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Potestà di governo

La potestà è la situazione giuridica che consiste nell'attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un interesse altrui e, quindi, per l'esercizio di una funzione. L'interesse a tutela del quale il potere è attribuito può essere privato (come nel caso dei genitori che esercitano una serie di poteri nell'interesse del figlio minore, la cosiddetta potestà genitoriale) o pubblico come nel nostro caso. Il diritto canonico non dà una definizione della potestà, provando a darne una breve noi, potremmo dire che la potestà di governo, è il potere di governare la Chiesa. L'attenzione del diritto canonico si sposta invece subito su chi la possiede.

Storia

Andiamo con ordine però e andiamo a ritrovare prima di tutto il dato biblico: la potestà nella chiesa è di istituzione divina come la Chiesa stessa. Essa ha carattere unitario, è la stessa potestà del Padre trasmetta al figlio e da questi comunicata agli apostoli e quindi ai loro successori: i vescovi. Montain in Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa, ricorda due testi biblici fondamentali:

"Mi è stato dato ogni potere (exousia) in cielo e in terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" Mt 28,12-20

"Chi ascolta voi, ascolta me" Lc 10,16ss

Nell'ottica evangelica, l'esercizio dei poteri è in realtà un servizio (Lc 22,26; Gv 13,14ss), che tende al bene di tutto il corpo della Chiesa (LG 18).

La potestà si esercita su molteplici aspetti della vita della Chiesa, sono state individuate tre funzioni fondamentali della potestà: insegnare, santificare, governare.

L'azione di governo ha lo scopo di servire il ministero della parola e il ministero di santificazione: al magistero vivo della Chiesa è stato affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa (DV 10b). La potestà di governo è per insegnare e santificare, la potestà di insegnare tende alla santificazione e dev'essere esercitata nella Chiesa, la potestà di santificare può essere esercitata solo nella fedeltà alla Parola, all'insegnamento e nella comunione ecclesiale. Si tratta di un'unica potestà, con una triplice funzione.

Fino al concilio Vaticano II risulta prevalente la distinzione tra potestà di ordine (di origine sacramentale, data con la consacrazione) e potestà di giurisdizione (extra-sacramentale, si otteneva mediante la missione canonica, la concessione dell'ufficio), comprensiva, quest'ultima, anche della potestà di insegnare.

Questo schema si è venuto affermando progressivamente durante il secondo millennio, l'apporto del concilio Vaticano II è ancora tutto da scoprire. Alcuni autori affermano che questo concilio non ha modificato la dottrina della bipartizione della potestà, altri affermano la teoria della tripartizione della potestà: potestà d'ordine, potestà di giurisdizione e potestà di magistero. Questo si basa sulla dottrina cristologica della triplice missione di Gesù: profeta, sacerdote e re. Progressivamente queste funzioni vennero attribuite prima ai vescovi, poi ai singoli cristiani, quindi alla Chiesa.

I vescovi, ricevendo la loro potestà da Cristo mediante la consacrazione, reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo (LG 27). La potestà di governo ha origine sacramentale? C'è chi risponde di si, soprattutto facendo riferimento alla Nota explicativa praevia della costituzione dogmatica Lumen gentium al n.2. Il testo fonderebbe la natura sacramentale della potestà sacra, mediante il sacramento dell'ordine. Altri rispondono negativamente invece, con il concilio la consacrazione non conferisce la potestà ma i munera, ossia le funzioni. Per l'esercizio della potestà si richiedono la missio canonica e la comunione gerarchica, questa dottrina risolve il problema del conferimento della potestà ai laici.

Diritto Canonico

Sono abili alla potestà di governo coloro che sono insigniti dell'ordine sacro a norma delle disposizioni del diritto. Nell'esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto (CIC c.129). Dobbiamo dire che i laici non sono idonei ad assumere quegli uffici nei quali il titolare agisce nella persona di Cristo capo o funzioni equivalenti (c.1008). Il problema qui è capire cosa significhi esattamente "cooperare nell'esercizio della potestà"?

Secondo l'insegnamento del concilio Vaticano II la potestà del presbitero è partecipazione della potestà episcopale, da usare alle dipendenze del vescovo, anche il diacono partecipa della potestà del vescovo, ma nei limiti indicati al n.29 della Lumen Gentium (es. il diacono è abile o capace di assistere ai matrimoni). Per i presbiteri e i diaconi la partecipazione all'esercizio della potestà è fondata dal sacramento dell'ordine, i ministri sacri hanno una predisposizione radicale alla potestà di governo, questa è essenzialmente connessa all'ordine (c.274)

I laici però sono privi dell'ordini e quindi della potestà sacramentale, ma questo non esclude che ad essi possano essere affidati incarichi e uffici ecclesiastici (LG 33; c.228) non capitali. Divengono così titolari della potestà di governo, che esercitano non in nome proprio ma in funzione di cooperazione rispetto ad un ufficio capitale, in modo più sfumato rispetto ai presbiteri, infatti il verso cooperare è più sfumato rispetto al verbo partecipare. Occorre evitare la laicizzazione della potestà di governo, ma anche la clericalizzazione dei laici,

La potestà di governo di per sé è esercitata nel foro esterno, talora tuttavia nel solo foro interno, in modo tale però che gli effetti che il suo esercizio ha originariamente nel foro esterno, in questo foro non vengano riconosciuti, se non in quanto ciò è stabilito dal diritto per casi determinati (c.130). Normalmente quindi la potestà di governo si esercita nel foro esterno, produce effetti che hanno carattere pubblico. Talvolta però un atto di giurisdizione produce effetti solo in riferimento alla persona singola a cui è diretto, senza prove davanti alla comunità (foro interno). E' il caso della dispensa da un impedimento matrimoniale occulto concessa dal confessore in pericolo di morte (c.1079 e c.1082).

