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Liturgia

Il termine liturgia entra in fase abbastanza recente, è stato ignorato per molti secoli, probabilmente gli autori latini diffidavano di questo termine per una certa carica negativa che si poteva cogliere legata a una concezione troppo ebraica del culto. Per molti secoli quindi si sono utilizzati altri termini come officia divina, celebratio santa, ministeria sacra o ministeria divina, opus divinum, numus, observationes sacres, sacri ritus. Un primo contatto con la parola liturgia lo troviamo nel XVII-XVIII secolo, periodo in cui si rinnova il contatto con le fonti greche, nel XIX secolo comincia a essere più comune e usato anche dai pontefici come Pio IX poi conl'inizio del XX secolo il termine diventa usuale, con Pio X e il codice di diritto canonico del 1917 la parola liturgia sarà quella che esprimerà la realtà del culto cristiano. Progressivamente il termine va ad assurgere a termine proprio per indicare il culto cristiano.

Nell'Oriente greco leitourgia (leitourghia) passò subito ad indicare il culto cristiano e la celebrazione eucaristica in particolare. Oggi di fatto sta ad indicare prima di tutto la celebrazione eucaristica. Così si parla di leitourghia di San Giovanni Crisostomo, di San Basilio, di San Giacomo, di San Marco, ecc. cioè celebrazione dell'eucaristia secondo il rito e la preghiera eucaristica che risale a quel determinato padre greco. Nell'Occidente, quindi, invece il termine è stato completamente ignorato, infatti non fu latinizzato come fu per la maggior parte dei termini greci del Nuovo Testamento. Per molti secoli invece di liturgia sono stati usati termini come munus, officium, misterium, sacramentum, opus, ritus, actio, celebratio. Nel mondo occidentale il termine latino liturgia riappaia nel sec. XVI ed indicherà tutto quello che riguarda il culto della Chiesa. In Occidente quindi, invece, una diffidenza quindi per molti secoli e poi un progressivo utilizzo.

Il termine liturgia è extrabiblico, proviene dal greco classico: leitourgia (leitourghia) che deriva dalla composizione di Laos (= popolo) e di ergon (=opera). Quindi abbiamo la connotazione popolo e la connotazione azione, opera, il termine significa fare delle cose che in contraddizione con affari di natura privata sono rapportati al popolo. Da notare la terminazione, termina in –urgia, che indica azione; la liturgia è quindi una scienza pratica, mentre le parole con desinenza –logia, sono di ordine cognitivo, denotano cioè una scienza di pensiero. Invece la liturgia è pragmatica simbolica. Letteralmente quindi il termine leitourghia significa "servizio reso al popolo".

Nell'ellenismo il senso originario del termine si è notevolmente ristretto e designa un servizio del tutto determinato dalle leggi o usi, pecuniariamente gravoso a beneficio della comunità. Questo ufficio lo prestavano cittadini benestanti i quali si rendevano in tal modo benemeriti della patria. A volte tali servizi erano anche assunti volontariamente per sentimento patriottico o per vanità.

Questo termine ha conosciuto nel linguaggio e nel tempo usi e sfumature diverse di significato:

