TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

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Diritto Canonico

LIBRO VII

I PROCESSI 

PARTE PRIMA

I GIUDIZI IN GENERALE (Cann. 1400 - 1403)

 

Can. 1400 - §1. Oggetto del giudizio sono: 1) i diritti di persone fisiche o giuridiche da perseguire o da rivendicare, o fatti giuridici da dichiarare; 2) i delitti per quanto riguarda l'irrogazione e la dichiarazione della pena.

§2. Le controversie insorte per un atto di potestà amministrativa possono tuttavia essere deferite solo al Superiore o al tribunale amministrativo.

Can. 1401 - La Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica: 1) le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali; 2) la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato, per quanto concerne lo stabilirne la colpa ed infliggere pene ecclesiastiche.

Can. 1402 - Tutti i tribunali della Chiesa sono retti dai canoni seguenti, salve le norme dei tribunali della Sede Apostolica.

Can. 1403 - §1. Le cause di canonizzazione dei Servi di Dio, sono regolate da una legge pontificia peculiare.

§2. Alle stesse cause si applicano inoltre le disposizioni di questo Codice, ogniqualvolta in quella legge si rinvia al diritto universale, o si tratta di norme che per la natura stessa della cosa le riguardano.

TITOLO I

IL TRIBUNALE COMPETENTE (Cann. 1404 – 1416)

 

Can. 1404 - La prima Sede non è giudicata da nessuno.

Can. 1405 - §1. Il Romano Pontefice stesso ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause di cui al can. 1401: 1) i capi di Stato; 2) i Padri Cardinali; 3) i Legati della Sede Apostolica e nelle cause penali i Vescovi; 4) le altre cause che egli stesso abbia avocato al proprio giudizio.

§2. Il giudice non è competente a giudicare atti o strumenti confermati in forma specifica dal Romano Pontefice, salvo non ne abbia avuto prima mandato dal medesimo.

§3. È riservato al tribunale della Rota Romana giudicare: 1) i Vescovi nelle cause contenziose, fermo restando il disposto del can. 1419, §2 2) l'Abate primate o l'Abate superiore di una congregazione monastica, il Moderatore supremo di istituti religiosi di diritto pontificio; 3) le diocesi e le altre persone ecclesiastiche sia fisiche sia giuridiche che non hanno Superiore al di sotto del Romano Pontefice.

Can. 1406 - §1. Violato il disposto del can. 1404, atti e decisioni si ritengono come non fatti.

§2. Nelle cause di cui al can. 1405, l'incompetenza degli altri giudici è assoluta.

Can. 1407 - §1. Nessuno può essere chiamato in giudizio in prima istanza se non davanti al giudice ecclesiastico competente per uno dei titoli determinati nei cann. 1408-1414.

§2. Si dice relativa l'incompetenza del giudice, che non abbia l'appoggio di nessuno di questi titoli.

§3. L'attore segue il tribunale della parte convenuta; che se la parte convenuta abbia diversi tribunali competenti, all'attore è concessa la scelta del tribunale.

Can. 1408 - Chiunque può essere chiamato in giudizio avanti al tribunale del domicilio o del quasi-domicilio.

Can. 1409 - §1. Il tribunale del girovago è quello del luogo ove di fatto dimora.

§2. Colui del quale non si conosca né il domicilio o il quasi-domicilio, né il luogo della dimora, può essere chiamato in giudizio avanti al tribunale dell'attore, purché non risulti un altro tribunale legittimo.

Can. 1410 - A motivo della collocazione della cosa, la parte può essere chiamata in giudizio avanti al tribunale del luogo ove è situata la cosa che è oggetto di litigio, ogni qualvolta l'azione è diretta contro di essa o si tratta di azione di spoglio.

Can. 1411 - §1. A motivo del contratto la parte può essere chiamata in giudizio avanti al tribunale del luogo ove il contratto fu stipulato o dove deve essere adempiuto, a meno che le parti concordemente non abbiano scelto un altro tribunale.

§2. Se la causa verta su obblighi che provengono da altro titolo, la parte può essere chiamata in giudizio avanti al tribunale del luogo ove l'obbligo è sorto o deve essere adempiuto.

Can. 1412 - L'accusato nelle cause penali, benché assente, può essere chiamato in giudizio avanti al tribunale del luogo ove il delitto fu commesso.

Can. 1413 - La parte può essere chiamata in giudizio: 1) nelle cause vertenti sull'amministrazione dei beni, avanti al tribunale del luogo ove l'amministrazione viene fatta; 2) nelle cause che riguardano l'eredità o i legati pii, avanti al tribunale dell'ultimo domicilio o quasi-domicilio o della dimora, a norma dei cann. 1408-1409, di colui della cui eredità o legato pio si discute, a meno che non si tratti della semplice esecuzione del legato, che deve essere esaminata secondo le norme ordinarie della competenza.

Can. 1414 - A motivo della connessione, le cause tra loro connesse devono essere giudicate da un solo ed identico tribunale e nello stesso processo, a meno che non vi si opponga il disposto della legge.

Can. 1415 - A motivo della prevenzione, quando due o più tribunali sono egualmente competenti, ha diritto di giudicare la causa quel tribunale che per primo citò legittimamente la parte convenuta.

Can. 1416 - I conflitti di competenza tra due tribunali soggetti allo stesso tribunale di appello, sono risolti da questo tribunale; se non sono soggetti allo stesso tribunale di appello, dalla Segnatura Apostolica.

TITOLO II

DIFFERENTI GRADI E SPECIE DI TRIBUNALI (Cann. 1417 – 1445)

 

Can. 1417 - §1. In forza del primato del Romano Pontefice, qualunque fedele ha diritto di deferire al giudizio della Santa Sede la propria causa, sia contenziosa sia penale, in qualsiasi grado di giudizio e in qualunque stadio della lite, oppure d'introdurla avanti alla medesima.

§2. Il ricorso fatto alla Sede Apostolica non sospende tuttavia, salvo il caso di appello, l'esercizio della giurisdizione nel giudice che ha già cominciato a giudicare la causa; e questi può pertanto proseguire il giudizio fino alla sentenza definitiva, a meno che la Sede Apostolica non gli abbia comunicato di avere avocato a sé la causa.

Can. 1418 - Qualsiasi tribunale ha diritto di chiamare in aiuto un altro tribunale per istruire la causa o per intimare gli atti.

CAPITOLO I

 IL TRIBUNALE DI PRIMA ISTANZA

Articolo 1 - Il giudice

Can. 1419 - §1. In ciascuna diocesi e per tutte le cause non escluse espressamente dal diritto, giudice di prima istanza è il Vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziaria personalmente o tramite altri, secondo i canoni che seguono.

§2. Se poi si tratta di diritti o di beni temporali di una persona giuridica rappresentata dal Vescovo, giudica in primo grado il tribunale di appello.

Can. 1420 - §1. Tutti i Vescovi diocesani sono tenuti a costituire un Vicario giudiziale o Officiale con potestà ordinaria per giudicare, distinto dal Vicario generale a meno che l'esiguità della diocesi o lo scarso numero di cause non suggerisca altrimenti.

§2. Il Vicario giudiziale forma un unico tribunale con il Vescovo, ma non può giudicare le cause che il Vescovo riserva a sé.

§3. Al Vicario giudiziale possono essere dati degli aiutanti, detti Vicari giudiziali aggiunti o Vice-officiali.

§4. Sia il Vicario giudiziale sia i Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti, di integra fama, dottori o almeno licenziati in diritto canonico e che non abbiano meno di trent'anni.

§5. Essi non cessano dall'incarico quando la sede si rende vacante, né possono essere rimossi dall'Amministratore diocesano; venendo però il nuovo Vescovo devono essere riconfermati.

Can. 1421 - §1. Nella diocesi il Vescovo costituisca giudici diocesani chierici.

§2. La Conferenza Episcopale può permettere che anche dei fedeli laici siano costituiti giudici; di essi, se la necessità lo suggerisca, uno può essere assunto a formare un collegio.

§3. I giudici siano di integra fama e dottori in diritto canonico o almeno licenziati.

Can. 1422 - Il Vicario giudiziale, i Vicari giudiziali aggiunti e gli altri giudici sono nominati a tempo determinato, fermo restando il disposto del can. 1420, §5, e non possono essere rimossi se non per causa legittima e grave.

Can. 1423 - §1. Più Vescovi diocesani possono concordemente, con l'approvazione della Sede Apostolica, costituire nelle loro diocesi un unico tribunale di prima istanza, in luogo dei tribunali diocesani di cui ai cann. 1419-1421; nel qual caso a quel gruppo di Vescovi o al Vescovo da essi designato competono tutti i poteri che ha il Vescovo diocesano per il proprio tribunale.

§2. I tribunali di cui al §1, possono essere costituiti per tutte le cause oppure soltanto per determinati generi di cause.

Can. 1424 - Il giudice unico in qualunque giudizio può scegliersi come consulenti due assessori, chierici o laici di onesta condotta.

Can. 1425 - §1. Riprovata la consuetudine contraria, al tribunale collegiale di tre giudici sono riservate: 1) le cause contenziose: a) sul vincolo della sacra ordinazione e sugli oneri ad essa annessi; b) sul vincolo del matrimonio, fermo restando il disposto dei cann. 1686 e 1688; 2) le cause penali: a) sui delitti che possono comportare la pena della dimissione dallo stato clericale; b) per infliggere o dichiarare la scomunica.

§2. Il Vescovo può affidare le cause più difficili o di maggiore importanza al giudizio di tre o cinque giudici.

§3. Il Vicario giudiziale chiami i giudici a giudicare le singole cause secondo un turno ordinatamente stabilito, a meno che il Vescovo in casi singoli non abbia stabilito diversamente.

§4. In primo grado di giudizio, se eventualmente non si possa costituire un collegio, la Conferenza Episcopale, fintantoché una tale impossibilità perduri, può permettere che il Vescovo affidi la causa ad un unico giudice chierico, il quale si scelga, ove sia possibile, un assistente e un uditore.

§5. Il Vicario giudiziale non sostituisca i giudici una volta designati se non per gravissima causa, che deve essere espressa nel decreto.

Can. 1426 - §1. Il tribunale collegiale deve procedere collegialmente, e dare sentenze a maggioranza assoluta di voti.

§2. Lo deve presiedere, nella misura del possibile, il Vicario giudiziale o un Vicario giudiziale aggiunto.

Can. 1427 - §1. Se insorga una controversia tra religiosi o case dello stesso istituto religioso clericale di diritto pontificio, giudice di prima istanza, a meno che non si disponga altrimenti nelle costituzioni, è il Superiore provinciale, oppure, se si tratti di un monastero sui iuris, l'Abate locale.

§2. Salvo le costituzioni non dispongano diversamente, trattandosi di una questione contenziosa tra due province, in prima istanza giudicherà il Moderatore supremo personalmente o tramite un delegato; se tra due monasteri l'Abate superiore della congregazione monastica.

§3. Se infine insorga una controversia tra persone religiose fisiche o giuridiche di istituti religiosi diversi o anche dello stesso istituto clericale di diritto diocesano o laicale, oppure tra una persona religiosa e un chierico secolare o un laico o una persona giuridica secolare, giudica in prima istanza il tribunale diocesano.

Articolo 2 - Uditori e relatori

Can. 1428 - §1. Il giudice o il presidente del tribunale collegiale possono designare un uditore per svolgere l'istruttoria nella causa, scegliendolo tra i giudici del tribunale o tra le persone approvate dal Vescovo a tale incarico.

§2. Il Vescovo può approvare all'incarico di uditore chierici o laici, che rifulgano per buoni costumi, prudenza e dottrina.

§3. Spetta all'uditore, secondo il mandato del giudice, solo raccogliere le prove e una volta raccolte trasmetterle al giudice; può inoltre, a meno che non si opponga il mandato del giudice, decidere nel frattempo quali prove debbano essere raccolte e secondo quale metodo, se eventualmente sorga controversia in proposito durante l'esercizio delle sue funzioni.

Can. 1429 - Il presidente del tribunale collegiale deve designare tra i giudici del collegio un ponente o relatore che riferisca sulla causa nella riunione dei giudici e rediga per iscritto le sentenze; il presidente stesso lo può sostituire con un altro per giusta causa.

Articolo 3 - Promotore di giustizia, difensore del vincolo e notaio

Can. 1430 - Per le cause contenziose ove il bene pubblico può essere messo in pericolo, e per le cause penali si costituisca in diocesi il promotore di giustizia, che ha il dovere di tutelare il bene pubblico.

Can. 1431 - §1. Nelle cause contenziose spetta al Vescovo diocesano giudicare se il bene pubblico possa essere messo in pericolo o no, a meno che l'intervento del promotore di giustizia non sia prescritto dalla legge o si renda evidentemente necessario per la natura della cosa.

§2. Se nella precedente istanza è intervenuto il promotore di giustizia, nel grado successivo il suo intervento si presume necessario.

Can. 1432 - Per le cause in cui si tratta della nullità della sacra ordinazione o della nullità o dello scioglimento del matrimonio sia costituito in diocesi il difensore del vincolo, che deve proporre ed esporre tutti gli argomenti che possono essere ragionevolmente addotti contro la nullità o lo scioglimento.

Can. 1433 - Nelle cause dove è richiesta la presenza del promotore di giustizia o del difensore del vincolo, se non furono citati, gli atti sono nulli, a meno che, benché non citati, essi siano di fatto intervenuti, o almeno prima della sentenza abbiano potuto svolgere il loro compito dopo aver esaminato gli atti.

Can. 1434 - Se non si disponga espressamente altro: 1) ogniqualvolta la legge prescrive che il giudice ascolti le parti o una di esse, anche il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, se intervengono in giudizio, devono essere ascoltati; 2) ogniqualvolta si richiede l'istanza della parte perché il giudice possa definire qualcosa, l'istanza del promotore di giustizia o del difensore del vincolo, che intervengono in giudizio, ha lo stesso valore.

Can. 1435 - Spetta al Vescovo nominare il promotore di giustizia e il difensore del vincolo; essi siano chierici o laici, di integra fama, dottori o licenziati in diritto canonico e di provata prudenza e sollecitudine per la giustizia.

Can. 1436 - §1. La stessa persona, ma non nella stessa causa, può avere l'incarico di promotore di giustizia e di difensore del vincolo.

§2. Promotore e difensore possono essere costituiti sia per tutte le cause sia per singole cause; possono poi essere rimossi dal Vescovo per un giusto motivo.

Can. 1437 - §1. In qualunque processo intervenga il notaio, così che si ritengano nulli gli atti se non furono da lui sottoscritti.

§2. Gli atti che i notai redigono fanno fede pubblica.

CAPITOLO II

 IL TRIBUNALE DI SECONDA ISTANZA

Can. 1438 - Fermo restando il disposto del can. 1444, §1, n.1: 1) dal tribunale del Vescovo suffraganeo si appella al tribunale del Metropolita, salvo il disposto del can. 1439; 2) nelle cause trattate in prima istanza avanti al Metropolita si appella al tribunale che egli stesso abbia, con l'approvazione della Sede Apostolica, stabilmente designato; 3) per le cause fatte avanti al Superiore provinciale il tribunale di seconda istanza è presso il Moderatore supremo; per le cause fatte avanti all'Abate locale è presso l'Abate superiore della congregazione monastica.

Can. 1439 - §1. Se fu costituito un tribunale unico di prima istanza per più diocesi, a norma del can. 1423, la Conferenza Episcopale deve costituire con l'approvazione della Sede Apostolica un tribunale di seconda istanza, a meno che tutte quelle diocesi non siano suffraganee della stessa archidiocesi.

§2. La Conferenza Episcopale può costituire, con la approvazione della Sede Apostolica, uno o più tribunali di seconda istanza, anche oltre i casi di cui al §1.

§3. Per quanto riguarda i tribunali di seconda istanza di cui ai §§1 e 2, la Conferenza Episcopale o il Vescovo da essa designato hanno tutti i poteri che ha il Vescovo diocesano per il suo tribunale.

Can. 1440 - Se la competenza relativa al grado di giudizio non viene osservata a norma dei cann. 1438 e 1439, l'incompetenza del giudice è assoluta.

Can. 1441 - Il tribunale di seconda istanza deve essere costituito alla stessa maniera del tribunale di prima istanza. Se tuttavia nel primo grado di giudizio secondo il can. 1425, §4, emanò la sentenza un giudice unico, il tribunale di seconda istanza proceda collegialmente.

CAPITOLO III

 I TRIBUNALI DELLA SEDE APOSTOLICA

Can. 1442 - Il Romano Pontefice è giudice supremo in tutto l'orbe cattolico, e giudica o personalmente o tramite i tribunali ordinari della Sede Apostolica oppure per mezzo di giudici da lui delegati!

Can. 1443 - Il tribunale ordinario costituito dal Romano Pontefice per ricevere gli appelli è la Rota Romana.

