Callisto II (1119-1124)

 

STORIA DELLA CHIESA

I PONTEFICI

  

A Gelasio II sucesse Guido, arcivescovo di Vienne, imparentato con le case reali di Francia, Inghilterra e Germania. Eletto a Cluny il 2 feb­braio, prese il nome di Callisto  II (1119-1124). Volle rimanere in Francia per un anno con l'intenzione di appoggiarsi su questa na­zione per trattare una pace onorevole con Enrico V se­condo le diret­tive di Gelasio II.

                Pubblicisti e canonisti, specialmente francesi, come l'eccellente vescovo Ivo di Chartres, avevano  illustrato l'a­spetto teoretico del problema in diversi scritti. Si imparò così a di­stinguere fra ufficio e possesso, fra l'aspetto spirituale e quello temporale dell'investitura,  fra il conferi­mento di una chiesa con i simboli dell'a­nello e del pastorale e l'infeu­dazione delle regalìe (appunto le temporalità feudali, l'investitura feu­dale) di pertinenza del sovrano.

                Callisto, di sangue reale, poteva ora contare sull'appog­gio dell'alto clero tedesco e anche sull'impe­ratore  che, sin dalla prima­vera del 1119, aveva mostrato per la prima volta il de­siderio di pace. Il papa inviò allora a Strasburgo, presso Enrico V, una legazione  di fran­cesi che riuscirono a convincere l'imperatore come la fedeltà feu­dale fosse indipendente dall'investitura.

                Si giunse così a un con­cordato (concordia) formu­lato in due documenti paralleli dell'im­peratore e del papa: l'imperatore rinunciava alle investiture, men­tre il  papa si impe­gnava a fare lealmente la pace con Enrico e i suoi seguaci. Il 20 ot­tobre 1119 fu aperto a Reims il concilio già progettato da Gelasio II e al quale fu­rono invitati anche i vescovi tedeschi. Callisto tenne il di­scorso intro­duttivo nel quale annunciò l'intenzione "di estirpare l'eresia dei simo­niaci introdottasi so­prat­tutto attraverso le investiture"; quindi si recò, come da accordi, a Mouzon per incontrarsi con l'imperatore. Giuntovi, anziché trat­tare con l'imperatore, che si era già accampato con un esercito di trenta mila uomini, pre­ferì trattare per mezzo di legati. Enrico cominciò allora a far pressioni mostran­dosi riluttante alla firma dell'accordo. Callisto II attese inultilmente fino al 26 otto­bre, poi se ne tornò a Reims, dove procedette alla solenne scomunica del­l'impera­tore.

                 Terminato il concilio di Reims, Callisto si trattenne ancora un poco in Francia; quindi, al principio del 1120, si mise in viaggio per tor­nare in Italia giun­gendo a Roma il 3 giugno. L'anno succes­sivo ebbe termine lo scisma di Gregorio VIII che, dopo un severo processo, fu re­lagato in un monastero  (1121).

                La fine dello scisma fu l'occasione per terminare il contrasto con l'impero. Callisto  II per riprendere le tratta­tive inviò tre cardinali-legati  e, dopo pro­lungate e difficili con­sultazioni, si giunse al concordato di Worms o Pactum Calixtinum del 23 settem­bre 1122: un accordo redatto nella forma di due documenti paralleli, come i pre­cedenti concor­dati, e che portanto -l'uno e l'altro- il nome di privi­le­gium. Vi si tiene conto della duplice posizione dei vescovi e degli abati ger­manici.

                Enrico V, ora assolto dalla scomunica, rinuncia alle in­vesti­ture dei prelati, con l'anello e il pa­storale e riconosce le elezioni canoniche e la conferma dell'e­letto per opera del metropolita.

                Da parte sua, papa Callisto II riconosceva all'im­peratore e ai suoi successori il diritto di praesentia, cioè di assistere alle elezioni dei prelati di Germania, purché fosse esclusa la simonia e l'impiego della forza; inol­tre, nelle elezioni dubbie, il diritto di appoggiare il partito migliore (pars sa­nior), secondo il consiglio o il giudizio del metropolita e degli altri vescovi com­provinciali. Ciò comportava un diritto alla designa­zione, o per lo meno un'in­fluenza sugli elet­tori: concessione questa li­mitata alla Germania. L'investitura tem­porale invece doveva venir con­ferita dall'imperatore con lo scettro (simbolo dei vassalli laici, quindi del­l'autorità temporale); e questo si doveva fare: in Germania, prima della consacra­zione, dando così la possibilità di escludere un candidato non gradito; in Italia e in Borgogna, dove l'Impero aveva minori inte­ressi da tutelare, dopo la consacra­zione, entro il termine di sei mesi. Il giuramento feudale dei pre­lati rimase e, con esso, anche le obbligazioni che ne deriva­vano verso l'Impero.

