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Profeti

I profeti esercitarono spesso una dura critica nei confronti della situazione esistente. Essi prevedevano sviluppi futuri e questo è rimasto nel nostro linguaggio comune della parola profeta "non sono mica un profeta" in realtà i profeti erano molto di più. Da proferì = “parlare al posto di”. Il profeta dice qual è il tema di Dio, qual è la sua volontà; non predice il futuro. E’ importantissima la sua presenza nella comunità: correlato alla glossolalia (1Cor14 se non c’è il profeta, il glossolago taccia) il profeta ha un carisma interpretativo.

La profezia nel retroterra giudaico è una tradizione molto ampia che risale a Mosè e diventa importante nel periodo del Nuovo Testamento, la profezia nasce dal rapporto con la Parola di Dio, il profeta è colui che annuncia la Parola di Dio, nell'ambiente profano invece la profezia è più rapportata alla divinazione, a un aspetto particolare del rapporto con la divinità. La profezia non è soltanto un fenomeno giudaico, è un errore enorme, in tutta l'area del mediterraneo la profezia è un carisma molto sviluppato perchè abbiamo diversi santuari e luoghi di culto in cui questo aspetto è sviluppato, le persone si recano per ascoltare un oracolo di rivelazione. Gli oracoli sibillini, scritto apocrifo, appartengono al periodo del I secolo, cosa sono? Sono degli oracoli che da una parte riflettono il contesto giudaico di rapporto con la Parola di Dio, dall'altra il contesto gentile.

Profeti giudaici

Da una parte erano molto conservatori, volevano tornare alla religione dei seminomadi, respinsero l'introduzione di dei stranieri. Dall'altro lato invece erano estremamente progressisti, non si lasciavano accecare dalle istituzioni del tempo, dallo sfarzoso culto del tempio.

L'era profetica termina attorno al 450 a.C. il loro scopo è quello di far conoscere le volontà di Dio nelle varie circostanze della vita:

  1. In un primo momento si parla dello Spirito dato ad Israele sono i profeti tra Mosè e Neemia qui c'è una comunicazione diretta della volontà di Dio, i profeti sono coloro che sono assistiti dallo Spirito.
  2. In un secondo momento i profeti sono paradigma in cui si tratta del compimento anche se parziale della promessa, delle aspettative della Torah e qui si differenziano i profeti anteriori che sottolineano il compimento della promessa per mezzo dell'obbedienza all'alleanza e quelli posteriori che denunciano il ritardo del compimento e della realizzazione dei beni promessi, compimento non completato a causa della manzanza di obbedienza alla Legge, all'alleanza, tuttavia l'alleanza si compirà ai tempi del Messia.
  3. In un terzo momento c'è un richiamo continuo alla Torah, c'è un richiamo alla conversione a ritornare alla pratica autentica della Torah.

Con Malachia attorno al 450 a.C. finisce l'era profetica, nessuno più pretenderà di essere messaggero di Dio e nessun politico invierà più a consultare un profeta prima di prendere una decisione. Sino al 198 a.C. non succederà molto altro storicamente, ci si richiamerà quindi a storie più antiche perché non c'è alcun avvenimento storico di compimento della Torah, così Cronache, Esdra-Neemia e Daniele non sono annoverati tra i profeti. L'ispirazione divina si è bloccata a causa della distruzione del Tempio, e il profetismo è sparito come segno della collera di Jahvè e il ritiro per un tempo imprecisato dei beni promessi, compresa la profezia. La profezia del profeta anche quando annunzia disgrazie è garanzia che la comunicazione fra Dio e Israele non si è interrotta, quindi il silenzio di Dio è spaventoso.

I Profeti sono in vista del compimento della Torah:

  • Profeti Anteriori – da Giosuè a II Re perché sottolineano che il compimento avverrà a seguito dell’obbedienza all’Alleanza
  • Profeti Posteriori – da Isaia a Malachia denunciano il ritardo del compimento a causa della disobbedienza (sarai felice SE compirai…) ma inseriscono l’attesa del Messia.

I Profeti richiamano continuamente la Torah

  • Aggeo, Zaccaria e Malachia: Ricordatevi della legge di Mosè
  • Deut. 18 – il ministero profetico è unito alla Torah
  • Il tema dell’Alleanza tipicamente deuteronomista[3] vede il Profeta al servizio della berit (alleanza) attraverso il richiamo continuo al pentimento e alla conversione.

