Innocenzo II (1130-1143)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

  

 Alla morte di Onorio II, di nuovo tornò la divisione  tra le due famiglie ro­mane e anche all'interno del collegio cardinalizio:16 cardi­nali, fra cui la maggio­ranza dei cardinali vescovi, d'accordo con i Frangipani, elessero il card. Gregorio, cioè Innocenzo II (1130-43); mentre gli altri elettori -una ventina- elessero alcune ore dopo il card. Pietro Pierleoni, cioé Anacleto II (1130-38).

                La maggior parte dei cardinali-vescovi, cui spettava la tractatio,  aveva eletto Innocenzo II. Anacleto II, da parte sua, ebbe però un nu­mero maggiore di cardinali e il consenso del popolo. Fu lo scisma di Anacleto, in quanto questi, con la potenza del denaro -proveniva da una famiglia di ricchi banchiere ebrei di Roma- era riuscito ad avere il pre­dominio sulla città.

                Innocenzo dovette così fug­gire in Francia, dove però ottenne il potente aiuto dei monaci francesi. In suo fa­vore si schierò soprattutto s. Bernardo, abate del monastero cistercense di Clairvaux (1115-1153), un'autorità nel campo del monachesimo, dell'a­scetica e della mistica. S. Bernardo partecipò al sinodo di Étampes (settembre 1130) e il suo intervento a favore di Innocenzo II fu deci­sivo. Fece applicare, a favore di papa Innocenzo II, il principio canonico della saniori­tas, per il quale si deve giudi­care non in base alla quantità dei suffragi, ma alla sanior pars.

                Così la Francia ri­co­nobbe Innocenzo II, come legittimo capo della Chiesa. L'esempio fu poi seguito dalla Germania dove, per papa Innocenzo, si adoperò s. Norberto, fondatore del­l'ordine dei Premostratensi e infine fu ri­cono­sciuto dall'In­ghilterra. Mentre dalla parte di Anacleto si era schierato il duca nor­manno Ruggero II (1101-54), geniale statista che aveva saputo riunire le varie popola­zioni dell'Italia meridionale e della Sicilia in una solida compa­gine statale. E a Ruggero II, nel 1130, Anacleto conferì il titolo di re.

                Lotario III, scendendo in Italia nell'autunno 1132, ricondusse  Innocenzo II a Roma dove si fece incoronare imperatore il 4 giugno 1133, ma a S. Giovanni, poiché S. Pietro insieme alla città leonina era ancora in mano ad Anacleto.

                In quell'occasione Innocenzo II confermò il con­cordato di Worms e in particolare  il diritto del re di conferire le regalìe ai prelati, prima della consacrazione. Mentre Lotario III riconobbe il di­ritto di proprietà della Santa Sede sull'ere­dità di Matilde di Toscana che nel 1116 erano stati occupati da Enrico V.

                Tra i mosaici e affreschi ecclesiastico-politici  dell’antico palazzo lateranense, presenti nel cod. Barb. Lat. 2738, figurano anche le storie dell’incoronazione  di Lotario III, eseguite nella cappella di Innocenzo II. Questa la successione: 1- Lotario III giunge alle porte di Roma; 2 - Giura ai Romani di mantenere i loro tradizionali  diritti; 3 - Ottiene l’investitura per anulum dei beni di Matilde di Canossa; 4 - Riceve, inginocchiato dinanzi al papa, la corona imperiale. Al di sotto v’era la scritta: Rex venit (stetit) ante fores, iurans prius Urbis onores. Post homo fit papae, sumit quo dante coronam.

                La terza scena rappresenta dunque l’atto di omaggio dell’imperatore  che riceve i beni di Matilde di Canossa, in termini feudali (homo fit papae): interpretata come atto della commendatio (vassallaggio: homo = vassallo) del sovrano, prima di ricevere la corona dal papa. Questo divenne uno dei simboli che, al tempo di Federico I e Adriano IV, rinfocò il gran conflitto tra Impero e Papato; per cui Federico I, nel 1155, chiese che il dipinto di Lotario III fosse cancellato.

 

Concilio  ecumenico Lateranense II (1139)

 

                 Nel 1136-7, su sollecitazione di Innocenzo II e di s. Bernardo, l'Imperatore Lotario compì una spedizione contro i Normanni, sosteni­tori dell'antipapa,  ma solo dopo la morte del­l'antipapa Vittore (25/I/1138), Innocenzo II poté divenire padrone della situazione, im­pedendo che il successore Vittore IV avesse un se­guito. E così lo scisma ebbe termine.

                Anche Lotario, di ritorno verso la Germania, morì nel 1138 e gli fu dato come successore Corrado III, della famiglia degli Hohenstaufen (7 marzo 1138).

                Per estirpare gli ultimi residui dello sci­sma Innocenzo II convocò, per l'a­prile 1139, un concilio generale: fu il secondo lateranense, il decimo della serie dei concili ecumenici.    Come il concilio del 1123, anche quello del 1139,  fu celebrato al termine di uno scisma, quello di Analceto (1130): con la differenza che questo scisma fu prettamente romano e italiano, senza la partecipa­zione  imperiale.

