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Montanisti, frigiani, pepuziani, catafrigiani

Eresia dei primi secoli, movimento intransigente, a cui aderì anche Tertulliano. In un primo tempo i montanisti furono conosciuti come frigiani, o quelli tra i frigiani (oi kata Phrygas), poi col nome di pepuziani, montanisti e catafrigiani.

Il montanismo si diffuse inizialmente in Frigia e nelle zone vicine, e si espanse poi rapidamente in tutto l'Impero Romano, in un periodo in cui il cristianesimo era generalmente tollerato o legale. Nonostante la prevalenza della corrente ortodossa del cristianesimo, che aveva "bollato" il Montanismo come un'eresia nonostante lo avesso inizialmente approvato, questo movimento sopravvisse in zone isolate fino all'VIII secolo. Alcuni hanno trovato delle somiglianze tra il Montanismo ed il Pentecostalismo, che viene per questo chiamato anche Neo-Montanismo.

Il più noto montanista fu Tertulliano, che prima della conversione fu il principale apologista cattolico, ed il primo ad usare il termine Trinità.

Il montanismo non aveva un vero apparato dottrinale, si basava invece sulla dottrina cristiana modificata da una serie di comportamenti e precetti. I contrasti con la Chiesa cattolica ortodossa erano sorti perché i montanisti affermavano la superiorità dei loro profeti sul clero istituzionale e permettevano, in aperto contrasto con la Chiesa “ufficiale”, la partecipazione delle donne ai riti, soprattutto la loro centralità nelle rivelazioni e nelle profezie: Massimilla e Priscilla su tutte. Erano inoltre convinti che le profezie dei loro fondatori completassero e riscoprissero la dottrina proclamata dagli apostoli. Altri contrasti sorgevano anche perché i montanisti prediligevano le profezie in condizione di estasi, in contrasto con l'approccio più rigido e disciplinato della teologia dominante nell'ortodossia cristiana. Essi erano anche convinti che i cristiani che uscivano dalla grazia divina non potevano redimersi, in contrasto con l'idea cristiana che il pentimento potesse portare ad una remissione dei peccati da parte della chiesa. Secondo la visione montanista, i profeti erano messaggeri di Dio, e parlavano in sua vece ai credenti: "Io sono il Padre, il Figlio ed il Paraclito", diceva Montano, in modo simile a come facevano i profeti dell'AT. Questa comunicazione dello Spirito di Dio che parlava tramite il profeta, è descritta così da Montano: "Ecco, l'uomo è come una lira ed io vi scorro sopra come un archetto; l'uomo dorme, ed io veglio; ecco, è il Signore che immerge i cuori degli uomini nell'estasi e che dà un cuore agli uomini".

Una forte enfasi era posta sull'eliminazione del peccato, attuata praticando la castità, evitando i secondi matrimoni, e in rari casi il matrimonio stesso. Osservavano, inoltre, periodi di digiuno molto severi, erano inflessibili con chi commetteva i peccata graviora (adulterio, omicidio, apostasia) ed arrivavano a condannare coloro che scappavano durante le persecuzioni lodando, anzi, l'autodenuncia. Tuttavia il vero punto focale del movimento era lo spirito millenarista, l'attesa della parusia, suggerita, forse, dall'influenza sul mondo cristiano dell'epoca che ebbe l'Apocalisse di Giovanni. Tale credenza aveva come conseguenza la totale assenza di interesse per il mondo e per la storia, ritenute cose che presto sarebbero finite. La stessa credenza rendeva i seguaci della dottrina montanista moralmente poco flessibili. Alcuni montanisti erano anche quartodecimani, cioè celebravano la Pasqua il quattordicesimo giorno del mese ebraico di Nissan (periodo tra Marzo e Aprile, il cui inizio era stabilito dalla luna di Marzo), indipendentemente dal giorno della settimana, e non nella domenica successiva.