La potestà di governo ordinaria è quella che dallo stesso diritto è annessa a un ufficio (è detta propria quando l'ufficio è posseduto ed esercitato dal titolare, vicaria quando viene esercitata a nome di un'altra persona); la potestà delegata, quella che è concessa alla persona stessa, non mediante l'ufficio. La potestà di governo ordinaria può essere sia propria sia vicaria. A chi si asserisce delegato, incombe l'onere di provare la delega. (c.131). Il delegato, che oltrepassa i limiti del suo mandato sia circa le cose sia circa le persone, agisce invalidamente (c.133).

La potestà di governo si distingue in legislativa, esecutiva e giudiziale. La potestà legislativa è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, e quella di cui gode nella Chiesa il legislatore al di sotto dell'autorità suprema, non può essere validamente delegata, se non è disposto esplicitamente altro dal diritto; da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore. La potestà giudiziale, di cui godono i giudici e i collegi giudiziari, è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, e non può essere delegata, se non per eseguire gli atti preparatori di un qualsiasi decreto o sentenza. Per ciò che concerne l'esercizio della potestà esecutiva, si devono osservare alcune disposizioni (c.135):

  • Pur stando fuori del territorio, la potestà esecutiva si può esercitare validamente verso i sudditi, benché assenti dal territorio, a meno che non consti altro dalla natura della cosa o dal disposto del diritto; la si può esercitare verso i forestieri che si trovano attualmente nel territorio, se si tratta di concedere favori o di mandare ad esecuzione sia le leggi universali sia le leggi particolari, alle quali gli stessi sono tenuti a norma del can. 13, §2, n. 2 (c.136).
  • La potestà esecutiva ordinaria può essere delegata sia per un atto sia per un insieme di casi, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto. La potestà esecutiva delegata dalla Sede Apostolica può essere suddelegata sia per un atto sia per un insieme di casi, a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona o non sia stata espressamente proibita la suddelega. La potestà esecutiva delegata da un'altra autorità che ha potestà ordinaria, se è stata delegata per un insieme di casi, può essere suddelegata soltanto in casi singoli; se invece è stata delegata per un atto o per atti determinati, non può essere suddelegata, se non per espressa concessione del delegante. Nessuna potestà suddelegata può essere nuovamente suddelegata, se ciò non fu concesso espressamente da parte del delegante (c.137).
  • La potestà esecutiva ordinaria come pure la potestà delegata per un insieme di casi, è da interpretarsi in senso largo, qualsiasi altra invece in senso stretto; tuttavia a chi è stata delegata la potestà, s'intendono concesse anche quelle facoltà senza le quali la medesima potestà non può essere esercitata (c.138).
  • Se non è stabilito altro dal diritto, per il fatto che uno si rivolga a qualche autorità competente, anche superiore, non si sospende la potestà esecutiva dell'altra autorità competente, sia essa ordinaria oppure delegata. Tuttavia l'inferiore non s'intrometta nella questione deferita all'autorità superiore, se non per causa grave e urgente; nel qual caso avverta immediatamente il superiore della cosa (c.139).
  • Qualora siano stati delegati parecchi a trattare in solido lo stesso affare, chi per primo abbia iniziato a svolgere l'affare esclude gli altri dal trattarlo, a meno che in seguito non sia stato impedito o non abbia voluto procedere ulteriormente nel condurlo a termine. Qualora siano stati delegati parecchi collegialmente a trattare un affare, tutti devono procedere a norma del can. 119, a meno che non sia stato disposto altro nel mandato. La potestà esecutiva delegata a parecchi, si presume delegata ai medesimi in solido (c.140).
  • Qualora siano stati delegati parecchi successivamente, sbrighi l'affare colui, il cui mandato è anteriore, né fu poi revocato (c.141).
  • La potestà delegata si estingue compiuto il mandato; trascorso il tempo o esaurito il numero dei casi per i quali fu concessa; cessando la causa finale della delega; per revoca del delegante intimata direttamente al delegato come pure per rinuncia del delegato fatta conoscere al delegante e da lui accettata; non si estingue invece venendo meno il diritto del delegante, eccetto che ciò non appaia dalle clausole apposte. Tuttavia l'atto, proveniente da potestà delegata che si esercita nel solo foro interno, posto per inavvertenza dopo la scadenza del tempo di concessione, è valido (c.142).
  • La potestà ordinaria si estingue con la perdita dell'ufficio cui è annessa. Se non sia disposto altro dal diritto, la potestà ordinaria è sospesa, qualora si appelli legittimamente o s'interponga un ricorso contro la privazione o la rimozione dall'ufficio (c.143).
  • Nell'errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva (c.144).


Fonti:

Codice di Diritto Canonico

Agostino Montain, Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa, EDB: Bologna 2001

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