                Non ci sono pervenuti gli atti, ma se ne ha un eco nella cronachi­stica del tempo. Furono emanati 30 canoni di ri­forma che riprendono le decisioni riguardanti la proibizione del matrimonio dei chierici, le or­dinazioni e le elezioni dei vescovi, l'intromissione dei laici nelle mate­rie ecclesiastiche, la repressione di comportamenti socialmente dan­nosi.

                I gruppi di norme sinodali più consistenti riguardano la repres­sione degli abusi ecclesiastici, fra cui le ordinazioni dei simoniaci, di­chiarate nulle (can. 1); così come quelle fatte dall'antipapa Anacleto II (can. 30). Il can. 3 riprende e precisa il can. 2 del Lateranense I, proi­bendo di ricevere gli scomunicati e di avere con essi rapporti prima dell'assoluzione.

                Il can. 4 prescrive agli ecclesiastici un abito esteriore condecente, sotto pena della privazione del beneficio. Il can. 10 regola l'esazione delle decime e le ordinazioni. Il can. 21 interdice l'accesso al ministero sacerdotale ai figli dei chierici, salvo il caso che abbiano ab­bracciato un ordine monastico; il can. 24 proibisce di esigere com­penso alcuno per l'amministrazione dell'unzione degli infermi e dell'uf­ficio funebre; il can. 25 stabilisce la privazione del beneficio per co­loro i quali ricevano prebende e prepositure de manu laici. Viene infine ribadita, per i concubini, la privazione del beneficio (can. 6), la nullità del matrimonio contratto e l'obbligo dei fedeli di disertare le loro clebrazioni (can. 7); nulli anche i matrimoni contratti dalle sanc­timoniales  (ca. 8).

                Dal punto di vista dottrinale  ed ecclesiologico rivestono partico­lare importanza il can. 22, che disciplina il sacramento della penitenza e il can. 28, che sancisce l'elezione dei vescovi da parte del clero e del popolo e ne riconosce l'esclusiva competenza ai capitoli cattedrali.

                Il can. 9 condanna la consuetudo de­testabilis, recentemente invalsa, per cui alcuni monaci e alcuni canonici regolari, abbandonata la regola benedettina o agostiniana, si fanno studenti di diritto e di medicina, nella speranza di ricavarne un guada­gno, come medici o patrocinatori legali: una condanna dunque della ve­nalità del sapere, ma anche una riprova dell'attrazione esercitata dalle Università medievali, allora in ascesa.Tra le pravae consuetudines, che minavano la disciplina monastica, il concilio denuncia anche la costitu­zione  di gruppi beghinali/bizzocali di donne che non seguivano la tra­dizione benedettina, basiliana  e agostiniana (can. 26), ma di cui null'al­tro ci è dato di sapere. Così come troppo vaga la denuncia di non me­glio precisati gruppi ereticali ostili al sacramento dell'eucarestia, al bat­tesimo dei bambini, all'ordine sacerdotale e al matrimonio: Raoul Manselli ritiene che siano i seguaci del monaco Enrico.

                Vengono riproposte numerose disposizioni di carattere sociale contro briganti, usurai, partecipanti a tornei, violatori dell'immunità ecclesiastica, incestuosi, incendiari, balestratori (cann. 11, 13, 14, 15, 17, 18 e 29); riproposta inoltre la tregua di Dio (can. 22).

                Fu inoltre scomunicato Ruggero, re di Sicilia. Ma, dopo una falli­mentare impresa militare  contro i Normanni, dove lo stesso Innocenzo II fu vinto e fatto prigioniero  (22 luglio 1139), il papa fu costretto a ri­conoscere il regno normanno. L'accordo non piacque ai Romani. Così come gli stessi Romani non approvarono il papa quando si rifiutò di concedere loro il permesso di radere al suolo la città di Tivoli,  colpevole di una ribel­lione.

                I due papi seguenti, Celestino II (1143-44) e Lucio II (1144-45), ebbero un pontificato breve (5 mesi l'uno, 11 l'altro) e non furono in grado di ristabilire la pace. I Romani rifiutarono loro l'obbedienza  e diedero vita a un governo indipen­dente.

                Autorità della nuova Repubblica  (ottobre 1144) furono il Senato e il Patrizio. Per il Senato, che aveva carattere comunale-popolare, fu ristabila l'antica formula, "Senatus Populusque Romanus"; mentre la carica di Patricius, fino ad allora data all'imperatore, venne affi­data a un romano, a Giordano di Pierleone, fratello di Anacleto II, della opposizione popolare contro il papa.

                Alla morte di Lucio II (15/2/1145), nel pieno della lotta tra papa e Senato, i cardinali elessero Bernardo di Pisa, abate di S. Anastasio e discepolo di s. Bernardo; si chiamò Eugenio III (1145-53).

                Introniz­zato al Laterano, Eugenio III non potè però farsi consacrare a S. Pietro. Do­vette quindi lasciare Roma e si ritirò a Viterbo dove rimase fino alla fine di quell'anno  (1145). Alla fine si giunse ad un accordo per cui fu ri­cono­sciuta l'istituzione  del Senato e fu istituito l'ufficio del pre­fetto dipen­dente dal papa. Ma la pace non fu duratura per cui il papa, di nuovo, dovette abbandonare Roma.