  1. Un primo significato è di tipo tecnico, una prestazione di servizi per la comunità con i relativi oneri a cui erano tenuti i cittadini che avevano un patrimonio sopra un determinato limite. Alcune volte questi servizi erano assunti volontariamente come espressione patriottica. Ad Atene c’erano vari tipi di questi liturgie, liturgie cicliche che a turno le varie famiglie della città offrivano, consistevano nei banchetti offerti, o nel finanziamento dei giochi. Accanto a queste c’erano quelle eccezionali in caso di necessità dello stato, come in guerra il mantenimento di parte dell’esercito, della costruzione di una nave, ecc.. Vi erano diversi tipi di liturgie:
    • l'allestimento del coro del teatro greco
    • la preparazione di una festa cittadina
    • l'armamento di una nave
    Accanto alle liturgie solenni che venivano compiute a turno dalle varie famiglie vi erano quelle straordinarie in caso di guerra ad esempio, o altre necessità dello stato.
  2. Questo senso di tipo politico tecnico si estende ad indicare anche il servizio obbligatorio pubblico nella prestazione della servitù di ogni genere, per esempio la conquista e l’asservimento di altre popolazioni e l’obbligo di queste popolazione verso i vincitori. In questa estensione del significato ha grande importanza l’obbligo di svolgere questi determinati servizi
  3. Ulteriore allargamento del termine, si passa a un significato più generico, utilizzati per indicare una qualsiasi prestazione di servizio, viene persa la prima parte della radice, quella che riguarda il popolo, Aristotele usa questo termine per indicare i servizi privati che gli schiavi svolgono verso i loro padroni.
  4. Compare questo termine anche nel contesto del culto alcune iscrizioni testimoniano l’uso del termine in maniera cultuale, prende il senso di prestare servizio agli dei, qui si potrebbe vedere il collegamento con il primo significato che abbiamo dato a liturgia (fare qualcosa per la comunità), infatti il culto è fare qualcosa per la comunità, ma per i pagani i sacrifici si fanno per gli dei, non per il popolo, quindi viene a perdere il significato di servizio per il popolo.
  5. Nella versione greca dell’Antico Testamento questo termine ricorre spesso, serve per tradurre due verbi ebraici che rendono l’idea del servizio reso a qualcuno, usati per indicare sia un servizio profano che religioso. La traduzione greca dei LXX fa una scelta, i termini ebraici che indicano il culto vengono tradotti in maniera diversa a seconda del suo significati, vengono tradotti con liturgia solo i servizi di tipo sacerdotale altrimenti sono tradotti in modo vario, come ad esempio diacono o diaconia. Il termine liturgia acquista un significato e un valore tecnico, indica il culto levitico in quanto tale, una forma cultuale precisa, fissata nei nei libri della legge, in un luogo preciso e riservato a determinate persone.

Nell'Antico Testamento

Nella LXX il termine nelle sue varie forme (leitourgew, leitourgia, leitourgos, leitourgikos) compare 170 volte. Secondo la versione greca dei LXX il termine (compare circa 100 volte il verbo e 40 il sostantivo traducono le parole ebraiche seret e 'abad verbi che in ebraico danno l'idea di servizio ) è usato per indicare il servizio cultuale del Tempio da parte dei sacerdoti e dei leviti. Quando non includono questi termini un culto sacerdotale sono tradotti con termini diversi.

Leitourghia è una parola tecnica applicata al culto pubblico e ufficiale, realizzato da una determinata categoria di persone, diverso dal culto privato reso dal popolo, per il quale la LXX riserva le parole latréia e doluléia = adorazione e onore.

L'Antico Testamento non conosce le liturgie greche, non conosce la liturgia come servizio al popolo, non è questo il modo con cui intende la parola liturgia, ma come servizio alla tenda, all'altare, alla casa o a Dio stesso. Si identifica liturgia con il servizio sacerdotale.

L'uomo religioso, a qualsiasi religione appartenga, per entrare in comunione con Dio ritaglia dalla vita cioè dal suo mondo profano di gesti, persone, spazi e tempi li carica di valenza simbolica considerandoli come luogo privilegiato dell'incontro con la divinità. Si forma così l'ambito del sacro, ambito separato da quello profano.

Nella Bibbia però c'è uno sforzo costante per superar la tentazione di concepire il sacro separato dal profano. Jahvè è un Dio della storia, non un Dio lontano, c'è un progressivo aprirsi alla dimensione vitale come emerge soprattutto dagli ultimi profeti.

Le strutture rituali sono sempre indirizzate alla vita. Israele si è ispirato ai rituali dei popoli vicini, ma il culto legato al ciclo della natura viene messo in corrispondenza agli eventi salvifici (esempio Pasqua). Il culto nell'Antico Testamento e legato perciò alla storia di Dio che salva (dimensione storico profetica).