Can. 1444 - §1. La Rota Romana giudica: 1) in seconda istanza le cause giudicate dai tribunali ordinari di prima istanza e deferite alla Santa Sede per legittimo appello; 2 in terza o ulteriore istanza le cause già giudicate dalla stessa Rota Romana e da qualunque altro tribunale, a meno che la cosa non sia passata in giudicato.

§2. Questo tribunale giudica anche in prima istanza le cause di cui al can. 1405, §3, o le altre cause che il Romano Pontefice sia motu proprio sia ad istanza delle parti avocò al suo tribunale ed affidò alla Rota Romana; e queste, la Rota stessa le giudica anche in seconda ed ulteriore istanza, salvo che nel rescritto di commissione non si sia disposto altrimenti.

Can. 1445 - §1. Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica giudica: 1) le querele di nullità, le richieste di restitutio in integrum ed altri ricorsi contro le sentenze rotali; 2) i ricorsi nelle cause sullo stato delle persone, che la Rota Romana rifiutò di ammettere a nuovo esame; 3) le eccezioni di sospetto ed altre cause contro gli Uditori della Rota Romana per gli atti posti durante l'esercizio delle loro funzioni; 4) i conflitti di competenza di cui al can. 1416.

§2. Lo stesso Tribunale dirime le contese sorte per un atto di potestà amministrativa ecclesiastica, ad esso legittimamente deferite, le altre controversie amministrative ad esso deferite dal Romano Pontefice o dai dicasteri della Curia Romana e il conflitto di competenza tra gli stessi dicasteri.

§3. Spetta inoltre a questo supremo tribunale: 1) vigilare sulla retta amministrazione della giustizia e prendere provvedimenti, se necessario, contro avvocati e procuratori; 2) prorogare la competenza dei tribunali; 3) promuovere ed approvare l'erezione dei tribunali di cui ai cann. 1423 e 1439.

TITOLO III

LA DISCIPLINA CHE DEVE ESSERE OSSERVATA NEI TRIBUNALI (Cann. 1446 – 1475)

 

CAPITOLO I

 L'UFFICIO DEI GIUDICI E DEI MINISTRI DEL TRIBUNALE

Can. 1446 - §1. Tutti i fedeli, ma in primo luogo i Vescovi, s'impegnino assiduamente perché, salva la giustizia, siano evitate, per quanto è possibile, le liti nel popolo di Dio e si compongano al più presto pacificamente.

§2. Il giudice sul nascere della lite ed anche in qualunque altro momento, ogni volta che scorga qualche speranza di buon esito, non lasci di esortare le parti e di aiutarle a cercare di comune accordo un'equa soluzione della controversia, e indichi loro le vie idonee a tal proposito, servendosi eventualmente anche di persone autorevoli per la mediazione.

§3. Che se la lite verta sul bene privato delle parti, il giudice veda se con la transazione o il giudizio arbitrale, a norma dei cann. 1713-1716, possa concludersi vantaggiosamente.

Can. 1447 - Chi è intervenuto in una causa come giudice, promotore di giustizia, difensore del vincolo, procuratore, avvocato, teste o perito, non può in seguito validamente definire la stessa causa in altra istanza come giudice o svolgere in essa la funzione di assessore.

Can. 1448 - §1. Il giudice non accetti di giudicare una causa che in qualche modo lo riguarda in ragione di vincoli di consanguineità o affinità in qualunque grado della linea retta e fino al quarto grado della linea collaterale, o in ragione di tutela e curatela, di convivenza, di grave inimicizia, oppure a scopo di guadagno o per evitare un danno.

§2. Nelle medesime circostanze devono astenersi dal loro ufficio il promotore di giustizia, il difensore del vincolo, l'assessore e l'uditore.

Can. 1449 - §1. Nei casi di cui al can. 1448, se il giudice stesso non si astiene, la parte lo può ricusare.

§2. Circa la ricusazione decide il Vicario giudiziale; se è lui stesso ad essere ricusato decide il Vescovo che presiede il tribunale.

§3. Se il Vescovo stesso è giudice e contro di lui va la ricusazione, si astenga dal giudicare.

§4. Se la ricusazione viene fatta contro il promotore di giustizia, il difensore del vincolo o gli altri ministri del tribunale, su questa eccezione decide il presidente del tribunale collegiale o il giudice stesso, se è unico.

Can. 1450 - Ammessa la ricusazione, le persone devono essere sostituite, ma non cambia il grado di giudizio.

Can. 1451 - §1. La questione circa la ricusazione deve essere definita con la massima celerità, udite le parti, il promotore di giustizia o il difensore del vincolo, se intervengono in causa e non siano stati essi stessi ricusati.

§2. Gli atti posti dal giudice prima d'essere ricusato sono validi; quelli posti dopo che fu proposta la ricusazione devono essere rescissi se la parte lo chieda entro dieci giorni dall'ammissione della ricusazione.

Can. 1452 - §1. In un affare che interessa soltanto privati, il giudice può procedere solo ad istanza della parte. Ma se la causa fu legittimamente introdotta, il giudice può e deve procedere anche d'ufficio nelle cause penali e nelle altre cause che vertano sul bene pubblico della Chiesa o sulla salvezza delle anime.

§2. Il giudice inoltre può supplire la negligenza delle parti nell'addurre le prove o nell'opporre eccezioni, ogniqualvolta ritenga che ciò sia necessario ad evitare una sentenza gravemente ingiusta, ferme restando le disposizioni del can. 1600.

Can. 1453 - Giudici e tribunali provvedano affinché, salva la giustizia, tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza.

Can. 1454 - Tutti coloro che compongono il tribunale o in esso collaborano devono prestare giuramento di adempiere convenientemente e fedelmente l'ufficio.

Can. 1455 - §1. I giudici e gli aiutanti del tribunale sono tenuti a mantenere il segreto d'ufficio, nel giudizio penale sempre, nel contenzioso poi se dalla rivelazione di qualche atto processuale possa derivare pregiudizio alle parti.

§2. Sono anche sempre tenuti a mantenere il segreto sulla discussione che si ha tra i giudici nel tribunale collegiale prima di dare la sentenza, e anche sui vari suffragi e sulle opinioni ivi pronunciate, fermo restando il disposto del can. 1609, §4.

§3. Anzi ogniqualvolta la causa o le prove siano di tal natura che dalla divulgazione degli atti o delle prove sia messa in pericolo la fama altrui, o si dia occasione a dissidi, o sorga scandalo o altri simili inconvenienti, il giudice può vincolare con il giuramento di mantenere il segreto i testi, i periti, le parti e i loro avvocati o procuratori.

Can. 1456 - Al giudice e a tutti i ministri del tribunale è proibito accettare qualunque regalo in occasione dello svolgimento del giudizio.

Can. 1457 - §1. I giudici che, essendo sicuramente ed evidentemente competenti, si rifiutano di giudicare, o che non sorretti da alcuna disposizione del diritto si dichiarano competenti e giudicano e definiscono le cause, oppure violano la legge del segreto, o per dolo o negligenza grave procurano altro danno ai contendenti, possono essere puniti dall'autorità competente con congrue pene, non esclusa la privazione dell'ufficio.

§2. Alle medesime sanzioni sono soggetti i ministri e gli aiutanti del tribunale, se fossero venuti meno al loro dovere come sopra; tutti questi anche il giudice li può punire.

CAPITOLO II

 L'ORDINE DA SEGUIRE NEL GIUDICARE LE CAUSE

Can. 1458 - Le cause devono essere giudicate nell'ordine secondo il quale furono proposte e scritte nell'elenco, a meno che alcuna di esse esiga una trattazione più rapida rispetto alle altre, il che deve però essere stabilito con speciale decreto corredato dalle motivazioni.

Can. 1459 - §1. I vizi, per i quali si può avere la nullità della sentenza, possono essere eccepiti e anche dichiarati d'ufficio dal giudice in qualunque stadio o grado del giudizio.

§2. Oltre i casi di cui al §1, le eccezioni dilatorie, soprattutto quelle che riguardano le persone e le modalità del giudizio, devono essere proposte prima della contestazione della lite, a meno che non siano emerse per la prima volta a lite già contestata, e devono essere definite al più presto.

Can. 1460 - §1. Se è proposta una eccezione contro la competenza del giudice, della cosa deve decidere il giudice stesso.

§2. In caso di eccezione di incompetenza relativa, se il giudice si dichiara competente, la sua decisione non ammette appello, ma non sono proibite la querela di nullità e la restitutio in integrum.

§3. Che se il giudice si dichiara incompetente, la parte che si ritiene onerata, entro quindici giorni di tempo utile può ricorrere al tribunale di appello.

Can. 1461 - Il giudice che in qualunque stadio della causa si riconosca incompetente d'incompetenza assoluta, deve dichiarare la propria incompetenza.

Can. 1462 - §1. Le eccezioni di cosa giudicata, di transazione e le altre perentorie dette litis finitae devono essere proposte ed esaminate prima della contestazione della lite; chi le sollevasse più tardi non deve essere respinto, ma sia condannato a pagare le spese, a meno che non provi di non aver maliziosamente differito l'opposizione.

§2. Le altre eccezioni perentorie siano proposte nella contestazione della lite, e devono essere a suo tempo trattate secondo le regole proprie delle questioni incidentali.

Can. 1463 - §1. Le azioni riconvenzionali non possono essere validamente poste, se non entro trenta giorni dalla avvenuta contestazione della lite.

§2. Le medesime siano poi giudicate insieme all'azione convenzionale, cioè in pari grado con essa, a meno che non sia necessario giudicarle separatamente o il giudice lo abbia ritenuto più opportuno.

Can. 1464 - Le questioni relative alla cauzione da dare sulle spese giudiziali, o alla concessione del gratuito patrocinio, richiesto subito da principio, ed altre simili devono essere giudicate di regola prima della contestazione della lite.

CAPITOLO III

 TERMINI E DILAZIONI

Can. 1465 - §1. I così detti fatalia legis, cioè i termini costituiti dalla legge per la perenzione dei diritti, non possono essere prorogati, né possono essere validamente ridotti se non lo richiedano le parti.

§2. I termini giudiziari e convenzionali invece, prima della loro decadenza, possono essere prorogati dal giudice intervenendo una giusta causa, udite le parti o a loro richiesta, ma non possono essere mai validamente ridotti, senza il consenso delle parti.

§3. Il giudice provveda tuttavia affinché la lite non si protragga troppo a lungo a causa della proroga.

Can. 1466 - Dove la legge non fissa termini per il compimento degli atti processuali, li deve stabilire il giudice, tenuto conto della natura di ciascun atto.

Can. 1467 - Se nel giorno notificato per un atto processuale il tribunale non abbia lavorato, il termine s'intende prorogato al primo giorno non festivo seguente.

CAPITOLO IV

 IL LUOGO DEL GIUDIZIO

Can. 1468 - Ciascun tribunale abbia una sede per quanto è possibile stabile, che sia aperta ad ore stabilite.

Can. 1469 - §1. Il giudice espulso con la violenza dal suo territorio o impedito di esercitare in esso la giurisdizione, può esercitare la sua giurisdizione fuori del territorio ed emanare sentenze, dopo aver tuttavia di ciò informato il Vescovo diocesano.

§2. Oltre il caso di cui al §1, il giudice, per giusta causa e dopo aver udite le parti, può anche recarsi fuori del proprio territorio per acquisire le prove, su licenza tuttavia del Vescovo diocesano del luogo dove intende andare e nella sede designata dal medesimo.

CAPITOLO V

 LE PERSONE DA AMMETTERSI IN AULA, MODALITÀ PER LA REDAZIONE E LA CONSERVAZIONE DEGLI ATTI

Can. 1470 - §1. Salvo che la legge particolare non disponga altrimenti, durante lo svolgimento delle cause avanti al tribunale siano ammesse in aula quelle persone soltanto che la legge o il giudice abbiano stabilito essere necessarie per il compimento del processo.

§2. Il giudice può richiamare al loro dovere con congrue pene tutte le persone presenti al giudizio che abbiano gravemente mancato al rispetto e all'obbedienza dovuti al tribunale, ed inoltre anche sospendere dall'esercizio del loro incarico avanti ai tribunali ecclesiastici avvocati e procuratori.

Can. 1471 - Se qualche persona da interrogare usi una lingua sconosciuta al giudice o alle parti, si ricorra ad un interprete giurato designato dal giudice. Le dichiarazioni siano tuttavia redatte per iscritto nella lingua originaria e vi si aggiunga la traduzione. Si ricorra parimenti all'interprete qualora si debba interrogare un sordo o un muto, a meno che il giudice eventualmente non preferisca che risponda alle domande postegli per iscritto.

Can. 1472 - §1. Gli atti giudiziari, sia quelli relativi al merito della questione o atti di causa, sia quelli attinenti alla procedura o atti del processo, devono essere redatti per iscritto.

§2. Le singole pagine degli atti siano numerate e autenticate.

Can. 1473 - Ogniqualvolta negli atti giudiziari è richiesta la firma delle parti o dei testimoni, se una parte o un testimone non può o non vuole sottoscrivere, lo si annoti negli atti stessi, e nello stesso tempo giudice e notaio facciano fede che l'atto stesso fu letto parola per parola alla parte o al testimone e che questi non poterono o non vollero firmare.

Can. 1474 - §1. In caso di appello, un esemplare degli atti, della cui autenticità abbia fatto fede il notaio, sia inviato al tribunale superiore.

§2. Se gli atti furono scritti in una lingua sconosciuta al tribunale superiore, siano tradotti in lingua nota al medesimo, usando le dovute cautele affinché consti che la traduzione è fedele.

Can. 1475 - §1. Terminato il giudizio i documenti che sono proprietà di privati devono essere restituiti, conservandone però un esemplare.

§2. È fatto divieto ai notai e al cancelliere di rilasciare senza il mandato del giudice copia degli atti giudiziari e dei documenti acquisiti al processo.

TITOLO IV

LE PARTI NELLA CAUSA (Cann. 1476 – 1490)

 

CAPITOLO I

 ATTORE E CONVENUTO

Can. 1476 - Chiunque, sia battezzato sia non battezzato, può agire in giudizio; la parte poi legittimamente chiamata in giudizio deve rispondere.

Can. 1477 - benché l'attore o la parte convenuta si siano costituiti un procuratore od un avvocato, devono tuttavia sempre presenziare personalmente in giudizio secondo il disposto del diritto o del giudice.

Can. 1478 - §1. I minori e coloro che non hanno l'uso di ragione, possono stare in giudizio soltanto tramite i loro genitori o i tutori o i curatori, salvo il disposto del §3.

§2. Se il giudice reputa che i loro diritti siano in conflitto con i diritti dei genitori, dei tutori o dei curatori, o che questi non possano sufficientemente tutelarne i diritti, stiano in giudizio tramite un tutore o un curatore assegnato dal giudice.

§3. Ma nelle cause spirituali e connesse alle spirituali, se i minorenni hanno raggiunto l'uso di ragione, possono agire e rispondere senza il consenso dei genitori o dei tutori, anzi personalmente se hanno compiuto i quattordici anni di età; se non li hanno ancora compiuti, per il tramite di un curatore costituito dal giudice.

§4. Gli interdetti dall'amministrazione dei beni e gli infermi di mente, possono stare in giudizio personalmente solo per rispondere dei propri delitti o per disposizione del giudice; per tutto il resto devono agire e rispondere per il tramite dei loro curatori.

Can. 1479 - Ogniqualvolta vi è un tutore o un curatore costituito dall'autorità civile, il medesimo può essere ammesso dal giudice ecclesiastico, udito, se possibile, il Vescovo diocesano di colui al quale fu dato; che se non vi sia o non si ritenga di doverlo ammettere, il giudice stesso designerà un tutore o un curatore per la causa.

Can. 1480 - §1. Le persone giuridiche stanno in giudizio per il tramite dei loro legittimi rappresentanti.

§2. Nel caso poi non vi sia rappresentante o sia negligente, l'Ordinario stesso personalmente o tramite altro può stare in giudizio a nome delle persone giuridiche soggette alla sua potestà.

CAPITOLO II

 PROCURATORI ALLE LITI E AVVOCATI

Can. 1481 - §1. La parte può liberamente costituirsi un avvocato e un procuratore; può tuttavia, oltre i casi stabiliti nei §§2 e 3, anche agire e rispondere personalmente, a meno che il giudice non abbia ritenuto necessaria l'assistenza di un procuratore o di un avvocato.

§2. Nel giudizio penale l'accusato deve sempre avere un avvocato, che si sia egli stesso costituito o assegnato a lui dal giudice.

§3. Nel giudizio contenzioso, se si tratti di minori o di un giudizio vertente circa il bene pubblico ad eccezione delle cause matrimoniali, il giudice costituisca d'ufficio un difensore alla parte che non l'abbia.

Can. 1482 - §1. Ognuno può costituirsi un solo procuratore, a questi non è consentito di farsi sostituire da un altro, a meno che non gliene sia stata data espressamente facoltà.