                Con queste concessioni reciproche, che attenuarono i prin­cipi per cui la Chiesa aveva lungamente combattuto, giungeva al termine la lotta per le investi­ture, durata quasi cinquanta anni. La pace fra Sacerdotium e Regnum fu suggellata  con la riconciliazione  di Enrico V, ancora sco­municato, che fu ammesso alla comunione durante la messa cele­brata a Worms, dopo l'ac­cordo, dal cardinale di Ostia.

 

 Concilio  ecumenico Lateranense I

               

                Per l'appro­vazione e la proclamazione so­lenne del concordato di Worms, Callisto  II, nel 1123, celebrò un conci­lio in Laterano. Il pontefice lo volle concilio generale, cioè ecumenico: fu il IX concilio  ecumenico e il primo celebrato in Occidente, riunito li­beramente e presieduto dal papa, senza alcun intervento laicale.

                Apertosi il 18 marzo, terza domenica di quaresima, vi par­tecipa­rono 987 pa­dri, fra cui oltre 300 vescovi,  ma nessuna delle chiese d'Oriente fu rappre­sentata. Si celebrò durante la gestazione di un mondo nuovo, lontano dal vecchio universo altomedievale, in un epoca che, a partire dall'alba  del Mille, aveva visto il sottrarsi del papato allo strapotere dei potentati romani e di nuovo collocato al centro della vita politica e religiosa del­l'Europa;  un'epoca che vide l'affermarsi di quel grandioso moto di riforma che dall'ambiente monastico si era propagato al papato e all'in­tera società cristiana con le voci altissime di Umberto di Silvacandida, Pier Damiano e Ildebrando di Soana, ma che anche vide il manifestarsi di fermenti ereticali.

                Il concilio Lateranense I inaugurò una nuova stagione della Chiesa che coincise con l'età classica della storia canonistica e ri­sultò dominata dalla trattazione, nei concili, di grandi problemi della cri­stianità.

                Callisto II, con questo concilio, in primo luogo re­staurò la pace in un mondo che l'aveva pressoché perduta: lo fece ratificando il patto di Worms sulla questione delle investiture, un patto che però non era piaciuto ai gregoriani intransigenti.

                L'azione del pontefice viene quindi rivolta alla restaurazione della potestà vescovile, onde porre fine a quelle situazioni di indisciplina e di scollamento che si erano verificate nel vivo della lotta per la riforma. Furono così ema­nati 22 ca­noni disciplinari,  al fine di eliminare ogni forma di simonia e gli altri di­sordini e abusi che avevano afflitto la Chiesa, con richiami a precedenti disposizioni  conciliari e sinodali. 

                Il can. 1, proibendo, “per l'autorità della Sede Apostolica”, l'ordinazione e la promozione nei gradi ecclesiastici  per pecuniam e stabilendo la nullità delle dignità ac­quisite, sanciva la lotta contro il clero simoniaco, lotta sferrata dalla riforma gregoriana.

                Valorizzando le scomuniche, commi­nate dai vescovi, con il can. 2 rafforzava la loro autorità spirituale  e i loro po­teri giurisdizionali, che  si estesero anche sui monasteri.

                Il can. 7 (che ripro­pone  il can. 3, del concilio Niceno I), proibisce il concubinato dei chie­rici e la coabitazione con donne.

                I cann. 3-6, 8 e 12 intendono dare fon­damento alla libertas Ecclesiae: precisando le condizioni  per la promo­zione clericale e confermando la necessità dell'elezione  canonica per le consacrazioni vescovili, pena la deposizione (can.3);  sottoponendo  strettamente l'attribuzione della cura delle anime da parte di arcidia­coni, arcipreti, prepositi e decani al giudizio,  o consenso dei vescovi (can. 4);  rigettando come sacrilega ogni intromissione dei laici nel­l'amministrazione degli affari ecclesiastici (can. 8); dichiarando nulle le ordinazioni seguite alla condanna dell'antipapa Gregorio VIII (can. 5); regolando quelle dei prepositi, arcipreti e diaconi (can. 6); proibendo sotto scomunica la spoliazione dei santuari allora venerati dalla cri­stianità [S. Salvatore (Laterano), S. Pietro, S. Maria della Rotonda (Pantheon), a Roma; S. Nicola di Bari; Saint-Gilles] e l'imposizione  di servitù sopra di esse da parte dei laici (can. 12).

