I SACRAMENTI

L'ordine

Attuale strutturazione dei ministeri

 

        Trento enumera sette gradini di accesso al sacerdozio, distinti in ordini minori (accolitato, esorcistato, lettorato, ostiariato) e maggiori (sacerdozio, diaconato, subdiaconato).

            Con il motu proprio, “Ministeria quaedam”,del 15 agosto 1972, Paolo VI riformula completamente questa materia, indicando le seguenti categorie:

-          Ministeri ordinati: cioè, ministeri che si ricevono attraverso un atto sacramentale;

-          Ministeri istituiti: ministeri che comportano un semplice atto pubblico istituzionale;

-          Ministeri di fatto: non implicano, per esclusione, né un sacramento, né un atto istituzionale, ma sono lo stragrande numero di servizi che si rendono nella Chiesa.

            È a partire da questa distinzione, che si affermò l'idea della Chiesa tutta ministeriale

 ► Ministeri ordinati: Episcopato – Presbiterato - Diaconato.

           

Ministero episcopale.

            Il recupero della sacramentalità dell'episcopato, restituisce il vescovo pienamente alla sua Chiesa locale. Grazie a questa plenitudo ordinis, il vescovo, all'interno della diocesi, si caratterizza come ministro di comunione di cui è forma storica vivente all'interno della comunione della sua Chiesa locale. I riferimenti teologici, presi soprattutto da Ignazio, sottolineano come la koinonia della comunità, si concentra intorno alla figura del vescovo. In Evangelizzazione e ministeri,n.54:“la grazia propria del vescovo, non è di essere la sintesi dei ministeri,come si poteva pensare in passato, ma di essere il ministero della sintesi, dell'armonizzazione di tutti i ministeri, volti alla edificazione della comunità”.

            Quando consideriamo il vescovo in rapporto alla collegialità, una ministerialità propria dell'episcopato è quella di essere legame vivente della comunione universale delle Chiese (icona della cattolicità). Poiché la communio episcoporum è communio ecclesiarum, i singoli vescovi, da soli, rappresentano la propria Chiesa, insieme col papa, rappresentano tutta la Chiesa.

 

Ministero dei presbiteri.

 

             Abbiamo già visto come i presbiteri vengono compresi nella linea dell'episcopato, vengono chiamati collaboratori, nelle parrocchie rendono presente il vescovo, ecc. questo, però, non significa che il ministero dei presbiteri derivi da quello episcopale, perché è un sacramento vero e proprio.

            Nel momento dell'ordinazione, i presbiteri ricevono una sacra potestas, che non deriva né da una delega della comunità, né da una concessione episcopale, ma dall'ordinazione stessa, dalla grazia di un sacramento specifico che ha per protagonista lo Spirito Santo, il vescovo dà la misso canonicas la quale riconosce l'ufficialità del ruolo del presbitero per il bene della comunità.

            È dunque, l'ordine a conferire il carattere di configurazione a Cristo, che abilita il ministro ordinato ad esprimere una speciale forma di presenza di Cristo in mezzo ai fratelli, in tutti e tre i campi: sacerdozio, parola e governo; PO 12:“Con il sacramento dell'ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il suo corpo che è la chiesa, in qualità di cooperatori dell'ordine episcopale.

            Tuttavia, questo esercizio, nella linea dell'episcopato, tutti i presbiteri esercitano il loro ministero, in comunione con il vescovo. La differenza sta , anche, nella diversa rappresentatività della Chiesa. Solo il vescovo, in senso pieno, nella sua comunità locale, siede la cattedra, simbolo della pienezza dell'ordine del vescovo, il presbitero, dunque, deve essere in comunione con lui.

            Ma poiché, il vescovo guida la comunione senza identificarsi con essa, ha bisogno, anche, della comunione dei presbiteri, ne consegue che PO 7:“I vescovi, pertanto, grazie al dono dello Spirito santo che è concesso ai presbiteri nella sacra ordinazione, hanno in essi dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il popolo di Dio”.