Il concetto che meglio esprime l'essenza storica e profetica di questo culto e quello di memoriale. La memoria cultuale è un atto vivo di commemorazione. Il passato viene ricevuto al presente come dono di grazia, il passato diventa così genesi dell'oggi, è dono di grazia ricevuto ancora oggi (ad esempio Israele considera se stesso liberato quando celebra la Pasqua). Deuteronomio 5,3 mostra che la funzione centrale del culto non è la semplice memoria del passato ma l'attualizzazione: "il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo oggi qui in vita".

Il culto così concepito cerca di sopprimere senza dimenticarla la distanza cronologica e spaziale: Dio non ha attuato soltanto in tempi passati e in luoghi diversi, ma opera efficacemente e in modo simile ora e qui. Nel suo memoriale Pasquale, Israele riceve il suo passato come dono salvifico nel presente e questo dono garantisce una promessa di futuro. Il culto è così sulle tre dimensioni temporali interconnesse.

Nell'esodo insieme alla liberazione del popolo dall'Egitto c'è la finalità di servire il Signore. Mosè dice al faraone che uscirà pure il bestiame dall'Egitto insieme a Israele questo perchè servono le vittime da offrire al Signore. Il motivo, detto da Mosè al faraone, per il quale il popolo ebraico deve uscire è "perchè il mio popolo possa servirmi nel deserto". Sul Sinai Dio parla al popolo e manifesta tramite il dono dei dieci comandamenti la sua volontà, l'alleanza viene sancita con un preciso rituale (Es 24,3-8). La vita stessa dell'uomo che vive secondo giustizia costituisce vera adorazione a Dio. Non è quindi una liberazione di tipo puramente politico, ma essere liberi per adorare il Signore, per servire il Signore. La motivazione cultuale è legata all'essenza stessa dell'elezione del popolo di Israele insieme alla promessa della terra.

I riti e le feste sono legati alla storia, alle vicende del tempo che sono interpretate come eventi salvifici divini. In quest'ottica va compresa la categoria del memoriale. I profeti condanneranno un culto solo esteriore. Il gesto cultuale non può essere dissociato dalla vita concreta che lo precede e lo accompagna, e soprattutto non esime dall'ascolto della Parola di Dio e dalla sua osservanza.

Anche per la letteratura sapienziale il vero sacrificio è quello di osservare la legge, non quello esteriore "Chi osserva la legge moltiplica le offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio di comunione. Chi serba riconoscenza offre fior di farina, chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode. Cosa gradita al Signore è astenersi dalla malvagità, sacrificio espiatorio è astenersi dall'ingiustizia. Non presentarti a mani vuote davanti al Signore, tutto questo è richiesto dai comandamenti. L'offerta del giusto arricchisce l'altare, il suo profumo sale davanti all'Altissimo. Il sacrificio dell'uomo giusto è gradito, il suo memoriale non sarà dimenticato. Glorifica il Signore con animo generoso, non essere avaro nelle primizie che offri. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, consacra con gioia la decima. Dà all'Altissimo in base al dono da lui ricevuto, dà di buon animo secondo la tua possibilità" Sir 35,1-9.

Nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento il termine, nelle sue diverse forme ricorre solo 15 volte rispetto alle 150 circa dell'Antico Testamento:

  • leitourgein 3 volte (At 13,2; Rm 15,27; Eb 10,11)
  • leitourgia 6 volte (Lc 1,23; 2Cor 9,12; Fil 2,17.30; Eb 8,6; 9,21)
  • leitourgos 5 volte (Rm 13,6; 15,16; Fil 2,25; Eb 1,7; 8,2)
  • leitourgikos 1 volta (Eb 1,14)

Lo troviamo in vari sensi:

  • in senso profano di servizio pubblico oneroso, preso dal linguaggio comune (Rm 13,6; 15,27; Fil 2,25.30; 2Cor 9,12; Eb 1,7.14)
  • nel senso rituale-sacerdotale dell'Antico Testamento (Lc 1,23; Eb 8,2.6; 9,21; 10,11)
  • in senso di culto spirituale, si tratta dell'offerta di se stessi che fanno i credenti in Dio. (Rm 15,16; Fil 2,17). Paolo in Rm 15,16 qui Paolo intende il termine con il significato di sacerdote, parlando del suo ministero parla di se stesso come sacerdote di Cristo. Questa liturgia, questo essere sacerdoti scaturisce non da un legame con il Tempio, ma dal vangelo predicato e vissuto.
  • nel senso di culto rituale cristiano. C'è un unico testo: Atti 13,2 "mentre essi compivano il servizio del Signore e digiunavano, lo spirito santo disse...". È la comunità di Antiochia radunata in preghiera.