                I cann. 10 e 14 costituiscono lo statuto del pellegrino e del cro­ciato; la crociata è infatti un'estensione del pellegrinaggio e dei suoi vantaggi spirituali, avendo Urbano II al concilio di Clermont (1095)  esteso loro l'indulgenza plenaria. Per dar modo alla cristianità occiden­tale, lacerata dalla guerre, di partecipare alla prima crociata Urbano II non riuscì ad imporre la pace ai re, ottenne solo la tregua di Dio. Il can. 15 si rin­novarono e confermarono tutti i decreti anteriori, concernenti la pace e la tregua di Dio, dando loro un carattere permanente e universale.  Ricordato che la Pax que vulgo Trevia Dei dicitur, prima che dal ponte­fice Urbano II era stata promulgata dai sinodi [a partire dal 1025 (sinodo di Laon)] il concilio  confermò la tregua, promulgata da Urbano II, definita circa la durata [da mercoledì sera, fino all'alba del lunedì; dall'avvento fino all'ottava dell'epifania; dalla settuagesima fino all'ottava di pentecoste], mentre la impose, senza limiti,  alle donne, ai chierici e ai monaci. Il  can. 14  estese i benefici  della Pax anche ai pellegrini,  comminando la scomunica a co­loro che osavano offendere i pellegrini diretti a Roma; mentre il can. 10 concesse l'indulgenza  della crociata e la protezione apostolica per co­loro che offrivano aiuto ai crociati che combattevano gli infedeli sia in Terra Santa, sia in Spagna.

                Si ricorderà come l'indulgenza della crociata era stata una innova­zione di Urbano II e consisteva nel liberare i crociati, confessati e con­triti, dai pesanti carichi, cui all'epoca era legata la penitenza pubblica. Questa remissio Terrae Sanctae suscitò subito un grande slancio di pietà popolare, una mistica della crociata e della redenzione che spin­gerà ancora verso Gerusalemme non solo cavalieri, capaci di combattere l'Islam, ma anche folle di gente umile, di vecchi, donne e bambini, onde conseguire i meriti annessi al pellegri­naggio:  l'Iter Hierosolymitanum divenne il pellegrinaggio per eccellenza.

                Il can. 9  colpisce  d'infamia i contraenti di nozze incestuose. I cann. 11, 13, 15 e 17 riguardano aspetti particolari relativi alla succes­sione  ereditaria nel territorio della città Leonina, la proibizione  del co­nio e dello spaccio di moneta falsa, la tregua di Dio e la protezione di Benevento, "città di S. Pietro", cioè possesso della Chiesa che  allora era minac­ciato dai Normanni.

                Di particolare rilievo è il can. 16, relativo alle funzioni ecclesiasti­che dei monaci e alla loro esenzione dalla giurisdizione  ordinaria: pro­blema allora cruciale, attesta le trasformazioni che si erano verificate fra XI e XII secolo nel monachesimo, quando i monaci si trovarono a con­durre una vita del tutto simile ai chierici; molti di loro erano divenuti sacerdoti ed esercitavano il ministero sacerdotale, sottraendo così una parte delle offerte destinate agli ecclesiastici.  Da parte sua la Santa Sede aveva largheggiato nel concedere ai monasteri, che ne avessero fatto ri­chiesta, la protezione apostolica, l'esenzione  dalla giurisdizione ordi­naria e, a certi abati, le stesse insegne propriamente vescovili (anello, mitria, guanti). Questo stato di cose costituiva un ostacolo all'autorità canonica del vescovo per cui il concilio impose ai monaci di obbedire  ai vescovi e proibì loro di svolgere le funzioni del ministero della cura animarum.

                Il concilio non affrontò il problema dell'unione delle Chiese. Ma quindici mesi dopo Callisto  II scrisse una lettera al Basileus invitandolo  a prendere in considerazione un progetto di riunificazione.

                 Oltre le celebrazioni, proprie delle varie sessioni, i padri conciliari furono chiamati a partecipare anche ad altre solennità, fra cui la cano­nizzazione di Corrado vescovo di Costanza. Il fatto è importante per la storia delle canonizzazioni  poiché questa, per la prima volta, fu prece­duta da un'inchiesta canonica , un processo basato essenzialmente  sui miracoli.