Questo è il tuo spazio puoi scrivere ciò che vuoi e poi ritrovarlo al ritorno su questo sito

testimonianze cristiane, storia della chiesa cattolica, teologia, esegesi, aborto, famiglia, battaglia per la vita

Il monotelismo

Mo­noteli­smo, cioè la dottrina che in Cristo ci siano due nature, ma una sola volontà


Crisi dell’Impero

Subito dopo la guerra di riconquista dell’Italia (553), Giustiniano si trovò a lottare per la propria sopravvivenza.

Due gruppi di slavi (Sclaveni e Auti) spinti alle spalle dagli Avari oltrepassarono il Danubio e colonizzarono la regione balcanica.

Di nuovo, al principio del sec. VII, l'impero d'Oriente si trovava in grave peri­colo. L'imperatore Maurizio (+602) aveva condotto una serie di guerre sfortunate con­tro i persiani e gli Avari che avevano in­vaso la penisola balca­nica. Alla morte violenta di Maurizio, i Persiani, guidati dal re sas­sanide Cosroe II, con il pretesto dell'uc­cisione dell'imperatore, in­vasero nel 603 le province orientali del­l'impero, prendendo due di­rettive: verso l'Asia minore, giungendo nel 615 sino a Calcedonia; e verso Sud, occu­pando Edessa, Antiochia (dove la sede del patriar­cato ortodosso ri­marrà vacante fino al 742), Damasco e Gerusalemme (614) dove si im­padroni­rono della Santa Croce por­tandola alla loro capitale Ctesifonte. Quindi nel 617 i Persiani si volsero verso l'Egitto, conquistando Alessandria e co­strinsero il pa­triarca a fuggire.

L'imperatore Foca, suc­cessore di Maurizio, non solo non seppe fronteggiare gli inva­sori, ma, per combattere l'osti­lità verso il mal­governo della corte e le lotte inte­stine tra le due fazioni -verdi e azzurri- presenti in tutte le grandi città dell'impero, distrusse pure l'aristocrazia sena­toria, affer­mando così un assolu­tismo sovrano centrale.

Le condizioni dell'impero furono risollevate dal nuovo impe­ratore Eraclio, figlio dell'esarca d'Africa, che si era ribellato all'im­peratore Foca, impa­dronendosi di Costantinopoli (5 ottobre 610). Quando prese il potere, all'esterno l'Im­pero era compro­messo, mentre all'in­terno continuavano le divisioni religiose cre­ate dal monofisismo.

Ripresa delle dispute teologiche

Condannati dal concilio di Calcedonia (451) la storia dei mo­nofisiti non terminò però con questa condanna. Gli avversari della formula calcedo­nese riuscirono a impadronirsi dei patriarcati orientali e nella Siria e nell'E­gitto il monofismo sposò la causa nazionalista: il che rappresentò un gra­vissimo peri­colo per l'Impero.

Eraclio, favorito dal patriarca Sergio (610-658), iniziò prima a riordinare le finanze e l'amministrazione, quindi cercò di otte­nere l'u­nione religiosa dell'im­pero. Nello stesso 610 pubblicò un editto sulla fede dove appare il desiderio di conciliare i monofisiti ed usa la for­mula di s. Cirillo (µìa fusis ..., una sola natura di Dio Verbo Incarnato).

Sua preoccupazione maggiore fu però quella di ri­con­quistare le provincie occupate dai Persiani. Solo nel 622 potè prendere l'offen­siva, che ebbe il carattere di guerra religiosa per difendere il cristianesimo contro i Persiani pagani e riprendere la Santa Croce. Vi fu un momento di grande peri­colo, quando nel 626 Persiani e Avari assediarono Costantinopoli, ma Eraclio passò al contrattacco portando la guerra nel cuore della Persia e costrin­gendo gli avversari alla pace (629). Con la resa, Siria, Palestina e Egitto tornarono all'im­pero e fu restituita la Santa Croce a Gerusalemme dove, nel 630, con un gesto al­tamente simbolico, Eraclio si portò in solenne pellegrinaggio.

Riconquistate le provincie perdute, Eraclio aderì all'idea pre­senta­tagli da Sergio, patriarca di Costantinopoli: stabilire l'accordo con i monofisiti non su di una base negativa, come aveva fatto Giustiniano con i Tre Capitoli, bensì me­diante una formula positiva che trovava il suo fondamento nella espressione enér­gheia (cioè, modo di operare della volontà) e si riconosceva in Cristo un'unità di azione, formula già adottata da alcuni copti verso il 600 e che derivava da s. Cirillo.