Vi erano all'epoca sicuramente anche dei profeti di professione che probabilmente erano al servizio del Tempio. I profeti critici, come Amos, non volevano essere scambiati con questi. Prima di essere accettati e inseriti nella Bibbia, questi profeti sono stati addirittura talvolta perseguitati, ma comunque incompresi e rifiutati. I più antichi profeti scrittori furono Amos e Osea che operarono prima del crollo del Regno del Nord.

Il profeta israelita nasce da due figure che sono: il veggente e il nabi. Il veggente è tipico dei popoli nomadi, faceva soprattutto conoscere la volontà divina con sogni e visioni, il veggente a differenza del nabi, non era legato necessariamente ad un santuario. Nella primitiva cultura il mago, il sacerdote e il capotribù spesso coincidevano in un'unica persona che era considerata ispirata. Il nabi, invece, era più legato ad un ambiente civilizzato, non più nomade. Si tratta di una forma di profetismo in stato d'estasi.

Gli israeliti, quindi, dapprima nomadi portarono con se la veggenza, e trovarono poi arrivati in Palestina il nabismo. Inizialmente quindi esistevano queste due figure separate che poi si fusero nel vero profeta veterotestamentario, che si ha a pieno con Elia e Eliseo. Il profetismo dell’Antico Testamento prende da queste due forme ma le trasforma anche in qualcosa di unico. Questi poterono presentarsi come figure indipendenti dal santuario e senza violente esperienze estatiche, come già i veggenti, la figura del nabi, invece, sopravvive nel fatto che i profeti potevano presentarsi in piccoli o grandi gruppi, legati ad un santuario e al culto con esperienze estatiche deliberatamente provocate.

Tra profetismo e magia c’è una relazione. Le leggende sui profeti presentano spesso tratti miracolosi che spesso sono di natura magica. La parola di Jahvé come la pronunciava un profeta aveva un efficacia simile a quella della parola magico-incantatrice. Se un profeta annunciava la morte o la rovina di qualcuno era impossibile che la preda ne uscisse illesa (1 Sam 2,27-34; 4,11; 1 Re 2,26; 2 Sam 12,11-18; 1 Re 13,20-24; 14,12-18), come quando ne annunciava la salvezza, era impossibile che non si realizzasse ( 1 Re 11,31; 12,20; 2 Re 19,6-3; 20,5). Probabilmente questa magia presente nei profeti derivava dalla cultura nomade, e così si spiegano anche lo speciale vestiario dei profeti, che sembra corrispondere a un’usanza nomade, la tonsura (2 Re 2,53), rituale che si basa sull’idea che nei capelli è contenuta la forza.

Talvolta però questa magià sembra non dipendere più dal profeta e così: non era più il profeta a conoscere l’ignoto ma Jahvé che glielo faceva conoscere (1 Re 13,2; 14,5; 2 Re 3,16); non agiva più per suo potere, ma per ordine di Jahvé o comunque richiamandosi alla sua volontà (1 Re 13,3; 2 Re 4,43) agisce pronunciando la parola di Jahvé o è lo stesso Jahvé ad operare ( 1 Re 17,14; 2 Re 6,15; 7,1) oppure il miracolo avveniva durante la preghiera a Jahvé (1 Re 17,20; 2 Re 4,33).

C’erano vari tipi di profeti: c’erano i profeti indipendenti, che andavano in giro per il paese; quelli cultuali, presenti nei santuari accanto ai sacerdoti e ai leviti. I profeti cultuali all’epoca rivestivano più importanza, fino al periodo esilico in cui si scopri che molte delle cose dette dai profeti cultuali erano sbagliate, mentre i profeti indipendenti avevano previsto molte cose che poi sono successe. Quindi si cercano i detti di questi profeti e acquistarono valore di scritti sacri, invece sono relativamente pochi gli scritti sacri dei profeti professionali. A questo gruppo dei profeti professionali appartengono quelli che nell’Antico Testamento sono condannati come falsi profeti.

L’attività profetica cominciava con la chiamata (Is 6; Ger 1,4-10; Ez 1,1-3,15) e poteva essere poi seguita in maniera costante oppure abbandonata in seguito a una costrizione esterna (Am 7,10), o essere interrotta temporaneamente a causa di un insuccesso (Is 8,16-18), o ancora a causa della conversione a un nuovo messaggio (Ez 3,22-27; 24,25-27; 33,21). I discorsi profetici erano destinati ad una comunicazione orale, la trascrizione è avvenuta solo in un secondo momento.

