I SACRAMENTI

L'ordine

Prospettive teologiche odierne a partire dal Concilio Vaticano II

 

        Dopo Trento non si registrano grandi novità per quanto riguarda la riflessione sull'ordine, ma bisogna arrivare al Vaticano II; da Trento in poi, diciamo che, il capitolo del sacramento dell'ordine resta il più inalterato.

            Il Vaticano II, in linea generale, segue due tipi d'impostazioni:

1)      ritrovare la dimensione del servizio, uscendo dalle categorie del potere, con cui la teologia dell'ordine si era abituata a riflettere;

2)      estendere  la corresponsabilità richiamando il primato dell'elemento comunitario.

            Lo spirito del Vaticano II, in temi di ministeri, è certamente l'estensione. Ritrovare un principio comunitario in cui non ci sono gli attivi (il clero) e i passivi (i laici). Questo, grazie anche, a una ritrovata ispirazione pneumatologica; il fondamento teologico, della riflessione del sacramento dell'ordine, prima del Vaticano II, era prevalentemente impostato su ispirazione di carattere cristologico. Il Vaticano II recupera, invece, un'ispirazione di tipo pneumatologica.

            In questa concezione si può notare che, per es. in ecclesiologia, poiché lo Spirito è dato a tutti, la responsabilità si estende. L'ecclesiologia pneumatologica, è senz'altro una ecclesiologia di comunione, di corresponsabilizzazione, mentre un'ecclesiologia solo di tipo cristologica (cristomonista) sarà una ecclesiologia dei poteri, su chi ha l'autorità.

            Una ecclesiologia pneumatologica e dunque teologia del sacramento dell'ordine, caratterizzata dalla pneumatologia, porta al riconoscimento che lo Spirito è dato a tutti e quindi scaturisce un'idea che si crea con il concorso di tutti, ciò non porta, il ministero ordinato, ad essere concepito come una pura funzione. 

 

Tripartizione ministeriale.

 

            Il Vaticano II difende e riprende l'antica tripartizione: diacono, presbitero, vescovo, offrendo, però, una diversa sistemazione.

            La prima cosa che fa la dottrina conciliare è soprattutto un riesame dell'episcopato.

            ► Episcopato: la teologia dell'ordine, vede tutti gli altri ministeri a partire dall’episcopato, mentre per Trento, l'elemento di partenza, era il sacerdozio. La dottrina conciliare, ricolloca al centro dell'ordinamento ministeriale l'episcopato.

            Nel Cap. III della Lumen Gentium, vengono dette le cose maggiori a riguardo, in particolare, vengono fatte tre affermazioni:

1)      La prima è tradizionale, cioè la dottrina tradizionale dell'origine dell'episcopato è la successione apostolica (n.20); il secondo e il terzo punto, risultano innovativi.

2)      Il primo concetto, che viene riconosciuto, a proposito dell'episcopato è quello della Sacramentalità : “ Insegna il santo concilio che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della chiesa e dalla voce dei santi padri viene chiamata il sommo sacerdozio, il vertice del sacro ministero (n.21).

3)      Il secondo concetto, che viene riconosciuto, a proposito dell'episcopato è quello della Collegialità: che porta a riconoscere la responsabilità comune dei vescovi su tutta la Chiesa (n.22). L'episcopato, per questa sua natura collegiale ha un campo di estensione che è proprio quello della Chiesa stessa nella sua completezza. Per quanto riguarda la collegialità, rispetto alle precedenti (origine e sacramentalità), ci fu, all'interno della discussione dei padri conciliari, un ampio dibattito perché la parte dei conservatori erano preoccupati, del fatto che, questa collegialità potesse minare il dogma papale (il primato papale) uscito dal Vaticano I. “Come san Pietro e gli altri apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano pontefice, successore di Pietro, e di vescovi, successori degli apostoli, sono fra loro uniti [] L'ordine dei vescovi, che succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, nel quale anzi si perpetua ininterrottamente il corpo apostolico, è pure, insieme con il suo capo il romano pontefice, e mai senza di esso, soggetto di suprema e piena potestà su tutta la chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del romano pontefice (n.22).

Il concilio, ai due rischi estremi, che potevano essere: il Conciliarismo (la dichiarata superiorità del collegio sul papa) e il Monarchismo papale (il papa che governa senza alcuna considerazione dei vescovi), preferisce un'idea organica di collegio con un capo visibile all'interno:“Il romano pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”(n.23).