Se negli scritti del Nuovo Testamento non figura il termine leitourghia legato al culto cristiano(tranne che in Atti 13) è probabilmente perché le parole in questione erano troppo legate al sacerdozio levitico dell'Antico Testamento e i cristiani volevano invece sottolineare la novità. Il Nuovo Testamento si serve però frequentemente di una terminologia cultuale molto ampia: culto, sacrificio, vittima, offerta, ecc. per designare ambiti e cose che nell'opinione comune sono profane. Nella "Didachè" e nella "lettera ai Corinzi" di Clemente ritroviamo invece la parola liturgia dove il termine è utilizzato in senso cultuale ed eucaristico. La nuova comunità non aveva sacerdoti perchè era tutta composta da sacerdoti, per questo manca infatti il riferimento al concetto di liturgia legato ai vari capi della comunità, non devono infatti compiere nessuna liturgia per la comunità, l'unica vera liturgia l'ha compiuta Cristo sulla croce.

La posizione di Gesù rispetto al culto è di continuità e discontinuità, continuità visto che è un giudeo osservante, frequenta la sinagoga, celebra la pasqua, discontinuo perchè interpreta in maniera originale il sabato, perchè non si parla di sacrifici fatti da Gesù. Che si pone nella linea dei profeti che erano critici dei sacrifici, come Osea. Combatte così con i profeti il formalismo e l'ipocrisia cultuale.

Importante l'episodio dei mercanti al tempio Gv 2,13-22. Ciò che colpisce è la reazione di Gesù che rivolta i banchi, e spesso viene colto l'aspetto morale, il mercanteggiare nel Tempio. In realtà questi mercanti svolgevano un servizio nel Tempio, vendevano infatti ciò che serviva per i sacrifici. Il gesto di Gesù allora è più che altro escatologico, dice che da ora in poi non ci sarà più bisogno di sacrifici.

Per San Paolo in Rm 12,1-2 mostra come il cristiano deve fare della sua vita un'offerta gradita a Dio, questa offerta si concretizza nella distanza critica da questo mondo e nell'adattarsi al volere divino. Il sacrificio c'è ma non è più rituale, i cristiani sono sollecitati all'offerta dei propri corpi, cioè di loro stessi, si tratta quindi di onorare Dio nella concreta esistenza quotidiana. Bisogna quindi non conformarsi al mondo e lasciarsi trasformare, cercare, discernere continuamente il volere di Dio. A Colui che "non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato in sacrificio per noi" (Rm 8,32), non si può dare altro che tutto, ecco la ragione dell'uso della terminologia sacramentale.

La Lettera agli ebrei reinterpreta tutte le categorie sacrificali dell'Antico Testamento e si sviluppa una teologia del sacrificio di Cristo:

  • In continuità con i sacrifici in quanto la crocifissione di Cristo è vera come l'immolazione di capri e vitelli, e contiene tutto ciò che contenevano i sacrifici dell'Antico Testamento: lode, comunione, santificazione, alleanza ed espiazione.
  • In discontinuità però in quanto il nuovo sacrificio di Cristo annulla il valore dei precedenti, ci si innesta nella posizione critica dei profeti contro il ritualismo separato dalla vita.
  • Il sacrificio di Cristo ha inoltre un'efficacia diversa: Cristo è il sacerdote che offre se stesso può farlo perchè è senza macchia, senza peccato. Il sacrificio di Cristo è un unico sacrificio che vale per sempre non servono ulteriori sacrifici, non servono più sacrifici di animali, il sacrificio di Cristo è uno e ha valore per sempre, riscatta dal peccato, non ha termine.