Alla base, il problema se il Redentore posse­desse una doppia energia (modo di operare della volontà) e una doppia volontà (facoltà di volere); oppure una sola energia e una sola volontà. Il dogma di Calcedonia aveva con­dannato i nestoriani che in Cristo separavano le due nature, minac­ciando l'unità del Salvatore; contestualmente i nestoriani avevano pro­curato la rea­zione degli ales­sandrini che in Cristo accentuavano la di­vinità, a scapito dell'umanità, fino a me­sco­lare le due nature o ad assorbire la natura umana in quella divina. Costoro furono ugualmente con­dannati dal Concilio che professò un unico e identico Cristo, in due nature; unica persona, unica ipostasi.

Il patriarca Sergio, nel 619, basandosi sull'unione ipostatica, ri­tenne di do­ver ammettere una sola energia divino-umana, rite­nendo che l'unità di energia non equivalesse all'unità di natura, dottrina mo­nofisita che egli rigettava, bensì fosse la conseguenza dell'unità di per­sona nel Cristo. Lo stesso ragionamento fu appli­cato alla volontà di Cristo. Così affermò che in Cristo sussisteva un'unica volontà, quella divino-umana -monotelismo- conseguenza dell'unica persona.

La que­stione non era stata trattata dai padri conciliari e Sergio si faceva forte di un passo della IV lettera dello Pseudo-Dionigi, un mistico neoplato­nico che, intorno al 500, operò fra Siria e Palestina, il quale parlava di un'unica "energia tean­drica". Ora Dionigi, che diceva di essere un areo­pagita di Atene, aveva incontrato un favore straordinario in Oriente e in Occidente, era quindi una auctoritas. E tuttavia la dottrina di un'unica energia teandrica contraddiceva alla dottrina del­l’integrità delle due na­ture.

L'imperatore Eraclio aderì alla nuova dottrina e, in un Editto del 623, proibì di parlare di due energie; quindi, nel 631, lo stesso impera­tore nominò Ciro di Fassi nella Lazia (Colchide), che era stato conqui­stato dalle idee di Sergio, patriarca di Alessandria, con la speranza di raggiungere, con il mo­noergismo, la pace religiosa. Di fatti Ciro, nel 633, celebrò un concilio in Alessandria dove fu ema­nato l'atto di unione della Chiesa d'Egitto con l'Impero, in nove ca­pitoli di cui il set­timo riconosceva e spiegava l'espressione "due nature", aggiungendo: "in questo unico e medesimo Figlio e Cristo ha operato sia quello che era divino che quello che era umano, mediante l'unica attività tean­drica, così come insegna s. Dionigi".

Sembrava che il monoergismo avesse avuto il potere di ristabilire l'orto­dossia in Egitto e di procurare la pace religiosa all'Oriente. Fu in­vece causa di nuove divisioni, per l'er­rore che vi era insito e co­minciò a denun­ciarlo il vecchio monaco pale­stinese Sofronio, giu­dicandolo una rinnovazione del monofisismo. Così Sofronio, dopo l'atto di unione, si recò ad Alessandria per convincere il pa­triarca Ciro a di­sapprovare la dottrina di una sola energia, dimostrando che si de­vono riconoscere due energie in Cristo. Sofronio andò pure a Costantinopoli per guadagnare Sergio, ma questi era preoccupato di mantenere l'unione raggiunta mediante il monoergismo e ora pensava che non bisognava più parlare né di una né di due opera­zioni, ma di un solo operante nelle azioni umane e divine di Cristo.

Da parte sua Sergio volle però l'adesione della Santa Sede, fino ad allora rimasta fuori da tutta la questione. Il patriarca, al principio del 634, scrisse a papa Onorio I (625-638) una lettera dove nar­rava degli antefatti e sosteneva -ora che era stata raggiunta l'unità- l'opportunità di mettere a tacere la questione. Il pontefice, che fino ad allora aveva ignorato la controver­sia, ebbe un ruolo piutto­sto infelice. Non sufficientemente informato dal patriarca e senza sentire gli avversari, in due lettere, da lui scritte, papa Onorio I aderì generica­mente a Sergio, pur senza condividere né il monoergi­smo, né il monofisismo e ordinò che, per non sollevare scandalo, si evi­tasse la nuova terminologia di una o due energie. E così scrisse al pa­triarca Sergio:

"noi confessiamo una sola volontà di N. S. Gesù Cristo per­ché manife­stamente la divinità ha assunto solo la nostra natura, ma non la nostra colpa".

Questa formula infelice, seppure involon­taria­mente, favorì l'eresia del mo­noteli­smo, cioè la dottrina che in Cristo ci siano due nature, ma una sola volontà. La decisione di papa Onorio I sarà esplicitamente anatemizzata dal VI concilio ecumenico (Costantinopoli, 681, Concilio Trullano), dove "Onorio, l'ex vescovo della vecchia Roma" fu ritenuto colpevole di eresia.

