo concilio,  cui parteciparono 150 vescovi ed abati. Morì il 29 lu­glio 1099, prima che gli giungesse la notizia che i cro­ciati ave­vano conquistato Gerusalemme (15 luglio).

                L’annuncio ufficale della vittoria fu dato, nel dicembre 1099 -cioè cinque mesi dopo- dal suo successore Pasquale II. Il ritorno dei soldati di Cristo non diede luogo a festeggiamenti; furono considerati poco più dei normali “palmisti”.  Ragione non ultima gli eccessi da loro commessi contro le popolazioni cristiane dei territori attraversati. Cessati i tempi eroici, la crociata tenderà a trasformarsi in un pellegrinaggio armato, perché la strada è insicura; mentre la partecipazione  va riservata sempre più agli uomini di guerra.