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Laterano II (1138)

Il concilio fu aperto per estirpare gli ultimi residui dello scisma da Innocenzo II nel 1138 d.C.


Nel 1136-7, su sollecitazione di Innocenzo II e di s. Bernardo, l'Imperatore Lotario compì una spedizione contro i Normanni, sosteni­tori dell'antipapa, ma solo dopo la morte del­l'antipapa Vittore (25/I/1138), Innocenzo II poté divenire padrone della situazione, im­pedendo che il successore Vittore IV avesse un se­guito. E così lo scisma ebbe termine.

Anche Lotario, di ritorno verso la Germania, morì nel 1138 e gli fu dato come successore Corrado III, della famiglia degli Hohenstaufen (7 marzo 1138).

Per estirpare gli ultimi residui dello sci­sma Innocenzo II convocò, per l'a­prile 1139, un concilio generale: fu il secondo lateranense, il decimo della serie dei concili ecumenici. Come il concilio del 1123, anche quello del 1139, fu celebrato al termine di uno scisma, quello di Analceto (1130): con la differenza che questo scisma fu prettamente romano e italiano, senza la partecipa­zione imperiale.

Non ci sono pervenuti gli atti, ma se ne ha un eco nella cronachi­stica del tempo. Furono emanati 30 canoni di ri­forma che riprendono le decisioni riguardanti la proibizione del matrimonio dei chierici, le or­dinazioni e le elezioni dei vescovi, l'intromissione dei laici nelle mate­rie ecclesiastiche, la repressione di comportamenti socialmente dan­nosi.

I gruppi di norme sinodali più consistenti riguardano la repres­sione degli abusi ecclesiastici, fra cui le ordinazioni dei simoniaci, di­chiarate nulle (can. 1); così come quelle fatte dall'antipapa Anacleto II (can. 30). Il can. 3 riprende e precisa il can. 2 del Lateranense I, proi­bendo di ricevere gli scomunicati e di avere con essi rapporti prima dell'assoluzione.

Il can. 4 prescrive agli ecclesiastici un abito esteriore condecente, sotto pena della privazione del beneficio. Il can. 10 regola l'esazione delle decime e le ordinazioni. Il can. 21 interdice l'accesso al ministero sacerdotale ai figli dei chierici, salvo il caso che abbiano ab­bracciato un ordine monastico; il can. 24 proibisce di esigere com­penso alcuno per l'amministrazione dell'unzione degli infermi e dell'uf­ficio funebre; il can. 25 stabilisce la privazione del beneficio per co­loro i quali ricevano prebende e prepositure de manu laici. Viene infine ribadita, per i concubini, la privazione del beneficio (can. 6), la nullità del matrimonio contratto e l'obbligo dei fedeli di disertare le loro clebrazioni (can. 7); nulli anche i matrimoni contratti dalle sanc­timoniales (ca. 8).

Dal punto di vista dottrinale ed ecclesiologico rivestono partico­lare importanza il can. 22, che disciplina il sacramento della penitenza e il can. 28, che sancisce l'elezione dei vescovi da parte del clero e del popolo e ne riconosce l'esclusiva competenza ai capitoli cattedrali.

Il can. 9 condanna la consuetudo de­testabilis, recentemente invalsa, per cui alcuni monaci e alcuni canonici regolari, abbandonata la regola benedettina o agostiniana, si fanno studenti di diritto e di medicina, nella speranza di ricavarne un guada­gno, come medici o patrocinatori legali: una condanna dunque della ve­nalità del sapere, ma anche una riprova dell'attrazione esercitata dalle Università medievali, allora in ascesa.Tra le pravae consuetudines, che minavano la disciplina monastica, il concilio denuncia anche la costitu­zione di gruppi beghinali/bizzocali di donne che non seguivano la tra­dizione benedettina, basiliana e agostiniana (can. 26), ma di cui null'al­tro ci è dato di sapere. Così come troppo vaga la denuncia di non me­glio precisati gruppi ereticali ostili al sacramento dell'eucarestia, al bat­tesimo dei bambini, all'ordine sacerdotale e al matrimonio: Raoul Manselli ritiene che siano i seguaci del monaco Enrico.

Vengono riproposte numerose disposizioni di carattere sociale contro briganti, usurai, partecipanti a tornei, violatori dell'immunità ecclesiastica, incestuosi, incendiari, balestratori (cann. 11, 13, 14, 15, 17, 18 e 29); riproposta inoltre la tregua di Dio (can. 22).

Fu inoltre scomunicato Ruggero, re di Sicilia. Ma, dopo una falli­mentare impresa militare contro i Normanni, dove lo stesso Innocenzo II fu vinto e fatto prigioniero (22 luglio 1139), il papa fu costretto a ri­conoscere il regno normanno. L'accordo non piacque ai Romani. Così come gli stessi Romani non approvarono il papa quando si rifiutò di concedere loro il permesso di radere al suolo la città di Tivoli, colpevole di una ribel­lione.

I due papi seguenti, Celestino II (1143-44) e Lucio II (1144-45), ebbero un pontificato breve (5 mesi l'uno, 11 l'altro) e non furono in grado di ristabilire la pace. I Romani rifiutarono loro l'obbedienza e diedero vita a un governo indipen­dente.

Autorità della nuova Repubblica (ottobre 1144) furono il Senato e il Patrizio. Per il Senato, che aveva carattere comunale-popolare, fu ristabila l'antica formula, "Senatus Populusque Romanus"; mentre la carica di Patricius, fino ad allora data all'imperatore, venne affi­data a un romano, a Giordano di Pierleone, fratello di Anacleto II, della opposizione popolare contro il papa.

Alla morte di Lucio II (15/2/1145), nel pieno della lotta tra papa e Senato, i cardinali elessero Bernardo di Pisa, abate di S. Anastasio e discepolo di s. Bernardo; si chiamò Eugenio III (1145-53).

Introniz­zato al Laterano, Eugenio III non potè però farsi consacrare a S. Pietro. Do­vette quindi lasciare Roma e si ritirò a Viterbo dove rimase fino alla fine di quell'anno (1145). Alla fine si giunse ad un accordo per cui fu ri­cono­sciuta l'istituzione del Senato e fu istituito l'ufficio del pre­fetto dipen­dente dal papa. Ma la pace non fu duratura per cui il papa, di nuovo, dovette abbandonare Roma.