TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

Conosciamo e crediamo

 

I grandi santi e la loro storia

 
Piergiorgio Frassati
   

Storia

Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901, sabato santo. Il padre è da sei anni proprietario del quotidiano “La  Stampa”, e sarà l’artefice del grande successo che il giornale godrà negli anni Dieci e Venti. E’ liberale. Amico di Giovanni  Giolitti, per molti anni capo del governo italiano, nel 1913 diventerà senatore e nel 1920 ambasciatore a Berlino. 
I gravosi impegni gli impediscono di seguire molto da vicino l’educazione dei figli. Spetta alla madre farsi maggiormente carico della crescita di Pier Giorgio e di Luciana, nata poco più di un anno dopo. 
L’atmosfera educativa, come è l’uso dei tempi, è di generale rigidità. 
Quando, fanciullo, apprende i primi racconti del Vangelo, Pier Giorgio ne resta colpito, a volte in modo così profondo da diventare protagonista di gesti inattesi in un bimbo tanto piccolo. 
Il padre, non credente, non può accompagnare i figli nella scoperta della dimensione religiosa dell’esistenza, ma la rispetta e non ostacola il cammino. 
La spiritualità di Adelaide Ametis, donna sensibile e artista, tende a limitarsi ai precetti religiosi. Pier Giorgio sin da bambino invece ne trova i significati profondi, e fa diventare la fede vita concreta. 
Preso in questo modo l’avvio, farà nel tempo la sua strada in un profondo rapporto a tu per tu con il Signore della sua vita che così presto aveva voluto incontrarlo. 

La strada di ogni credente non è solitaria, ma è accompagnata dalla comunità, e può godere della vicinanza dei fratelli di fede. 
Sul cammino Pier Giorgio incontra così altre guide, tra i pastori e i consacrati del popolo di Dio. Nell’infanzia i primi contatti non sempre soddisfano la sua viva voglia di apprendere il Vangelo. L’entrata nell’Istituto Sociale dei padri Gesuiti, provocata nel 1913 da una bocciatura, è un momento decisivo. E’ incoraggiato dal direttore spirituale padre Lombardi a fare ogni giorno la comunione: d’ora in poi, questo sarà il centro della sua vita spirituale. 
Nell’Istituto Sociale la sua religiosità si può aprire a dimensioni fino allora ignorate. Entra in alcune associazioni di carattere spirituale (tra le prime l’apostolato della Preghiera); a diciassette anni entra nella Conferenza di san Vincenzo, assumendo così un impegno costante di carità. 
Nel Sociale probabilmente impara il valore della compagnia spirituale con i sacerdoti. Pier Giorgio incontrerà molti preti e religiosi, di cui sarà amico. Diversi saranno suoi confessori, alcuni diventeranno un riferimento. Tra essi nomi noti: il dottor Sonnenschein, sacerdote conosciuto a Berlino, impegnato in una incessante opera apostolica nella desolazione del primo dopoguerra; padre Filippo Robotti, domenicano, predicatore e conferenziere, divulgatore di un pensiero cattolico sociale e politico di posizioni avanzate, con cui Pier Giorgio condivide parecchie rischiose attività; il cardinale Giuseppe Gamba, che lo conosce a Novara ad un congresso della Gioventù Cattolica prima di diventare arcivescovo di Torino, e che nutre per lui un grande e paterno affetto. 
Ma anche parroci, di città e di campagna, giovani ed anziani. Religiosi e religiose. Tutti avvicinati con amore e rispetto, con la disposizione d’animo di chi ricerca ed accetta un consiglio, una parola, un parere, una guida. Anche quando, e a volte capita, con alcuni ci sono divergenze di vedute, e sorgono discussioni