            Questa forte centralizzazione sul ministero episcopale, porta il Vaticano II a concepire i ministeri a partire da questo, e così i presbiteri sono intesi:

·   come cooperatori (PO 2);

·   come collaboratori (LG 28);

·   ministri che agiscono i nome del vescovo (PO 6)

·   ministri che rendono visibile il vescovo nelle singole parrocchie (PO 5).

            ► Diaconato: il concilio rivaluta questo ministero, non considerandolo più un gradino d'accesso al presbiterato, ma un ministero che può stare da solo, infatti è conferito, anche a persona sposata. Un ministero visto nella linea del vescovo; in rapporto al vescovo. Si distingue dagli altri due per l'espressione famosa di LG29:“ In un grado inferiore della gerarchia stanno di diaconi, ai quali sono imposte le mani "non ad sacerdotium sed ad ministerium" non per il sacerdozio, ma per il servizio”.

 

Il rapporto con il sacerdozio comune.

 

            Il concilio ha cercato di rivalutare il ruolo dei laici, che prima del Vaticano II, avevano una posizione negativa. È alla luce di questa finalità che il concilio recupera un tema che, fino ad allora, era piuttosto trascurato, che è quello del sacerdozio comune: “Infatti, per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo” (LG10).

            Quindi, in virtù del battesimo, tutti i fedeli sono abilitati ad una attività sacerdotale propria che è quella di offrire sacrifici graditi a Dio; concetto che va inteso sia nella sua forma esistenziale sia nella sua forma liturgico sacramentale, che abilita l'assemblea dei fedeli a sentirsi soggetti integrali della celebrazione liturgica.

            LG va anche oltre, sostenendo che, i battezzati, sono chiamati a svolgere un compito non solo in ordine al sacerdozio, ma anche in ordine agli altri munera, in quanto tutti e tre i munera (re-profeta-sacerdote) convocano i fedeli alla responsabilità. Quindi la partecipazione dei fedeli, in virtù del battesimo, ai tria munera del Cristo sacerdote, profeta e re.

            L'elemento chiave, nella considerazione dei laici, è il fatto che, il concilio, indica il proprium dei laici, nell'indole secolare, cioè nel loro impegno nel mondo.

            Il concilio, quindi, richiama questi due ambiti della positività della considerazione dei laici sia nella Chiesa sia nel mondo, indicando come proprium, l'indole secolare.

            Restano due problemi:

-          1° Come distinguere il sacerdozio dei laici da quello dei ministri?

-          2° Come coordinare i due sacerdozi, se si tratta di due forme di sacerdozio?

            Sul primo problema, il concilio usa, per la distinzione, la doppia determinazione:

·         sacerdozio comune: tutti abbiamo il sacerdozio comune in seguito al battesimo;

·         sacerdozio ministeriale: conferito dal sacramento dell'ordine.

            Il concilio, però, nella distinzione, non risolve del tutto il problema riguardo al rapporto fra queste due forme. Il concilio si limita ad una affermazione generale, ma non entra nel vivo, preoccupandosi subito di risolvere l'altro problema che quello di coordinare la distinzione.

            Il testo chiave, in cui distingue il sacerdozio comune da quello ministeriale è sempre LG 10, riproponendo, sic et sempliciter, un testo risalente a Pio XII dove dice:“Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro; infatti l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo”.

            In sintesi, quello che è importante sottolineare è il fatto che il concilio:

-          usa la doppia terminologia per distinguere la caratteristica dei laici da quella dei presbiteri;

-          precisa che, la differenza clero–laici, non è indicata in una partecipazione o meno al sacerdozio di Cristo, giacché si riconosce che l'uno e l'altro partecipano al sacerdozio di Cristo, anche se in senso diverso di rappresentarlo: è una differenza di essenza e di grado;

-         nonostante le differenze di essenza e di grado, la loro natura è di ordinarsi reciprocamente, non concepirsi in modo autonomo o parallelo, ma trovare un punto d'incontro. Compito del sacerdozio ministeriale è quello di incontrarsi con il sacerdozio dei fedeli e viceversa.

 

L'identità specifica del ministero ordinato.

 

            Lungo la storia si sono approfondite diverse interpretazioni del ministero ordinato, ciascuna soggiacente a un particolare approccio ermeneutico. Fondamentalmente si possono distinguere due modelli d'interpretazione: uno orientato cristologicamente e l'altro orientato ecclesiologicamente.

·         Lo schema cristologico: (anche detto: schema piramidale) è caratterizzato da un modello discendente: Cristo - Ministro; in questo approccio il ministro tende a staccarsi, come figura autonoma, dal resto dell'ecclesia, privilegiando un rapporto personale con Cristo, da qui la l'interpretazione di quella famosa accezione del prete come alter Christus, interpretazione che risale ad Agostino, il quale l'applica ad ogni battezzato. In questo orientamento cristologico, fra i compiti, propri del ministro, si privilegiano quelli propriamente sacerdotali che furono solo i poteri di Cristo, cioè il potere di celebrare e assolvere.

