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"Non facciamoci del male, curiamo la vita, curiamo la famiglia, curiamo la natura, curiamo i bambini, curiamo gli anziani" Papa Francesco

 

Martinelli, il vescovo di Tripoli: «Che mi taglino pure la testa»

​VERONA «Questo è il culmine della mia testimonianza». È nelle parole che s’incrinano verso il pianto di padre Giovanni Innocenzo Martinelli il dramma della Libia. Lui che è ancora a Tripoli, vicario apostolico in quella chiesa che porta il nome del santo di cui ha condiviso i voti: Francesco d’Assisi.

Ormai l’ultimo italiano che ha scelto di rimanere in quella terra dove è arrivato nel 1971 da Camacici, frazione di San Giovanni Lupatoto, nel Veronese.

La sua era una famiglia di reduci proprio da quella Libia in cui Giovanni nacque, a El Khadra, il 5 febbraio del ‘42. Ci tornò quando era un frate. E non l’ha più lasciata.

 

 

Renitente, il veronese padre Martinelli, al ritorno in Italia imposto dal governo anche ai diplomatici. «Perché - dice in una lunga telefonata con il Corriere del Veneto - la mia comunità, è qui. Come faccio a mollare? Sarebbe un tradimento...».

«Questa - spiega - è la fine della mia missione. E se la fine dev’essere testimoniata con il mio sangue, lo farò». Testardo fino al martirio, monsignor Martinelli. Cita san Francesco. «Lo aveva detto: chi vuole andare tra i saraceni deve lasciare tutto...». Quei «saraceni» che altro non erano se non i musulmani di oggi. I corsi e i ricorsi della storia non risparmiano neanche i frati. È un generale senza legione, padre Martinelli. Perché di quei 150 mila battezzati che trovò in Libia quando arrivò, adesso ne sono rimasti neanche trecento.

«Sono venuti a dirmi che devo morire» Ha celebrato messa anche ieri, padre Martinelli. E la sua, più che una testimonianza, diventa il testamento di un uomo che in quelle strade di Tripoli dove una volta camminava indossando il saio, adesso viene fermato per sentirsi dire «tu sei contro l’Islam». «In chiesa sono venuti a dirmi che devo morire. Ma io voglio che si sappia che padre Martinelli sta bene e che la sua missione potrebbe arrivare al termine. Ho visto delle teste tagliate e ho pensato che anch’io potrei fare quella fine. E se Dio vorrà che quel termine sia la mia testa tagliata, così sarà. Anche se Dio non cerca teste mozzate, ma altre cose in un uomo... Poter dare testimonianza è una cosa preziosa. Io ringrazio il Signore che mi permette di farlo, anche con il martirio. Non so fino a dove mi porterà questo cammino. Se mi porterà alla morte, vorrà dire che per me Dio ha scelto così... Io da qui non mi muovo. E non ho paura».

 

Fonte: Corriere della Sera