§2. Che se tuttavia, suggerendolo una giusta causa, la stessa persona ne abbia costituito parecchi, questi siano designati in modo che tra di loro abbia luogo la prevenzione.

§3. È possibile invece costituire più avvocati allo stesso tempo.

Can. 1483 - Procuratore ed avvocato devono essere maggiorenni e di buona fama; l'avvocato deve inoltre essere cattolico, a meno che il Vescovo diocesano non permetta altrimenti, e dottore in diritto canonico, o in caso contrario veramente esperto, ed approvato dal Vescovo stesso.

Can. 1484 - §1. Procuratore ed avvocato prima di assumere l'incarico, devono depositare presso il tribunale un mandato autentico.

§2. Per impedire tuttavia l'estinguersi di un diritto il giudice può ammettere un procuratore anche senza che abbia presentato il mandato, previe idonee garanzie, se del caso; l'atto però non ha alcun valore se nel termine perentorio da stabilirsi dal giudice, il procuratore non esibisca regolarmente il mandato.

Can. 1485 - Se non abbia avuto un mandato speciale, il procuratore non può validamente rinunciare all'azione, all'istanza o agli atti giudiziali, né può fare transazioni, patti, compromessi arbitrali ed in genere quelle cose per le quali il diritto richiede un mandato speciale.

Can. 1486 - §1. La rimozione del procuratore o dell'avvocato per avere effetto deve essere loro intimata, e, se la lite fu già contestata, della rimozione siano informati il giudice e la parte avversa.

§2. Emanata la sentenza definitiva, il diritto e il dovere di appellare, se il mandante non si opponga, resta al procuratore.

Can. 1487 - Sia il procuratore sia l'avvocato possono essere rimossi dal giudice d'ufficio o ad istanza della parte con l'emanazione di un decreto, ciò tuttavia per una causa grave.

Can. 1488 - §1. È fatto divieto ad entrambi di trarre dalla propria parte la lite con denaro, oppure di pattuire per sé un emolumento esagerato o pretendendo una parte della cosa che è oggetto del litigio. Se lo facessero, il patto è nullo e potranno essere multati dal giudice con un'ammenda. L'avvocato inoltre può essere sospeso dall'ufficio, e, se sia recidivo, anche essere cancellato dall'albo degli avvocati.

§2. Allo stesso modo possono essere puniti avvocati e procuratori che, eludendo la legge, sottraggono ai tribunali competenti le cause perché siano definite da altri più favorevolmente.

Can. 1489 - Avvocati e procuratori che a causa di doni, promesse o per qualunque altro motivo abbiano tradito il loro ufficio, siano sospesi dall'esercizio del patrocinio e siano puniti con un'ammenda o con altre congrue pene.

Can. 1490 - In ciascun tribunale si costituiscano, per quanto è possibile, patroni stabili, stipendiati dallo stesso tribunale, che esercitino l'incarico di avvocati o procuratori nelle cause soprattutto matrimoniali per le parti che di preferenza desiderino sceglierli.

TITOLO V

AZIONI ED ECCEZIONI (Cann. 1491 – 1500)

 

CAPITOLO I

 AZIONI ED ECCEZIONI IN GENERE

Can. 1491 - Ogni diritto è protetto non soltanto da un'azione, ma anche da un'eccezione, a meno che non sia disposto espressamente altro.

Can. 1492 - §1. Ogni azione si estingue con la prescrizione a norma del diritto o in altro legittimo modo, fatta eccezione per le azioni sullo stato delle persone che non si estinguono mai.

§2. L'eccezione, salvo il disposto del can. 1462, è sempre possibile e per la sua stessa natura è perpetua.

Can. 1493 - L'attore può convenire un altro con più azioni simultanee, tuttavia tra loro non contrarie, sia sulla stessa cosa sia in materie diverse, se non oltrepassino i limiti della competenza del tribunale cui accede.

Can. 1494 - §1. La parte convenuta può intraprendere un'azione riconvenzionale avanti allo stesso giudice e nello stesso giudizio contro l'attore, o per il nesso della causa con l'azione principale, oppure per far ritirare o ridurre la domanda dell'attore.

§2. Non è permesso all'attore riconvenuto di riconvenire a sua volta la parte avversa.

Can. 1495 - L'azione riconvenzionale deve essere proposta al giudice avanti al quale fu intrapresa la prima azione, anche se delegato soltanto ad un'unica causa o per altri motivi relativamente incompetente.

CAPITOLO II

 AZIONI ED ECCEZIONI IN SPECIE

Can. 1496 - §1. Chi avrà dimostrato con argomenti almeno probabili di avere diritto ad una qualche cosa in possesso altrui, e che è imminente per lui un danno se quella cosa non sia consegnata in custodia, ha diritto di ottenerne dal giudice il sequestro.

§2. In analoghe circostanze può ottenere che sia inibito a un terzo l'esercizio di un diritto.

Can. 1497 - §1. Il sequestro della cosa è ammesso anche per assicurare un credito, purché consti sufficientemente del diritto del creditore.

§2. Il sequestro può estendersi anche ai beni del debitore che si trovino a qualunque titolo presso terze persone, e ai crediti del debitore.

Can. 1498 - Il sequestro della cosa e l'inibizione all'esercizio del diritto non possono assolutamente essere decisi, se il danno temuto possa essere altrimenti riparato o se ne dia idonea garanzia.

Can. 1499 - Il giudice può imporre a colui al quale concede il sequestro della cosa o l'inibizione all'esercizio del diritto, una cauzione previa sui danni da risarcire in caso non abbia provato il suo diritto.

Can. 1500 - Per quanto concerne la natura e il valore dell'azione possessoria, si osservino le disposizioni del diritto civile del luogo ov'è situata la cosa del cui possesso si tratta.

TITOLO I

L'INTRODUZIONE DELLA CAUSA (Cann. 1501 – 1512)

 

CAPITOLO I

 IL LIBELLO INTRODUTTORIO DELLA LITE

Can. 1501 - Il giudice non può esaminare alcuna causa, se non gli venga presentata, a norma dei canoni, una domanda da chi ha interesse o dal promotore di giustizia.

1502

Can. 1502 - Chi vuol convenire qualcuno deve presentare al giudice competente un libello in cui si proponga l'oggetto della controversia e si richieda il ministero del giudice.

Can. 1503 - §1. Il giudice può ammettere la domanda orale, ogniqualvolta o l'attore sia impedito di presentare il libello o la causa comporti una ricerca facile e sia di minor importanza.

§2. In ambo i casi tuttavia il giudice ordini al notaio di redigere un atto per iscritto, che deve essere letto all'attore e da questi approvato, e che sostituisce a tutti gli effetti di diritto il libello scritto dall'attore.

Can. 1504 - Il libello con il quale s'introduce la lite deve: 1) esprimere avanti a quale giudice la causa viene introdotta, che cosa si chiede e da chi; 2) indicare su quale diritto si fonda l'attore, e almeno per sommi capi fatti e prove per dimostrare quanto e asserito; 3) essere sottoscritta dall'attore o dal suo procuratore, apponendovi giorno, mese e anno, nonché il luogo ove l'attore o il procuratore abitano o dissero di risiedere per ricevere gli atti; 4) indicare il domicilio o il quasi-domicilio del convenuto.

Can. 1505 - §1. Il giudice unico o il presidente del tribunale collegiale, dopo aver constatato che la cosa è di sua competenza e che all'attore non manca la capacità legittima di stare in giudizio, deve al più presto con un suo decreto ammettere o respingere il libello.

§2. Il libello può essere respinto soltanto: 1) se il giudice o il tribunale sono incompetenti; 2) se consta senza dubbio che all'attore manca la capacità legittima di stare in giudizio; 3) se non sono state osservate le disposizioni del can. 1504, nn. 1-3; 4) se è sicuramente manifesto dal libello stesso che che la domanda manca di qualunque fondamento, né potrà accadere che alcun fondamento venga fuori dal processo.

§3. Se il libello fu respinto a causa di difetti che possono essere emendati, l'attore può nuovamente esibire allo stesso giudice un altro libello correttamente redatto.

§4. Contro la reiezione del libello, la parte ha sempre diritto di interporre ricorso corredato di motivazioni, entro il tempo utile di dieci giorni o al tribunale d'appello o al collegio se il libello fu respinto dal presidente; la questione poi della reiezione deve essere definita con la massima celerità.

Can. 1506 - Se il giudice entro un mese dalla presentazione del libello non ha emesso il decreto, con il quale ammette o respinge il libello a norma del can. 1505, la parte interessata può fare istanza perché il giudice adempia il suo compito; che se ciononostante il giudice taccia, trascorsi inutilmente dieci giorni dalla data dell'istanza, il libello si consideri ammesso.

CAPITOLO II

 CITAZIONE E INTIMAZIONE DEGLI ATTI GIUDIZIARI

Can. 1507 - §1. Nel decreto con il quale si ammette il libello dell'attore, il giudice o il presidente deve chiamare in giudizio ovvero citare le altre parti per la contestazione della lite, stabilendo se debbano rispondere per iscritto o presentandosi davanti a lui per concordare i dubbi. Che se dalle risposte scritte veda la necessità di convocare le parti, lo può stabilire con un nuovo decreto.

§2. Se il libello si considera accolto a norma del can. 1506, il decreto di citazione in giudizio deve essere dato entro venti giorni dal momento in cui fu fatta l'istanza, di cui in quel canone.

§3. Che se le parti contendenti di fatto si presentino davanti al giudice per fare la causa, non c'è bisogno di citazione, ma l'attuario metta agli atti che le parti furono presenti in giudizio.

Can. 1508 - §1. Il decreto di citazione in giudizio deve essere subito notificato alla parte convenuta e contemporaneamente reso noto agli altri che devono comparire.

§2. Alla citazione si aggiunga il libello introduttorio della lite, a meno che il giudice per cause gravi non ritenga che non si debba rendere noto alla parte il libello prima che questa abbia deposto in giudizio.

§3. Se si fa causa a una persona che non ha il libero esercizio dei suoi diritti, o la libera amministrazione delle cose in questione, la citazione deve essere intimata, a seconda dei casi, al tutore, al curatore, al procuratore speciale ovvero a chi è tenuto a norma di diritto ad incaricarsi del giudizio a nome della medesima.

Can. 1509 - §1. La notificazione di citazioni, decreti, sentenze, ed altri atti giudiziari deve essere fatta tramite i servizi postali o in altro modo assolutamente sicuro, osservate le norme stabilite per legge particolare.

§2. Del fatto della notificazione e del modo in cui essa fu fatta deve constare agli atti.

Can. 1510 - Il convenuto che si rifiuta di ricevere la scheda di citazione o impedisce alla citazione di raggiungerlo, si consideri legittimamente citato.

Can. 1511 - Se la citazione non fu legittimamente notificata, gli atti del processo sono nulli, salvo il disposto del can. 1507, §3.

Can. 1512 - Notificata legittimamente la citazione o presentatesi le parti davanti al giudice per fare la causa: 1) la cosa cessa di essere integra; 2) la causa diventa propria di quel giudice o di quel tribunale per altro competente, avanti al quale fu introdotta l'azione; 3 la potestà del giudice delegato si rende stabile, di modo che non cessa con il venir meno del diritto del delegante; 4) s'interrompe la prescrizione, a meno che non sia disposto altrimenti; 5) la lite comincia ad essere aperta; pertanto vale immediatamente il principio: lite pendente nihil innovetur.

TITOLO II

LA CONTESTAZIONE DELLA LITE (Cann. 1513 – 1516)

 

Can. 1513 - §1. Si ha la contestazione della lite, quando con un decreto del giudice si definiscono i termini della controversia, desunti dalle richieste e dalle risposte delle parti.

§2. Le richieste e le risposte, oltre che nel libello introduttorio della lite, possono essere espresse o nella risposta alla citazione o in dichiarazioni fatte a voce avanti al giudice; ma nelle cause più difficili le parti devono essere convocate dal giudice per concordare il dubbio o i dubbi, a cui si dovrà rispondere nella sentenza.

§3. Il decreto del giudice deve essere notificato alle parti, le quali, salvo che non si siano già dichiarate consenzienti, possono ricorrere entro dieci giorni al giudice perché sia mutato; la questione deve poi essere definita con decreto del giudice stesso con la massima celerità.

Can. 1514 - I termini della controversia una volta stabiliti non possono essere validamente mutati, se non con un nuovo decreto, per una causa grave, ad istanza di una parte dopo aver udito le altre parti ed averne soppesato le ragioni.

Can. 1515 - Contestata la lite il possessore di un bene altrui cessa di essere in buona fede; pertanto se è condannato a restituire la cosa, deve rendere anche i frutti dal giorno della contestazione della lite e risarcire i danni.

Can. 1516 - Contestata la lite, il giudice stabilisca alle parti un congruo spazio di tempo per proporre e completare le prove.

TITOLO III

Della istanza giudiziale (Cann. 1517 – 1525)

Can. 1517 - L'inizio dell'istanza avviene con la citazione; la fine non si ha soltanto con la sentenza definitiva, ma anche negli altri modi stabiliti dal diritto.

Can. 1518 - Se una parte contendente muoia, o cambi stato o cessi dall'ufficio in ragione del quale agisce: 1) a causa non ancora conclusa, l'istanza è sospesa fino a che sia riassunta la lite dall'erede del defunto, dal successore o dall'avente interesse; 2) a causa conclusa, il giudice deve procedere oltre, dopo aver citato il procuratore, se vi sia, altrimenti l'erede del defunto o il successore.

Can. 1519 - §1. Se cessino dall'incarico il tutore o il curatore o il procuratore, che sia necessario a norma del can. 1481, §§1 e 3, l'istanza è nel frattempo sospesa.

§2. Il giudice costituisca al più presto un altro tutore o curatore; può poi costituire un procuratore alla lite se la parte abbia trascurato di farlo entro un breve termine di tempo stabilito dal giudice stesso.

Can. 1520 - Se nessun atto processuale sia posto dalle parti per sei mesi, senza che vi si opponga alcun impedimento, l'istanza va in perenzione. La legge particolare può stabilire altri termini per la perenzione.

Can. 1521 - La perenzione ha effetto per il diritto stesso e contro tutti, anche minorenni o ad essi equiparati, e deve anche essere dichiarata d'ufficio, salvo il diritto di chiedere indennità contro i tutori, curatori, amministratori, procuratori, i quali non abbiano dimostrato di non averne colpa.

Can. 1522 - La perenzione estingue gli atti del processo, ma non gli atti della causa; anzi questi possono avere valore anche in una successiva istanza, purché essa si svolga tra le stesse persone e sullo stesso oggetto; ma per ciò che riguarda gli estranei, non hanno altro valore se non di documenti.

Can. 1523 - Le spese del giudizio andato in perenzione sono rispettivamente a carico di ciascuno dei contendenti nella misura in cui furono fatte dai medesimi.

Can. 1524 - §1. In qualunque stadio e grado del giudizio l'attore può rinunciare all'istanza; anzi sia l'attore sia la parte convenuta possono rinunciare agli atti del processo, sia a tutti sia ad alcuni soltanto.

§2. Tutori e amministratori di persone giuridiche, perché possano rinunciare all'istanza necessitano del parere o del consenso di coloro dei quali è richiesto il concorso per porre atti che eccedono i limiti dell'amministrazione ordinaria.

§3. Per essere valida la rinuncia deve essere fatta per iscritto e deve essere sottoscritta dalla parte o dal suo procuratore, che sia tuttavia munito di mandato speciale, deve essere comunicata all'altra parte e da essa accettata o almeno non impugnata, e deve essere ammessa dal giudice.

Can. 1525 - La rinuncia ammessa dal giudice, per gli atti ai quali si ha rinunciato, ottiene gli stessi effetti della perenzione dell'istanza, e obbliga il rinunciante a pagare le spese degli atti cui ha rinunciato.

TITOLO IV

LE PROVE (Cann. 1526 – 1586)

 

Can. 1526 - §1. L'incombenza di fornire le prove tocca a chi asserisce.

§2. Non necessitano di prova: 1) ciò che dalla legge stessa si presume; 2) i fatti asseriti da uno dei contendenti ed ammessi dall'altro, a meno che ciò nonostante la prova sia esigita dal diritto o dal giudice.

Can. 1527 - §1. Possono essere addotte prove di qualunque genere, che sembrino utili per esaminare la causa e siano lecite.

§2. Se una parte fa istanza perché una prova rifiutata dal giudice venga ammessa, il giudice definisca la cosa con la massima celerità.

Can. 1528 - Se una parte o un testimone si rifiutano di comparire per rispondere avanti al giudice, è consentito udirli anche tramite un laico designato dal giudice, o richiedere la loro deposizione avanti a un pubblico notaio o in qualunque altro modo legittimo.

Can. 1529 - Il giudice non proceda a raccogliere le prove prima della contestazione della lite se non per una causa grave.