·         Lo schema ecclesiologico: è caratterizzato da uno schema orizzontale: Ministro–Chiesa. In questo modello, il ministro, è considerato, più che in se stesso, ma in ciò che è in rapporto agli altri. Emergono, così, più funzioni collegate al servizio della crescita comunitaria. Il servizio pastorale inteso come fatto globale.


    Questi due schemi, portati al loro estremo, diventano entrambi erronei e nella storia ci sono stati questi errori. Infatti, se si sceglie l'orientamento cristologico; si staccherà il ministro dalla Chiesa; non si darà sufficiente importanza al fondamento battesimale; si favorirà una concezione individualistica ed autoritaria del ministero, che sfocerà nel clericalismo e la sacralizzazione della persona del prete.

    Portando, invece, all'estremo, il secondo orientamento dogmatico, smarrendo il riferimento a Cristo, si rischia di ridurre il ministero a una pura funzione, a un puro impiego, non riuscendo a trovare più un elemento caratterizzante, portando il prete a diventare un assistente sociale, perdendo così la sua dimensione trascendente. Se nel primo orientamento si va verso la sacralizzazione totale, qui si va verso la socializzazione totale.

            L'equilibrio sarà, allora, la soluzione. Una corretta teologia del ministero, deve saper tenere il giusto equilibrio dei due schemi, modellando un'immagine di ministro ordinato che agisce in base al duplice fondamento: cristologico ed ecclesiologico, reso dalle note formule: In persona Christi e In persona ecclesiae.

·         l'orientamento cristologico è l'agire del prete: In persona Christi;

·         l'orientamento ecclesiologico indica l'identità del prete come persona che agisce: In persona ecclesiae.

            Questa è l'identità specifica del ministro ordinato, una persona chiamata ad agire in persona Christi ed in persona ecclesiae, a sentire il proprio ministero fondato sul duplice schema teologico: cristologico ed ecclesiologico.

            ► In persona Christi: con la prima relazione, il ministro si pone di fronte alla comunità in qualità di rappresentate qualificato dell'opera salvifica del Cristo, abilitato ad agire in nome di Cristo (2Cor 5,50). Anche il Vaticano II appoggia questa idea, sostenendo che, l'essenza del ministero ordinato va cercata nella capacità di agire in persona Christi: LG21“Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall'usanza della chiesa sia d'oriente che d'occidente, consta chiaramente che con l'imposizione delle mani e con le parole della consacrazione la grazia dello Spirito santo viene conferita, e viene impresso un sacro carattere, in maniera che i vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono di sua persona”. Il sacramento, quindi, conferisce, attraverso il sacro carattere, la possibilità di sostenere le parti del Cristo stesso.

            Perché abbiamo bisogno di un ministero che agisca in persona di Cristo? Perché la necessità dei preti? Non sul piano sociologico, visti come guide di un qualsiasi corpo complesso, ma dal punto di vista teologico.

            La risposta: per la legge della mediazione che caratterizza il nostro sistema teologico.

La ragione teologica, che sta a fondamento di questa considerazione e che fonda l'esigenza di un ministero ordinato si trova nella struttura mediatrice dell'evento cristiano. Per cui deve apparire chiaro che i sacramenti possono darsi, ma non autocomunicarseli. La comunità non si dà da sola la salvezza, ma la riceve da Cristo come un dono.

            Nell'ultimo documento di accordo tra luterani e cattolici, Chiesa e giustificazione,1996, al n.188:“L'uomo non può dire a se stesso ciò che Dio ha da dirgli e non può da se stesso operare quella salvezza che solo Dio ha preparato per lui. Questa struttura di un movimento dal di fuori di noi, per noi, è costitutiva della rivelazione e della salvezza di Dio in Cristo. A tale scopo, Dio istituisce il ministero ordinato”.

            La struttura ministeriale della Chiesa non può ridursi a una semplice esigenza organizzativa, non questo per cui si un ministero all'interno della Chiesa. Lo Spirito, arricchendo nella molteplicità, spinge la Chiesa a conservarsi fedele all'opera di Cristo, tramandata con la testimonianza degli apostoli e lo fa suscitando al suo interno carismi di carattere pubblico e ufficiale che ricevono una ordinazione sacramentale. In questo modo, il ministero ordinato, svolge un servizio indispensabile in ordine a questa fedeltà a Cristo e alla perennità della presenza mediatrice e salvatrice di Cristo nella contingenza della storia.