Il discorso profetico comprende almeno quattro stadi:

  1. Un momento in cui il profeta si sentiva preso da Dio. Il profeta si richiamava alla parola di Jahvé, che si presentava come una forza esterna al profeta, forza che si imponeva contro le sue stesse inclinazioni e i suoi stessi desideri.
  2. Il secondo stadio era l’interpretazione del profeta della propria esperienza
  3. Il terzo stadio è quello dello sviluppo razionale dell’evento, bisognava tradurlo in un discorso razionale, non lasciarlo al balbettio del parlare estatico
  4. Il quarto stadio è quello artistico, l’elaborazione artistica di ciò che è accaduto. Per questo non c’è un vero discorso profetico che non sia in versi.

I profeti hanno compiuto anche azioni simboliche, come Osea, che sposa una prostituta a simboleggiare la prostituzione di Israele e anche i nomi dati ai figli sono simbolici (Os 1,2-9), avviene lo stesso anche con il figlio di Isaia (Is 7,3). Tutte queste azioni sono state compiute per arrivare ad uno scopo, non per uno stato d’animo o un’invenzione del profeta. Dietro queste azioni simboliche c’erano azioni magiche, si voleva ottenere qualcosa di ben definito proprio con queste azioni. Però queste azioni, secondo quanto credevano i profeti, non erano le loro azioni a far avverare l’evento simboleggiato, ma la potenza e la volontà di Jahvé di voler vedere realizzato l’annuncio del profeta. In molte azioni profetiche troviamo che sono proprio mosse e comandata da Jahvé stesso. Quindi non era il profeta ad avere poteri magici, ma era Jahvé che agiva per mezzo del profeta.

I libri dei profeti anteriori e posteriori mostrano come non tutti i profeti sono stati profeti scrittori, alcune figure profetiche parlarono a nome di Jahvè, la pluralità delle forme profetiche si vede anche nella pluralità della terminologia:

  1. “Uomo di Dio”. Si tratta di un antica designazione (Samuele, Eliseo), riservata a uomini dotati di una potenza prodigiosa, che si manifestava soprattutto nelle guarigioni (2 Re 5) e nella capacità di dare risposte alla consultazione di Dio.
  2. Vedente e Veggente. Questi titoli risalgono all’epoca arcaica, il titolo di Vedente è stato dato a Samuele, Balaam e Gad. E probabilmente questa è stata l’autopresentazione di Amos e di Isaia.
  3. “Nabi’” è il termine che ricorre con maggior frequenza e al singolare è stato dato a profeti di corte (Natan e Gad), ai profeti scrittori più recenti (Geremia, Abacuc, Ezechiele; Aggeo; Zaccaria) e anche a figure significative del periodo arcaico (Mosè, Miriam, Debora, Samuele, Elia). Al plurale è invece attribuito a quei gruppi di profeti estatici, attorno a Samuele, o di profeti associati (attorno a Eliseo). In senso negativo è invece riferito ai profeti di Baal e agli avversari dei profeti scrittori
  4. Diversi nomi che indicano coloro che sviluppano la cosiddetta profezia indotta, indovini. Questa forma di divinizzazione, diffusa nell’Antico Oriente, conobbe una notevole diffusione in Israele prima dell’esilio, ma fu considerata falsa profezia.

C’erano quindi vari tipi di profeti:

  1. Profeti di associazioni o figli di profeti: questi vivono in associazioni e formano comunità attorno a grandi personalità, come Samuele o Elia o Eliseo. Cercano il contatto con la divinità mediante l’estasi, agiscono come guaritori, svolgono un’azione di aiuto verso i fedeli e a volte operano come sobillatori politici.
  2. Profeti cultuali o del tempio. Le loro funzioni principali sono la preghiera di intercessione e la comunicazione di detti divini correlati al culto. A questa tradizione appartengono i profeti scrittori Abacuc, Nahum e Gioele.
  3. Profeti di corte: questi sono al servizio del re e della sua politica, sia in situazioni critiche sia in quelle significative per la vita del re come intronizzazione o matrimonio, si incontrano anche donne che appartengono a questa tipologia profetica (2 Re 22,14).
  4. Profeti liberi, di opposizione. Questo è il gruppo meno numeroso, ma il più significativo, per la tradizione di Israele e la formazione del canone. Vi appartengono tutti i profeti scrittori presenti in TNK, ad eccezione di Abacuc, Nahum e Gioele.
  5. Profeti letterari o tradenti che sono coloro che hanno contribuito alla raccolta dei detti profetici, alla loro costante reinterpretazione, fino alla fissazione del canone. A questi profeti si deve quindi la formazione dei libri pratici.