At 2,42-46 parla della prima comunità cristiana, quattro sono i componenti essenziali:

  • l'insegnamento degli apostoli
  • la comunione
  • lo spezzare il pane
  • le preghiere.

Lo spezzare il pane è il culto originale cristiano, le preghiere sono soprattutto le preghiere al Tempio. Questi due ultimi sono i lati cultuali che sono preceduti dall'insegnamento degli apostoli e dalla comunione, al primo posto quindi per la comunità c'è la predicazione, non c'è infatti comunità cristiana senza predicazione. La comunione invece precede anche l'eucarestia, infatti serve una comunità per svolgere l'eucarestia, non è sufficiente che un certo numero di cristiani si incontri, c'è bisogno di un'unità, c'è bisogno che ognuno si metta a servizio degli altri. L'eucarestia è quindi inseparabile dalla vita, il culto è inseparabile dalla vita.

Il libro dell'Apocalisse inizia e si conclude con un dialogo liturgico, la grandiosa liturgia celeste di cui si parla ispira la lode della comunità cristiana è fortificata il suo attaccamento al Cristo Pasquale.

Nel giorno di domenica l'assemblea liturgica incontra il Cristo risorto (è questo il senso della prima visione: apocalisse 1,9-20), vive l'esperienza dello spirito (apocalisse 1,10 ecc.) e si comprende attivamente il senso della propria storia.

Anche qui il culto è profondamente Cristologico ed è un culto squisitamente esistenziale in connessione con la vita concreta della comunità.

Alla luce del Nuovo Testamento si può affermare che in Cristo si realizza in modo definitivo, perfetto ed esemplare il dialogo cultuale tra Dio e gli uomini, la vita dei cristiani modellandosi sull'esistenza di Gesù diventa anch'essa vero culto e gradito al padre.

Il culto cristiano nel Nuovo Testamento è da considerarsi un culto intensamente esistenziale: il cristiano esercita il vero culto nella quotidianità "profana", il culto cristiano non si situa in una dialettica di separazione dalla vita ma è la stessa vita.

La ritualità cristiana poi è rigorosamente cristologica. I libri del Nuovo Testamento evitano i concetti e termini riguardanti il culto (sacerdozio, sacrificio, tempio, altare, liturgia, ecc.) e li usano solo quando parlano del culto pagando e giudaico. La sola eccezione a questo comportamento si trova nelle affermazioni cristologiche: Cristo in persona è colui che esercita il culto e assomma in sé tutte le strutture cultuali anteriori.

Rispetto all'Antico Testamento vi è quindi un cambiamento di prospettiva: il vero culto è la vita cristiana concreta, come quella di Gesù.

I temi cultuali trattati dai quattro Vangeli e dagli Atti degli apostoli si trovano esposti in modo sistematico nella Lettera agli ebrei. L'offerta che Gesù compie della sua vita è l'adempimento efficace e definitivo di tutti i sacrifici e riti anticotestamentari. Gesù non offre al padre delle cose ma il contenuto della sua offerta è se stesso, in Cristo quindi viene cancellata la distinzione tra sacerdote e vittima, fa culto è ed esistenza.

La trasformazione interiore, che i sacrifici antichi non riuscivano a realizzare è mediata dal sacrificio di Cristo offerto "una volta per sempre". La vita di Gesù diviene il nuovo e unico modello di culto.

Il sacrificio di Gesù raggiunge però la sua efficacia redentrice solo con l'ingresso di Cristo nel santuario celeste. La glorificazione di Cristo ha inaugurato un nuovo ed eterno sacerdozio: egli è "mediatore di una nuova alleanza". Cristo "possiede un sacerdozio che non tramonta" opera una liturgia perenne in favore del suo popolo fino alla fine della storia, quando tutto culto eterno sarà lode e azioni di grazie. Nella chiesa questa liturgia celeste è resa presente nel memoriale eucaristico.

Gesù consegna la sua vita ai discepoli perché ne facciano memoria nel rito (fate questo in memoria di me) e nella propria esistenza (prendete e mangiate).