            ►  In persona ecclesiae: essere di fronte, però, non significa essere sopra o essere di più, ma con la relazione ecclesiologica, il ministro comprende la sua reale collocazione perché, in fondo, è solo stando nella Chiesa, con gli altri che egli può ricevere il sacramento dell'ordine e svolgere il suo compito di rappresentanza cristologica.

            Come non si può separare il Cristo dalla Chiesa, così il ministro, icona di una grazia che viene da di fuori, deve questa sua capacità di rappresentanza al fatto che è membro della Chiesa.

            Questo fondamento ecclesiologico, allora, coordina meglio le relazioni, caratterizzando i ministri ordinati, non solo per ciò che essi sono in se stessi, ma anche per ciò che essi sono in rapporto agli altri. Se il soggetto della missione è l'intera comunità tutti i battezzati sono protagonisti reali della mediazione, ciascuno con il suo compito, ciascuno col suo ministero. Il ministro ordinato deve comprendersi come qualcuno che esiste all'interno della comunità e sta come uno che è stato ordinato per la comunità e con la comunità; deve realizzarsi inserendosi radicalmente in essa, agendo in nome della comunità, ponendosi al servizio della comunità, con il contributo specifico del suo carisma ministerializzato.

            Quindi, un ministro, che all'interno della comunità suscita corresponsabilità di tutti.

            Un esempio classico di questa equilibrata coordinazione è la famosa frase di Agostino, nel discorso 340: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”. La distinzione del ministero, quindi, non deve pregiudicare la comunione del battesimo. Il ministero va concepito in una prospettiva relazionale.  

            Il concilio assume quest'idea nel testo di Prebyterorum ordinis, n.9:“In mezzo a tutti coloro che sono stati rigenerati con le acque del battesimo, i presbiteri sono fratelli tra fratelli, come membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti.

         Questa appartenenza ecclesiale, determina, anche, l'estensione dei compiti che non è solo quello di celebrare e assolvere, ma anche quello della parola.

 

Questioni terminologiche.

 

            L'evoluzione dei concetti, sul ministero ordinato, determina anche una evoluzione linguistica. L'accentuazione del termine sacerdote per indicare il ministro ordinato è tipica del periodo preconciliare. Abbiamo, però, visto che è uno dei termini più impropri sia per il fatto che è un termine che può essere applicato a tutti i battezzati, sia perché non tiene conto delle altre dimensione del ministero ordinato che sono la parola e il governo pastorale.

            Nel concilio si sente il disagio per l'uso di questo termine, si pensi al decreto sui preti Presbyterorum ordinis, del quale il primo schema si chiamava De clericis e il secondo De sacerdotibus, mentre il terzo Presbyterorum ordinis. Come si nota dal passaggio del titolo, il disagio della ricerca terminologica.

            Ciò nonostante, però, il concilio, all'interno dei testi spesso usa la terminologia sacerdotale. Quando deve distinguere la condizione comune da quella dei ministri, rimane fedele al termine sacerdotale, parlando in maniera specifica di sacerdozio ministeriale.

            Dopo il concilio, la terminologia, ha proseguito nel suo percorso evolutivo, tanto che, ad un certo punto, non si parlò più di sacerdozio ministeriale, ma rovesciando i termini, si parlò così di ministero sacerdotale. Anche i documenti ufficiali, preferivano alla terminologia conciliare, sacerdozio ministeriale, la terminologia capovolta di ministero sacerdotale, facendo passare la qualifica sacerdotale dalla categoria di soggetto alla categoria di attributo.

            L'evoluzione prosegue a tappe, perché negli anni 70-80, in cui ci fu un uso generalizzato del termine ministro, ebbe poi un passaggio ulteriore che è quello attuale che oscilla fra due espressioni: ministero ordinato e  ministero pastorale (in uso più nell'ambiente francese).

             Kasher, in Nuovi accenti nella concezione dogmatica del ministero sacerdotale, dice:“Il punto di partenza, per una nuova comprensione dell'ufficio sacerdotale, si trova nel carisma di governo della comunità. Con questo punto di partenza, non determiniamo più, l'ufficio sacerdotale, primariamente a partire dalla sua funzione cultuale, sacramentale, consacratorio e in base al suo potere ontologico d'ufficio, bensì in base alla sua funzione ecclesiale e sociale”.

            In questo modo si estende l'attività del ministro, anche in altri campi. Il ministero conferisce una identità sacerdotale molto specifica essa si esplica in tutti  e tre i campi: sacerdozio, parola e governo.

 

L'ORDINE