            Il concilio, parla a questo proposito di unum presbyterium (l'unità presbiterale) ed è qui che si fonda il concetto del consiglio presbiterale: unità sacramentale tra vescovi e presbiteri che implica una partecipazione, dei presbiteri, a compiti propriamente episcopali per il governo della comunità.

            Questa reciprocità tra vescovi e presbiteri, fonda la possibilità del parroco di essere legame vivente della sua piccola comunità, con la Chiesa locale diocesana, ma fa di lui, anche un'icona attraverso cui il vescovo è sentito presente in ogni parrocchia.

              Unum presbyterium (l'unità presbiterale), la si può rendere, al livello dei presbiteri, anche sulla falsa riga della collegialità episcopale, cioè, ogni parroco è responsabile della sua comunità, ma poiché lui appartiene all'unità presbiterale, non può non sentirsi responsabile di tutte le parrocchie della sua chiesa locale. Allora quel difetto di alcuni parroci che si configurano papi e re della propria comunità, creando spesso, anche, una forma concorrenziale nei confronti delle comunità vicine, va superato in nome di questo concetto d'unità presbiterale.

            L'ordinazione inserisce in un presbiterio, PO 8:“I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo”.

            In relazione al triplice compito di Cristo re, profeta e sacerdote non c'è differenza sostanziale tra il vescovo e il presbitero, il concilio si limita a dire che c'è una piena manifestazione della Chiesa nella celebrazione della messa del vescovo. Ciò che vale per i vescovi (LG21,24,27) vale per i presbiteri; in ciascuno di questi ambiti essi esercitano la propria missione a servizio dei fratelli.

            Il superamento della sacerdotalizzazione, dovrebbe portare il presbitero, odierno, a capire che il campo d'esercizio della sua azione è tutta la comunità, è il servizio globale della comunità.

            L'idea attuale è in ordine del recupero della triplice funzione e pensarsi in una prospettiva globale.

            Tre sono le funzioni, della rappresentatività di Cristo, che vengono date attraverso l'ordinazione: la parola, la celebrazione e il governo pastorale.

            Quindi, in sintesi, il campo d'azione del ministero presbiterale è la vita intera della comunità.

 

Il ministero diaconale.

 

            Il termine Diaconos (servitore), è presente nel Nuovo Testamento. Forse è uno dei termini più autorevoli proprio per la sua chiara configurazione rispetto agli altri due (episcopo e presbitero), ma è pure un termine che va attribuito a una varietà di soggetti (a differenza di oggi che ha un soggetto specifico) per esempio: viene attribuito a Cristo Rm 15,8; 2Cor 11,23; Atti 6,1-6 noto come l'ordinazione dei diaconi, anche se oggi non si è del tutto concordi sul fatto se sono semplice collaboratori invece che diaconi così come s'intende oggi.

            Paolo VI, nel motu proprio, “Ad Pascendum”, non cita quest'ultimo testo a supporto del diaconato, mentre cita altri testi come: Fil 1,1; 1Tim 3,8-13.

             In ogni caso, la figura dei diaconi, ha sempre avuto una grande importanza nella storia della Chiesa, il loro compito era quello di dare un aiuto sacramentale alla celebrazione eucaristica e soprattutto, l'amministrazione dei beni e l'assistenza dei poveri.

            Le costituzioni apostoliche, del IV secolo, vedono nei diaconi il ministero dell'accoglienza, dell'ospitalità;“Il sacramento della Chiesa dalle porte aperte”.

            Dimenticato per lungo tempo e soprattutto, considerato come semplice gradino al sacerdozio ministeriale, la novità ultima è che, nella ristrutturazione operata da Paolo VI, è stato ufficialmente ripristinato il diaconato permanente: motu proprio: Sacrus diaconatus ordinem,1967, voluto dal Vaticano II in LG 29 e  AG16.