CAPITOLO I

 LE DICHIARAZIONI DELLE PARTI

Can. 1530 - Il giudice per scoprire più adeguatamente la verità può sempre interrogare le parti; anzi lo deve fare su istanza di una parte o per provare un fatto sul quale è di pubblico interesse togliere ogni dubbio.

Can. 1531 - §1. La parte legittimamente interrogata deve rispondere e dire integralmente la verità.

§2. Che se si rifiuta di rispondere, spetta al giudice valutare che cosa se ne può dedurre per la prova dei fatti.

Can. 1532 - Nei casi in cui è in causa il bene pubblico, il giudice faccia fare alle parti il giuramento di dire la verità o almeno di avere detto la verità, a meno che una causa grave non suggerisca altro; negli altri casi può farlo a sua prudente discrezione.

Can. 1533 - Le parti, il promotore di giustizia e il difensore del vincolo possono presentare al giudice dei punti sui quali la parte sia interrogata.

Can. 1534 - Circa l'interrogatorio delle parti si osservino proporzionalmente le regole stabilite per i testimoni nei cann. 1548, §2, n. 1, 1552 e 1558-1565.

Can. 1535 - L'asserzione di un qualche fatto circa la materia stessa del giudizio, resa per iscritto o oralmente da una parte contro di sé avanti al giudice competente, sia spontaneamente sia a domanda del giudice, è una confessione giudiziale.

Can. 1536 - §1. La confessione giudiziale di una parte, se si tratta di un qualche affare privato e non è in causa il bene pubblico, libera le altre parti dall'onere della prova.

§2. Nelle cause poi che riguardano il bene pubblico la confessione giudiziale e le dichiarazioni delle parti che non siano confessioni, possono aver forza probante, da valutarsi dal giudice insieme a tutte le altre circostanze della causa, ma non si può attribuire loro forza di prova piena se non si aggiungano altri elementi ad avvalorarle in modo definitivo.

Can. 1537 - Spetta al giudice, soppesate tutte le circostanze, decidere qual valore dare alla confessione extragiudiziale prodotta in giudizio.

Can. 1538 - La confessione o qualsiasi altra dichiarazione della parte manca assolutamente di forza probante se consti che essa fu pronunciata per errore di fatto o fu estorta con la violenza o con timore grave.

CAPITOLO II

 PROVA DOCUMENTALE

Can. 1539 - In ogni genere di giudizio è ammessa la prova per via di documenti sia pubblici sia privati.

Articolo 1 - Natura e forza probante dei documenti

Can. 1540 - §1. Sono documenti pubblici ecclesiastici quelli rilasciati da una persona pubblica nell'esercizio del suo incarico nella Chiesa, osservate le formalità stabilite nel diritto.

§2. Sono documenti pubblici civili quelli che sono ritenuti tali secondo le leggi di ciascun luogo.

§3. Tutti gli altri documenti sono privati.

Can. 1541 - Salvo che non si dimostri altro con argomenti contrari ed evidenti, i documenti pubblici fanno fede di ciò che in essi è direttamente e principalmente affermato.

Can. 1542 - Il documento privato, sia riconosciuto dalla parte, sia ammesso dal giudice, ha contro il suo autore o chi l'ha sottoscritto e gli aventi causa da essi la stessa forza probante della confessione extragiudiziale; contro estranei ha la stessa forza probante delle dichiarazioni delle parti che non siano confessioni, a norma del can. 1536, §2.

Can. 1543 - Se i documenti appaiono cancellati, corretti, interpolati o guasti per altro difetto, spetta al giudice decidere se ed in qual conto tali documenti si debbano tenere.

Articolo 2 - Produzione dei documenti

Can. 1544 - I documenti non hanno forza probante in giudizio, se non siano originali o esibiti in esemplare autentico e consegnati alla cancelleria del tribunale, perché possano essere esaminati dal giudice e dalla parte avversa.

Can. 1545 - Il giudice può ordinare che sia esibito nel processo un documento comune ad entrambe le parti.

Can. 1546 - §1. Nessuno è tenuto a produrre documenti, anche se comuni, che non possono essere esibiti senza pericolo di danno a norma del can. 1548, §2, n. 2, o senza pericolo di violazione del segreto che si deve mantenere.

§2. Se tuttavia è possibile descrivere almeno una piccola parte del documento o produrla in esemplare senza gli inconvenienti menzionati, il giudice può ordinarne l'esibizione.

CAPITOLO III

 TESTIMONI E TESTIMONIANZE

Can. 1547 - In qualsiasi causa è ammessa la prova tramite testimoni, sotto la direzione del giudice.

Can. 1548 - §1. I testimoni devono confessare la verità al giudice che legittimamente li interroghi.

§2. Salvo il disposto del can. 1550, §2, n. 2, sono liberati dal dovere di rispondere: 1) i chierici per quanto fu loro manifestato in ragione del sacro ministero; i pubblici magistrati, i medici, le ostetriche, gli avvocati, i notai e altri che sono tenuti al segreto d'ufficio anche in ragione del consiglio dato, per quanto riguarda gli affari soggetti a questo segreto; 2) coloro che dalla propria testimonianza temano per sé o per il il coniuge o per i consanguinei o gli affini più vicini infamia, pericolosi maltrattamenti o altri gravi mali.

Articolo 1 - Chi può essere testimone

Can. 1549 - Tutti possono essere testimoni, a meno che non siano espressamente riprovati dal diritto in tutto o in parte.

Can. 1550 - §1. Non siano ammessi a fare da testimone i minori al di sotto dei quattordici anni e i deboli di mente; potranno tuttavia essere uditi per decreto del giudice, con il quale se ne dichiari l'opportunità.

§2. Si reputano incapaci: 1) le parti in causa o coloro che compaiono in giudizio a loro nome, il giudice o i suoi assistenti, l'avvocato e gli altri che assistono o abbiano assistito le parti nella stessa causa; 2) i sacerdoti per quanto concerne tutto ciò che fu loro rivelato nella confessione sacramentale, anche se il penitente ne richieda la manifestazione; anzi, tutto ciò che da chiunque ed in qualunque modo fu udito in occasione della confessione non può essere recepito neppure come indizio di verità.

Articolo 2 - Presentazione ed esclusione dei testimoni

Can. 1551 - La parte che ha fatto venire in giudizio un testimone può rinunciare alla sua escussione; ma la parte avversa può chiedere che ciononostante il teste sia interrogato.

Can. 1552 - §1. Quando si chiede la prova tramite testimoni, siano indicati al tribunale i loro nomi e il domicilio.

§2. Si esibiscano, entro il termine stabilito dal giudice, i punti degli argomenti sui quali si chiede l'interrogatorio dei testimoni; altrimenti si ritenga abbandonata la richiesta.

Can. 1553 - Spetta al giudice limitare il numero troppo grande di testimoni.

Can. 1554 - Prima che i testimoni siano interrogati, dei loro nominativi siano informate le parti; che se ciò, a prudente valutazione del giudice non sia possibile senza grave difficoltà, lo si faccia almeno prima della pubblicazione delle deposizioni testimoniali.

Can. 1555 - Fermo restando il disposto del can. 1550, una parte può chiedere che un testimone sia escluso, se sia dimostrata una giusta causa per l'esclusione prima dell'escussione del medesimo.

Can. 1556 - La citazione del testimone avviene con un decreto del giudice legittimamente notificato.

Can. 1557 - Il testimone regolarmente citato compaia o renda nota al giudice la causa della sua assenza.

Articolo 3 - L'esame dei testimoni

Can. 1558 - §1. I testimoni devono essere interrogati nella sede stessa del tribunale, salvo diverso parere del giudice.

§2. I Cardinali, i Patriarchi, i Vescovi e quelli che secondo il diritto del loro paese godono di egual beneficio, siano uditi nel luogo scelto da essi stessi.

§3. Il giudice decida dove devono essere uditi coloro ai quali, per la distanza, la malattia o altro impedimento, sia impossibile o difficile raggiungere la sede del tribunale, ferme restando le disposizioni dei cann. 1418 e 1469, §2.

Can. 1559 - Le parti non possono assistere all'esame dei testimoni, a meno che il giudice non abbia ritenuto di doverle ammettere.

Possono tuttavia assistervi i loro avvocati o procuratori, a meno che il giudice per circostanze di cose e di persone non abbia ritenuto doversi procedere in segreto.

Can. 1560 - §1. I testimoni devono essere esaminati uno ad uno separatamente.

§2. Se i testimoni sono discordi in cosa grave tra di loro o con una parte, il giudice può riunire tra loro o mettere a confronto coloro che sono in contraddizione, rimossi, per quanto è possibile, dissidi e scandalo.

Can. 1561 - L'esame del testimone viene fatto dal giudice, o da un suo delegato o uditore, che deve essere assistito dal notaio; di conseguenza le parti, il promotore di giustizia, il difensore del vincolo, o gli avvocati che intervengano nell'esame, se hanno altre domande da fare al testimone, queste non le facciano al testimone ma al giudice o a chi ne fa le veci, perché le rivolga lui stesso, salvo la legge particolare non disponga altrimenti.

Can. 1562 - §1. Il giudice ricordi al teste il grave obbligo di dire tutta e sola la verità.

§2. Il giudice faccia giurare il testimone secondo il can. 1532; che se il testimone si rifiuti di prestarlo, lo ascolti senza che abbia giurato.

Can. 1563 - Il giudice comprovi innanzitutto l'identità del testimone; domandi quale rapporto egli abbia con le parti, e facendogli specifiche domande sulla causa, lo interroghi anche sulle fonti della sua conoscenza e quando precisamente seppe le cose che asserisce.

Can. 1564 - Le domande siano brevi, appropriate all'intelligenza di colui che deve essere interrogato, non includano più elementi insieme, non siano cavillose, non siano subdole, non suggeriscano la risposta, escludano qualunque offesa e riguardino la causa di cui si tratta.

Can. 1565 - §1. Non si comunichino in precedenza ai testimoni le domande.

§2. Se tuttavia la materia su cui si deve deporre sia così lontana nella memoria da non poter essere affermata con certezza dal testimone senza essergli precedentemente richiamata, il giudice, quando ritenga che lo si possa fare senza pericolo, prevenga il testimone su qualche particolare.

Can. 1566 - I testimoni facciano la testimonianza a voce, senza leggere, a meno che non si tratti di dati numerici o di conti; in tal caso potranno consultare gli appunti che abbiano portato con sé.

Can. 1567 - §1. La risposta deve essere immediatamente redatta per iscritto dal notaio e deve riferire le stesse parole della testimonianza prodotta, almeno per quanto concerne direttamente la materia del giudizio.

§2. Può essere ammesso l'uso del magnetofono, purché le risposte siano successivamente trascritte e firmate, se possibile, da coloro che hanno deposto.

Can. 1568 - Il notaio riferisca in atti sul giuramento fatto, dispensato o rifiutato, sulla presenza delle parti, sulle domande aggiunte d'ufficio e in genere su tutti i fatti degni di menzione eventualmente accaduti durante l'escussione dei testimoni.

Can. 1569 - §1. Al termine dell'interrogatorio deve essere letto al testimone quanto della sua deposizione il notaio redasse per iscritto o fargli ascoltare al magnetofono ciò che fu registrato, concedendogli facoltà di aggiungere, sopprimere, correggere e variare.

§2. Infine il testimone, il giudice e il notaio devono sottoscrivere l'atto.

Can. 1570 - I testimoni, benché già esaminati, potranno, ad istanza della parte o d'ufficio, prima che gli atti o le testimonianze siano pubblicate, essere nuovamente chiamati a testimoniare, se il giudice lo ritenga necessario o vantaggioso, purché non vi sia pericolo di qualsiasi segreta intesa o di corruzione.

Can. 1571 - Ai testimoni, secondo un'equa tassazione stabilita dal giudice, si devono rifondere sia le spese fatte sia il guadagno che essi persero per rendere la testimonianza.

Articolo 4 - Forza probante delle testimonianze

Can. 1572 - Nella valutazione delle testimonianze, il giudice, dopo aver richiesto, se necessario, lettere testimoniali, prenda in considerazione: 1) quale sia la condizione e l'onestà della persona; 2) se la testimonianza è fatta per conoscenza propria, soprattutto per aver veduto o udito personalmente, oppure in base alla propria opinione, per fama o per averlo udito da altri; 3) se il testimone sia costante e fermamente coerente con se stesso, oppure sia variabile, insicuro o dubbioso; 4) se abbia contestimoni su quanto ha deposto, e sia confermato o no da altri elementi di prova.

Can. 1573 - La deposizione di un solo testimone non può fare fede piena, a meno che non si tratti di un testimone qualificato che deponga su cose fatte d'ufficio, o le circostanze di cose e di persone suggeriscano altro.

CAPITOLO IV

 I PERITI

Can. 1574 - Ci si deve servire dell'opera dei periti, ogniqualvolta, secondo il disposto del diritto o del giudice è necessario il loro esame o il parere, fondato sulle regole della pratica e della scienza, per provare qualche fatto o per conoscere la vera natura di una qualche cosa.

Can. 1575 - Spetta al giudice nominare i periti, udite le parti o su loro proposta, oppure, se del caso, accettare relazioni già fatte da altri periti.

Can. 1576 - I periti vengono esclusi o possono essere ricusati per le stesse cause per le quali sono esclusi o ricusati i testimoni.

Can. 1577 - §1. Il giudice, atteso quanto i contendenti abbiano eventualmente prodotto, definisca con suo decreto i singoli punti sui quali si deve svolgere l'opera del perito.

§2. Al perito devono essere trasmessi gli atti di causa e gli altri documenti e sussidi di cui può aver bisogno per eseguire correttamente e fedelmente il suo compito.

§3. Il giudice, udito il perito stesso, stabilisca il tempo entro il quale dovrà essere espletato l'esame e presentata la relazione.

Can. 1578 - §1. I periti facciano ciascuno la propria relazione distinta da quella degli altri, a meno che il giudice non ordini che se ne faccia una sola che i singoli periti dovranno sottoscrivere; se ciò avvenga, si annotino diligentemente le differenze dei pareri, se ce ne fossero.

§2. I periti devono indicare con chiarezza con quali documenti o in quali altri modi idonei abbiano accertato l'identità delle persone, delle cose o dei luoghi, secondo quale metodo e criterio abbiano proceduto nell'espletare il compito loro richiesto, e soprattutto su quali argomenti si fondino le loro conclusioni.

§3. Il perito può essere convocato dal giudice perché fornisca le spiegazioni che sembrino ulteriormente necessarie.

Can. 1579 - §1. Il giudice valuti attentamente non soltanto le conclusioni dei periti, anche se concordi, ma tutte le altre circostanze della causa.

§2. Quando espone le ragioni della decisione, deve esprimere quali argomenti lo hanno indotto ad ammettere o a respingere le conclusioni dei periti.

Can. 1580 - Ai periti devono essere pagate le spese e gli onorari, che il giudice deve stabilire secondo onestà e giustizia, osservato il diritto particolare.

Can. 1581 - §1. Le parti possono designare periti privati, i quali devono essere approvati dal giudice.

§2. Questi, se il giudice li ammette, possono esaminare, nella misura in cui sia necessario, gli atti di causa, e prendere parte all'esecuzione della perizia; possono poi sempre presentare la loro relazione.

CAPITOLO V

 ACCESSO E ISPEZIONE GIUDIZIARIA

Can. 1582 - Se per la definizione della causa il giudice ritiene opportuno di recarsi in qualche luogo o d'ispezionare qualche cosa, lo stabilisca con un decreto, con cui descriva sommariamente, dopo aver udite le parti, tutto ciò che nell'ispezione deve essergli messo a disposizione.

Can. 1583 - Dell'ispezione fatta si rediga uno strumento.

CAPITOLO VI

 LE PRESUNZIONI

Can. 1584 - La presunzione è la deduzione probabile da un fatto certo di una cosa incerta; è detta iuris la presunzione che viene stabilita dalla legge stessa; è detta hominis quella che è formulata dal giudice.

Can. 1585 - Chi ha dalla sua parte una presunzione iuris, viene liberato dall'onere della prova, che ricade sulla parte avversa.

Can. 1586 - Il giudice non formuli presunzioni, che non sono stabilite dal diritto, se non sulla base di un fatto certo e determinato, direttamente connesso con il fatto che è oggetto della controversia.

TITOLO V

LE CAUSE INCIDENTALI (Cann. 1587 – 1597)

 

Can. 1587 - Si ha una causa incidentale ogni qualvolta, cominciato il giudizio con la citazione, viene proposta una questione, la quale, benché non contenuta espressamente nel libello introduttorio della lite, risulta tuttavia così pertinente alla causa da dover essere per lo più risolta prima della questione principale.

Can. 1588 - La causa incidentale si propone per iscritto o a voce, indicato il nesso che intercorre tra essa e la causa principale, avanti al giudice competente a decidere la causa principale.