Pier Giorgio ha un animo attento e sensibile, rivolto per natura ad apprendere e approfondire ciò che arricchisce la sua umanità. Da un lato ciò lo porta ad apprezzare ogni forma dell’arte: la pittura e la scultura, la musica sinfonica e lirica, il teatro, la letteratura. Da un altro lo porta a ricercare il sapere teologico, per sempre meglio conoscere il disegno e la storia di Dio fra gli uomini. 
La lettura è fondamentale nella formazione umana e cristiana di Pier Giorgio. 
Legge con passione Dante e Shakespeare, la tragedia greca, Virgilio. Poi Foscolo, Manzoni, D’Annunzio. Poi Heine, Goethe. Un panorama ampio e vario, che comprende i romanzi contemporanei. Non è una lettura intellettualistica; Pier Giorgio si sente radicato nell’umanità, e non distingue il pensiero dall’azione: sa farne una sintesi vitale. Si sente vicino a chi l’ha preceduto nell’esperienza umana, anche nella lontananza dei secoli, così come ad ogni persona che incontra nel suo quotidiano. 
Legge con uguale passione, ancora aumentata dalla fede, le vite dei santi, le Confessioni di sant’Agostino, santa Caterina da Siena e fra Girolamo Savonarola, i due grandi domenicani che lo apriranno alla scelta di entrare nel Terz’Ordine a ventun’anni. Legge le encicliche papali. Intraprende la lettura della Somma teologica di san Tommaso d’Aquino. Ma soprattutto accosta la Parola di Dio direttamente, senza intermediari, facendone la vera principale fonte della propria spiritualità. 
Le lettere di san Paolo, lette e rilette (anche per strada, o sul tram), meditate, rimuginate e pregate sono le compagne privilegiate nell’avvicinamento a Dio. 
Molti parleranno, dopo la sua morte, di Pier Giorgio come di un giovane saggio. O, meglio, di un giovane sapiente, che ha fatto tesoro di ciò che Dio ha voluto dirgli e rivelargli nella sua Parola, nei Sacramenti, nei fratelli che gli ha messo accanto.

La presenza degli altri ha nella vita di Pier Giorgio un posto fondamentale. La sua grande fede lo guida a leggere nel volto di tutti il volto di Gesù. Il suo cuore si apre così all’accoglienza dei fratelli, dei loro problemi, delle loro speranze, delle loro angosce. 
Pier Giorgio avvicina moltissima gente, di ogni età. Ricerca un valore grande: l’amicizia. Gode di poter dire dell’uno o dell’altro: “Quello lì è mio amico”. Dopo la sua morte molti si riveleranno “amici di Pier Giorgio”; tra essi anche coloro che magari solo una volta l’hanno incontrato, hanno conosciuto la sua cordialità, la sua capacità di mettere a proprio agio chiunque, i suoi occhi sereni che invogliano ad aprirgli il cuore. 
Per lui l’amicizia è un modo di vivere la Chiesa, come luogo accogliente in cui ciascuno è amato e rispettato per quello che è. E’ un modo concreto di aiutarsi vicendevolmente sul cammino della vita, che a volte si indurisce drammaticamente e rende tanto prezioso l’appoggio di chi ti sta vicino. 
Pier Giorgio vive l’amicizia con la disponibilità a dare e anche a ricevere. A dare ascolto, consiglio, aiuto concreto, dimostrandosi sempre sensibile alle esigenze degli amici: spronandoli, esortandoli, stimolandoli, sostenendoli. Ma mai con la presunzione di essere al di fuori degli stessi problemi. Anzi con l’umiltà di ricercare e accettare gli aiuti, i consigli, le esortazioni degli amici. Chiede la loro vicinanza, spesso domandando a loro di pregare per lui. Ma sempre senza chiedere nulla in cambio del proprio andare incontro per primo. 
Per questo ricevere un regalo gli dà una grandissima gioia; gli oggetti si caricano della presenza di chi li ha donati, sono il segno del legame ricercato e voluto, hanno un profumo speciale: raccontano storie di amore fraterno

