Stefano I (254-257)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

 

Secondo gli elenchi dei papi più antichi, proveniva da una nobile famiglia romana da tempo convertita al cristianesimo e suo padre si chiamava Jovius. Anche se ci sono dei dubbi sulle date connesse al pontificato di Stefano, generalmente si ritiene che fu consacrato il 12 maggio 254, divenendo vescovo di Roma in un periodo in cui le dispute interne che laceravano la Chiesa erano una minaccia maggiore delle persecuzioni esterne. Egli era preposto ad una delle sette diaconie in cui era stata divisa Roma e fu eletto presso il cimitero di San Callisto da presbiteri e diaconi titulari, in rappresentanza di tutti i fedeli. Non è storicamente provata l'affermazione contenuta nel Liber Pontificalis secondo la quale papa Lucio I, poco prima di essere martirizzato, avrebbe lasciato la cura della Chiesa al suo arcidiacono, Stefano. La maggior parte di ciò che conosciamo sul suo pontificato è connesso direttamente o indirettamente con gli insegnamenti dell'antipapa Novaziano.

Il suo intervento presso le Chiese d'Africa e d'Asia Minore, sul tema dei battesimi praticati da eretici fu forte ed autoritario. Stefano sostenne il principio che la Chiesa di Roma già adottava da tempo: l'efficacia del sacramento non dipendeva dallo stato di grazia di chi lo amministrava, ma dall'intenzione di compierlo in nome della Trinità. Quindi, per introdurre il fedele nella comunità cristiana, era sufficiente l'imposizione delle mani con l'invocazione dello Spirito Santo. Nella Chiesa d'Africa, d'Asia Minore e di Siria si chiedeva, in questi casi, la ripetizione del battesimo, pratica che era appoggiata sia da Novaziano che da san Cipriano.

Nel III secolo, comincia ad affacciarci il tema di cristiani battezzati da comunità eretiche e che vogliono tornare nella grande chiesa cattolica. Cosa fare? Il problema qui è quello della validità e unicità del battesimo. Papa Stefano è propenso a farli rientrare, non si deve ribattezzare, semplicemente imporre una disciplina penitenziale. Cipriano è rigidamente contrario, ritiene che occorresse battezzarli, considera il primo battesimo un non battesimo. Il problema in realtà è ecclesiologico, Cipriano parte dal ruolo salvifico della Chiesa "nessuno può avere Dio come Padre se non ha la chiesa come Madre", egli ritiene che solo la Chiesa è unita a Cristo e in quanto unita a Cristo può generare dei figli con Dio Padre, quello delle sette non è quindi un battesimo che genera figli di Dio.

             L'argomentazione romana è, invece, che i sacramenti sono una cosa di Cristo a cui la Chiesa deve sottomettersi, se perciò gli eretici erano stati battezzati correttamente nel nome della trinità, Gesù garantisce di quel battesimo e la Chiesa non può che prenderne atto. La controversia assunse toni accesi, la situazione tra la Chiesa romana e la Chiesa africana si guastò. Cipriano radunò dei sinodi, nasce la sconosciuta prassi dei concilio, noi a posteriori mettiamo il primo concilio negli Atti, quello non è un vero e proprio concilio. Vengono chiamati sinodi, non sono i concili ecumenici, il primo sarà nel 315 con Nicea, ma l'idea di chiamare più vescovi inizia qui. Papa Stefano cominciò a rispondere con scomuniche e minacce, accusandolo di portare delle novità. Solo la morte dei due protagonisti risolse la questione. Successivamente con il passare del tempo sarà la linea romana ad imporsi, fino al sinodo di Arles. 

 

Nella prima parte del suo pontificato, inoltre, Stefano fu frequentemente esortato da Faustino, vescovo di Lione, a prendere provvedimenti contro Marciano, vescovo di Arles che, rifacendosi alle dottrine di Novaziano, negava la comunione ai lapsi pentiti. Ma Stefano non diede seguito all'esortazione. I vescovi di Gallia si rivolsero allora a Cipriano, e lo implorarono di scrivere al papa. Questa lettera è l'unica fonte di informazioni giuntaci su questo affare. Il vescovo di Cartagine supplicò Stefano di imitare i suoi predecessori, e di istruire i vescovi di Gallia affinché condannassero Marciano, e lo sostituissero. Dato che Cipriano non aggiunse nulla su questo affare, si suppone che il Papa agì in concordanza con i suoi desideri, e che Marciano fu deposto.

Anche il caso dei vescovi spagnoli Marziale e Basilide portò Stefano ad un nuovo contatto con Cipriano. Essi erano stati condannati dai vescovi della loro provincia come libellatici, per aver rinnegato la fede. In un primo tempo si dichiararono colpevoli, ma, in seguito, si appellarono a Roma, e Stefano si adoperò per la loro restaurazione. Di conseguenza alcuni vescovi loro amici presero la loro difesa, ma gli altri portarono il caso di fronte a Cipriano. Questi convocò un sinodo di vescovi africani che rinnovò la condanna di Basilide e Marziale, ed esortò il popolo ad entrare in comunione con i loro successori. Nello stesso tempo, il sinodo dichiarò che Stefano aveva agito in quel modo perché "stando a distanza, ed ignorando i veri fatti" era stato ingannato da Basilide.

Ansioso di preservare la tradizione dei suoi predecessori in materia di carità e di fede, Stefano, provvide alle necessità di "tutte le province di Siria e d'Arabia". Ai suoi tempi i paramenti indossati dal clero per celebrare la messa e gli altri servizi della Chiesa non differivano per foggia o materiale da quelli indossati normalmente dai laici, pertanto, Stefano, secondo il Liber Pontificalis, ordinò che i paramenti che venivano usati per fini liturgici non fossero impiegati nel lavoro quotidiano.

Nell'anno 257 l'imperatore Valeriano emanò un editto contro tutte le gerarchie ecclesiastiche imponendo nello stesso tempo al popolo di riconoscere le divinità pagane e di esercitare il culto cristiano solo in privato.

Secondo il Liber Pontificalis, ma non ci sono prove storicamente accertate, il 2 agosto del 257 papa Stefano I avrebbe terminato il suo pontificato col martirio: nell'officiare la messa, sarebbe stato decapitato dai pretoriani dell'imperatore.