Cristo è l'esistenza cultuale perfetta e primigenia contemporaneamente è origine, centro e oggetto del "memoriale" cristiano dell'eucarestia, ma anche nella preghiera e nella proclamazione della parola. Ciò che è quindi essenziale in questa liturgia è la "memoria" di quest'esistenza e di questa persona, l'appropriazione dei suoi stessi atteggiamenti esistenziali.

Nel cristiano grazie al Cristo e dietro di lui, la vita del credente si fa liturgia, cioè della offerta cultuale. Le liturgia è vera quando assume la vita reale del credente per farne un offerta viva a Dio.

Gesù nel dialogo con la Samaritana proclama l'inaugurazione di un culto o adorazione in spirito e verità. Gesù in questo dialogo rivela che nell'era messianica il luogo del culto non sarà più legato a una località geografica o sacra ma sarà spirituale: sotto l'azione dello Spirito (si riferisce allo spirito di Dio), si adorerà il padre nella verità, in quella verità che è Gesù stesso. Gesù afferma quindi che il vero culto si realizza solo quando l'uomo si lascia prendere completamente dalla realtà di Dio che è spirito e verità. Il culto cristiano è spirituale perché procede da dono proprio dei tempi messianici: il dono dello spirito santo.

Nella prima lettera di Pietro si parla di sacrifici spirituali, i sacrifici spirituali sono l'imitazione volontaria che i cristiani realizzano dell' offerta sacrificale di Cristo.Offrire sacrifici spirituali è la dedizione di tutto l'uomo a Dio.

Paolo nella lettera ai romani (12,1) afferma: "vi esorto dunque fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale". Il corpo per Paolo è l'intero essere umano, e gli parla quindi della donazione totale del credente. È nella realtà concreta di ogni giorno che il cristiano diviene sacerdote (offrire) e vittima insieme (i vostri corpi). Paolo usa il termine logiké per esprimere la natura di tale culto, è noto che il termine si riferisce a Pneuma , termini equivalenti nel contesto ellenistico. Possiamo quindi tradurre culto spirituale o culto traumatico, nello spirito. La totalità della vita del credente è determinata dalla sua relazione con lo spirito (Pneuma).

Anche nella Prima Lettera ai Corinzi Paolo afferma: "non sapete che siete tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi? se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi". La comunità cristiana, corpo di Cristo è il vero tempio della nuova alleanza, in esso abita lo Spirito. L'originalità del culto cristiano è fondata allora nell'evento di Gesù Cristo, morto e risorto, fonte di perdono e di riconciliazione con Dio per mezzo dello Spirito.

Prassi liturgica nei primi secoli

Ciò che immediatamente colpisce di questi secoli è il contesto di polemica contro la Chiesa, sul fronte giudaico e pagano. Il culto è tra gli argomenti presi più di mira.

San Giustino scrive nel Dialogo con Trifone "nelle vostre sinagoghe voi maledite tutti coloro che seguendo Cristo, si sono fatti cristiani" e l'ebreo Trifone risponde a Giuistino dicendo "Voi cristiani mentre dite di coltivare la pietà..., nè osservate le ferie stabilite, nè sabati, nè circoncisione; e avendo speranza in un crocifisso... non seguite il suo esempio che dovrebbe suonare a voi legge per farvi circoncidere".

Per quanto riguarda la polemica con il mondo pagano, l'accusa che risuonava era di ateismo, e questo perchè i cristiani non mostravano nè templi, nè altari che erano essenziali al culto pagano invece. Soprattutto ciò che mancava di più era il sacrificio, come si poteva fare alcun rito senza sacrifici? San Giustino risponde afermando che di certo i cristiani non hanno più bisogno dei sacrifici, ma non per questo sono atei, anzi, "veneriamo il creatore di questo universo e diciamo che Egli non ha bisogno di sangue e di libagioni... lo lodiamo per quanto possono le nostre forze, con espressioni di preghiera e di rendimento di grazie per tutto ciò che riceviamo" (I Apologia 13).