Entrato nel mondo universitario iscrivendosi a Ingegneria Meccanica (con specializzazione mineraria), Pier Giorgio incontra la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Si iscrive al circolo “Cesare Balbo” nel 1919, pochi mesi dopo l’ingresso al Politecnico. 
Il periodo è caldo: l’Italia vive le grandi difficoltà e i fermenti del dopoguerra. I giovani cattolici si sentono parte in causa, e nelle loro organizzazioni si discutono le questioni su cui si poggia il futuro della nazione, e si agisce. La FUCI è per molti giovani un luogo privilegiato di formazione alla vita sociale e culturale. 
Il circolo “Cesare Balbo” si riunisce spesso, è numeroso e vivace. Vi si incontrano persone di diverso spessore e diversa sensibilità. Tra esse Pier Giorgio trova alcuni giovani che gli somigliano per passione, speranze, modo di intendere l’esistenza. Saranno tra i suoi più cari amici. 
Con loro condivide i momenti liberi, le escursioni sulle montagne tanto amate, e le tante occasioni di incontro e di stare insieme caratteristiche di un gruppo affiatato di amici. E di amiche, perché stretti sono i rapporti con la FUCI femminile. 
Pier Giorgio crea attorno a sé una piccola comunità di ragazzi e ragazze che vivono con serenità e rispetto la loro amicizia. Una comunità che prende anche un nome, quando il 18 maggio 1924 durante una   gita viene fondata la “Società dei Tipi Loschi”. I suoi membri, “lestofanti” e “lestofantesse”, prendono un soprannome: Pier Giorgio è Robespierre. Il  buon umore, la  serenità sono la scelta dei Tipi Loschi, per dissipare nel cuore di ognuno “scrupoli e malinconia” e poter così “servire Dio in perfetta letizia”. Il vero legame è la fede. Ciò che davvero rinsalda è la preghiera.

I pochi mesi di età tra Pier Giorgio e la sorella Luciana legano i due fin dall’infanzia. Avviati insieme agli studi e al catechismo, educati senza differenze, crescono fianco a fianco, sviluppando i propri diversi caratteri mantenendo sempre un forte rapporto di comunanza. La strada di Pier Giorgio porta tra i diseredati, i poveri, i soli. Quella di Luciana verso il mondo luminoso e affascinante della diplomazia, dove agisce papà Alfredo. 
Una diversità causata dal dirompere del Vangelo in Pier Giorgio, ma che invece dividerli alimenta tra i due l’intesa e l’intimità. Luciana molti anni dopo scriverà di aver sentito spesso il compito di difendere il candore di Pier Giorgio dalle incomprensioni del mondo, ed anche della famiglia. Era l’unica persona di casa con cui lui si confidava, a cui chiedeva consiglio. L’unica a sapere qualcosa dei suoi autentici desideri, dei suoi tanti impegni di apostolato e di carità, dei motivi del suo “correre sempre” verso qualcosa di importante da fare. 
Luciana conosceva anche gli amici più cari di Pier Giorgio, dai compagni di infanzia come Camillo Banzatti al gruppo di giovani tedeschi con la cara Maria Fischer. Non conosceva invece, se non qualcuno di vista, i giovani e le giovani della FUCI con cui Pier Giorgio aveva stretti legami e frequenti incontri, tra cui: Marco Beltramo che con “Robespierre” formava la sottosezione  dei Tipi Loschi specializzata in scherzi denominata “Terrore”; Tonino Villani, per un periodo presidente del “Cesare Balbo”; Gian Maria Bertini, che diventerà sacerdote, cosi come Franz Massetti; Antonio Severi; Isidoro Bonini. E le ragazze: Ernestina Bonelli, la “Direttrice di gita”; Clementina Luotto, la “Presidentessa”; Laura Hidalgo, la “Segretaria