Un po' si Storia

Nonostante la persecuzione dell'imperatore Settimio Severo (173-211) del 193, il montanismo continuò a diffondersi in Asia Minore, Tracia, Africa proconsolare (Cartagine), Gallia (Lione) e nella stessa Roma, dove diventarono famose le scuole montaniste di Eschine e Proclo. Neanche la condanna ufficiale (202) da parte di papa Zefirino fermò il movimento; secondo Tertulliano, papa Eleuterio era incline ad approvare le nuove profezie, ma fu dissuaso da Prassea. Il difensore più agguerrito delle idee montaniste a Roma era Proclo, molto stimato da Tertulliano stesso. Questi fu protagonista di una disputa con un certo Gaio alla presenza di Papa Zeferino (forse intorno al 202-3). Dato che Gaio sosteneva le posizioni della Chiesa, Eusebio lo definiva Ecclesiastico (II, XXV, 6), ma, allo stesso tempo, si dilettava nell'evidenziare la parte della disquisizione in cui Gaio negava che san Giovanni fosse l'autore dell'Apocalisse, opera che attribuiva a Cerinto. Gaio, tuttavia, era il peggiore dei due, dato che sappiamo dal commentario sull'Apocalisse di Bar Salibi, uno scrittore Siriano del XII secolo, che rifiutava sia il Vangelo che le Epistole di san Giovanni, ed attribuiva tutte queste opere a Cerinto. Fu proprio contro Gaio che Sant'Ippolito di Roma scrisse le sue "Tesi contro Gaio" e la "Difesa del Vangelo e dell'Apocalisse di Giovanni" (se questi non sono due titoli per la stessa opera). Sant'Epifanio di Salamina trasse spunto da queste opere per la sua cinquantunesima eresia (Filastrio, Haereses LX), e poiché tale eresia non aveva alcun nome, inventò quello di Alogi, intendendo da subito "irragionevoli" e "coloro che rifiutano il Logos". Da questa disputa si può dedurre che Gaio fu portato a rifiutare il Vangelo di Giovanni dalla sua opposizione a Proclo, che insegnava (Pseudo Tertulliano, De Praescriptione, LII) che "lo Spirito Santo era negli Apostoli, ma non c'era il Paraclito. Il Paraclito rivelò attraverso Montano più di ciò che Cristo aveva rivelato nel Vangelo, e non solo più, ma anche meglio e cose più grandiose"; pertanto la promessa del Paraclito (Giovanni 14:16) non era per gli Apostoli ma per i loro successori. In base a questi fatti, la vecchia nozione che gli Alogi fossero una setta asiatica non è più sostenibile; essi erano Gaio ed i suoi seguaci romani, se mai ne ebbe. Ma Gaio evidentemente non si azzardò a rifiutare il Vangelo di Giovanni nella sua disputa di fronte a Zefferino, il racconto della quale era noto sia a san Dionisio di Alessandria che ad Eusebio (Eusebio, III, XX, 1, 4).

In ogni caso, il montanismo continuò a diffondersi per tutto il terzo e IV secolo. Il più famoso sostenitore dei montanisti fu senza dubbio Tertulliano, una volta campione dell'ortodossia, che descrisse la sua conversione nel De pallio. La sua natura portata agli eccessi lo condusse ad adottare gli insegnamenti montanisti non appena li conobbe (circa 202-203). I suoi scritti da questa data in poi diventarono sempre più polemici nei confronti della Chiesa cattolica dalla quale si distaccò definitivamente intorno al 207. Morì verso il 223, o non molto dopo. Il suo primo scritto montanista fu una difesa della nuova profezia in sei libri, De Ecstasi, probabilmente scritto in greco; a questi aggiunse poi un settimo libro in replica ad Apollonio. Il lavoro è andato perduto, ma una frase preservata da Prædestinatus (XXVI) è degna di nota: "In questo solo noi differiamo: nel fatto che rifiutiamo il secondo matrimonio, e che non rifiutiamo la profezia di Montano sul futuro giudizio." Tertulliano considerava legge assoluta le raccomandazioni di Montano di evitare secondi matrimoni e non scappare dalle persecuzioni. Negava, inoltre, la possibilità del perdono dei peccati da parte della Chiesa; insisteva sui digiuni e le astinenze di recente istituiti. Secondo lo scrittore la Chiesa cattolica era formata da ingordi ed adulteri che odiavano digiunare ed amavano risposarsi e vivere nell'adulterio. Tertulliano evidentemente esagerò quelle parti dell'insegnamento montanista che gli piacevano, occupandosi poco del resto. Non ebbe mai, infatti, intenzione di fare alcun pellegrinaggio a Pepuza, ma parlava di essere presente in spirito alle celebrazioni montaniste in Asia Minore. Il seguito di Tertulliano non poté essere grande, ma una setta di tertullianisti gli sopravvisse ed i suoi resti si riconciliarono con la Chiesa grazie a Sant'Agostino d'Ippona (Haereses, LXXXVI). Il movimento si espanse fino al IV secolo, quando iniziò il suo declino in virtù al nuovo corso dato alla Chiesa dall'imperatore Costantino I, per arrivare al Concilio di Costantinopoli del 381 in cui venne dichiarato eretico.

