Pio VI (1775-1799)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) [Cesena 1717 - Valence, Drôme, 1799], papa (1775-1799). Di famiglia nobile (era figlio del conte M. Aurelio Tommaso Braschi), addottoratosi in utroque iure nel 1735, ricoprì in seguito diverse cariche alla corte pontificia (cameriere segreto e aiutante di studio di Benedetto XIV; canonico di San Pietro [1755]; tesoriere della Camera apostolica [1766]). Creato cardinale nel 1773, fu eletto papa (succedendo a Clemente XIV) il 15 febbraio 1775, in un conclave protrattosi per più di quattro mesi e dopo essersi impegnato a non ricostituire la Compagnia di Gesù. Amante delle arti e delle lettere e mecenate munifico, Pio VI favorì gli studi archeologici (scavi e Museo Pio- Clementino) e chiamò a Roma artisti come A. Canova e L. David; come sovrano temporale egli cercò anche di migliorare le strutture economiche e amministrative dei suoi Stati, intraprendendo lavori di bonifica (tra cui quelli, imponenti, per il prosciugamento dell'Agro pontino), impiantando un moderno catasto nelle Legazioni, curando le comunicazioni (strada Velletri-Terracina, ecc.), pure se i risultati raggiunti furono poi inferiori alle speranze, anche a causa delle sue tendenze nepotistiche. La prima fase del lungo pontificato di Pio VI fu caratterizzata dalla crisi nelle relazioni tra la Chiesa e vari Stati europei, provocata dalle tendenze risolutamente giurisdizionaliste tipiche del dispotismo illuminato. I rapporti si fecero particolarmente tesi con Vienna, in conseguenza della politica febroniana di Giuseppe II e dei suoi ministri (generalizzazione dell'obbligo del placet; obbligo del giuramento per i vescovi; intervento dello Stato nelle questioni liturgiche e nell'ordinamento dei seminari; secolarizzazione degli ordini religiosi contemplativi; ecc.), tanto da far decidere il papa (il “pellegrino apostolico”) a compiere un viaggio a Vienna nel 1782 nel tentativo, risultato poi vano, di convincere il sovrano austriaco a mitigare le sue pretese. Altri attriti si verificarono tra Pio VI e Caterina II di Russia (per la decisione della zarina di non considerare sciolta la Compagnia di Gesù) e gli arcivescovi elettori di Treviri, Magonza e Colonia (in seguito all'istituzione di una nunziatura a Monaco: Puntazione di Ems, 1786). Difficili furono anche le relazioni tra la curia e gli Stati italiani, in particolare Napoli (politica giurisdizionalista di Ferdinando IV, culminata nella soppressione di numerosi conventi e nel rifiuto del tradizionale omaggio della chinea) e la Toscana (attività riformatrice ispirata ai princìpi del giuseppinismo del granduca Leopoldo II e tendenze giansenistiche del vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, condannate nel 1794 con la bolla Auctorem fidei).

Ma preoccupazioni ancora più gravi apportò al pontefice la Rivoluzione francese. All'iniziale atteggiamento conciliante di Pio VI nei confronti della costituzione civile del clero, motivato dalla speranza di arrivare a un accomodamento, seguì il 10 marzo 1791 la condanna, quando la resistenza di una larga parte del clero francese e l'occupazione di Avignone avevano ormai dimostrato l'irreparabilità della rottura. Le conseguenze della Rivoluzione, inoltre, si fecero ben presto sentire anche negli Stati Pontifici, dove si intensificò l'azione dei giacobini (congiura bolognese di L. Zamboni, 1794) mentre crescevano le ingerenze francesi (inframmettenze dell'incaricato a Roma, Bassville, poi assassinato). Finalmente il Bonaparte, nel corso della sua prima campagna d'Italia, impose al papa dapprima il duro armistizio di Bologna (23 giugno 1796) e poi il trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), che comportò la cessione alla Francia delle Legazioni e di Ancona. Alcuni mesi più tardi l'uccisione del generale L. Duphot (dicembre 1797) provocò l'invasione di tutto il territorio pontificio da parte delle truppe francesi, e Pio VI, privato dei suoi poteri temporali, dovette assistere alla proclamazione della Repubblica Romana (15 febbraio 1798). Fatto prigioniero, il papa fu successivamente condotto a Siena (20 febbraio), nella certosa di San Casciano (presso Firenze), a Torino e infine nella cittadella di Valence dove si spense qualche settimana più tardi, dopo aver sopportato con grande fermezza i disagi della deportazione. Il suo corpo fu trasferito a Roma nel 1802.