Il 14 maggio 1922  Pier Giorgio si iscrive al circolo “Milites Mariae” della Società della Gioventù Cattolica (ramo maschile dell’Azione Cattolica) presso la sua parrocchia. 
Motto della Gioventù Cattolica è: Preghiera, Azione, Sacrificio. Tre parole che riassumono l’impegno quotidiano dei suoi aderenti. 
Pier Giorgio trova in esse lo specchio del suo modo di essere. 
Egli è davvero un uomo di preghiera, in continuo colloquio con Dio nelle liturgie comunitarie e nel segreto della sua camera. 
E’ un uomo di azione, per cui le parole contano per quello che significano e, quando sono inutili, sceglie di tacere. 
E’ un uomo di sacrificio, che non esita di fronte alla rinuncia di qualcosa se ciò gli permette di servire Dio, di fare del bene. 
Per Pier Giorgio la Gioventù Cattolica è sentirsi uniti dagli stessi ideali, dagli stessi sogni, dagli stessi impegni. E’ potersi aiutare a vicenda ad essere fedeli, a crescere. 
Pier Giorgio crede fortemente nell’associazionismo. Egli stesso è socio di molte organizzazioni, e si impegna per la loro diffusione. Nel luglio del 1923, quando a Pollone, il paese d’origine dei genitori in cui i Frassati hanno una villa luogo di molte vacanze, viene fondato il circolo della GC, gli viene chiesto di essere padrino della bandiera. 
Della Gioventù Cattolica sente l’importanza della dimensione nazionale. I grandi raduni lo entusiasmano, e se può vi partecipa. Ama stringere rapporti con i giovani di regioni lontane. La fede è un legame più forte di qualsiasi distanza. 
Nel 1921 è a Ravenna per il congresso di Pax Romana, poi a Roma per il grande congresso della GC, dove è protagonista della difesa della bandiera del “Cesare Balbo” dalle guardie regie. Nel ‘23 il congresso eucaristico di Genova e il congresso della GC a Novara sono alcune delle occasioni di raduno offerte ai giovani cattolici a cui Pier Giorgio può partecipare. Altre volte dovrà a malincuore rinunciare: anche qui, scegliendo il sacrificio.

La vita studentesca di Pier Giorgio inizia nella scuola pubblica, con Luciana, nell’infanzia, e vi prosegue, passando però due volte per il “Sociale”, per approdare infine all’università. 
Pier Giorgio si porta addosso la fama, in casa, di studente non brillante, che “non sa scrivere”. Ma è uno studente normale. Il suo curriculum universitario non riporta molti voti eccelsi, il massimo è 90/100. Gli capita a volte di dover rimandare esami perché poco preparato: disavventure della maggior parte degli studenti. 
Affronta lo studio con grande serietà. Ha scelto ingegneria mineraria perché desidera stare al fianco dei lavoratori tra i più sfruttati e meno garantiti dell’epoca, i minatori. 
Qualcuno gli ricorda che, essendo lui un “signore”, potrebbe anche fare a meno di studiare. 
E’ vero, ma la risposta è: “No, io sono povero come tutti i poveri. E voglio lavorare per loro”. 
E’ consapevole che per fare bene un mestiere occorre competenza. Studiare per servire: vuole entrare nel mondo del lavoro pronto a fare la sua parte. Per realizzare il mondo più giusto che sogna, e battersi per la promozione degli umili e dei poveri, occorre avere una seria professionalità. 
Lo studio perciò è per lui un dovere sentito dentro di  sé, che diventa impegno convinto e, spesso, energico, fatto anche di rinunce e di sacrifici. Integra l’impegno sui libri con visite “sul campo” a miniere e pozzi. 
Ha anche passione per la materia: negli anni raccoglie una nutrita serie di minerali, accuratamente classificati. 
Il  progresso della tecnica lo entusiasma: a Berlino nel ‘21 visita il “Deutsche Museum”, e ne rimane affascinato. 
L’impegno tenace nello studio tempra senza dubbio la fibra morale di Pier Giorgio; la fatica della quotidianità, nel trattare le cose del mondo, è un tratto caratteristico della vocazione dei laici