La Bibbia ebraica rinvia alla profezia fuori di Israele. In Nm 22-24 si parla di Balaam, il veggente della Giordania orientale. Secondo 1 Re 18,18 Elia lotta sul Carmelo contro 450 profeti di Baal e Geremia, annuncia un messaggio che tiene conto dei profeti degli altri stati (Ger 27,9). Alcuni testi egiziani e babilonesi sono stati indicati dalla ricerca come profezia e talvolta sono stati paragonati con quelli di Israele. Tutti questi testi legittimano la loro descrizione del presente presentandola come compimento della precedente parola divina, ma “nessuno di questi testi è attribuito a un’espereinza di rivelazione del suo autore…e in nessun luogo si parla di un incarico da parte della divinità di trasmettere il messaggio per il futuro a determinati destinatari o a un determinato pubblico”1. I criteri della profezia (ricezione intuitiva di una parola divina connessa con l’incarico della divinità di trasmettere questa parola) sono invece presenti in una serie considerevole di testi. Circa trenta lettere antico-babilonesi da Mari, sul medio Eufrate, narrano che molti profeti, uomini e donne, fanno comunicare, generalmente al re, per incarico divino le parole e decisioni divine, che sono state partecipate in un esperienza di rivelazione, che sia la visione in sogno, l’estasi, la visione e l’audizione. In genere si tratta di messaggi di salvezza, o di messaggi critici che biasimano la negligenza nel culto. Rispetto invece ai profeti di Israele manca invece la critica della società. Le iscrizioni paretali trovate a Tell Der Alla, ad est del Giordano testimoniano della ricezione della parola divina mediante visione da parte di Balaam, che è menzionato anche in Nm 22-24.

Molto forti sono le affinità di questa profezia dell’ambiente circostante con quella di Israele che si esprimeva alla corte dei re o nei santuari. I testi della profezia antico orientale permettono di comprendere storicamente la profezia della salvezza di cui la Bibbia ebraica parla di sfuggita o in modo polemico. Sullo sfondo di questi testi si comprende, inoltre, ancora di più lo specifico dei profeti individuali di Israele. Nei testi del mondo antico orientale, non si trovano infatti i contrasti radicali con la struttura statale impersonificata dal re che invece si trovano nei profeti individuali d’Israele, sono assenti, inoltre, la critica sociale e l’interesse per il destino del popolo. I detti profetici dell’Antico Oriente furono riuniti e archiviati, ma non hanno originato l’esegesi profetica, che è invece alla base della trasmissione dei testi di Israele.

Formazione dei libri profetici

C'era un'immagine classica dei profeti: una personalità singolare, un genio religioso. Questo spirito porta a cercare i detti autentici dei profeti e a considerare il resto come glosse che appesantiscono il testo. Alcuni studiosi (A.Gelin, H.W.Hetzberg) prestano attenzione anche alle aggiunte. Quando si sviluppa il metodo canonico si fa attenzione alla scrittura così com'è considerando tutto parola di Dio, anche le reinterpretazioni. Rispetto alla visione classica ora negli studi c'è un cambiamento oggi l'attenzione è rivolta al libro non ai profeti, anzi a volte a più libri insieme. Naturalmente il profeta continua ad avere la sua importanza, ma si valorizza anche la tradizione e la reinterpretazione successiva. Solo in questo contesto si studiano i vari brani, con attenzione all'influsso del profeta. E' importante l'appoggio diacronico che studia la cronologia dei testi e la loro formazione. La profezia è un fenomeno collettivo di lunga durata. Molti detti profetici non hanno avuto una fase orale ma la loro esistenza è attuata solamente nella forma scritta. Alcuni detti profetici non provengono dal profeta, ma dalla reinterpretazione scritta. Alcuni testi, invece, è difficile sapere se sono opera del profeta o di una riscrittura successiva.

Vari interventi di un profeta quando sono messi per scritto vengono ad essere contigui, uno vicino all'altro, e vengono così a creare un'unità. La disposizione è segno della volontà di creare una certa vicinanza, anche questa quindi è significativa. In alcuni casi la prima stesura scritta è opera del profeta stesso, più spesso è opera dei discepoli. Un secondo momento è stato il lavoro redazionale in cui si sono inseriti i detti dei profeti ma con qualche aggiunta. Alcuni testi sono inseriti con la funzione di tenere insieme diversi capitoli. Ci sono nessi tra i vari libri profetici, alcuni testi possono essere stati scritti per creare un ponte con la Torah.

C’è anche un lavoro redazionale di ampia estensione, come lo schema escatologico, che ha come schema quello del giudizio a Israele, dell’annuncio del giudizio alle genti e infine annuncio della salvezza a Israele. Questo schema è evidente in Isaia, Geremia e Ezechiele.

1) M. Weippert, Aspekte israelitisher Prophetie im Lichte verwandter Erscheingen des Alten Orients, FS K. DELLER