            Due i problemi teologici del diaconato (sia transeunte che permanente):

1)      il fatto che il diaconato, pur essendo un ministero ordinato, non è qualificato come sacerdotale: “ad ministerium sed non ad sacerdotium” (LG 29). Nella triade del sacramento dell'ordine (episcopato, presbiterato e diaconato) esso non si configura come un grado sacerdotale (non implica una potestas sacerdotale). Allora, il problema che resta insoluto è quello di sapere come mai il diaconato, pur non essendo definito nella linea sacerdotale, appartiene allo stesso sacramento da cui derivano gli altri due gradi che sono caratterizzati, anche, in maniera sacerdotale? I diaconi romani del IV secolo fecero una famosa contestazione, rivendicando i diritti sacerdotali potendo così accedere alla celebrazione dell'eucarestia. Il problema rimane irrisolto.

2)      L'altro problema, è quello di indicare i compiti specifici dei diaconi, i quali non sono molto chiari. I documenti indicano tre ambiti: sacramenti, carità e parola. tuttavia, la linea emergente dovrebbe essere data dal termine stesso, servo: servizio, l'ambito specifico del compito diaconale. Il concilio, LG29, precisa che i diaconi:“Dediti alle opere di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito del beato Policarpo:"Siano misericordiosi, attivi e camminino nella verità del Signore, il quale si è fatto il servo di tutti" ”, è l'icona del servizio, sia esso di natura spirituale che materiale.

Il rischio attuale è che, data la penuria dei preti, il diaconato, diventi una specie di vice-prete, di conseguenza si riduce il diaconato all'ambito propriamente sacerdotale, cioè attorno all'altare senza comprendere il compito specifico del servizio, scadendo in quella sottile forma di clericalizzazione. Il diaconato ha una sua dignità e questa va scoperta, non alla luce del clero, ma alla luce della propria identità specifica che è quella diaconale.

 

Gli altri ministeri.

 

            Abbiamo visto, come nella ristrutturazione di Paolo VI, seguita dalla riforma del Vaticano II, non si parla più di ordini, ma di ministeri istituiti, perché si conferiscono, non mediante un atto sacramentale, riservato solo al diaconato, presbiterato e episcopato, ma solo con un gesto istituzionale, il quale ha, anche, un suo rito liturgico e che pone, il carisma di queste persone, al servizio della comunità, in una forma più “stabile” e “pubblica” che confluisce, anche in una grazia, compresa all'interno del servizio dell'assemblea e suppone una vita di comunione dinamica.

            Il lettore: proclama le letture, propone le intenzioni di preghiera, dirige la partecipazione presentandosi come la voce che fa risuonare la parola in una assemblea, ma anche voce dell'assemblea che risponde.

            L'accolito: richiama il ministero della distribuzione del pane eucaristico. Ciò che il lettore è per la parola, l'accolito è per l'eucarestia; così, mentre il lettore è segno e voce della parola di Dio che si comunica, l'accolito è segno del dono di Cristo che si offre e dunque, attenzione particolare, dell'accolito, sarà, non solo il servizio della mensa, ma anche il servizio dei malati.

             Una caratteristica della riforma liturgica è il non chiudere questi ministeri, soltanto nell'ambito liturgico, ma in quanto pubblici e stabili, implicano un servizio che esce dalla messa. Quindi per il lettore, sarà una responsabilità attiva nell'ascolto e nell'annuncio della parola: catechesi, ecc.; mentre per l'accolito, in ordine alla vita cultuale: liturgie dell'adorazione, ecc..

            Accanto a questi ministeri, Paolo VI parla un'altra categoria, i cosiddetti Ministeri di fatto che non richiedono né un riconoscimento pubblico, né un rito istituzionalizzato, perché si tratta di quei ministeri, che senza titoli ufficiali, compiono nella prassi pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla chiesa: i catechisti, educatori, operatori di carità, addobbi, cantori, ecc..

            Tra i ministeri istituiti e quelli di fatto, c'è un'altra categoria, quella degli incarichi, che per disposizione canonica, possono autorizzare i laici a diventare titolari di compiti ecclesiastici (can.228).

Un esempio tipico d'incarico è il ministro straordinario dell'eucarestia, previsto dall'istruzione in mense caritatatis del 29 gennaio 1973. La caratteristica del ministro straordinario è che può essere esteso anche alle donne.

 

 

L'ORDINE