Diventare ingegnere minerario è per Pier Giorgio più di un sogno: è parte integrante del suo progetto di vita. 
Man mano che la laurea si avvicina cresce l’ansia di finire gli studi. Quando parla con gli amici dei “suoi minatori” il viso gli si illumina: si vede già in miniera, a condividere con loro il lavoro duro e pesante. 
Pier Giorgio concepisce la professione come modo concreto ed efficace di aiutare il mondo ad incamminarsi sulla via della giustizia e della condivisione. Il suo spirito missionario, che gli aveva anche fatto immaginare di consacrarsi ed andare in America Latina, traspare perciò nell’orientamento al lavoro. 
La spinta alla missione in terra lontana sopravvive nell’idea di andare a lavorare nella Ruhr, la redditizia zona mineraria contesa tra Germania e Francia, dove gli operai tedeschi soffrono per l’occupazione francese. 
Ma prima ancora della morte, che avrebbe negato qualsiasi possibilità, Pier Giorgio rinuncia al suo grande progetto. Cede alla richiesta di papà, che lo ha da sempre considerato suo erede nella conduzione de “La Stampa”. Il programma è di entrare nell’amministrazione del giornale per imparare il mestiere. Ma non ci sarà il tempo. 
Dirà il Concilio Vaticano II che “per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (Lumen gentium, n. 31). 
La vita di Pier Giorgio si configura così come la risposta ad una autentica vocazione laicale vissuta in pienezza, maturata anche attraverso lo schietto domandarsi se la volontà di Dio fosse di vederlo sacerdote, e leggendo nelle situazioni la risposta.

La vita di Pier Giorgio è tanto significativa ancora oggi probabilmente per il senso di pienezza che suscita. Non esistono zone d’ombra. Pier Giorgio balza ai nostri occhi vivido e affascinante. 
Colpisce la assoluta mancanza di cedimenti: un giovane che cammina sicuro sulle strade della vita, con completa fiducia nell’amore del Padre, attraverso gli entusiasmi e le sofferenze dell’età giovanile. Che con una maturità che stupisce sa essere tanto gioioso e trascinante nei momenti di letizia quanto serio e attento di fronte ai problemi del mondo e della gente quanto nascosto e quasi furtivo nel gesto di carità. 
Non si tratta solo di essere particolarmente toccati dalla Grazia. Qui c’è una risposta consapevole, un “sì” continuamente confermato. C’è un impegno di fedeltà, perseguita ad ogni costo, pagando prezzi anche alti. C’è la capacità di resistere alle tentazioni del mondo, convertendole nello sforzo di santificarlo. 
La vita di Pier Giorgio è orientata da una intensa vita spirituale. L’eucaristia quotidiana è il centro. Per questo appuntamento si alza molto presto, rinuncia alle gite se gli impediscono di andare a messa. Fare la comunione è per lui partecipare all’intimità con Gesù; lo si vede nel banco, concentrato in un profondo raccoglimento, da cui nulla saprebbe distrarlo. Quando qualcuno gli chiederà la ragione della sua opera di carità risponderà così: “Gesù nella santa comunione mi fa visita ogni mattina. Io gliela rendo, con i miei poveri mezzi, visitando i poveri”. 
La preghiera di Pier Giorgio, assidua, frequente, si esprime nei modi dell’epoca. Preferisce il rosario, sgranato per strada o camminando sui sentieri di montagna, con gli amici o inginocchiato accanto al letto. Ama regalare corone agli amici. 
Il suo modo di pregare colpisce e rimarrà impresso per sempre in chi gli è accanto. Caldo, trascinante, quando nella preghiera comune la sua voce robusta si erge quasi a fare da guida al coro. Raccolto, intenso nella meditazione personale, tanto da far sentire davvero presente Dio, l’altro con cui si sta svolgendo il silenzioso colloquio. E’, senza volerlo, un esempio: la gioia che dimostra di trarre dalla preghiera suscita la voglia di imitarlo. 
A volte partecipa ad adorazioni notturne. Notti intere passate in preghiera in una chiesa da cui poi uscire nelle prime luci urlando con gli amici fucini la comune allegria. 
Ha una devozione particolare per Maria. Quando è a Pollone sale ogni mattina prestissimo al santuario di Oropa, ritornandone quando ancora la famiglia è immersa nel sonno. 
Dopo un cammino di avvicinamento durato circa quattro anni, Pier Giorgio chiede di diventare terziario domenicano. Entra nell’Ordine dei Predicatori il 28 maggio 1922, assumendo il nome di frà Girolamo in ricordo di Savonarola. Dall’appartenenza al laicato domenicano, che aggiunge alle sue abitudini la recita quotidiana di un particolare Ufficio dedicato alla Madonna, riceve un sicuro e robusto sostegno alla vita spirituale. Diversi suoi amici, esortati da lui, seguiranno il suo esempio ed entreranno a loro volta nel Terz’Ordine.