Nel dibattito inter­venne allora l'imperatore Eraclio che, nel 639, pubblicò la Ecthesis -documento composto da Sergio- in cui veniva lasciata da parte la dottrina meno preoccupante del monoergismo, mentre veniva affermata e imposta ai sudditi la dottrina più perico­losa del monotelismo (en télema), cioè della doppia natura e dell’unica volontà di Cristo. I vescovi orientali accetta­rono l'Ectesis quasi all'umanità. Nel frattempo Onorio I moriva nel 638 e al suo successore Giovanni IV (640-42) l'Echtesis apparve come grave­mente nociva e perciò la fece condan­nare da un concilio romano, al princi­pio del 641. L'imperatore Eraclio, dopo la condanna papale, sfidu­ciato per la sua politica religiosa e sotto l'incubo dell'inva­sione araba, non cercò di difendere l'Ecthe­sis, ma piuttosto si scusò di averla promul­gata, per istigazione del patriarca Sergio.

L'opposizione al monotelismo si fece particolarmente vivace in Africa, dove si erano rifugiati molti monofisiti egiziani, profughi per l'in­vasione araba, i quali facevano propaganda in favore del monotelismo. Si trovava a Cartagine l'ex patriarca di Costantinopoli Pirro e l'abate Massimo che aveva accompagnato Sofronio nelle discussioni ad Alessandria e ora era il maggior di­fensore del diote­lismo in Oriente.

Nel luglio 645 fu tenuta una di­sputa pubblica tra Pirro e Massimo, alla pre­senza dell'esarca e di molti vescovi. E Massimo fece una bril­lante dimo­strazione della dottrina ortodossa. Pirro si dichiarò vinto e pronto a condannare il sinodo di Costantinopoli che aveva approvata l'Ecthesis. Recatosi a Roma Pirro fece l'a­biura della dottrina monotelita nella basi­lica di S. Pietro.

Papa Teodoro I (642-649) -di origine orientale, succeduto a Giovanni IV- su richiesta dei vescovi del­l'A­frica, mandò allora un'amba­sceria a Paolo, patriarca di Costantinopoli, con l'ordine di abiurare il monoteli­smo. Di fronte al diniego Teodoro depose Paolo il quale, ritenendo quell'intervento come un immischiarsi negli affari interni di altra Chiesa, si vendicò facendo di­struggere la cappella del Palazzo di Placida, dove ri­siedevano gli apocrisari papali.

Quando Costante II (641-68), nipote di Eraclio, divenne capo dell'im­pero, credette di ristabilire la pace con Roma ritirando l'Ecthesis, ma contemporanea­mente, su consiglio di Paolo, patriarca di Costantinopoli, pubblicò nel 648 un nuovo editto dommatico, chiamatoTypos, che non prendeva alcuna posi­zione dot­trinale, ma im­poneva il silenzio sulla controversia mi­nacciando severe pene a chi non avesse obbedito; il che fu altret­tanto negativo per la pace.

Nel frattempo papa Teodoro I era morto prima di conoscere il Typos. Il suo successore Martino I (649-655) -già apocrisario a Costantinopoli- nello stesso 649 si preoc­cupò di riunire al Laterano un grande concilio (lo fece senza il consueto permesso del'imperatore Costante II; vi parteciparono 105 vescovi, in gran parte italiani e africani). Si ten­nero cinque sessioni, al termine delle quali fu emanato un simbolo di fede che ri­peteva quello di Calcedonia, dichiarando che in Cristo c'e­rano due volontà natu­rali e due modi di operare e si colpirono di scomunica gli autori e i so­stenitori della nuova eresia, cioé i patriarchi Sergio, Pirro e Paolo di Costantinopoli e Ciro di Alessandria.

L'imperatore indignato contro il papa, anche per­chè si era fatto consacrare senza la sua appro­vazione, fece ricorso alla forza. Martino, arrestato il 15 giugno 653 dall'esarca Calliopa, fu tra­scinato a Costantinopoli, condannato per presunto alto tradimento ed esiliato a Cherson in Crimea, dove morì il 16 settem­bre 653. Sorte simile toccò ai seguaci della dot­trina diotelita in Oriente. Fra questi l'abate Massimo, il più impor­tante teologo del suo tempo (662).

A papa s. Martino, dopo una vacanza della Sede di 11 mesi, il 10 agosto 654 succedette Eugenio I (654-657) il quale mandò a Costantinopoli, per la con­ferma imperiale, i suoi apocrisari. Questi tor­narono a Roma con una nuova pro­posta del patriarca Pirro, il quale era tornato alla sua antica sede, una formula che attribuiva a Cristo una volontà come ipostasi e due volontà secondo le sue due nature.

S. Massimo, che a quel tempo era in prigione, osservò però che la for­mula, anziché conciliare le due dottrine, monotelita e diotelita, finiva per intro­durre in Cristo tre volontà. Morto Pirro, gli successe Pietro che mandò una let­tera conciliante , la quale però non fu ac­cettata da Roma. A favorire il migliora­mento delle rela­zioni tra Roma e Costantinopoli fu invece il pericolo degli Arabi.