L'autore anonimo del Praedestinatus (v.1 c.86 [1]) narrava che intorno al 392 – 394 una matrona africana, Ottaviana, moglie di Esperio, un favorito del magister militum Arbogaste, e l'usurpatore Massimo, portarono a Roma un predicatore tertullianista che delirava come se fosse indemoniato. Qui operò molte conversioni e, grazie al fatto che i martiri a cui era dedicata erano stati montanisti, ottenne per la sua congregazione l'uso della chiesa dei Santi Processo e Martiniano sulla Via Aurelia. Fu però costretto a scappare dopo la vittoria di Teodosio I. Di lui e di Ottaviana non si seppe più nulla.

In seguito, Sant'Epifanio di Salamina distinse una setta di montanisti con il nome di pepuziani o quintilliani (chiamava Priscilla anche Quintilla). Riguardo costoro narrava che avevano degli sciocchi detti in cui ringraziavano Eva per aver mangiato dell'Albero della conoscenza del bene e del male, che dormivano a Pepuza per vedere Cristo come aveva fatto Priscilla e che spesso entravano nella loro chiesa sette vergini munite di lampade e vestite di bianco, per profetizzare ai fedeli, che con la loro eccitazione spingevano fino al pianto. Raccontava anche che questi eretici avevano donne per vescovi e preti, in onore di Eva. Costoro venivano chiamati anche "artotiriti", perché il loro sacramento consisteva di pane e formaggio. Praedestinatus affermava che i pepuziani non differivano realmente dagli altri montanisti, ma disprezzavano tutti coloro che non dimoravano nella "Nuova Gerusalemme". Nell'antichità circolava una storia secondo la quale i montanisti (o almeno i pepuziani) durante una particolare festa prendevano un bambino e gli conficcavano nel corpo degli spilli di ottone. Usavano poi il sangue che ne fuoriusciva per impastare il pane per l'eucaristia. Se il bambino moriva veniva considerato come un martire; se viveva, come un alto prelato. Questa storia senza dubbio era una pura invenzione, e fu negata specialmente nel De Ecstasi di Tertulliano. Un altro nomignolo assurdo con cui veniva indicata la setta era Tascodrugitoe, dalle parole frigiane che significavano piolo e naso, perché si diceva che quando pregavano infilassero il loro indice nel naso "per apparire contriti e pii" (Epifanio, Haereses, XLVIII, 14).

È interessante leggere anche il resoconto di San Girolamo, scritto nel 384, delle dottrine montaniste, come credeva che fossero ai suoi tempi (Epistolae, XLI). Li descriveva come Sabelliani per le loro idee sulla Trinità, diceva che vietavano il secondo matrimonio e che osservavano tre Quaresime "come se avessero sofferto tre Salvatori". Nella gerarchia, sopra i vescovi avevano dei Cenones e, sopra questi, dei patriarchi che risiedevano a Pepuza. Chiudevano la porta della Chiesa a pressocché tutti i peccati. Dicevano, inoltre, che Dio, non essendo stato capace di salvare il mondo attraverso Mosè ed i Profeti, si incarnò nella Vergine Maria, ed in Cristo, Suo Figlio, predicò e morì per noi. E poiché non poté portare a termine la salvezza del mondo con questo secondo metodo, lo Spirito Santo discese su Montano, Prisca, e Massimilla, dandogli la pienezza che San Paolo non ebbe mai (Prima lettera ai Corinzi 13:9). San Girolamo rifiutava di credere la storia del sangue del bambino, ma il suo racconto era già esagerato rispetto a quello che ammettevano gli stessi montanisti. Origene Adamantio (Epistola ad Titum in Pamph. Apol., I fin) era incerto se definirli scismatici o eretici. San Basilio Magno si stupiva del fatto che Dionisio di Alessandria considerava il loro battesimo valido (Ep., CLXXXII). Secondo san Filastrio (Haereses, XLIX) battezzavano i morti. Sozomeno (XVIII) narrava che osservavano la Pasqua il 6 aprile o la domenica seguente. San Germano di Costantinopoli (P.G., XCVIII, 44) riportava che insegnavano di otto cieli e di otto gradi di dannazione.

Comunque, gradualmente essi divennero una piccola setta segreta. Ancora nel VI secolo, per ordine dell'imperatore Giustiniano I, Giovanni di Efeso guidò una spedizione a Pepuza per reprimere la setta e distruggere il locale tempio montanista, che era stato edificato attorno alle tombe di Montano, Priscilla e Massimilla. Infine, nel 722, si hanno notizie di una repressione di questo movimento da parte dell'imperatore d'Oriente Leone III l'Isaurico.