Can. 1589 - §1. Il giudice, accolta la domanda e udite le parti, decida con la massima celerità se la questione incidentale proposta sembri aver fondamento ed essere connessa al giudizio principale, oppure se la si debba respingere fin da principio; e, posto che l'ammetta, se sia di tal gravità da dover essere risolta con sentenza interlocutoria oppure con decreto.

§2. Se poi giudichi non doversi risolvere la questione incidentale prima della sentenza definitiva, stabilisca che di essa si tenga conto quando si deciderà la causa principale.

Can. 1590 - §1. Se la questione incidentale deve essere risolta con sentenza, si osservino le norme circa il processo contenzioso orale, a meno che il giudice non ritenga diversamente, attesa la gravità della cosa.

§2. Se poi la questione incidentale deve essere risolta con decreto, il tribunale può affidare la cosa a un uditore o al presidente.

Can. 1591 - Prima che si concluda la causa principale il giudice o il tribunale possono, intervenendo una ragione giusta, revocare o riformare il decreto o la sentenza interlocutoria, sia ad istanza di una parte, sia d'ufficio, udite le parti.

CAPITOLO I

 LE PARTI CHE NON SI PRESENTANO IN GIUDIZIO

Can. 1592 - §1. Se la parte convenuta citata non si presentò in giudizio né scusò idoneamente la sua assenza, o non rispose a norma del can. 1507, §1, il giudice la dichiari assente dal giudizio e decida che la causa, osservato quanto è prescritto, proceda fino a sentenza definitiva e alla sua esecuzione.

§2. Prima che si emani il decreto di cui al §1, deve constare, anche a mezzo di una nuova citazione se è necessario, che la citazione legittimamente fatta pervenne in tempo utile alla parte convenuta.

Can. 1593 - §1. La parte convenuta se in seguito si presenti in giudizio o abbia risposto prima della decisione della causa, può addurre conclusioni e prove, fermo restando il disposto del can. 1600; il giudice eviti però che il giudizio si protragga di proposito con ritardi troppo lunghi e non necessari.

§2. Benché non si sia presentata in giudizio né abbia risposto prima della decisione della causa, può servirsi delle impugnazioni contro la sentenza; se poi provi di essere stata trattenuta da un legittimo impedimento, che senza sua colpa non le fu possibile dimostrare, può anche servirsi della querela di nullità.

Can. 1594 - Se l'attore non comparve nel giorno ed ora fissati per la contestazione della lite né addusse idonea scusa: 1) il giudice lo citi una seconda volta; 2) se l'attore non obbedì alla nuova citazione, si presume abbia rinunciato all'istanza a norma dei cann. 1524-1525; 3) se in seguito voglia intervenire nel processo, si osservi il can. 1593.

Can. 1595 - §1. La parte assente dal giudizio, sia l'attore sia il convenuto, che non abbia dimostrato di avere un giusto impedimento, è obbligata sia a pagare le spese della lite che furono fatte a motivo della sua assenza, sia anche, se necessario, a indennizzare l'altra parte.

§2. Se l'attore e il convenuto furono assenti dal giudizio, sono in solido tenuti all'obbligo di pagare le spese della lite.

CAPITOLO II

 L'INTERVENTO DI UN TERZO NELLA CAUSA

Can. 1596 - §1. Chi ne abbia interesse può essere ammesso ad intervenire nella causa, in qualunque istanza della lite, sia come parte a difendere il proprio diritto, sia accessoriamente ad aiutare una delle parti contendenti.

§2. Ma per essere ammesso deve presentare al giudice prima della conclusione della causa un libello, in cui brevemente dimostri il proprio diritto d'intervenire.

§3. Chi interviene nella causa deve essere ammesso in quello stadio in cui essa si trova, dopo avergli assegnato un termine breve e perentorio per presentare le sue prove, se la causa sia giunta alla fase probatoria.

Can. 1597 - Il giudice, udite le parti, deve chiamare in giudizio un terzo, del quale sembri necessario l'intervento.

TITOLO VI

LA PUBBLICAZIONE DEGLI ATTI, LA CONCLUSIONE IN CAUSA E LA DISCUSSIONE DELLA CAUSA (Cann. 1598 – 1606)

 

Can. 1598 - §1. Acquisite le prove, il giudice con decreto deve permettere alle parti e ai loro avvocati, sotto pena di nullità, di prendere visione degli atti loro ancora sconosciuti presso la cancelleria del tribunale; anzi agli avvocati che lo chiedano si può anche dare copia degli atti; ma nelle cause che riguardano il bene pubblico il giudice, per evitare pericoli gravissimi, può decidere, garantendo tuttavia sempre ed integralmente il diritto alla difesa, che qualche atto non sia fatto conoscere a nessuno.

§2. Per completare le prove le parti possono presentarne altre al giudice; acquisite le quali, se necessario a parere del giudice, avrà nuovamente luogo il decreto di cui al §1.

Can. 1599 - §1. Espletato tutto quanto riguarda le prove da produrre, si addiviene alla conclusione in causa.

§2. Questa conclusione si ha ogniqualvolta o le parti dichiarano di non aver null'altro da addurre, o il tempo utile stabilito dal giudice per produrre le prove è trascorso, o il giudice dichiara di ritenere sufficientemente istruita la causa.

§3. Sulla compiuta conclusione in causa, in qualunque modo essa sia avvenuta, il giudice emetta un decreto.

Can. 1600 - §1. Dopo la conclusione in causa il giudice può convocare ancora gli stessi o altri testimoni, oppure ordinare altre prove che in precedenza non furono richieste, soltanto: 1) nelle cause in cui si tratta del solo bene privato delle parti, se tutte le parti vi consentano; 2) nelle altre cause, udite le parti e purché vi sia una ragione grave e venga rimosso qualsiasi pericolo di frode o di subornazione; 3) in tutte le cause, ogni qualvolta è probabile che, se la nuova prova non sia ammessa, si avrà una sentenza ingiusta per le ragioni di cui al can. 1645, §2, nn. 1-3.

§2. Il giudice può inoltre ordinare o ammettere che sia prodotto un documento, che, senza colpa dell'interessato, non poté essere prodotto in precedenza.

§3. Le nuove prove siano pubblicate, osservato il can. 1598, §1.

Can. 1601 - Fatta la conclusione in causa, il giudice stabilisca un congruo spazio di tempo per presentare le difese e le osservazioni.

Can. 1602 - §1. Difese e osservazioni siano scritte, a meno che il giudice, d'accordo con le parti, non reputi sufficiente il dibattimento durante la seduta del tribunale.

§2. Se le difese con i documenti principali vengono stampati, è richiesta la licenza previa del giudice, salvo l'obbligo del segreto se ve ne sia alcuno.

§3. Per l'ampiezza della difesa, il numero degli esemplari ed altri particolari del genere, si osservi il regolamento del tribunale.

Can. 1603 - §1. Comunicate vicendevolmente le difese e le osservazioni, all'una e all'altra parte è consentito presentare delle risposte entro un breve spazio di tempo stabilito dal giudice.

§2. Le parti abbiano questo diritto una sola volta, a meno che al giudice per una causa grave non sembri lo si debba concedere un'altra volta; in tal caso allora la concessione fatta ad una parte si intende fatta anche all'altra.

§3. Il promotore di giustizia e il difensore del vincolo hanno diritto di replicare nuovamente alle risposte delle parti.

Can. 1604 - §1. È assolutamente proibito alle parti, ai loro avvocati o anche ad altri di dare al giudice informazioni, che rimangano fuori dagli atti di causa.

§2. Se la discussione della causa è fatta per iscritto, il giudice può stabilire che vi sia durante la seduta del tribunale un moderato dibattimento orale per mettere in chiaro alcune questioni.

Can. 1605 - Al dibattimento orale di cui ai cann. 1602, §1 e 1604, §2, sia presente il notaio al fine di riferire immediatamente per iscritto, se il giudice lo ordini o la parte lo chieda; il giudice acconsenta, sulle cose discusse e decise.

Can. 1606 - Se le parti abbiano trascurato di preparare in tempo utile la loro difesa o si rimettano alla scienza e coscienza del giudice, questi, se dagli atti e da quanto è stato dimostrato ritenga palesemente provata la causa, potrà immediatamente pronunciare la sentenza, dopo aver tuttavia richiesto le osservazioni del promotore di giustizia e del difensore del vincolo, se intervengono nel giudizio.

 TITOLO VII

I PRONUNCIAMENTI DEL GIUDICE (Cann. 1607 – 1618)

 

Can. 1607 - La causa trattata per via giudiziaria, se è principale viene decisa dal giudice con sentenza definitiva; se è incidentale con sentenza interlocutoria, fermo restando il disposto del can. 1589, §1.

Can. 1608 - §1. Per pronunciare una sentenza qualsiasi si richiede nell'animo del giudice la certezza morale su quanto deve decidere con essa.

§2. Il giudice deve attingere questa certezza dagli atti e da quanto è stato dimostrato.

§3. Il giudice deve poi valutare le prove secondo la sua coscienza, ferme restando le disposizioni della legge su l'efficacia di talune prove.

§4. Il giudice che non abbia potuto conseguire quella certezza, sentenzi che non consta del diritto dell'attore e prosciolga il convenuto, a meno che non si tratti di una causa che gode il favore del diritto, nel qual caso si deve pronunciare a favore della medesima.

Can. 1609 - §1. Nel tribunale collegiale, il presidente del collegio stabilisca il giorno e l'ora in cui i giudici devono ritrovarsi per la decisione, e salvo una causa peculiare non suggerisca altrimenti, la riunione si tenga nella sede stessa del tribunale.

§2. Fissata la data della riunione, i singoli giudici portino per iscritto le loro conclusioni in merito alla causa e le ragioni sia in diritto sia in fatto, sulla base delle quali sono pervenuti alle rispettive conclusioni; queste conclusioni, da mantenere sotto segreto, siano allegate agli atti di causa.

§3. Dopo aver invocato il nome di Dio, esposte per ordine le conclusioni dei singoli secondo la precedenza, in modo tuttavia che si abbia sempre inizio con il ponente o relatore della causa, si apra la discussione sotto la guida del presidente del tribunale, soprattutto per concordare insieme ciò che si deve stabilire nella parte dispositiva della sentenza.

§4. Nella discussione poi a ciascuno è permesso di recedere dalla sua precedente conclusione. Il giudice tuttavia se non intende accedere alla decisione degli altri può esigere che, se vi sia l'appello, le sue conclusioni siano trasmesse al tribunale superiore.

§5. Che se i giudici o non vogliono o non possono addivenire a sentenza nella prima discussione, la decisione può essere differita ad una nuova riunione da tenersi non oltre una settimana, a meno che a norma del can. 1600 non si debba completare l'istruttoria della causa.

Can. 1610 - §1. Se il giudice è unico scriverà lui stesso la sentenza.

§2. Nel tribunale collegiale è il ponente o relatore a scrivere la sentenza, desumendo le motivazioni da quelle addotte dai singoli giudici durante la discussione, a meno che i giudici a maggioranza non abbiano stabilito le motivazioni da preferirsi; la sentenza infine dovrà essere sottoposta alla approvazione dei singoli giudici.

§3. La sentenza deve essere pubblicata non oltre un mese dal giorno in cui la causa fu decisa, a meno che, nel tribunale collegiale, i giudici per una grave ragione non abbiano stabilito un tempo più lungo.

Can. 1611 - La sentenza deve: 1 definire la controversia discussa avanti al tribunale, dando una congrua risposta ai singoli dubbi; 2) determinare quali siano gli obblighi delle parti sorti dal giudizio, e in quale modo debbano essere adempiuti; 3) esporre le ragioni ossia i motivi, in diritto e in fatto, sui quali si fonda la parte dispositiva della sentenza; 4) decidere sulle spese processuali.

Can. 1612 - §1. È necessario che la sentenza, dopo l'invocazione del Nome di Dio, esprima per ordine quale sia il giudice o il tribunale; chi sia l'attore, la parte convenuta, il procuratore, indicandone correttamente i nominativi e i domicili, chi sia il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, se ebbero parte nel giudizio.

§2. Deve quindi riferire brevemente la fattispecie con le conclusioni delle parti e la formulazione dei dubbi.

§3. A queste cose faccia seguito la parte dispositiva della sentenza, premesse le ragioni sulle quali si regge.

§4. Si chiuda con l'indicazione del giorno e del luogo in cui fu pronunciata, con le firme del giudice, o, se il tribunale è collegiale, di tutti i giudici e del notaio.

Can. 1613 - Le regole sopra riferite circa la sentenza definitiva, devono essere adattate anche all'interlocutoria.

Can. 1614 - La sentenza sia al più presto pubblicata, indicati i modi secondo i quali la si può impugnare; essa non ha alcun valore prima della pubblicazione, anche se la parte dispositiva, permettendolo il giudice, fu resa nota alle parti.

Can. 1615 - La pubblicazione o intimazione della sentenza può avvenire o dandone un esemplare alle parti o ai loro procuratori, oppure trasmettendo ai medesimi l'esemplare stesso a norma del can. 1509.

Can. 1616 - §1. Se nel testo della sentenza sia sfuggito un errore di calcolo o vi sia stato un errore materiale nella trascrizione della parte dispositiva oppure nel riferire i fatti o le petizioni delle parti o sia stato omesso quanto richiede il can. 1612, §4, la sentenza deve essere corretta o completata dal tribunale stesso che l'ha emanata, sia ad istanza della parte sia d'ufficio, udite tuttavia le parti e con decreto apposto in calce alla sentenza.

§2. Se una delle parti fa opposizione, la questione incidentale sia definita per decreto.

Can. 1617 - Tutti gli altri pronunciamenti del giudice oltre alla sentenza, sono decreti, che, salvo non siano mere ordinanze, non hanno valore, se non esprimano almeno sommariamente i motivi oppure rinviino ai motivi espressi in un altro atto.

Can. 1618 - La sentenza interlocutoria o il decreto hanno valore di sentenza definitiva se impediscono il giudizio o pongono fine al giudizio stesso o ad un grado di esso, nei riguardi di almeno una delle parti in causa.

TITOLO VIII

IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA (Cann. 1619 – 1640)

 

CAPITOLO I

 QUERELA DI NULLITÀ CONTRO LA SENTENZA

Can. 1619 - Fermi restando i cann. 1622 e 1623, la nullità degli atti stabilita dal diritto positivo, che pur essendo nota alla parte proponente la querela non fu denunziata al giudice prima della sentenza, si considera sanata per mezzo della sentenza stessa ogniqualvolta si tratta di una causa relativa al bene di privati.

Can. 1620 - La sentenza è viziata da nullità insanabile se: 1) fu emessa da un giudice incompetente d'incompetenza assoluta; 2) fu emessa da un giudice privo della potestà di giudicare nel tribunale dove la causa fu decisa; 3) fu emessa da un giudice a ciò coatto gravemente con violenza o timore grave; 4) il giudizio fu fatto senza la domanda giudiziale di cui al can. 1501, oppure non fu istituito contro una parte convenuta; 5) fu emessa tra parti, di cui almeno una non aveva capacità di stare in giudizio; 6) qualcuno agì in nome di un altro senza legittimo mandato; 7) all'una o all'altra parte si negò il diritto alla difesa; 8) non definì la controversia, neppure parzialmente.

Can. 1621 - La querela di nullità, di cui al can. 1620, può essere proposta a modo di eccezione senza limiti di tempo, e a modo di azione avanti al giudice che emise la sentenza entro dieci anni a partire dal giorno della pubblicazione della sentenza.

Can. 1622 - La sentenza è viziata solo da nullità sanabile, se: 1) fu emessa da un numero non legittimo di giudici, contro il disposto del can. 1425, §1; 2) non contiene i motivi o le ragioni della decisione; 3) manca delle firme prescritte dal diritto; 4) non riporta l'indicazione dell'anno, mese, giorno e luogo in cui fu emessa; 5) si regge su un atto giudiziale nullo o non sanato a norma del can. 1619; 6) fu emessa contro una parte legittimamente assente, secondo il can. 1593, §2.

Can. 1623 - La querela di nullità nei casi di cui al can. 1622, può essere proposta entro tre mesi dalla notizia della pubblicazione della sentenza.

Can. 1624 - Esamina la querela di nullità lo stesso giudice che ha emesso la sentenza; che se la parte tema che il giudice che ha emesso la sentenza impugnata con la querela di nullità sia prevenuto e pertanto lo ritenga sospetto, può esigere che sia sostituito da un altro giudice a norma del can. 1450.

Can. 1625 - La querela di nullità può essere proposta insieme all'appello, entro il termine stabilito per appellare.

Can. 1626 - §1. Possono interporre querela di nullità non solo le parti che si ritengono onerate, ma anche il promotore di giustizia o il difensore del vincolo ogniqualvolta hanno diritto d'intervenire.

