Urbano V (1362-1370)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

 

Fu il 200° Papa della Chiesa cattolica dal 1362 alla morte: nel 1870 papa Pio IX lo proclamò beato.

Fu severo e ligio alla disciplina, pose freno alla pompa e al lusso dei cardinali, introdusse notevoli riforme nell'amministrazione della giustizia, e fu un patrono liberale degli studi. Nel 1363 proclamò una crociata che sfociò nella spedizione di Pietro di Lusignano, Re di Cipro, che prese Alessandria d'Egitto (11 ottobre 1365), ma dovette abbandonarla poco dopo. Segno distintivo del pontificato di Urbano V fu lo sforzo di riportare il Papato in Italia, e di sopprimere i potenti rivali alla sovranità temporale che vi si trovavano. Urbano ad Avignone cominciò a sentirsi sempre meno sicuro ed aspettava con impazienza che il cardinale Egidio Albornoz riuscisse a completare la restaurazione dello Stato della Chiesa: aveva serie intenzioni di sottrarre la Santa Sede alle ingerenze del re di Francia. Lui del resto conosceva bene l'Italia e quindi non era prevenuto come i suoi colleghi francesi. Anche se l'Albornoz aveva fatto un buon lavoro nel centro Italia, in Toscana e in Emilia, in Alta Italia la situazione era più difficile e complessa. Nonostante fosse riuscito a farsi molti alleati (Este, Gonzaga, ecc.), i Visconti erano un osso duro: costoro spadroneggiavano a Milano, e imperversavano nel Modenese, nel Bresciano e nel circondario di Bologna. Essi, inoltre, rappresentando l'ultimo baluardo ghibellino in Italia, non riconoscevano la sovranità temporale del papa e, armi in mano, avevano incamerato i beni ecclesiastici di cui erano venuti in possesso.

Già Innocenzo VI, aveva fatto dei tentativi di conciliazione e, uno dei due ambasciatori inviati dal pontefice a Bernabò Visconti a Milano, era proprio Guglielmo de Grimoard, latore di due lettere pontificie. Incontrato il potente signore milanese sul fiume Lambro; quando gli finirono di leggere le lettere, questi, in modo sprezzante, chiese loro se volessero mangiare o bere, e alla risposta affermativa, fece loro mangiare le due lettere papali. Sarebbe bastato questo episodio per giustificare e spiegare i sentimenti poco favorevoli che Urbano V nutriva per Bernabò. Lo stesso mese della sua consacrazione citò il Visconti a comparirgli davanti entro tre mesi e, poiché il signore di Milano non ubbidì all'intimazione, il 3 marzo del 1363 emise la scomunica contro di lui. Il Visconti non era il tipo che temeva una scomunica, fra l'altro da un papa che lui non riconosceva; quindi per altri tre anni mise a soqquadro città lombarde, piemontesi, genovesi e altre senza che l'Albornoz ed i suoi alleati potessero fermarlo. L'anno seguente fu costretto a firmare una pace umiliante ritirando la scomunica e facendo molte concessioni al suo avversario.

Si era così giunti al 1366, cioè al quarto anno di pontificato di Urbano V, senza che si aprisse uno spiraglio per il suo ritorno a Roma come lui desiderava fin dal primo giorno. Ma Urbano aveva deciso, aveva perfino dato ordine al suo vicario a Roma di allestirgli l'appartamento nel palazzo pontificio. La voce non si era sparsa solo a Roma, ma buona parte dell'Italia esultò nell'apprendere la notizia che aspettava da 60 anni. 23 galee inviate dalla regina Giovanna di Napoli, dai Veneziani, dai Genovesi, dai Pisani raggiunsero Marsiglia per far la scorta al papa nel suo rientro a Roma.

Il 30 aprile 1367, Urbano prese la via di Marsiglia, e qui si imbarcò con tutto il suo seguito (solo tre cardinali francesi si rifiutarono) approdando a Corneto, sulla costa laziale, il 3 giugno. Ad attenderlo c'erano l'Albornoz, tutti i Grandi dello Stato Pontificio, e una moltitudine di popolo, che da giorni e giorni aveva dormito in spiaggia per non perdersi lo storico avvenimento. Appena giunto a terra Urbano celebrò una toccante messa; l'indomani, giorno della Pentecoste ne celebrò un'altra ricevendo tutti i rappresentanti della città di Roma, poi si diresse a Viterbo dove avrebbe voluto fare una breve sosta prima di raggiungere la città eterna. A Viterbo il cardinale Albornoz, braccio destro di Urbano in Italia, cessò di vivere, forse colpito dalla peste o da una febbre malarica. Dopo quattordici anni passati in Italia con lo scopo di rimettere un papa sulla cattedra di San Pietro, non riuscì a vedere il compimento della sua opera.