C’è un filo che unisce tutta l’esistenza di Pier Giorgio: è la dedizione ai poveri. Da quando piccolissimo scoppia in lacrime per il misero, scacciato da papà, che “forse è stato mandato da Gesù”, fino al biglietto tracciato sul letto di morte, la sua azione in favore di chi ha bisogno è costante. 
A chi gli chiede come fa a sopportare gli odori, la sporcizia, risponde: “Non dimenticare mai che se anche la casa è sordida tu ti avvicini a Cristo!”. Così Pier Giorgio non ama “i poveri”: ama “ogni povero”. E le Conferenze di san Vincenzo non sono per lui l’adempimento di un dovere del buon cattolico, ma lo strumento per dare garanzie di continuità alle opere di carità. 
Non è uno slancio umanitario e filantropico: se così fosse non avrebbe la continuità e l’intensità che Pier Giorgio profonde. Non viene da un’idea romantica della povertà: se così fosse non potrebbe resistere al puzzo delle case sporche e anguste dove sale assiduamente. 
“Certe conferenze di san Vincenzo le abolirei. Quando vi sono uomini che pur essendo pieni di zelo cristiano, di fronte alle difficoltà preferiscono lasciar perdere, è meglio che la conferenza non esista. Non perché le persone agiscono in cattiva fede, ma perché essa non è adatta ai tempi”. Questo è il suo parere. Il suo stile è invece di non tirarsi mai indietro, costi quello che costi. 
“Io sono povero come tutti i poveri”, dice ad un amico. La sua cronica mancanza di denaro “ proverbiale, il distacco dai beni familiari è dichiarato. Ma è l’atteggiamento con cui entra nelle case della gente, quando si presenta come “un confratello della san Vincenzo”, a rivelare l’autentico significato della frase: il rispetto, la delicatezza, la pazienza nell’ascoltare i lamenti della povera gente, la sollecitudine e la semplicità con cui risponde alle esigenze, anche a quelle non espresse, dimostrano una carità che non scende dall’alto ma cresce fianco a fianco

In Pier Giorgio si sviluppa presto, anche grazie alla vita pubblica del padre, l’attenzione alla dimensione sociale e politica. Da adolescente segue con sofferenza le vicende della prima guerra mondiale, e si trova poi immerso nei fermenti del dopoguerra. Tra i giovani cattolici è grande la voglia di fare la propria parte nella costruzione del futuro della nazione. I problemi sociali sono scottanti, le tensioni politiche forti. Pier Giorgio, che nutre un grande amore per la pace, crede fermamente alla possibilità di edificare una società giusta, di uguaglianza e di libertà, dove i beni siano equamente distribuiti. 
Ha coscienza che l’azione caritativa non basta, che bisogna risolvere i problemi sul piano dell’ordinamento sociale. Vede nel Partito popolare italiano, fondato da don Sturzo nel 1919, lo strumento adatto per perseguire i suoi ideali. Dopo un periodo di “quarantena”, per la parentela con il Frassati notissimo liberale, la sua domanda di iscrizione viene accolta. 
Nel Partito mantiene il suo stile: non posti di prima linea, ma disponibilità ai servizi anche più umili. Ugualmente pronto a pulire la sede, ad attaccare manifesti di notte (con il rischio delle risse con gli attivisti di altri partiti), ad accompagnare gli oratori nei posti più “caldi” dove il suo corpo robusto e la sua calma sono preziosi in caso di bisogno. 
E’ schierato su posizioni di sinistra, nell’ala più avanzata del partito. Vive con passione il Congresso Popolare di Torino nell’aprile ‘23, dove si discute la collaborazione con il Partito fascista. 
Il giudizio di Pier Giorgio sul fascismo, al pari del padre dimessosi da ambasciatore per la salita di Mussolini al potere, è durissimo. Lo esprime più volte, anche in pubblico, senza nessun timore. Vede con amarezza alcuni deputati popolari compromettersi con il regime, mentre egli addirittura chiede di iscriversi al circolo della Gioventù Cattolica di Guastalla, più volte aggredita dai fascisti. Egli stesso sventa un’aggressione fascista in casa