§2. Il giudice stesso può ritrattare d'ufficio la propria sentenza nulla o correggerla entro il termine stabilito per agire dal can. 1623, a meno che nel frattempo non sia stato interposto appello insieme alla querela di nullità o la nullità sia stata sanata per il decorso del termine di cui al can. 1623.

Can. 1627 - Le cause sulla querela di nullità possono essere trattate secondo le norme del processo contenzioso orale.

CAPITOLO II

 L'APPELLO

Can. 1628 - La parte che si considera onerata da una sentenza, e parimenti il promotore di giustizia e il difensore del vincolo nelle cause in cui la loro presenza è richiesta, hanno diritto di appellare contro la sentenza avanti al giudice superiore, salvo il disposto del can. 1629.

Can. 1629 - Non si dà luogo all'appello: 1) contro una sentenza emessa dallo stesso Sommo Pontefice o dalla Segnatura Apostolica; 2) contro una sentenza nulla, salvo non lo si faccia congiuntamente alla querela di nullità a norma del can. 1625; 3) contro una sentenza passata in giudicato; 4) contro il decreto del giudice o una sentenza interlocutoria, che non abbiano valore di sentenza definitiva, a meno che non lo si faccia insieme all'appello contro la sentenza definitiva; 5 contro una sentenza o un decreto in una causa nella quale il diritto stabilisce si debba definire la questione con la massima celerità.

Can. 1630 - §1. L'appello deve essere interposto avanti al giudice che ha emesso la sentenza, nel termine perentorio di quindici giorni utili dalla notizia della pubblicazione della sentenza.

§2. Se l'appello è fatto a voce, il notaio lo rediga per iscritto avanti allo stesso appellante.

Can. 1631 - Se insorge una questione sul diritto di appello, la esamini con la massima celerità il tribunale di appello secondo le norme del processo contenzioso orale.

Can. 1632 - §1. Se nell'appello non è indicato a quale tribunale esso è diretto, si presume fatto al tribunale di cui ai cann. 1438 e 1439.

§2. Se l'altra parte ricorre ad un tribunale di appello diverso, esamina la causa il tribunale superiore in grado, salvo il can. 1415.

Can. 1633 - L'appello deve essere proseguito avanti al giudice al quale è diretto entro un mese dalla sua interposizione, a meno che il giudice che ha emesso la sentenza non abbia stabilito alla parte un tempo più lungo per la prosecuzione.

Can. 1634 - §1. Per la prosecuzione dell'appello si richiede e basta che la parte invochi il ministero del giudice superiore perché corregga la sentenza impugnata, allegando copia di questa sentenza e indicando le ragioni dell'appello.

§2. Che se la parte non possa ottenere entro il tempo utile copia della sentenza impugnata dal tribunale che l'ha emessa, nel frattempo non decorrono i termini, e l'impedimento va segnalato al giudice di appello, il quale obbligherà con precetto il giudice che ha emesso la sentenza ad adempiere al più presto il suo dovere.

§3. Nel frattempo il giudice che ha emesso la sentenza deve trasmettere al giudice di appello gli atti a norma del can. 1474.

Can. 1635 - Trascorsi inutilmente i fatalia per l'appello sia avanti al giudice che ha emesso la sentenza sia avanti al giudice di appello, si ritiene abbandonato l'appello.

Can. 1636 - §1. L'appellante può rinunciare all'appello con gli effetti di cui al can. 1525.

§2. Se l'appello fu interposto dal difensore del vincolo o dal promotore di giustizia, la rinuncia può essere fatta, a meno che la legge non stabilisca altrimenti, dal difensore del vincolo o dal promotore di giustizia del tribunale d'appello.

Can. 1637 - §1. L'appello fatto dall'attore vale anche per il convenuto e viceversa.

§2. Se sono parecchi i convenuti o gli attori, e da uno o contro uno di essi soltanto viene impugnata la sentenza, l'impugnazione si considera fatta da tutti e contro tutti ogni qualvolta la cosa richiesta sia indivisibile o l'obbligo in solido.

§3. Se l'appello è interposto da una parte su un qualche capitolo della sentenza, la parte avversa, benché i fatalia per l'appello siano trascorsi, può incidentalmente appellare sugli altri capitoli entro il termine perentorio di quindici giorni dalla data in cui le fu notificato l'appello principale.

§4. Salvo non consti altro, l'appello si presume fatto contro tutti i capitoli della sentenza.

Can. 1638 - L'appello sospende l'esecuzione della sentenza.

Can. 1639 - §1. Salvo il disposto del can. 1683, nel grado di appello non può essere ammessa una nuova causa per la domanda, neppure sotto forma di cumulazione per ragioni di utilità; pertanto la contestazione della lite può riferirsi esclusivamente alla conferma o alla riforma della prima sentenza in tutto o in parte.

§2. Nuove prove poi sono ammesse soltanto a norma del can. 1600.

Can. 1640 - Nel grado d'appello si deve procedere allo stesso modo che in prima istanza, salve le debite proporzioni; ma, se non si debbano eventualmente completare le prove, si addivenga alla discussione e alla sentenza immediatamente dopo la contestazione della lite fatta a norma dei cann. 1513, §1 e 1639, §1.

TITOLO IX

LA COSA GIUDICATA E LA restitutio in integrum (Cann. 1641 – 1648)

 

CAPITOLO I

 LA COSA GIUDICATA

Can. 1641 - Fermo restando il disposto del can. 1643, la cosa passa in giudicato: 1) se tra le medesime parti ci furono due sentenze conformi sulla stessa richiesta e per lo stesso motivo; 2) se l'appello contro la sentenza non fu interposto entro il tempo utile; 3) se in grado di appello l'istanza andò perenta o si rinunciò ad essa; 4) se fu emessa una sentenza definitiva contro la quale non è dato appello a norma del can. 1629.

Can. 1642 - §1. La cosa passata in giudicato gode della stabilità del diritto e non può essere direttamente impugnata se non a norma del can. 1645, §1.

§2. La stessa fa legge tra le parti e permette un'azione di giudicato e un'eccezione di cosa giudicata, la quale può anche essere dichiarata d'ufficio dal giudice per impedire una nuova introduzione della stessa causa.

Can. 1643 - Le cause sullo stato delle persone, non escluse le cause per la separazione dei coniugi, non passano mai in giudicato.

Can. 1644 - §1. Se furono emesse due sentenze conformi in una causa sullo stato delle persone, si può adire il tribunale di appello in qualsiasi momento, adducendo nuove e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni da quando l'impugnazione fu proposta. Il tribunale di appello poi entro un mese dalla presentazione delle nuove prove e degli argomenti deve stabilire con decreto se la nuova proposizione della causa si debba ammettere o no.

§2. L'appello al tribunale superiore per ottenere la nuova proposizione della causa non sospende l'esecuzione della sentenza a meno che la legge non stabilisca altrimenti oppure il tribunale d'appello non ordini la sospensione a norma del can. 1650, §3.

CAPITOLO II

 LA RESTITUTIO IN INTEGRUM

Can. 1645 - §1. Contro una sentenza che sia passata in giudicato, purché consti palesemente della sua ingiustizia, si dà la restitutio in integrum.

§2. Non si ritiene che consti palesemente l'ingiustizia, se non quando: 1) la sentenza si appoggia talmente a prove successivamente trovate false, che senza di esse la parte dispositiva della sentenza non regga; 2) furono in seguito scoperti documenti che dimostrano senza incertezza fatti nuovi e che esigono una decisione contraria; 3) la sentenza fu emessa per dolo di una parte e a danno dell'altra; 4) fu evidentemente trascurato il disposto di una legge che non sia semplicemente procedurale; 5) la sentenza va contro una precedente decisione passata in giudicato.

Can. 1646 - §1. La restitutio in integrum per i motivi di cui al can. 1645, §2, nn. 1-3, deve essere chiesta al giudice che ha emesso la sentenza entro tre mesi da computarsi a partire dal giorno in cui si venne a conoscenza degli stessi motivi.

§2. La restitutio in integrum per i motivi di cui al can. 1645, §2, nn. 4 e 5, deve essere chiesta al tribunale di appello entro tre mesi dalla notizia della pubblicazione della sentenza; che se nel caso di cui al can. 1645, §2, n. 5, la notizia della precedente decisione si abbia più tardi, il termine decorre da questa data.

§3. I termini di cui sopra non decorrono per tutto il tempo in cui la persona lesa è di età minore.

Can. 1647 - §1. La richiesta di restitutio in integrum sospende l'esecuzione della sentenza non ancora intrapresa.

§2. Se tuttavia da probabili indizi ci sia il sospetto che la richiesta fu fatta per porre ritardi all'esecuzione, il giudice può decidere che la sentenza sia mandata ad esecuzione, assegnata tuttavia un'idonea cauzione a chi chiede la restitutio, sicché non abbia danni se questa gli sia concessa.

Can. 1648 - Concessa la restitutio in integrum il giudice deve sentenziare sul merito della causa.

TITOLO X

SPESE GIUDIZIARIE E GRATUITO PATROCINIO (Can. 1649)

 

Can. 1649 - §1. Il Vescovo, al quale spetta dirigere il tribunale, stabilisca norme per la propria diocesi o regione: 1) sulla condanna delle parti a pagare o compensare le spese del giudizio; 2) sugli onorari ai procuratori, avvocati, periti ed interpreti e sul rimborso spese ai testimoni; 3) sulla concessione del gratuito patrocinio o sulla riduzione delle spese; 4) sulla riparazione dei danni, dovuta da chi non soltanto perse la causa, ma la fece sconsideratamente; 5) sul deposito pecuniario o cauzione che deve essere fatto relativamente alle spese da pagare e ai danni da riparare

§2. Contro l'ordine relativo alle spese, gli onorari e la riparazione dei danni non si dà un appello distinto; la parte può tuttavia ricorrere entro quindici giorni allo stesso giudice, il quale potrà modificare la tassazione.

TITOLO XI

L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA (Cann. 1650 – 1655)

 

Can. 1650 - §1. La sentenza che passò in giudicato può essere mandata ad esecuzione, salvo il disposto del can. 1647.

§2. Il giudice che ha emesso la sentenza, e, se fu interposto appello, anche il giudice di appello, possono ordinare d'ufficio o ad istanza della parte l'esecuzione provvisoria di una sentenza che non sia ancora passata in giudicato, stabilite, se del caso, idonee cauzioni, qualora si tratti di provvedimenti o di prestazioni ordinate al necessario sostentamento oppure urga un'altra giusta causa.

§3. Che se la sentenza di cui al §2 viene impugnata, il giudice che deve esaminare l'impugnazione, qualora veda che questa ha un fondamento probabile e che dalla esecuzione può insorgere un danno irreparabile, può sospendere la esecuzione oppure sottoporla a cauzione.

Can. 1651 - Non potrà avere luogo l'esecuzione prima che il giudice non abbia emesso il decreto esecutivo, con il quale si stabilisce che la sentenza stessa deve essere mandata ad esecuzione; questo decreto a seconda della diversa natura delle cause, sia incluso nel testo stesso della sentenza oppure sia edito separatamente.

Can. 1652 - Se l'esecuzione della sentenza esige prima un rendiconto, si ha una questione incidentale, da decidersi da quello stesso giudice che emise la sentenza da mandare ad esecuzione.

Can. 1653 - §1. A meno che la legge particolare non stabilisca altro, deve mandare ad esecuzione la sentenza, personalmente o tramite altri, il Vescovo della diocesi in cui fu emessa la sentenza di primo grado.

§2. Che se questi non lo voglia fare o sia negligente, l'esecuzione spetta, ad istanza della parte interessata o anche d'ufficio, all'autorità cui è soggetto il tribunale di appello a norma del can. 1339, §3.

§3. Per i religiosi l'esecuzione della sentenza spetta al Superiore che emise la sentenza da mandare ad esecuzione o delegò il giudice.

Can. 1654 - §1. L'esecutore, salvo alcunché non sia lasciato al suo arbitrio dal tenore stesso della sentenza, deve mandare ad esecuzione la sentenza stessa, secondo il senso ovvio delle parole.

§2. Al medesimo è consentito di occuparsi delle eccezioni circa il modo e il valore dell'esecuzione, non però del merito della causa; che se fosse altrimenti edotto che la sentenza è nulla o palesemente ingiusta a norma dei cann. 1620, 1622 e 1645, si astenga dall'esecuzione, e rinvii la cosa al tribunale che ha emesso la sentenza, dopo averne informato le parti.

Can. 1655 - §1. Per quanto concerne le azioni reali, ogniqualvolta sia aggiudicata all'attore una qualche cosa, questa deve essergli data non appena la causa passa in giudicato.

§2. Trattandosi poi di azioni personali, quando l'imputato fu condannato a dare una cosa mobile, o a pagare una somma di denaro oppure a dare o fare altro, il giudice nel tenore stesso della sentenza o l'esecutore a sua prudente discrezione stabilisca un termine per l'adempimento dell'obbligo, che tuttavia non dovrà esser ristretto al di sotto dei quindici giorni e non andare oltre sei mesi.

SEZIONE II

IL PROCESSO CONTENZIOSO ORALE (Cann. 1656 – 1670)

 

Can. 1656 - §1. Con processo contenzioso orale, di cui in questa sezione, possono essere trattate tutte le cause che il diritto non escluda, a meno che una parte non chieda il processo contenzioso ordinario.

§2. Se il processo orale sia usato al di fuori dei casi permessi dal diritto, gli atti giudiziari sono nulli.

Can. 1657 - §1. Il processo contenzioso orale si svolge in primo grado avanti ad un giudice unico, a norma del can. 1424.

Can. 1658 - §1. Il libello con cui s'introduce la lite, oltre alle esigenze enumerate nel can. 1504, deve: 1) esporre brevemente, in maniera integrale e con chiarezza, i fatti sui quali si fondano le richieste dell'attore; 2) indicare le prove con le quali l'attore intende dimostrare i fatti e che egli non può addurre contemporaneamente, in modo che possano essere immediatamente raccolte dal giudice.

§2. Al libello devono essere allegati, almeno in copia autentica, i documenti su cui si fonda la domanda.

Can. 1659 - §1. Qualora il tentativo di riconciliazione a norma del can. 1446, §2, si sia dimostrato inutile, il giudice, se ritiene che il libello abbia qualche fondamento, entro tre giorni, con un decreto apposto in calce al libello stesso, ordini che un esemplare della domanda sia reso noto alla parte convenuta, dando a questa facoltà di mandare, entro quindici giorni, alla cancelleria del tribunale una risposta scritta.

§2. Questa notificazione ha gli effetti della citazione giudiziaria, di cui al can. 1512.

Can. 1660 - Qualora le eccezioni della parte convenuta lo esigano, il giudice fissi un termine alla parte attrice per rispondere, così che dagli elementi addotti da entrambi egli abbia chiaro l'oggetto della controversia.

Can. 1661 - §1. Trascorsi i termini di cui ai cann. 1659 e 1660, il giudice, visti gli atti, determini la formulazione del dubbio; quindi citi tutti coloro che devono comparire ad una udienza, da tenersi non oltre un mese, allegando per le parti la formulazione del dubbio.

§2. Nella citazione le parti siano informate che possono presentare un breve scritto al tribunale a comprovare le loro asserzioni, tre giorni almeno prima della udienza.

Can. 1662 - Nell'udienza in primo luogo sono trattate le questioni di cui ai cann. 1459-1464.

Can. 1663 - §1. Le prove sono raccolte durante l'udienza, salvo il disposto del can. 1418.

§2. La parte e il suo avvocato possono assistere all'escussione delle altre parti, dei testimoni e dei periti.

Can. 1664 - Le risposte delle parti, dei testimoni e dei periti, le richieste e le eccezioni degli avvocati devono essere redatte per iscritto dal notaio, ma sommariamente e soltanto relativamente alla sostanza della cosa controversa e devono essere sottoscritte da coloro che depongono.

Can. 1665 - Le prove che non siano addotte o richieste nella domanda o nelle risposte, possono essere ammesse dal giudice solo a norma del can. 1452; dopo che anche un solo teste fu ascoltato, il giudice può disporre di richiedere nuove prove soltanto a norma del can. 1600.

Can. 1666 - Se nell'udienza non fu possibile raccogliere tutte le prove, si stabilisca una seconda udienza.

Can. 1667 - Raccolte le prove, nella stessa udienza avviene il dibattimento orale.

Can. 1668 - §1. A meno che dal dibattimento non si evidenzi la necessità di un supplemento di istruttoria o vi sia altro che impedisca di pronunciare nel dovuto modo la sentenza, il giudice, in quello stesso luogo, conclusa l'udienza, decida separatamente la causa; la parte dispositiva della sentenza sia immediatamente letta alle parti presenti.

§2. Il tribunale tuttavia, per la difficoltà della cosa o per altra giusta causa può differire la decisione fino al quinto giorno utile.

§3. Il testo integrale della sentenza, espressamente motivata, sia notificato alle parti al più presto e ordinariamente non oltre quindici giorni.