Solo il 16 ottobre 1367, Urbano si decise ad abbandonare Viterbo per fare il suo trionfale rientro a Roma. Il primo anno romano di Urbano fu molto attivo: si impegnò a ridare vita a una città da anni in decadenza; le costruzioni di inizio secolo erano come agli antichi ruderi romani, quelle nuove devastate o svuotate dai saccheggiatori, e le strade ormai senza manutenzione da anni erano diventate degli acquitrini. Urbano sapeva che Roma era una città in decadenza, ma quando la vide di persona si rese conto che era una città in disfacimento e a vederla faceva tristezza. Fu infaticabile nel ricostruire chiese e basiliche, forse fu anche troppo zelante nel riformare il governo mettendo al posto dei sette eletti dal popolo tre funzionari della Santa Sede ed eliminando così quella democrazia che il popolo era convinto di aver ottenuto. Iniziarono in questo modo i primi malcontenti. I cardinali francesi che Urbano si era portati dietro, non si erano adattati all'ambiente e si lamentavano delle offese che ricevevano dai romani, che ricambiavano l'antipatia.

Nella primavera del 1368, scese a Roma l'imperatore Carlo IV, per ossequiarlo e per esserne incoronato; ma in questa incoronazione non ci fu molto entusiasmo. Anche il papa, che perso il valido Albornoz, credeva di poter contare su un aiuto militare del tedesco in quelle contrade ancora in fermento, fu giocato. L'imperatore, presa la corona, risalì in fretta e furia la penisola lasciando al loro destino gli Stati della Chiesa e lo stesso Urbano.

All'inizio dell'anno seguente salì a Roma l'imperatore d'oriente Giovanni Paleologo, a fare anche lui gli omaggi a Urbano e ad abiurare lo scisma, ma il vero scopo della visita era quello di implorare un aiuto per il suo impero pericolante ormai quasi tutto in mano ai Turchi, bandendo una crociata. Il pontefice fece un appello, ma nessuno si mosse, salvo Amedeo VI di Savoia che però arrivò solo fino a Gallipoli. In Italia tutti gli Stati erano impegnati a difendersi dalle scorrerie delle compagnie di ventura, che con la massima indifferenza passavano al soldo ora di uno ora dell'altro potente signore per dedicarsi a scorrerie, guerriglie e assalti; per difendersi in casa, nessuna nelle popolazioni cristiane aveva tempo di fare crociate fuori casa. Né lo avevano in Francia dove era iniziata la guerra dei cent'anni con l'Inghilterra. E tantomeno in Germania dove c'erano l'ipocrita Carlo IV e i suoi principi.

La presa in giro di Carlo IV, la mancanca di un valido condottiero come l'Albornoz, la situazione critica negli Stati della Chiesa, quella sempre più caotica di Roma, dove di riflesso per colpa dei francesi anche Urbano V era malvisto, riempirono di amarezza il pontefice che era sceso a Roma con tanto entusiasmo. Quando poi la stessa Viterbo, Perugia e altre città tornarono alle vecchie rivolte, e il Visconti riprese a minacciare le terre pontificie, Urbano lasciò Roma per Montefiascone e manifestò l'intenzione di tornare ad Avignone. I cardinali francesi, zelanti nell'incitarlo, fecero presto a tramutare l'intenzione in una vera e propria volontà di abbandonare Roma. Molti supplicarono il papa di rivedere la sua decisione: il Petrarca gli scrisse per persuaderlo a rimanere in Italia; una pia principessa svedese che da vent'anni soggiornava a Roma, Santa Brigida, venne a Montefiascone a manifestare al Papa una rivelazione avuta dalla Vergine, secondo la quale gravi disgrazie lo attendevano se tornava nel luogo dov'era stato eletto; i romani gli inviarono un'ambasceria a supplicarlo di rimanere. Ma Urbano non si lasciò smuovere dalla decisione presa, ed il 5 settembre 1370 in quello stesso porto di Corneto, dov'era approdato tre anni prima, si imbarcò con tutta la sua corte sulle navi inviategli dai re di Francia e d'Aragona, dalla regina di Napoli e di Pisa. Il 16 dello stesso mese sbarcò a Marsiglia, il 24 settembre fece il suo solenne ingresso in Avignone. Ma nemmeno due mesi dopo cadde ammalato ed il 19 dicembre dello stesso anno morì. Vestito del suo saio monastico, venne deposto nella cattedrale di Avignone, da cui fu poi traslato per essere sepolto nel monastero marsigliese di cui era stato abate. Gli succedette Papa Gregorio XI. Nel 1870 Pio IX lo onorò come Beato.