Pier Giorgio vive profondamente il senso della comunità come giovane e come cristiano, che comprende profondamente la cattolicità della Chiesa in cammino verso l’unità “perché il mondo creda”. 
Pier Giorgio ama la comunità che è la famiglia, la comunità che sono gli amici, la comunità che sono le associazioni di cui fa parte, la comunità di cui tutti sono chiamati a far parte, mettendo al primo posto i poveri. 
In questo senso è particolarmente significativo che la sua morte abbia inciso ed incida ancora così vivacemente nella comunità cristiana. 
La comunità cristiana è continuamente sollecitata dalla figura di Pier Giorgio. L’eco iniziata dalla sua morte ha toccato moltissimi; nel primo dopoguerra la sua fama è grande. Ispira tanti giovani a richiamarsi al suo esempio; molti genitori danno il suo nome ai propri figli, ponendoli sotto la sua protezione ed augurando loro di somigliargli. Il primo strumento di conoscenza è la biografia firmata da don Cojazzi, l’antico ripetitore di latino. Negli anni seguenti la sorella Luciana produrrà scritti più densi di memorie, a cominciare dalla pubblicazione dell’epistolario di Pier Giorgio. 
Mano a mano che la figura assume risalto e chiarisce meglio i suoi contorni, si precisa anche la sua forza di richiamo nei confronti del mondo cattolico. 
Molti dei problemi affrontati de Pier Giorgio sono gli stessi di oggi; la sua capacità di anticipare i tempi ce lo fa spesso scoprire vicino alla sensibilità contemporanea. 
E’ forte l’esigenza di approfondire la conoscenza della sua vicenda terrena

La generosità, lo spendersi senza riserve, è lo stile con cui Pier Giorgio attraversa il mondo. Al punto che alcuni non si fanno problemi ad approfittarne, chiedendogli favori, raccomandazioni, referenze, denaro. E lui non nega nulla, tranne quando c’è contrasto con le sue convinzioni profonde. 
Farsi in quattro per gli amici, cercando gli alloggi per gli universitari di fuori Torino e spesso pagando lui gli affitti, regalando loro i libri di studio con la scusa che “li ha doppi”. 
Troncare una discussione alla san Vincenzo con una offerta anonima di 500 lire che chissà dove avrebbe poi trovato per poter comprare un carretto da gelataio che permetta ad un uomo di guadagnarsi il pane. 
Arrivare all’Ambasciata di Berlino, in un clima polare, senza cappotto perché l’ha regalato a chi non l’aveva. 
Farsi fare in fretta da un’amica il corredino indispensabile per un neonato venuto alla luce in un sottoscala. 
Il numero degli episodi simili a questi venuti alla luce nella messe di testimonianze raccolte è talmente grande da lasciar stupiti: tanto più al pensiero di quanti rimarranno segreti per sempre. 
Gli investimenti di Pier Giorgio non sono in questo mondo: ha una banca in cielo che rende il mille per cento. 
Desidera far fruttare ogni minuto. Lo chiamano “lo studente che corre sempre”. E’ l’esempio di una vita vissuta in pienezza.

 

 

Piergiorgio Frassati