Can. 1669 - Qualora il tribunale d'appello riscontri che nel primo grado di giudizio fu impiegato il processo contenzioso orale nei casi esclusi dal diritto, dichiari la nullità della sentenza e rinvii la causa al tribunale che ha emesso la sentenza.

Can. 1670 - Per tutto il resto che si riferisce al modo di procedere si osservino le disposizioni sul giudizio contenzioso ordinario. Il tribunale poi con suo decreto, corredato dei motivi, può derogare a quelle norme processuali che non siano stabilite per la validità, allo scopo di renderlo più spedito, salva la giustizia.

CAPITOLO I

 LE CAUSE PER LA DICHIARAZIONE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Articolo 1 - Il tribunale competente

Can. 1671 - Le cause matrimoniali dei battezzati per diritto proprio spettano al giudice ecclesiastico.

Can. 1672 - Le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al magistrato civile, a meno che il diritto particolare non stabilisca che le medesime cause, qualora siano trattate incidentalmente e accessoriamente, possano essere esaminate e decise dal giudice ecclesiastico.

Can. 1673 - Sulle cause di nullità del matrimonio che non siano riservate alla Sede Apostolica è competente: 1) il tribunale del luogo in cui il matrimonio fu celebrato; 2) il tribunale del luogo in cui la parte convenuta ha il domicilio o il quasi-domicilio; 3) il tribunale del luogo in cui la parte attrice ha il domicilio, purché entrambe le parti risiedano nel territorio della stessa Conferenza Episcopale, e il Vicario giudiziale del luogo del domicilio della parte convenuta, udita la medesima, sia d'accordo; 4) il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove, purché si aggiunga il consenso del Vicario giudiziale del domicilio della parte convenuta, il quale prima la interroghi, se mai abbia qualcosa da eccepire.

Articolo 2 - Diritto di impugnare il matrimonio

Can. 1674 - Sono abili ad impugnare il matrimonio: 1) i coniugi; 2) il promotore di giustizia, quando la nullità sia già stata divulgata, se non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno.

Can. 1675 - §1. Il matrimonio che, viventi entrambi i coniugi, non fu accusato, non può più esserlo dopo la morte di entrambi o di uno di essi, a meno che la questione della validità non pregiudichi la soluzione di un'altra controversia sia in foro canonico sia in foro civile.

§2. Se poi un coniuge muore durante il processo, si osservi il can. 1518.

Articolo 3 - L'ufficio dei giudici

Can. 1676 - Il giudice prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale.

Can. 1677 - §1. Accolto il libello il presidente o il ponente notifichi il decreto di citazione a norma del can. 1508.

§2. Trascorso il termine di quindici giorni dalla notifica il presidente o il ponente, a meno che una delle parti non abbia richiesto l'udienza per la contestazione della lite, entro dieci giorni stabilisca d'ufficio con suo decreto la formulazione del dubbio o dei dubbi e la notifichi alle parti.

§3. La formula del dubbio non chieda soltanto se consta della nullità del matrimonio nel caso, ma deve anche determinare per quale capo o per quali capi è impugnata la validità delle nozze.

§4. Dopo dieci giorni dalla notificazione del decreto, se le parti non obiettano nulla, il presidente o il ponente con un nuovo decreto stabilisca l'istruttoria della causa.

Articolo 4 - Le prove

Can. 1678 - §1. Il difensore del vincolo, i patroni delle parti, e, se intervenga nel giudizio, anche il promotore di giustizia, hanno diritto: 1) di essere presenti all'esame delle parti, dei testimoni e dei periti, salvo il disposto del can. 1559; 2) di prendere visione degli atti giudiziari, benché non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti.

§2. Le parti non possono assistere all'esame di cui al §1, n.1.

Can. 1679 - A meno che non si abbia da altra fonte pienezza di prove, il giudice, per valutare a norma del can. 1536 le deposizioni delle parti, si serva, se è possibile, di testimoni sulla credibilità delle parti stesse, oltre ad altri indizi ed amminicoli.

Can. 1680 - Nelle cause sull'impotenza o sul difetto di consenso per malattia mentale, il giudice si serva dell'opera di uno o più periti, a meno che dalle circostanze non appaia evidentemente inutile; nelle rimanenti cause si osservi il disposto del can. 1574.

Articolo 5 - La sentenza e l'appello

Can. 1681 - Ogniqualvolta nell'istruttoria della causa fosse insorto un dubbio assai probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, sospesa la causa di nullità con il consenso delle parti, può completare l'istruttoria in vista della dispensa super rato, ed infine trasmettere gli atti alla Sede Apostolica insieme alla domanda di dispensa di uno o di entrambi i coniugi ed al voto del tribunale e del Vescovo.

Can. 1682 - §1. La sentenza che da principio dichiarò la nullità del matrimonio insieme agli appelli, se ce ne furono, e agli altri atti del giudizio, siano trasmessi d'ufficio al tribunale di appello entro venti giorni dalla pubblicazione della sentenza.

§2. Se fu emanata una sentenza a favore della nullità del matrimonio in primo grado, il tribunale di appello, ponderate le osservazioni del difensore del vincolo e anche delle parti, se ve ne siano, con suo decreto confermi sollecitamente la decisione oppure ammetta la causa all'esame ordinario del nuovo grado.

Can. 1683 - Se nel grado di appello si adduca un nuovo capo di nullità del matrimonio, il tribunale lo può ammettere e su di esso giudicare come se fosse in prima istanza.

Can. 1684 - §1. Dopo che la sentenza che dichiarò la nullità del matrimonio in primo grado fu confermata in grado di appello con un decreto o con una seconda sentenza, coloro, il cui matrimonio fu dichiarato nullo, possono contrarre nuove nozze, non appena il decreto o la nuova sentenza siano stati loro notificati, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa o al decreto oppure stabilito dall'Ordinario del luogo.

§2. Le disposizioni del can. 1644 devono essere osservate, anche se la sentenza che dichiarò la nullità del matrimonio fu confermata non già con un'altra sentenza, ma con decreto.

Can. 1685 - Non appena la sentenza diventa esecutiva, il Vicario giudiziale la deve notificare all'Ordinario del luogo in cui fu celebrato il matrimonio. Questi poi deve provvedere affinché al più presto si faccia menzione nei registri dei matrimoni e dei battezzati della nullità di matrimonio decretata e degli eventuali divieti stabiliti.

Articolo 6 - Il processo documentale

Can. 1686 - Ricevuta la domanda presentata a norma del can. 1677, il Vicario giudiziale o un giudice dal medesimo designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, citate però le parti e con l'intervento del difensore del vincolo, può dichiarare con sentenza la nullità del matrimonio, se da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna, consti con certezza l'esistenza di un impedimento dirimente o la mancanza della forma legittima, purché sia chiaro con eguale sicurezza che non fu concessa la dispensa, oppure che il procuratore non aveva un mandato valido.

Can. 1687 - §1. Contro questa dichiarazione il difensore del vincolo, se prudentemente giudichi che non vi sia certezza dei difetti di cui al can. 1686 o della mancata dispensa, deve appellare al giudice di seconda istanza, al quale si devono trasmettere gli atti ammonendolo per iscritto che si tratta di un processo documentale.

§2. Alla parte che si ritiene onerata resta il diritto di appellare.

Can. 1688 - Il giudice di seconda istanza, con l'intervento del difensore del vincolo e dopo aver udito le parti, decida allo stesso modo di cui al can. 1686 se la sentenza debba essere confermata o se piuttosto si debba procedere nella causa per il tramite ordinario del diritto; nel qual caso la rimandi al tribunale di prima istanza.

Articolo 7 - Norme generali

Can. 1689 - Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l'una verso l'altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l'educazione.

Can. 1690 - Le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio non possono essere trattate con il processo contenzioso orale.

Can. 1691 - In tutto il resto attinente il modo di procedere, si devono applicare, salvo la natura della cosa non si opponga, i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario, osservate le norme speciali per le cause sullo stato delle persone e per le cause riguardanti il bene pubblico.

CAPITOLO II

 CAUSE DI SEPARAZIONE DEI CONIUGI

Can. 1692 - §1. La separazione personale dei coniugi battezzati, salvo non sia legittimamente disposto altro per luoghi particolari, può essere definita con decreto del Vescovo diocesano, oppure con sentenza del giudice a norma dei canoni seguenti.

§2. Dove la decisione ecclesiastica non ottiene effetti civili o si preveda una sentenza civile non contraria al diritto divino, il Vescovo della diocesi dove dimorano i coniugi, ponderate le peculiari circostanze, potrà concedere licenza di ricorrere al tribunale civile.

§3. Se la causa verte anche sugli effetti puramente civili del matrimonio, il giudice faccia in modo che, osservato il disposto del §2, la causa fin dal suo inizio sia presentata avanti al tribunale civile.

Can. 1693 - §1. Salvo che una parte o il promotore di giustizia chiedano il processo contenzioso ordinario, si faccia uso del processo contenzioso orale.

§2. Se si è fatto uso del processo contenzioso ordinario ed è stato interposto l'appello, il tribunale di secondo grado proceda a norma del can. 1682, §2, osservato quanto è prescritto.

Can. 1694 - Per quanto concerne la competenza del tribunale si osservi il disposto del can. 1673.

Can. 1695 - Il giudice, prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia uso di mezzi pastorali, affinché i coniugi si riconcilino e siano indotti a ristabilire la convivenza coniugale.

Can. 1696 - Le cause di separazione dei coniugi riguardano anche il bene pubblico; in esse deve pertanto sempre intervenire il promotore di giustizia a norma del can. 1433.

CAPITOLO III

 PROCESSO PER LA DISPENSA DAL MATRIMONIO RATO E NON CONSUMATO

Can. 1697 - I soli coniugi, o uno di essi benché l'altro sia contrario, hanno diritto di chiedere la grazia della dispensa dal matrimonio rato e non consumato.

Can. 1698 - §1. La sola Sede Apostolica giudica sul fatto della inconsumazione del matrimonio e sulla esistenza di una giusta causa per la concessione della dispensa.

§2. La dispensa poi è concessa esclusivamente dal Romano Pontefice.

Can. 1699 - §1. Per l'accettazione del libello con cui si chiede la dispensa è competente il Vescovo della diocesi ove l'oratore ha il domicilio o il quasi-domicilio, il quale, se il fondamento della domanda sia evidente, deve ordinare l'istruzione del processo.

§2. Se il caso proposto tuttavia presenta speciali difficoltà di ordine giuridico o morale, il Vescovo diocesano consulti la Sede Apostolica.

§3. Contro il decreto con cui il Vescovo respinge il libello, è dato il ricorso alla Sede Apostolica.

Can. 1700 - §1. Fermo restando il disposto del can. 1681, il Vescovo affidi l'istruttoria di questi processi o stabilmente o caso per caso al tribunale della propria o di altra diocesi oppure ad un sacerdote idoneo.

§2. Che se fu introdotta domanda giudiziaria per la dichiarazione di nullità dello stesso matrimonio, l'istruttoria venga affidata allo stesso tribunale.

Can. 1701 - §1. In questi processi deve sempre intervenire il difensore del vincolo.

§2. Non è ammesso un patrono, ma per la difficoltà del caso il Vescovo può permettere che l'oratore o la parte convenuta si avvalgano dell'opera di un legale.

Can. 1702 - Nell'istruttoria si ascoltino entrambi i coniugi e si osservino per quanto è possibile i canoni circa le prove da raccogliersi nel giudizio contenzioso ordinario e nelle cause di nullità di matrimonio, purché si possano adattare alla natura di questi processi.

Can. 1703 - §1. Non vi è la pubblicazione degli atti; tuttavia il giudice, qualora veda che a causa delle prove addotte un grave ostacolo si frappone contro la domanda dell'oratore o contro l'eccezione della parte convenuta, lo renda noto con prudenza alla parte interessata.

§2. Il giudice può mostrare alla parte che ne faccia richiesta un documento prodotto o una testimonianza raccolta e stabilire il tempo per presentare le deduzioni.

Can. 1704 - §1. L'istruttore, terminata l'istruttoria, trasmetta tutti gli atti al Vescovo con appropriata relazione; questi esprima il suo voto secondo verità, sia sul fatto dell'inconsumazione sia sulla giusta causa per la dispensa e sulla opportunità della grazia.

§2. Se l'istruzione del processo è stata affidata ad un altro tribunale a norma del can. 1700, le osservazioni a favore del vincolo siano fatte nel medesimo tribunale, ma il voto di cui al §1 spetta al Vescovo committente, al quale l'istruttore insieme con gli atti trasmetterà appropriata relazione.

Can. 1705 - §1. Il Vescovo trasmetta alla Sede Apostolica tutti gli atti insieme al suo voto ed alle osservazioni del difensore del vincolo.

§2. Se, a giudizio della Sede Apostolica, si richiede un supplemento d'istruttoria, ciò sarà segnalato al Vescovo indicando la materia circa la quale l'istruzione deve essere completata.

§3. Che se la Sede Apostolica pronunciò con rescritto che da quanto fu prodotto non consta l'inconsumazione, in tal caso il legale di cui al can. 1701, §2, può prendere visione degli atti del processo, ma non del voto del Vescovo, presso la sede del tribunale, per valutare se si possa addurre qualche grave ragione allo scopo di proporre nuovamente la domanda.

Can. 1706 - Il rescritto della dispensa è trasmesso dalla Sede Apostolica al Vescovo; questi poi notificherà il rescritto alle parti ed inoltre ordinerà al più presto al parroco del luogo dove fu contratto il matrimonio e dove fu ricevuto il battesimo che si faccia menzione della dispensa concessa nei registri dei matrimoni e dei battezzati.

CAPITOLO IV

 PROCESSO DI MORTE PRESUNTA DEL CONIUGE

Can. 1707 - §1. Ogniqualvolta la morte del coniuge non può essere dimostrata con un documento autentico ecclesiastico o civile, non si consideri l'altro coniuge libero dal vincolo matrimoniale se non dopo la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal Vescovo diocesano.

§2. La dichiarazione di cui al §1 può essere fatta dal Vescovo diocesano soltanto dopo aver conseguito, fatte opportune indagini, la certezza morale del decesso del coniuge dalla deposizione di testimoni, per fama oppure da indizi. La sola assenza del coniuge, benché prolungata, non è sufficiente.

§3. Nei casi incerti e complessi il Vescovo consulti la Sede Apostolica.

TITOLO II

CAUSE PER LA DICHIARAZIONE DI NULLITÀ DELLA SACRA ORDINAZIONE (Cann. 1708 – 1712)

 

Can. 1708 - Hanno diritto di accusare la validità della sacra ordinazione sia il chierico stesso, sia l'Ordinario cui il chierico è soggetto o nella cui diocesi fu ordinato.

Can. 1709 - §1. Il libello deve essere inviato alla Congregazione competente, la quale deciderà se la causa debba essere trattata dalla stessa Congregazione della Curia Romana o da un tribunale da essa designato.

§2. Inviato il libello, al chierico è proibito per il diritto stesso di esercitare gli ordini.

Can. 1710 - Se la Congregazione ha rinviato la causa ad un tribunale, si osservino, a meno che non si opponga la natura della cosa, i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario, salve le disposizioni di questo titolo.

Can. 1711 - In queste cause il difensore del vincolo gode degli stessi diritti ed è tenuto agli stessi doveri del difensore del vincolo del matrimonio.

Can. 1712 - Dopo la seconda sentenza a conferma della nullità della sacra ordinazione, il chierico perde tutti i diritti propri dello stato clericale ed è liberato da tutti gli obblighi.

TITOLO III

MODI PER EVITARE I GIUDIZI (Cann. 1713 – 1716)

 

Can. 1713 - Per evitare le contese giudiziarie si può utilmente ricorrere alla transazione o riconciliazione, oppure affidare la controversia al giudizio di uno o più arbitri.

Can. 1714 - Per la transazione, il compromesso e il giudizio arbitrale si osservino le norme prescelte dalle parti, oppure, se le parti non ne abbiano scelto, la legge fatta dalla Conferenza Episcopale, se vi sia, o la legge civile vigente nel luogo dove la convenzione viene fatta.

Can. 1715 - §1. Non può esserci valida transazione o compromesso su tutto ciò che appartiene al bene pubblico e sulle altre cose di cui le parti non possono disporre liberamente.

§2. Trattandosi di beni ecclesiastici temporali, si osservino, ogni qualvolta la materia lo richiede, le formalità stabilite dal diritto per l'alienazione delle cose ecclesiastiche.

Can. 1716 - §1. Se la legge civile non riconosce valore alla sentenza arbitrale che non sia confermata dal giudice, perché abbia valore in foro canonico la sentenza arbitrale circa una controversia ecclesiastica necessita della conferma del giudice ecclesiastico del luogo in cui fu emessa.

§2. Se poi la legge civile ammette l'impugnazione della sentenza arbitrale avanti al giudice civile, la stessa impugnazione è ammessa in foro canonico avanti al giudice ecclesiastico competente a giudicare la controversia in primo grado.

PARTE QUARTA

IL PROCESSO PENALE (Cann. 1717 – 1731)

 

CAPITOLO I

 L'INDAGINE PREVIA

Can. 1717 - §1. Ogniqualvolta l'Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull'imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua.

§2. Si deve provvedere che con questa indagine non sia messa in pericolo la buona fama di alcuno.

§3. Chi fa l'indagine ha gli stessi poteri ed obblighi che ha l'uditore nel processo; lo stesso non può, se in seguito sia avviato un procedimento giudiziario, fare da giudice in esso.

Can. 1718 - §1. Qualora gli elementi raccolti sembrino bastare l'Ordinario decida: 1) se si possa avviare il processo per infliggere la pena o dichiararla; 2) se ciò, atteso il can. 1341, sia conveniente; 3) se si debba ricorrere al processo giudiziario, oppure, a meno che la legge non lo vieti, si debba procedere con decreto extragiudiziale.

§2. L'Ordinario revochi o modifichi il decreto di cui al §1, ogniqualvolta da elementi nuovi gli sembri di dover disporre diversamente.

§3. Nell'emanare i decreti di cui ai §§1 e 2, l'Ordinario, se prudentemente lo ritiene opportuno, ascolti due giudici e altri esperti in diritto.

§4. Prima di decidere a norma del §1, l'Ordinario consideri se non sia conveniente, per evitare giudizi inutili, che egli stesso o l'investigatore, consenzienti le parti, dirima la questione dei danni secondo il giusto e l'onesto.

Can. 1719 - Gli atti dell'indagine e i decreti dell'Ordinario, con i quali l'indagine ha inizio o si conclude e tutto ciò che precede l'indagine, se non sono necessari al processo penale, si conservino nell'archivio segreto della curia.

CAPITOLO II

 LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Can. 1720 - Se l'Ordinario ha ritenuto doversi procedere con decreto per via extragiudiziale: 1) renda note all'imputato l'accusa e le prove, dandogli possibilità di difendersi, a meno che l'imputato debitamente chiamato non abbia trascurato di presentarsi; 2) valuti accuratamente con due assessori tutte le prove e gli argomenti; 3) se consta con certezza del delitto e l'azione criminale non è estinta, emani il decreto a norma dei cann. 1342-1350, esponendo almeno brevemente le ragioni in diritto e in fatto.

Can. 1721 - §1. Se l'Ordinario ha decretato doversi avviare un processo penale giudiziario, trasmetta gli atti dell'indagine al promotore di giustizia, il quale presenti al giudice il libello di accusa a norma dei cann. 1502 e 1504.

§2. Avanti al tribunale superiore copre il ruolo di attore il promotore di giustizia costituito presso quel tribunale.

Can. 1722 - L'Ordinario per prevenire gli scandali, tutelare la libertà dei testimoni e garantire il corso della giustizia, può in qualunque stadio del processo, udito il promotore di giustizia e citato l'accusato stesso, allontanare l'imputato dal ministero sacro o da un ufficio o compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la dimora in qualche luogo o territorio, o anche vietargli di partecipare pubblicamente alla santissima Eucaristia; tutti questi provvedimenti, venendo meno la causa, devono essere revocati, e cessano per il diritto stesso con il venir meno del processo penale.

Can. 1723 - §1. Il giudice citando l'imputato deve invitarlo a costituirsi un avvocato a norma del can. 1481, §1, entro un termine da lui stesso stabilito.

§2. Che se l'imputato non vi abbia provveduto, il giudice stesso prima della contestazione della lite nomini un avvocato, che rimarrà nell'incarico fin tanto che l'imputato non se ne sia costituito uno proprio.

Can. 1724 - §1. In qualunque grado del giudizio il promotore di giustizia può rinunciare all'istanza, per mandato o con il consenso dell'Ordinario che ha deliberato l'avvio del processo.

§2. Perché la rinuncia sia valida occorre che sia accettata dall'imputato, salvo questi non sia stato dichiarato assente dal giudizio.

Can. 1725 - Nella discussione della causa, sia che essa avvenga per iscritto sia oralmente, l'imputato abbia sempre il diritto di scrivere o di parlare per ultimo, personalmente o tramite il suo avvocato o procuratore.

Can. 1726 - In qualunque grado e stadio del giudizio penale, se consta con evidenza che il delitto non fu commesso dall'imputato, il giudice lo deve dichiarare con sentenza ed assolvere l'imputato, anche se contemporaneamente consti l'estinzione dell'azione penale.

Can. 1727 - §1. L'imputato può interporre appello, anche se la sentenza lo ha prosciolto solo perché la pena era facoltativa o il giudice fece uso dei poteri di cui nei cann. 1344 e 1345.

§2. Il promotore di giustizia può appellare ogniqualvolta giudichi che non si sia sufficientemente provveduto a riparare lo scandalo o a reintegrare la giustizia.

Can. 1728 - §1. Salve le disposizioni dei canoni di questo titolo, nel giudizio penale devono essere applicati, se non vi si opponga la natura della cosa, i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario, osservate le norme speciali per le cause riguardanti il bene pubblico.

§2. L'accusato non è tenuto a confessare il delitto, né può essergli imposto il giuramento.

CAPITOLO III

 L'AZIONE PER LA RIPARAZIONE DEI DANNI

Can. 1729 - §1. La parte lesa può promuovere nel corso del giudizio penale stesso un'azione contenziosa per la riparazione dei danni ad essa inferti dal delitto, a norma del can. 1596.

§2. L'intervento della parte lesa di cui al §1, non è più ammissibile se non fu fatto nel primo grado del giudizio penale.

§3. L'appello nella causa sui danni avviene a norma dei cann. 1628-1640, anche se nel giudizio penale non è possibile l'appello; che se sono interposti entrambi gli appelli, anche se da parti diverse, si faccia un unico giudizio di appello, salvo il disposto del can. 1730.

Can. 1730 - §1. Per evitare eccessivi ritardi nel processo penale, il giudice può differire il giudizio sui danni fino a che abbia emanato la sentenza definitiva nel giudizio penale.

§2. Il giudice che abbia così agito, dopo aver emesso la sentenza nel giudizio penale, deve giudicare sui danni, anche se il giudizio penale è ancora in corso a causa di una impugnazione interposta, o l'imputato è stato assolto per un motivo che non toglie l'obbligo di riparare i danni.

Can. 1731 - La sentenza emanata nel giudizio penale, pur essendo passata in giudicato, non fa legge in alcun modo per la parte lesa, a meno che questa non sia intervenuta a norma del can. 1729

PARTE QUINTA

IL MODO DI PROCEDERE NEI RICORSI AMMINISTRATIVI E NELLA RIMOZIONE O NEL TRASFERIMENTO DEI PARROCI

 

SEZIONE I - IL RICORSO CONTRO I DECRETI AMMINISTRATIVI (Cann. 1732 – 1739)

 

Can. 1732 - Quanto è stabilito nei canoni di questa sezione per i decreti, deve essere applicato a tutti gli atti amministrativi singolari, che vengono dati in foro esterno fuori del giudizio, ad eccezione di quelli emanati dal Romano Pontefice stesso o dal Concilio Ecumenico stesso.

Can. 1733 - §1. È assai desiderabile che, ogniqualvolta qualcuno si ritenga onerato da un decreto, non vi sia contesa tra di lui e l'autore del decreto, ma tra di loro si provveda di comune accordo a ricercare un'equa soluzione, ricorrendo anche a persone autorevoli per la mediazione e lo studio, così che per via idonea si eviti o si componga la controversia.

§2. La Conferenza Episcopale può stabilire che in ciascuna diocesi si costituisca stabilmente un vero e proprio ufficio o consiglio, che abbia il còmpito, secondo norme da stabilirsi dalla Conferenza medesima, di ricercare e suggerire eque soluzioni; se la Conferenza poi non diede tale disposizione può costituirlo anche il Vescovo.

§3. L'ufficio o consiglio, di cui al §2, operi principalmente allorquando sia richiesta la revoca del decreto a norma del can. 1734, né siano spirati i termini per ricorrere; che se è stato proposto ricorso contro il decreto, lo stesso Superiore o il giudice che esamina il ricorso esorti il ricorrente e l'autore del decreto, ogni qualvolta intraveda una speranza di buon esito, a ricercare tali soluzioni.

Can. 1734 - §1. Chiunque prima di presentare ricorso deve chiedere per iscritto la revoca o la correzione del decreto al suo autore; presentata questa domanda s'intende con ciò stesso richiesta la sospensione dell'esecuzione.

§2. La domanda deve essere fatta entro il termine perentorio di dieci giorni utili dalla legittima intimazione del decreto.

§3. Le norme dei §§1 e 2 non valgono: 1) per il ricorso da presentare al Vescovo contro i decreti emessi dalle autorità a lui soggette; 2) per il ricorso da presentare contro un decreto in cui si decide il ricorso gerarchico, a meno che la decisione non sia presa dal Vescovo; 3) per i ricorsi da proporre a norma dei cann. 57 e 1735.

Can. 1735 - Se entro trenta giorni da quando gli è pervenuta la domanda di cui ai can. 1734, l'autore del decreto emetta un nuovo decreto con il quale corregga il primo o decida che si deve respingere la domanda, i termini per il ricorso decorrono dall'intimazione del nuovo decreto; se poi entro trenta giorni non decide nulla, i termini decorrono dal trentesimo giorno.

Can. 1736 - §1. In quelle materie in cui il ricorso gerarchico sospende l'esecuzione del decreto, anche la domanda di cui al can. 1734 produce lo stesso effetto.

§2. In tutti gli altri casi, a meno che l'autore stesso del decreto, entro dieci giorni da quando gli è pervenuta la domanda di cui al can. 1734, non abbia deciso di sospendere l'esecuzione, la sospensione può frattanto essere richiesta al suo Superiore gerarchico, che la può decidere soltanto per cause gravi ed evitando sempre che la salvezza delle anime ne tragga danno.

§3. Sospesa l'esecuzione del decreto a norma del §2, qualora in seguito sia presentato ricorso, colui che deve giudicare il ricorso stesso a norma del can. 1737, §3, decida se la sospensione debba essere confermata oppure revocata.

§4. Se nessun ricorso viene presentato contro il decreto nel termine stabilito, per ciò stesso cessa la sospensione della esecuzione messa in atto nel frattempo a norma dei §§1 o 2.

Can. 1737 - §1. Chi sostiene di essere onerato da un decreto, può ricorrere al Superiore gerarchico di colui che ha emesso il decreto, per un motivo giusto qualsiasi; il ricorso può essere presentato avanti all'autore stesso del decreto, il quale lo deve immediatamente trasmettere al Superiore gerarchico competente.

§2. Il ricorso deve essere presentato entro il termine perentorio di quindici giorni utili, che nei casi di cui al can. 1734, §3, decorrono dal giorno in cui il decreto fu intimato, in tutti gli altri casi invece decorrono a norma del can. 1735.

§3. Anche nei casi in cui il ricorso non sospende per il diritto stesso l'esecuzione, né la sospensione fu decisa a norma del can. 1736, §2, il Superiore può tuttavia per una causa grave ordinare che l'esecuzione sia sospesa, evitando però che la salvezza delle anime ne tragga danno.

Can. 1738 - Il ricorrente ha sempre diritto di valersi di un avvocato o procuratore, evitando inutili ritardi; anzi sia costituito un patrono d'ufficio se il ricorrente non ha un patrono e il Superiore lo ritenga necessario; il Superiore può tuttavia sempre ordinare al ricorrente di presentarsi personalmente per essere interrogato.

Can. 1739 - Al Superiore che giudica il ricorso è consentito, a seconda dei casi, non solo di confermare o dichiarare invalido il decreto, ma anche di rescinderlo, revocarlo, o, se ciò sembra al Superiore più opportuno, correggerlo, subrogarlo, abrogarlo.

SEZIONE II

PROCEDURA PER LA RIMOZIONE E IL TRASFERIMENTO DEI PARROCI Cann. 1740 – 1752)

 

CAPITOLO I

 MODO DI PROCEDERE NELLA RIMOZIONE DEI PARROCI

Can. 1740 - Quando il ministero pastorale di un parroco per qualche causa, anche senza sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace, quel parroco può essere rimosso dalla parrocchia da parte del Vescovo diocesano.

Can. 1741 - Le cause, per le quali il parroco può essere legittimamente rimosso dalla sua parrocchia, sono principalmente queste: 1) il modo di agire che arrechi grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale; 2) l'inettitudine o l'infermità permanente della mente o del corpo, che rendano il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti; 3) la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l'avversione contro il parroco, che si preveda non cesseranno in breve; 4) grave negligenza o violazione degli uffici parrocchiali, che persista dopo l'ammonizione; 5) cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si possa porre altro rimedio.

Can. 1742 - §1. Se dall'istruttoria svolta è risultato esservi la causa di cui al can. 1740, il Vescovo discuta la cosa con due parroci scelti dal gruppo a ciò stabilmente costituito dal consiglio presbiterale, su proposta del Vescovo; che se poi ritenga si debba addivenire alla rimozione, indicati la causa e gli argomenti per la validità, convinca paternamente il parroco a rinunziare entro quindici giorni.

§2. Per i parroci che sono membri di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, si osservi il disposto del can. 682, §2.

Can. 1743 - La rinuncia può essere fatta dal parroco non soltanto in maniera pura e semplice, ma anche sotto condizione, purché questa possa essere legittimamente accettata dal Vescovo e di fatto egli la accetti.

Can. 1744 - §1. Se il parroco entro i giorni stabiliti non avrà risposto, il Vescovo lo inviti nuovamente prorogando i termini di tempo utile per rispondere.

§2. Se al Vescovo consta che il parroco ha ricevuto il secondo invito e non ha risposto benché non fosse trattenuto da alcun impedimento, o se il parroco senza addurre alcun motivo si rifiuta di rinunciare, il Vescovo emetta il decreto di rimozione.

Can. 1745 - Se poi il parroco contesta la causa addotta e le sue motivazioni, allegando motivi che al Vescovo sembrino insufficienti, questi per agire validamente: 1) lo inviti a raccogliere in una relazione scritta, dopo aver esaminato gli atti, le sue impugnazioni, anzi ad addurre le prove in contrario, se ne abbia; 2) quindi, completata se necessario l'istruttoria, insieme agli stessi parroci, di cui al can. 1742, §1, se non se ne debbano altri essendo quelli impossibilitati, valuti la cosa; 3) infine stabilisca se il parroco debba essere rimosso o no, ed emetta subito il relativo decreto.

Can. 1746 - Il Vescovo provveda al parroco rimosso sia con l'assegnazione di un altro ufficio, se a questo sia idoneo, sia con una pensione a seconda che il caso lo comporti e le circostanze lo permettano.

Can. 1747 - §1. Il parroco rimosso deve astenersi dall'esercizio delle funzioni del parroco, quanto prima lasciare libera la casa parrocchiale, e consegnare tutto ciò che appartiene alla parrocchia, a colui al quale essa fu affidata dal Vescovo.

§2. Se poi si tratta di un infermo, che dalla casa parrocchiale non può trasferirsi altrove senza incomodo, il Vescovo gliene consenta l'uso anche esclusivo, finché perdura tale necessità.

§3. In pendenza del ricorso contro il decreto di rimozione, il Vescovo non può nominare un nuovo parroco, ma nel frattempo provveda tramite un amministratore parrocchiale.

CAPITOLO II

 MODO DI PROCEDERE NEL TRASFERIMENTO DEI PARROCI

Can. 1748 - Se il bene delle anime oppure la necessità o l'utilità della Chiesa richiedono che un parroco sia trasferito dalla sua parrocchia, che egli regge utilmente, ad un'altra o ad un altro ufficio, il Vescovo gli proponga il trasferimento per iscritto e lo convinca ad accettare per amore di Dio e delle anime.

Can. 1749 - Se il parroco non intende assecondare il consiglio e i pressanti inviti del Vescovo, ne esponga i motivi per iscritto.

Can. 1750 - Se il Vescovo nonostante le ragioni addotte, giudica di non dover recedere dal suo proposito, insieme a due parroci scelti a norma del can. 1742, §1, valuti le ragioni favorevoli o contrarie al trasferimento; che se poi ritiene che il trasferimento si debba fare, rivolga nuovamente al parroco paterne esortazioni.

Can. 1751 - §1. Fatto quanto detto sopra, se ancora il parroco rifiuta e il Vescovo reputa che il trasferimento deve essere fatto, emani il decreto di trasferimento, decidendo che, trascorso il tempo stabilito, la parrocchia sarà vacante.

§2. Trascorso inutilmente questo tempo, dichiari vacante la parrocchia.

Can. 1752 - Nelle cause di trasferimento si applichino le disposizioni del can. 1747, attenendosi a principi di equità canonica e avendo presente la salvezza delle anime, che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema.

 

 

Conosciamo e crediamo